Sclerosi multipla la risposta a natalizumab tende a

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SCLEROSI MULTIPLA LA RISPOSTA A
NATALIZUMAB TENDE A DECRESCERE DOPO I
50 ANNI
07 giugno 2014
Nei pazienti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente (RRMS) il trattamento con
natalizumab è approvato - sulla base di uno studio pivotale di fase III - per pazienti di età compresa
tra 18 e 50 anni mentre non sono stati eseguiti trial in soggetti più anziani. Ora una ricerca svedese,
pubblicata online sul Multiple Sclerosis Journal, dimostra che l’infiammazione è maggiormente
pronunciata nei pazienti più giovani e pertanto gli effetti benefici delle potenti molecole
antinfiammatorie si riduce con l’avanzare dell’età: in particolare la risposta al trattamento è
significativamente inferiore nei soggetti sopra i 50 anni di età rispetto a quelli al di sotto della stessa
età.
«Recentemente» spiega un gruppo di ricercatori guidati da Henrik Matell, dell’Ospedale
Universitario Karolinska di Stoccolma (Svezia) «sono state eseguite due sottoanalisi di studi
combinati di popolazione, l’AFFIRM (Natalizumab Safety and Efficacy in Relapsing-Remitting
Multiple Sclerosis) basato sul natalizumab o placebo in monoterapia, e il SENTINEL (Safety and
Efficacy of Natalizumab in Combination with Interferon Beta-1a in Patients with RelapsingRemitting Multiple Sclerosis) che hanno dimostrato come i pazienti più giovani, per esempio <40
anni di età, beneficiassero della terapia in modo maggiore dei soggetti più anziani».
«Attualmente» ribadiscono gli scienziati «c’è una mancanza di informazioni nei dati post-marketing
sulla risposta al trattamento in pazienti trattati al di fuori degli stretti criteri di inclusione ed
esclusione applicati nei trial clinici randomizzati controllati (RCT). Scopo del nostro studio è stato
pertanto quello di analizzare i dati del registro svedese e verificare gli outcome dei pazienti di età
superiore o inferiore ai 50 anni, ossia il limite superiore di inclusione del trial
«Abbiamo analizzato gli effetti età-dipendenti delle misure di outcome correlate al trattamento in
1.872 pazienti, dei quali 189 erano di età pari o superiore a 50 anni, inclusi nel programma svedese
di sorveglianza post-marketing su natalizumab» spiegano gli autori. «I dati, relativi a pazienti
provenienti da registri di 3 centri specializzati nella cura della sclerosi multipla, sono stati validati».
Che cosa è emerso? «In condizioni basali i pazienti più anziani mostravano un maggiore durata di
malattia, un più elevato punteggio EDSS (Expanded Disability Status Scale) e uno score minore al
SDMT (Symbol Digit Modality Test) rispetto ai pazienti più giovani» spiegano Matell e
collaboratori. «L’influsso esercitato da natalizumab sulle misure di outcome è apparso
significativamente ridotto e il 18,7% dei pazienti >50 anni ha sospeso il trattamento per mancanza
di efficacia rispetto al 7,7% rilevato nel gruppo più giovane».
«Nella pratica clinica è un problema frequente quello di dover trattare pazienti che non soddisfano
pienamente i criteri stringenti degli RCT, lasciando al medico la responsabilità di fare decisioni
sulla base del proprio giudizio personale» sottolineano gli autori. «In particolare, questo è un
problema specifico dei pazienti più anziani o con patologia in stato avanzato».
Nello studio presente è stato riferito l’outcome di un’ampia coorte di pazienti seguita per un periodo
di oltre 5 anni. Da sottolineare che i punteggi SDMT nei pazienti più giovani sono risultati
significativamente superiori rispetto al gruppo dei più anziani, mentre i punteggi EDSS hanno
evidenziato lo stesso pattern.
«Una misura di outcome clinicamente rilevante è stata la seguente: più del doppio dei pazienti del
gruppo =/>50 anni ha sospeso il trattamento per mancanza di efficacia. Ciò» ipotizzano Matell e
colleghi «può essere dovuto a una maggiore quota di soggetti in transizione da una fase di malattia
recidivante-remittente a una secondariamente progressiva».
«La scelta del trattamento con natalizumab» precisano «è stata fatta in ogni caso per la
sovrapposizione di recidive o segni di attività neuroradiologica di malattia. In tal caso natalizumab
potrebbe solo avere aiutato a “scoprire” un decorso progressivo, suggerendo un limitato effetto del
farmaco sulla malattia puramente progressiva».
Tuttavia, al fine di avere evidenze cliniche più robuste si dovranno aspettare i risultati dello studio
ASCEND (Clinical Study of the Efficacy of Natalizumab on Reducing Disability Progression in
Subjects with SPMS), un trial randomizzato contro placebo volto a valutare l’utilizzo di
natalizumab in pazienti con SM secondariamente progressiva.
«I risultati del nostro studio» concludono Matell e collaboratori «sono importanti perché riflettono
l’outcome del trattamento in pazienti non considerati negli RCT e offrono informazioni utili per la
valutazione del rapporto rischio/beneficio e la scelta della terapia. Inoltre possono servire come
motivazione per implementare simili programmi di sorveglianza post-marketing per futuri farmaci
per la sclerosi multipla allo scopo di fornire dati per analisi aggiornate sul loro rapporto
rischio/beneficio».
Arturo Zenorini
Matell H, Lycke J, Svenningsson A, et al. Age-dependent effects on the treatment response of
natalizumab in MS patients. Mult Scler, 2014 May 27. [Epub ahead of print]
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