Ouverture de `Canali di Marketing e mercati globali`

© SYMPHONYA Emerging Issues in Management, n. 1, 2010
www.unimib.it/symphonya
Ouverture de ‘Canali di Marketing
e mercati globali’*
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Silvio M. Brondoni , Fabio Musso
Abstract
L'eccesso di offerta ed i mercati globali favoriscono una ‘selettività massificata’ dei consumi ed impongono da un lato nuove regole di competizione tra le imprese di produzione e dall’altro stimolano nuove
politiche di presenza nei canali di marketing. Una riflessione sui canali di marketing quale entità economica e relazionale richiede quindi di essere affrontata secondo una visione d’insieme, focalizzando poi
l’attenzione su alcuni aspetti di particolare rilievo, quali l’innovazione, l’impatto della tecnologia nel processo di acquisto del consumatore finale e sulle sue stesse abitudini di acquisto, l’estensione dell’offerta
degli intermediari commerciali verso servizi non core, quali quelli finanziari.
Keywords: Canali di marketing; Mercati globali; Eccesso di offerta; Innovazione di canale; Comportamento del consumatore; Servizi finanziari di distribuzione
1. Overture
L'attuale crisi economica globale ha modificato in profondità i consumi di
massa, riducendo gli acquisti di prodotti ‘basic’, quali auto, alimentari, abbigliamento, libri e giocattoli. A ben vedere, tuttavia, alcuni importanti comparti di consumo vanno in controtendenza, come i prodotti con tecnologia negoziata in dollari (detergenti chimici, telefoni cellulari, TV al plasma e LCD,
PC, flash memories, fotocamere e videocamere digitali, ecc.). In sintesi,
crescono le vendite dei beni con mercati globali e il cui rapporto di cambio
euro/dollaro è da tempo in fase cedente, con caratteristiche soggette a forti
politiche imitative e con prezzi di vendita sempre più bassi.
Anche questi comparti di beni (molto sfruttati dalle grandi catene di distribuzione, con import globali) stanno tuttavia raggiungendo il limite di
saturazione delle vendite (sales threshold), che potrà essere valicato solo
per effetto di nuovi cedimenti del cambio euro/dollaro, oppure con modifiche strutturali dei canali di marketing globali.
In effetti, l'eccesso di offerta ed i mercati globali favoriscono una ‘selettività massificata’ dei consumi ed impongono da un lato nuove regole di
competizione tra le imprese di produzione e dall’altro stimolano nuove politiche di presenza nei canali di marketing. Qualche anno fa, quando la
domanda primaria dei beni era in crescita ed i canali costituivano stabili
strutture di distribuzione, i prodotti con ‘marche forti’ erano sufficienti a
sostenere grandi ‘brand extension’ e gli investimenti in pubblicità ne garantivano il successo. La share of voice pubblicitaria era infatti correlata e
tendenzialmente uguale alla market share e le marche leader con grandi
budget erano inattaccabili. Oggi non più.
La globalizzazione determina una crescente sovracapacità produttiva, che
esalta le 'marche globali forti’ (con un alto indice di rotazione di vendite su
*
Pur essendo il presente lavoro frutto dell’impegno comune, S.M. Brondoni ha curato i §§ 1,
2, 3; F. Musso ha curato il § 4
**
Editor-in-Chief Symphonya. Emerging Issues in Management
***
Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese, Università degli Studi di UrbinoCarlo Bo
Edited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
ISSN: 1593-0300
Brondoni Silvio M.,Musso Fabio, Ouverture de ‘Canali di marketing e mercati globali’, Symphonya. Emerging Issues in Management
(www.unimib.it/symphonya), n. 1, 2010, pp. 7-12
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numerosi mercati, e con un alto rapporto competitivo qualità/prezzo. Come
accade per i grandi produttori di TV, Samsung, LG, Sony, Panasonic, ecc.) e
mette fuori mercato le 'marche globali deboli’ (con bassi indici di rotazione di
marca e di prodotto, e con rapporti qualità/prezzo distanti dai fenomeni competitivi del global mass market). Nei mercati globali, il patrimonio di marca
diviene così una primaria risorsa immateriale solo quando è finalizzata ad
accelerare le vendite in una gestione market-driven, per confrontarsi anche
con domande cedenti e con canali di marketing dinamici (come mostrano le
politiche aziendali delle grandi corporation, quali Coca-Cola, PepsiCo, GE,
Microsoft, Toyota, Ford, Hyundai, Ikea, ecc.).
Nelle realtà europee (spesso ancora chiuse in una logica di 'economia
del castello' di protezionismo e monopoli), le imprese di maggiori dimensioni, peraltro, tendono a sfuggire il mercato globale, l'eccesso di offerta e
la crisi dei consumi, preferendo investire in attività monopolistiche protette
(energia, tic, farmaceutico non innovativo, ecc.). Le medie e piccole imprese europee, presentano invece dinamiche differenti. Le piccole e medie imprese italiane, schiacciate tra il mercato globale e i protezionismi
locali, devono sostenere le performance vitali di concorrenza (quota di
mercato, redditività, attrattività) facendo ricorso alla sola forza dell'impresa, senza il sostegno di risorse immateriali di sistema paese e addirittura
'frenate' da infrastrutture arcaiche e dalle carenze di strutture ‘esterne’
all’azienda, come i moderni canali di marketing. Per contro, le piccole e
medie imprese di altre realtà nazionali (ad esempio Francia e Germania)
possono invece contare su Sistemi-Paese più efficaci e su retailer di
grandi dimensioni ed internazionalizzati che contribuiscono ad una commercializzazione su vasti mercati dei prodotti nazionali.
2. Sales Threshold, fidelizzazione di acquisto e Market-Driven
Management
I profondi cambiamenti delle abitudini di acquisto (di famiglie e single)
producono nuovi comportamenti di spesa, che evidenziano:
-
il drastico aumento della infedeltà di consumo, con punte di propensione al cambiamento degli acquisti fino al 60-70% delle marche di precedenti acquisti;
- l'esplosione della non-fedeltà di acquisto (e conseguente ricerca di
punti di vendita e prodotti più vantaggiosi);
- il rinvio di acquisti non essenziali;
- la sostituzione di prodotti 'no-care' (product switching);
- ed infine, riduzione delle quantità acquistate.
Infatti, quando nei mass-market il reddito disponibile diminuisce, i consumatori selezionano gli acquisti e i punti di vendita, si determina un drastico aumento della infedeltà di marca (brand switching) e della nonfedeltà di acquisto (favorita soprattutto dalle private label e dalle hard
promotion), molte fasce di clientela abbandonano i prodotti 'più ricchi'
(product switching) ed infine si riducono anche le quantità acquistate. La
crisi dei consumi spinge così le imprese ad adottare condotte competitive
dure, basate sul market-driven management, che privilegiano le politiche
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di competitive pricing e la fidelizzazione dei consumi (più flessibile e meno
costosa della fedeltà di acquisto).
L'eccesso di offerta ed i mercati globali impongono così nuove regole di
competizione che esaltano le offerte di produttori e distributori con forti
politiche 'market-driven', dove la marca è un 'sistema di responsabilità'
nelle relazioni produttore-trade-consumatore sviluppabili a livello globale
nei canali di marketing, con una logica di 'time-based competition' enfatizzata da flussi di comunicazioni digitali in ‘real time’, con continue verifiche
dei risultati acquisiti e rapidi aggiornamenti delle performance (marketspace management).
3. Instabilità dei consumi, eccesso di offerta e canali di Marketing
globali: ‘Piccolo è bello’, ma grande è meglio
Con la globalizzazione, l'eccesso di offerta è divenuto un fattore strutturale di sviluppo, imponendo alle imprese di confrontarsi con: consumi contraddistinti da tassi di crescita irregolari; domande instabili; e soprattutto
potenziali di consumo mutevoli.
I mercati globali e in eccesso di offerta stimolano le imprese ad adottare
politiche di gestione orientate al mercato (market-driven management) e
caratterizzate da: creazione di aggregati instabili di clientela (demand bubble); confronto continuo con i concorrenti; confini di competizione evanescenti; alta sostitutività tra i prodotti; ed infine performance condizionate
dalla rotazione oltre che dal margine. Di conseguenza, nei mercati in eccesso di offerta si affermano imprese di produzione e di distribuzione con
forti politiche 'market-driven', dove il marketing crea 'bolle' sempre nuove di
acquirenti, da sostenere con offerte molto volatili e con prodotti a forte identità.
D'altro canto, il primato del marketing, che ha segnato i mercati in equilibrio tra domanda ed offerta (fase che si è esaurita alla fine degli anni ottanta, quando è cessata la condizione di stabilità internazionale delle domande
finali e dei canali di marketing), è stato sostituito dal predominio della comunicazione e dei fattori immateriali di prodotto, per gestire situazioni di alta instabilità, con dominanza della concorrenza e dove le domande intermedie, il global trade e i canali di marketing rivestono un ruolo centrale.
In effetti, i mercati globali e in eccesso di offerta hanno modificato radicalmente i tradizionali caratteri dell’offerta industriale, costituiti da: strutture produttive e distributive 'lunghe', con rigide divisioni dei compiti; lavoratori presenti nei luoghi di produzione; massive produzioni di beni standardizzati; canali di vendita dominati dai produttori. La 'market-driven competition' enfatizza invece le economie di scala globali, connesse alla 'intensità di condivisione' di risorse-chiave in un sistema di networking, segnato da sofisticati
rapporti di collaborazione competitiva. Ecco perché le imprese che ancora
perseguono politiche basate sul 'piccolo è bello' incontrano crescenti difficoltà nelle economie globali. Le relazioni globali di concorrenza presuppongono
infatti imprese a network, con elevate capacità gestionali e organizzative, in
grado di dominare la comunicazione, la R&D di nuovi prodotti, il marketing, il
controllo e la finanza. Le piccole e medie imprese (e i distretti produttivi, con
ancora maggiore evidenza) riducono invece sempre più spesso il loro ruolo
a semplici strutture di produzione e di commercializzazione locale, prive di
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una 'global vision'; cioè 'organizzazioni chiuse', ad alta intensità di manodopera, individualiste e spinte all'imitazione passiva dei concorrenti più contigui
('production-driven management’).
Nei mercati aperti, tuttavia, la concorrenza globale impone nuove regole
(delocalizzazione delle produzioni; imitazione competitiva; gestione di
consumi instabili e domande non fedeli; global playing di distribuzione)
che hanno fortemente ridimensionato il modello di sviluppo economico
basato sulla piccola e media impresa isolata e priva di relazioni di global
networking.
4. Canali di Marketing e Market-Driven Supply Chains
Affrontare il tema dei canali di marketing in una fase in cui le dinamiche
della globalizzazione proseguono a modificare gli equilibri competitivi fra
imprese, ma anche fra nazioni, significa mettere a fuoco un aspetto di importanza critica. Mercati esposti a una concorrenza sempre più globale e
interconnessa, cambiamenti più frequenti e repentini nella caratteristiche e
nelle aspettative della domanda, ricerca di crescente efficienza in catene
del valore sempre più estese sul piano geografico, sono tutti aspetti che
rendono maggiormente complessa la gestione delle imprese non tanto, e
non solo, per ciò che compete loro in maniera diretta, ossia per le attività da
esse realizzate internamente, ma anche per quelle affidate a soggetti esterni che vanno a configurare un sistema di rapporti, a monte e a valle,
ormai indispensabile per riuscire a competere con successo.
Parlare di impresa, in effetti, significa oggi farlo guardando al sistema di
relazioni a cui essa appartiene e attraverso cui se ne determina l’efficacia
competitiva. Il confronto non può più essere considerato, infatti, fra singole imprese ma fra filiere e canali di marketing al cui interno, in una logica
di continuità e senza separazioni, si determinano processi di generazione
del valore fondati sulla dinamica dei flussi attivati, in funzione di obiettivi di
efficienza ma anche di capacità di risposta efficace alla varietà e variabilità della domanda.
Tale sistema di relazioni porta alla ricerca della competitività attraverso
l’efficienza dei processi aziendali e interaziendali, combinando scelte di internalizzazione/esternalizzazione delle attività con quelle di localizzazione,
e portando spesso a scomporre fisicamente la catena del valore ben oltre i
confini nazionali. La capacità delle imprese di stare sul mercato diventa, per
questo, capacità di competere dell’intero network a cui appartengono, lungo
il quale il coordinamento, la velocità dei processi, l’ottimizzazione dei meccanismi di interazione diventano cruciali per il successo dell’intero sistema.
Su tali aspetti, e in particolare sulla ricerca di efficienza e coordinamento
nei network di appartenenza, si è sviluppata in questi ultimi anni un’ampia
letteratura centrata sulla supply chain, in funzione della quale sono stati analizzati i rapporti a monte ma anche quelli a valle sostenuti dalle imprese,
arrivando a comprendere il tutto entro un concetto ampliato di supply chain.
In realtà, se è vero che le differenze nel linguaggio adottato finiscono
spesso per rappresentare differenti prospettive di osservazione (ciò che
riguarda i rapporti a monte viene indicato come supply chain, ciò che riguarda i rapporti a valle come canale di distribuzione), una prospettiva che
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guarda ai canali permette tuttavia di cogliere maggiormente i legami con il
mercato finale e la continuità che necessariamente deve realizzarsi anche
nei confronti di quest’ultimo.
Questo è particolarmente importante se si considerano alcuni aspetti.
Il primo si riferisce al fatto che le scelte aziendali di prodotto, di processo, di assetto organizzativo devono tenere conto del posizionamento nel
mercato dell’impresa e, in misura crescente, del confronto con i concorrenti, soprattutto in seguito alla condizione di eccesso di offerta che caratterizza numerosi mercati. Una visione ‘tecnica’ della supply chain va allora integrata con una visione di mercato che permetta di trovare soluzioni
in grado di esprimere capacità di rapporto con il mercato finale e con
quelli intermedi.
Un secondo aspetto da considerare riguarda gli attuali mercati che si
caratterizzano per dinamiche particolarmente accentuate nei caratteri, nei
bisogni e nelle aspettative della domanda. Questa, a sua volta, si esprime
in modo turbolento originando aggregati instabili (bolle di domanda) su cui
le imprese devono tarare continuamente la loro offerta e gli strumenti di
marketing atti a supportarla. Di fronte a tali condizioni, aumenta peraltro di
importanza la variabile temporale nelle scelte delle imprese (time-based
competition).
Un ulteriore elemento è dato dall’acuirsi della competizione internazionale e dalla possibilità per le imprese – grazie all’abbassamento dei costi
di trasporto e ai progressi nei sistemi di comunicazione e di scambio di
informazioni – di spostare oltre confine alcune attività della catena del valore sfruttando vantaggi comparati. Questo richiede però che le scelte relative alla supply chain vengano prese in chiave di mercato, creando in
alcuni casi dei bypass fra soggetti del network di approvvigionamento e
canali distributivi. Per esempio, verso mercati emergenti, come la Cina, il
rapporto con gli intermediari a livello distributivo può richiedere la fornitura
di prodotti o componenti approvvigionati in loco, ricostruendo delle supply
chain, quanto meno parziali, funzionali alla specifica scelta distributiva.
Tende così a cadere la centralità dell’impresa rispetto ai rapporti sviluppati (a monte e a valle) e la policentricità nei processi di internazionalizzazione a favore di network che si sviluppano non solo in funzione
dell’ottimizzazione delle attività e dei risparmi ottenibili (prospettiva tecnica), ma anche in funzione della massimizzazione del risultato di mercato,
a partire dall’analisi di ciò che il mercato sta chiedendo e allo stesso tempo sta offrendo (prospettiva market driven).
Un ultimo aspetto, e forse più importante, a favore di una prospettiva di
canale per comprendere le dinamiche dei rapporti verticali fra imprese, è
relativo al fatto che in tale prospettiva entra anche il rapporto con
l’acquirente finale, ossia il consumatore. La differenza sta nel fatto che fino
a quando si analizzano (e si gestiscono) relazioni di supply chain si fa riferimento a rapporti fra imprese le cui logiche tendono ad assimilarsi. Nel caso dei consumatori, invece, i fattori di influenza sulle scelte, il grado di razionalità, i processi decisionali, i valori attribuiti ai prodotti e alle condizioni
di approvvigionamento cambiano in alcuni casi radicalmente. Nei modelli
interpretativi, dunque, prima ancora che in quelli strategici e operativi, occorre cercare la continuità anche laddove vi è una discontinuità nei caratteri
e nei comportamenti dei soggetti coinvolti.
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La prospettiva di canale, nel momento in cui considera le scelte delle
imprese in funzione non solo tecnica ma anche di mercato, e nel momento in cui cerca di cogliere il collegamento e la continuità anche rispetto
all’ultimo anello della catena, cioè il consumatore finale, permette di tenere conto dell’indubbia maggiore complessità che caratterizza i network
che non sono solo fra imprese. La tradizionale distinzione fra relazioni business-to-business (B2B) e business-to-consumer (B2C) rischia allora di
offrire una visiona solo parziale di una realtà che, è utile ricordarlo, si
muove in funzione di un mercato finale di riferimento composto da individui/consumatori.
Una riflessione sui canali di marketing quale entità economica e relazionale richiede quindi di essere affrontata secondo una visione d’insieme. Nel
fare questo occorre proporre innanzi tutto una riflessione di carattere generale su alcune tematiche chiave riguardanti i canali di marketing, focalizzando poi l’attenzione su alcuni aspetti di particolare rilievo, quali
l’innovazione, l’impatto della tecnologia nel processo di acquisto del consumatore finale e sulle sue stesse abitudini di acquisto, l’estensione
dell’offerta degli intermediari commerciali verso servizi non core, quali quelli
finanziari.
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