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Brano : Ab urbe condita X, 26
Autore : Livio
Originale
[26] Fabius, ut Romam rediit, et in senatu et productus ad populum mediam orationem habuit, ut nec augere
nec minuere uideretur belli famam magisque in altero adsumendo duce aliorum indulgere timori quam suo
aut rei publicae periculo consulere: ceterum si sibi adiutorem belli sociumque imperii darent, quonam modo
se obliuisci P. Deci consulis per tot collegia experti posse? neminem omnium secum coniungi malle; et
copiarum satis sibi cum P. Decio et nunquam nimium hostium fore. Sin collega quid aliud malit, at sibi L.
Volumnium darent adiutorem. Omnium rerum arbitrium et a populo et a senatu et ab ipso collega Fabio
permissum est; et cum P. Decius se in Samnium uel in Etruriam proficisci paratum esse ostendisset, tanta
laetitia ac gratulatio fuit ut praeciperetur uictoria animis triumphusque non bellum decretum consulibus
uideretur. Inuenio apud quosdam extemplo consulatu inito profectos in Etruriam Fabium Deciumque sine ulla
mentione sortis prouinciarum certaminumque inter collegas quae exposui. Sunt <qui>, quibus ne haec
quidem <certamina> exponere satis fuerit, adiecerint et Appi criminationes de Fabio absente ad populum et
pertinaciam aduersus praesentem consulem praetoris contentionemque aliam inter collegas tendente Decio
ut suae quisque prouinciae sortem tueretur. Constare res incipit ex eo tempore quo profecti ambo consules
ad bellum sunt. Ceterum antequam consules in Etruriam peruenirent, Senones Galli multitudine ingenti ad
Clusium uenerunt legionem Romanam castraque oppugnaturi. Scipio, qui castris praeerat, loco adiuuandam
paucitatem suorum militum ratus, in collem, qui inter urbem et castra erat, aciem erexit; sed, ut in re subita,
parum explorato itinere ad iugum perrexit, quod hostes ceperant parte alia adgressi. Ita caesa ab tergo legio
atque in medio, cum hostis undique urgeret, circumuenta. Deletam quoque ibi legionem, ita ut nuntius non
superesset, quidam auctores sunt, nec ante ad consules, qui iam haud procul a Clusio aberant, famam eius
cladis perlatam quam in conspectu fuere Gallorum equites, pectoribus equorum suspensa gestantes capita
et lanceis infixa ouantesque moris sui carmine.?sunt qui Vmbros fuisse non Gallos tradant, nec tantum
cladis acceptum et circumuentis pabulatoribus cum L. Manlio Torquato legato Scipionem propraetorem
subsidium e castris tulisse uictoresque Vmbros redintegrato proelio uictos esse captiuosque eis ac praedam
ademptam. Similius uero est a Gallo hoste quam Vmbro eam cladem acceptam, quod cum saepe alias tum
eo anno Gallici tumultus praecipuus terror ciuitatem tenuit.?itaque praeterquam quod ambo consules profecti
ad bellum erant cum quattuor legionibus et magno equitatu Romano Campanisque mille equitibus delectis,
ad id bellum missis, et sociorum nominisque Latini maiore exercitu quam Romano, alii duo exercitus haud
procul urbe Etruriae oppositi, unus in Falisco, alter in Vaticano agro. Cn. Fuluius et L. Postumius Megellus,
propraetores ambo, statiua in eis locis habere iussi.
Traduzione
26 Non appena Fabio arriv? a Roma, tanto in senato quanto di fronte al popolo in assemblea non si sbilanci?
nei discorsi che tenne, in maniera da dare l'impressione di non ingrandire n? diminuire le proporzioni del
conflitto e, nel caso in cui avesse associato al comando un altro generale, di farlo pi? per assecondare le
paure altrui che evitare a se stesso e al paese una situazione di pericolo. E poi, se davvero volevano
assegnargli un aiuto per la guerra e un compagno da associare al comando, come avrebbe potuto
dimenticare il console Publio Decio, che aveva sperimentato come collega in tante magistrature condotte
insieme? Di tutti non c'era nessuno che preferisse avere a fianco: con Decio le truppe sarebbero state
sufficienti e i nemici non sarebbero mai stati troppi. Se per? il collega aveva altre preferenze, gli
assegnassero allora come collaboratore Lucio Volumnio. Tanto il popolo quanto il senato e lo stesso collega
lasciarono ogni decisione finale a Fabio: e poich? Decio si era detto pronto a partire sia per il Sannio sia per
l'Etruria, la gioia e il compiacimento generale furono tali, che gi? la gente pregustava la gioia della vittoria, e
si aveva l'impressione che ai consoli non fosse stata affidata la guerra ma decretato il trionfo.In alcuni autori
ho trovato che Fabio e Decio partirono alla volta dell'Etruria s?bito dopo essere entrati in carica, senza per?
alcun accenno al sorteggio delle zone di operazione e ai dissapori tra i colleghi di cui ho gi? parlato. Altri
invece non soltanto riferiscono di questi scontri verbali, ma parlano anche di accuse mosse da Appio di
fronte al popolo contro la persona di Fabio (che al momento era assente), e di una tenace ostilit? da parte
del pretore verso il console quando questi rientr? a Roma, e di altri contrasti tra i colleghi, dovuti al fatto che
Decio pretendeva che ciascuno rispettasse gli esiti del sorteggio nell'assegnazione delle campagne. Le
versioni cominciano a coincidere dal momento in cui entrambi i consoli si trovano al fronte.Ma prima che i
consoli arrivassero in Etruria, nei pressi di Chiusi comparve una massa di Galli Senoni, le cui intenzioni
erano di attaccare l'esercito e l'accampamento romani. Scipione, che aveva il comando del campo, volendo
sopperire all'inferiorit? numerica con il favore della posizione, fece salire l'esercito su un'altura che si trovava
tra la citt? e l'accampamento. Ma dato che nella fretta non aveva potuto fare controllare il percorso,
raggiunse una cima che era gi? stata occupata dal nemico, salito dalla parte opposta. Cos? la legione,
schiacciata da ogni parte dai nemici, fu presa alle spalle e sopraffatta. Alcuni autori sostengono che quel
contingente fu completamente annientato, al punto che non rimase in vita un solo soldato in grado di riferire
la notizia della disfatta, e che i consoli, essendo ormai nei pressi di Chiusi, non ricevettero alcuna
informazione su quel disastro fino al momento in cui non videro coi propri occhi i cavalieri dei Galli che
portavano le teste dei romani uccisi appese al petto dei cavalli e conficcate sulle lance, e si esibivano nei
loro caratteristici canti di trionfo. Stando ad altri autori, i nemici sarebbero stati Umbri e non Galli, e la
sconfitta avrebbe avuto altre proporzioni: a rimanere circondato sarebbe stato un reparto di soldati addetti al
foraggiamento agli ordini del luogotenente Lucio Manlio Torquato, e il propretore Scipione sarebbe
intervenuto con rinforzi dall'accampamento, e dopo aver riequilibrato le sorti della battaglia avrebbe piegato
gli Umbri gi? vincitori, togliendo di nuovo dalle loro mani i prigionieri e il bottino. Tuttavia ? pi? aderente alla
verit? dei fatti che a infliggere questa disfatta ai Romani siano stati i Galli e non gli Umbri, perch? - come gi?
successo molte altre volte in passato - anche quell'anno Roma venne invasa da un'ondata di panico dovuto
alla minaccia gallica. Cos?, mentre entrambi i consoli erano gi? partiti alla volta del fronte con quattro legioni,
un massiccio contingente di cavalleria romana, 1.000 cavalieri campani forniti per quel conflitto, e un esercito
di alleati e di Latini numericamente superiore a quello romano, non lontano da Roma altri due eserciti
vennero collocati di fronte all'Etruria, uno nel territorio dei Falisci, l'altro nell'agro Vaticano. I propretori Gneo
Fulvio e Lucio Postumio ricevettero la disposizione di accamparsi stabilmente in quelle zone.