Capitalismo e sviluppo sostenibile

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© SYMPHONYA Emerging Issues in Management, n. 2, 2009
www.unimib.it/symphonya
Capitalismo e sviluppo sostenibile∗
Jean-Jacques Lambin∗∗
Abstract
La crisi economica e finanziaria globale ha logorato la fiducia dell’opinione pubblica sulla capacità del
sistema capitalistico di autoregolarsi per evitare situazioni catastrofiche. Oggi, il problema è conoscere se il
sistema capitalistico sarà capace di evolvere verso modelli di business compatibili con l’obiettivo dello sviluppo sostenibile.
Per l’impresa, la sfida è considerevole: come conciliare l’imperativo della redditività con la necessità di
ridurre lo spreco, l’inquinamento e le emissioni di carbonio? I modelli di economia circolare e della funzione d’uso, complementari e con soluzioni promettenti per lo sviluppo di un capitalismo eco-responsabile,
sono nuovi modelli di business che possono contribuire a modificare il sistema capitalistico ed a rendere
effettivo l’obiettivo di sviluppo sostenibile.
Keywords Capitalismo; Crisi economica globale; Sviluppo sostenibile; Nuovo modello di business; Economia della funzione d’uso
1. La crisi economica globale
L’attuale crisi economica e finanziaria ha generato numerosi commenti
da parte di vari studiosi, che annunciavano la fine del sistema capitalistico
ed un drastico cambiamento nell’organizzazione economica mondiale.
La crisi ha logorato la fiducia dell’opinione pubblica sulla capacità del sistema capitalistico di autoregolarsi per evitare situazioni catastrofiche.
Pertanto, il problema è conoscere se il sistema capitalistico sarà capace
di evolvere verso modelli di business compatibili con l’obiettivo dello sviluppo sostenibile; una preoccupazione centrale per l’economia mondiale
che si rafforza con la preoccupazione per i cambiamenti climatici.
Per l’impresa, la sfida è considerevole: come conciliare l’imperativo della
redditività con la necessità di ridurre lo spreco, l’inquinamento e le emissioni di carbonio? I nuovi modelli di business possono contribuire a modificare il sistema capitalistico ed a rendere effettivo l’obiettivo di sviluppo
sostenibile, separando crescita economica e degrado ambientale.
2. Alla ricerca di un nuovo modello di business
Oggi il 20% della popolazione mondiale, nei paesi industrializzati, consuma l’80% delle risorse globali. Il tradizionale modello di business segue
un processo lineare: estrazione di materie prime, produzione, distribuzione, consumo ed accumulo di rifiuti; ciò può essere definito come un processo dalla ‘culla alla tomba’.
Questo modello industriale non è realizzabile su scala globale. Del resto,
per il mondo intero, vivere come un americano oppure un europeo richiederebbe altri due pianeti terra per soddisfare tutti o, addirittura tre pianeti
terra se la popolazione fosse doppia e fino a dodici pianeti terra se gli
1
standard di vita del pianeta raddoppiassero nei prossimi 40 anni .
∗
Invited Article
∗∗
Professore Emerito Università degli Studi di Milano-Bicocca, Professore Emerito Université Catholique de Louvain, Belgio
Edited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
ISSN: 1593-0300
Lambin Jean-Jacques, Capitalismo e sviluppo sostenibile, Symphonya. Emerging Issues in Management (www unimib.it/symphonya),
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(English Version: http://dx.doi.org/10.4468/2009.2.02lambin)
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2
Il modello di risultato economico sviluppato da Stahel distingue tre tipi
di economia:
- l’economia industriale, cosiddetta River Economy, caratterizzata da
un elevato consumo annuale di risorse ed una rapida sostituzione
dei beni, che tuttavia costituisce un modello insostenibile nel lungo
periodo (un approccio ‘dalla culla alla tomba’);
- l’economia della Funzione d’Uso, focalizzata sulla gestione delle risorse e sulle capacità di utilizzo e di uso dei beni piuttosto che sulla
proprietà di beni, creando, così, nuove attività locali, cioè insourcing jobs (un approccio ‘dalla culla alla culla’);
- l’economia circolare, che inizia al termine del periodo di utilizzo di
un bene, quando i prodotti usati diventano rifiuti del consumo (un
approccio ‘dalla tomba alla culla’).
I modelli di economia circolare e della Funzione d’Uso sono complementari e propongono soluzioni promettenti per lo sviluppo di un capitalismo ecoresponsabile. Questi due nuovi modelli di business possono contribuire a
modificare il sistema capitalistico ed a rendere effettivo l’obiettivo di sviluppo
sostenibile separando crescita economica e degrado ambientale.
3. L’economia della Funzione d’Uso
Un’economia di Funzione d’Uso è possibile quando l’impresa vende una
prestazione, un risultato e non un semplice prodotto. La vendita di un servizio, cioè la funzione di un prodotto oppure la soluzione offerta, sostituisce la vendita di un bene. Il concetto di soluzione si fonda sul principio che
i consumatori cerchino la soluzione di un problema e non il prodotto in sé.
Il prodotto è quindi semplicemente un mezzo per ottenere il risultato desiderato?
□ Carrier, il più grande produttore mondiale di impianti di
condizionamento d’aria, ritiene che i consumatori non vogliano un impianto in sé ma solo ciò che esso è in grado di realizzare. Carrier sta offrendo ‘servizi di condizionamento’ e contratti per mantenere la casa o l’appartamento del cliente ad
una determinata temperatura nelle stagioni calde, durante determinate ore e a costi stabiliti, traendo vantaggio dai benefici
offerti da apparecchiature molto efficienti ed affidabili.
□ Analogamente, Schindler, principale produttore svizzero di
ascensori, realizza il 70% della propria produzione offrendo
‘servizi di trasporto verticale’ piuttosto che vendendo ascensori. Gli ascensori Schindler sono più efficienti e affidabili rispetto a quelli dei concorrenti perciò, offrendo i servizi dei suoi ascensori, la società può incrementare i propri margini. Dunque, tale offerta fornisce il servizio, non l’impianto.
Questa visione può essere estesa all’intera economia?
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In un’economia di Funzione d’Uso, i consumatori acquistano servizi di
‘mobilità individuale’, piuttosto che un’automobile; una temperatura mite,
piuttosto che un impianto di condizionamento d’aria; la manutenzione del
giardino, piuttosto che una serie di attrezzi da giardinaggio, ecc. Le vendite
di Funzione d’Uso prendono, quindi, la forma di contratti di leasing a breve o
a lungo termine o di condivisione dei beni. Dal punto di vista del produttore,
l’obiettivo economico è quello di creare il valore di utilizzo più elevato possibile, più a lungo possibile, consumando le minori risorse possibili. Invece di
vendere prodotti con un breve ciclo di vita per stimolare una domanda di sostituzione, il produttore è indotto (da una mano invisibile) ad ottimizzare
l’utilizzo a lungo termine di beni che gli utilizzatori non sentono la necessità
di possedere. I prodotti, di cui l’imprenditore conserva la proprietà, divengono una forma di capitale che genera ricavi sostenibili. Il principale interesse
del produttore è la progettazione di beni affidabili che facilitano la rigenerazione, la riparazione e il riciclaggio evitando l’esternalizzazione dei costi, dei
rischi e degli sprechi.
Il modello di una economia di risultato è stato promosso in Francia da
3
Nicolas Hulot (2007) , nel suo libro sul Patto Ecologico. Numerose imprese hanno già adottato questa strategia (Rank Xerox, Michelin, Electrolux,
Dupont, Dow Chemicals, ecc.); tuttavia si tratta di un’opzione difficile, dato
che molte imprese industriali debbono reinventare il proprio mestiere.
4. Benefici dell’economia della Funzione d’Uso
Questo sistema economico produce l’effetto virtuoso di ridurre la produzione industriale e i rifiuti derivanti dal consumo, assicurando al contempo
relazioni durature con la clientela. Le imprese non devono più incrementare le proprie produzioni e le proprie vendite per aumentare i ricavi. La redditività di un prodotto dipende dalla sua durata: più a lungo viene utilizzato,
più viene ammortizzato. Quando un prodotto termina la propria vita utile
presso un cliente, il produttore è motivato a riciclare o a riparare il maggior
numero dei componenti per reintrodurli nella propria produzione, senza
esternalizzare nell’ambiente i costi e i rifiuti. Una strategia di estensione
della durata del servizio di beni durevoli – come infrastrutture, costruzioni,
imbarcazioni, velivoli, impianti ed automobili – è equivalente alla sostituzione di manodopera per produrre energia e materiali. Questa strategia
crea posti di lavoro locali, riducendo, allo stesso tempo, le risorse impiega4
te nel sistema economico .
La relazione ‘offerta di soluzioni’ piuttosto che offerta di prodotti, rappresenta un grande cambiamento per un produttore che deve adattare la
propria cultura e la propria organizzazione, in quanto questa relazione richiede una focalizzazione sui problemi dei clienti piuttosto che sulla offerta
di prodotti. Prima di adottare l’approccio ‘per soluzione’, le imprese devono
avere chiaro cosa sia una soluzione e come essa si differenzi dai prodotti
o dalle offerte congiunte di prodotti e servizi. In generale, una soluzione è
una combinazione di prodotti e servizi che crea un valore maggiore della
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somma delle singole componenti. Molte imprese non riescono ad avere
successo nella fornitura di soluzioni per una delle tre ragioni seguenti:
1. alcune imprese credono di offrire soluzioni semplicemente offrendo
in forma congiunta prodotti e/o servizi che creano un modesto valore
se offerti insieme e, per questo, riscontrano difficoltà nell’affermare
un premium price;
2. altre imprese sottovalutano la difficoltà di vendere soluzioni che presentano maggiori costi di sviluppo, impongono cicli di vendita più lunghi e richiedono una approfondita comprensione dei problemi dei
clienti;
3. infine, molte imprese vendono soluzioni (servizi intangibili) allo stesso
modo in cui vendono prodotti, cioè adottando una strategia di vendita
basata sulla tradizionale transazione, anziché sulla relazione.
In effetti, una soluzione non è una semplice congiunzione di componenti
collegate. Piuttosto, è il livello di personalizzazione e di integrazione che
pone le soluzioni al di sopra dei prodotti o dei servizi o di offerte congiunte
di prodotti e servizi e che giustifica un premium price. Una soluzione è valida e differenziata se si focalizza sui risultati mediante l’applicazione di
specifici livelli di competenza e metodi propri che consentono di affermare
un premium price.
5. Ostacoli all’economia della Funzione d’Uso
Vi sono però numerosi ostacoli allo sviluppo dell’economia della Funzione d’Uso.
Primo, nel settore dei beni di consumo, l’economia della Funzione d’Uso implica un cambiamento nel comportamento del consumatore che deve accettare di sostituire il possesso di un prodotto con il suo utilizzo; rinuncia difficile
laddove il valore emozionale del bene sia essenziale per il consumatore.
I bisogni di proprietà, moda, innovazione e differenziazione (consumi ostentativi) sono fenomeni sociali osservabili in tutte le economie di mercato. Ad ogni modo, il modello della economia della Funzione d’Uso è limitato a prodotti per i quali abbia senso separare possesso ed utilizzo; sono
così esclusi prodotti e servizi il cui consumo ne implichi la distruzione. Così, il modello dell’economia della Funzione d’Uso ha un ambito di applicazione più limitato nei mercati B2C dove i beni sono ‘giochi’ creati per divertimento, non per guadagnare, rispetto ai mercati B2B dove i beni di consumo e di investimento sono ‘strumenti’ utilizzati dagli attori economici per
5
ottenere guadagni .
Secondo, l’economia della Funzione d’Uso, in quanto concentrata sulla
durata dei prodotti, non promuove l’innovazione tecnologica che, tuttavia, è
un fattore-chiave dello sviluppo economico. Inoltre, il modello dell’economia
della Funzione d’Uso è di difficile implementazione nei settori a rapida innovazione tecnologica. Perciò, nella comunicazione esterna l’impresa non può
utilizzare argomenti quali novità e cambiamento, ma dovrebbe piuttosto
promuovere il servizio, la personalizzazione della qualità ed il valore ecologico. Pertanto, l’educazione della clientela ai concetti dello sviluppo sostenibile
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è propedeutica per sostenere e promuovere il modello dell’economia della
Funzione d’Uso.
Un’ultima difficoltà, difficile da misurare, è la complessità della relazione
contrattuale generata dagli accordi di relazione d’uso tra l’impresa ed i suoi
clienti; nello specifico si tratta della affidabilità del titolare del contratto di utilizzo, e in particolare degli eventuali comportamenti opportunistici dei clienti,
che potrebbero gestire non correttamente i beni concessi in uso, o potrebbero sprecare l’energia pattuita (ad esempio, lasciando aperte le finestre).
In termini generali, ci si potrebbe aspettare che siano le grandi imprese
ad essere più attratte da questo modello economico piuttosto che le piccole imprese. Nei mercati globali, le piccole imprese preferiscono modelli di
business basati su di un’economia industriale che limita le responsabilità
nel tempo e nello spazio secondo l’approccio ‘lontano dagli occhi, lontano
dal cuore’. Un piccolo produttore in Cina può vendere beni in qualsiasi
parte del mondo, ma è difficile immaginare che possa ottenere gli stessi
risultati di vendita con clienti locali in Europa o negli Stati Uniti, senza partner locali e garanzie di soggetti terzi.
6. L’economia circolare
In un’economia tradizionale, il ciclo di vita di un prodotto è lineare ‘dalla
culla alla tomba’. Diversamente, in un’economia circolare, questo ciclo di
vita lineare del prodotto è sostituito dal ciclo ‘dalla culla alla nuova culla’,
adottando strategie di riutilizzo, di rigenerazione, di aggiornamento tecnologico e riciclando i prodotti usati ed i rifiuti di un processo produttivo da
parte di altre produzioni o di altre industrie. Riparazione, riutilizzo, aggiornamento, riproduzione, riciclaggio e smaltimento sono i sei principi principali del ciclo chiuso per mantenere in movimento la dote di buoni materiali
e di un lavoro positivo, da un utilizzatore ad un altro e da un utilizzo ad un
altro. Più breve è, più il ciclo si presenta redditizio. Non riparare ciò che
non è rotto, non riprodurre qualcosa che può essere riparato, non riciclare
un prodotto che potrebbe essere riprodotto, non incenerire o gettare in di6
scarica un bene che può essere smaltito .
□ Caterpillar, società USA di macchine movimento terra, iniziò a ritirare motori diesel per la rigenerazione e scelse di rivenderli ad un prezzo ampiamente scontato. Quando
Caterpillar modificò la propria strategia di ritiro dei motori usati
ad un prezzo che dipendeva dalle loro condizioni e dalla loro
completezza, la qualità dei motori usati crebbe in modo significativo. Ora i motori rigenerati sono venduti alla stessa ga7
ranzia ed allo stesso prezzo dei motori nuovi .
La riparazione riesce meglio se i prodotti sono stati concepiti in questa
prospettiva. Ovviamente, è molto più facile smontare un prodotto per la
rigenerazione o per il riutilizzo dei suoi componenti, se lo si è concepito a
questo scopo. Per rinnovare un edificio o per rigenerare un treno è necesEdited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
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saria quasi altrettanta manodopera che per costruirne uno nuovo, pur avendo conservato l’80% dell’investimento originale in materiali ed energia.
Che cosa accade se si esauriscono le possibilità di riparazione, riutilizzo
e rigenerazione di un prodotto? In tal caso il prodotto può essere riciclato
per essere ricostruito in un nuovo prodotto simile. Come soluzione estrema, il prodotto può essere smaltito: macinato, fuso o disciolto, in modo
che i materiali che lo costituiscono possano essere riadattati per scopi di
livello più basso, ad esempio come materiale riempitivo.
□ Quando i principi del ciclo chiuso vengono applicati ad
ogni cosa, dal confezionamento ai tre miliardi di tonnellate di
materiale da costruzione usati ogni anno, è in gioco una consistente quantità di materiale recuperabile –e ciascuna tonnellata non estratta, trattata o spostata rappresenta un minor
8
danno al capitale naturale (Hawken et al., 1999, p. 80) .
Molto spesso, solo una frazione limitata di materie prime o di energia
9
utilizzata è integrata nel prodotto finito. È stato stimato (Ayres, 1989) che
nell’economia USA, solo il 6% dei consistenti flussi di materiali confluisca
effettivamente nei prodotti.
La parte residua viene perduta oppure trasformata in un sotto-prodotto o
in rifiuto. Questi sotto-prodotti, tuttavia, possono assumere valore per un'altra impresa oppure per un altro gruppo di consumatori. Un’osservazione
comune afferma che i costi di riproduzione o di riutilizzo di componenti ad
elevato valore aggiunto sono superiori rispetto a quanto si possa risparmiare
dalle minori materie prime consumate.
Il governo cinese è molto attivo nella implementazione di questo concetto di economia circolare, in quanto promuove la creazione di eco-parchi
industriali che raggruppano imprese coinvolte in un sistema di scambio,
basato sul riciclaggio e sul riutilizzo di rifiuti, laddove i rifiuti di un’industria
sono utilizzati come materie prime da un’altra.
Il concetto di economia circolare può essere adottato da qualsiasi impresa eco-sensibile, ma ciò implica una forma di coordinamento intersettoriale ed una sostanziale riorganizzazione dei processi di produzione. Un
esempio emblematico di questa strategia è dato da Rank Xerox e dalla
sua strategia di successo, interamente focalizzata sulla riproduzione e sul
riutilizzo dei propri prodotti usati.
In UE, l’industria del riciclaggio, nel 2008, ha raggiunto un fatturato di 24
milioni di euro ed ha impiegato circa 500.000 persone. Questo settore è
composto da oltre 60.000 imprese. Inoltre, la produzione dei rifiuti, in UE,
è stimata in più di 1,3 miliardi di tonnellate all’anno e cresce in modo
proporzionale alla crescita economica. Per esempio, sia il PIL che i rifiuti
urbani sono aumentati del 19% tra il 1995 e il 2003. Una conseguenza di
questa crescita, malgrado l’ampio incremento del riciclaggio, è che i rifiuti
destinati alle discariche – la modalità più problematica per lo smaltimento
dei rifiuti – si stanno riducendo solo lentamente. Discariche ed inceneritori
hanno oggi elevati standard di rendimento. L’industria cerca così di trarre
profitto dai rifiuti piuttosto che disfarsene.
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Il modello di economia circolare può essere adottato da qualsiasi impresa anche se implica dei profondi cambiamenti nell’organizzazione dei sistemi di produzione. Tali cambiamenti debbono essere introdotti da
manager eco-sensibili e sostenuti dalle autorità pubbliche.
Note
1
Rocky Mountain Institute (RMI), 1998.
2
Stahel W.R., The Performance Economy, Palgrave Macmillan, London, 2006.
3
Hulot Nicolas, Pour un pacte écologique, Calman-Lévy, Paris, 2007.
4
Stahel, cit., p. 62.
5
Stahel, cit., p. 177.
6
Stahel, cit., p. 71.
7
Esempio citato da Stahel, cit., p. 72.
8
Hawken P., Lovins A. e Lovins L.H., Natural Capitalism – Creating the next Industrial
revolution, Little, Brown and Company, New York, 1999.
9
Ayres R.U., Technology and Environment, National Academy of Sciences, Washington
D.C., 1989. Citato da Hawken et al., cit., 1999, p. 14.
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