Numero Luglio/Agosto '06 EDITORIALE Benvenuti a tutti e ben ritrovati all’appuntamento mensile con il nostro inserto dedicato a tutto quanto è “emergente, autoprodotto, esordiente, sotterraneo, di culto” nel panorama musicale italiano. Esattamente come il Mucchio cartaceo, anche Fuori dal Mucchio esce in edizione doppia, per coprire in una volta sola i mesi di luglio e agosto e concedere anche a noi un po’ di – speriamo – meritato riposo. Per questo motivo, abbiamo deciso di proporvi un sommario particolarmente ricco di interviste, per farvi compagnia in queste assolate giornate estive. Davvero ampio il ventaglio delle proposte, dai Meganoidi all’avanguardia di Paolo Di Cioccio, dai Numero6 (freschi dei numerosi passaggi su MTV) agli Studiodavoli, dai The Fire (il nuovo progetto di Olly degli Shandon) al combat-folk della Casa del Vento, senza dimenticare Mosquitos, Lulù Elettrica e Les Fauves. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti, e altrettanto variegato è il “piatto” delle recensioni, con il meglio di quanto uscito in CD (o, nel caso delle Pornoriviste, in DVD) nelle ultime settimane. Infine, a completare il tutto, un breve ma significativo scorcio “Sul palco”. Tanta, quindi, la carne al fuoco, speriamo di vostro gradimento. Non ci resta quindi che augurarvi buona lettura, buoni ascolti e, naturalmente, buone ferie, dandovi appuntamento a settembre. Aurelio Pasini Pagina 1 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Airportman Off Lizard/Audioglobe Dopo una serie di album autoprodotti, i cuneesi Airportman approdano alla veneta Lizard. Come ci auspicavamo nella recensione del precedente “Son(g)”, lo scorso dicembre, qualcuno ha deciso di investire delle energie in questo quartetto atipico e un po’ riluttante nell’esporsi. Musica per pochi, ma non nell’accezione più elitaria, no: questi sono brani che richiedono un certo impegno nell’ascolto ma che sanno parlare con molta gentilezza all’orecchio di chi ascolta. Ancora una volta a farla da padrone sono gli strumenti, lasciati a gestire le emozioni in completa solitudine, all’insegna di una musica piuttosto libera e rarefatta ma mai sfilacciata. L’impatto è minimale e spoglio fino all’osso, e la chitarra viene spesso pizzicata al limite del silenzio, come in “Off 7”, dove duetta con un glockenspiel e sullo sfondo incontra il rumore dell’acqua che scorre e un telefono che non risponde. Se il primo brano lambisce suggestioni quasi canterburiane (il sax dell’ospite Stefano Giaccone che si fa strada tra malinconici fraseggi di organo, ritornando in seguito nella quasi cameristica “Off 6”), “Off 5” parla inequivocabilmente il linguaggio di una psichedelia desertica che scivola tra percussioni accennate e una chitarra languida e “twanging”, come persa tra le rifrazioni di un miraggio, e “Off 9” è pura magia acustica alla John Martyn. Le suggestioni vanno a colpire ad ampio raggio, la personalità dei musicisti emerge solida, ma senza troppo spingere: la conferma che la strada intrapresa è quella giusta (www.lizardrecords.it). Alessandro Besselva Averame Alio Die The Box Small Voices Annoverato tra i più stimati interpreti di certo minimalismo elettronico a sfondo esoterico, da oltre quindici anni Alio Die – al secolo Stefano Musso – sperimenta percorsi sensoriali d’incredibile fascino, riscuotendo stima e consenso anche a livello internazionale, come dimostrano le frequenti collaborazioni con artisti del calibro di Robert Rich, Vidna Obmana e Mathias Grassow. Grazie all’interessamento della Small Voices, esce oggi anche in vinile l’album del 1992 “Under An Holy Ritual”, allora pubblicato in proprio sotto le insegne della Hic Sunt Leones e successivamente ristampato dalla Projekt, sempre in formato digitale. Considerato non a torto un caposaldo dell’ambient rituale, il disco conserva ancora oggi tutto il fascino del suo oscuro ipnotismo. In contemporanea l’etichetta di Andria Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 licenzia anche il 10" “Aurea hora” con due tracce inedite composte dall’artista milanese nel 2005 e caratterizzate da loop che si fondono a campionamenti di voci e rumori. E al di là dei contenuti sonori – certamente riservati ad un pubblico avvezzo alla musica di confine – colpisce anche l’aspetto inconografico di questi due lavori, ennesima riprova di come il progetto di Musso si esprima in un percorso a tutto tondo, che pure abbraccia arte visiva e stimoli intellettuali. Entrambi i vinili sono in tiratura limitata e possono essere acquistati in coppia nello splendido “Box” in plexiglass serigrafato, realizzato in soli cento esemplari e destinato esclusivamente al mail order (www.smallvoices.it). Fabio Massimo Arati Ambea4 Ameba4 Sugar/Warner Mi sento di affermare che la Sugar sia forse l’unica etichetta italiana supportata da una major (da poco è passata dalla Universal al gruppo Warner) ad avere intrapreso un percorso reale di adozione e crescita all’interno della scena rock italiana. Poche scelte, mirate e convinte, con l’obiettivo di investire nel medio e lungo termine, con la consapevolezza che sono finiti i tempi dove si poteva raccogliere denaro a catinelle. Dopo i Negramaro è la volta degli Ameba4, che mostrano un approccio meno fisico dei loro colleghi di label e privilegiano passaggi soffici, con tocchi di velluto e melodia, sulla scia piuttosto dei Deasonika. È questo il vero riferimento per il quartetto, che ha nel cantante e chitarrista Fabio Properzi l’asse portante, sempre presente nella stesura delle tredici tracce che alimentano questo ottimo esordio interessante anche per quanto riguarda i testi. Il noto Corrado Rustici si conferma produttore di talento, lasciando intatto il telaio strutturale e lavorando solo di cesello. Ascoltiamo così un rock sinuoso, ora velluto e seta, ora post-wave, con la voce che sale e scende tra i sentieri di note che si impennano ma che – volutamente – ruggiscono raramente. Ci sono alcuni brani che sanno solo di riempitivo, altri che meritano la lode (penso al singolo “Rido…forse mi sbaglio”, a “Via da noi”, soprattutto alla malinconia armoniosa di “Non vivo più”), ma a conti fatti è un CD bello e pulsante, che rievoca atmosfere anche di due grandi e dimenticate band italiane, Scisma e C.O.D.. Ambea4, interessanti davvero (www.ameba4.com)! Gianni Della Cioppa Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Ammuina Tutto lo splendore di un respiro Tomato-CNI/Venus Dici Ammuina e pensi al caos, al disordine e alla confusione. A patto che si provenga da Napoli e dintorni e si conosca il significato della parola, tipicamente dialettale. Se così fosse, potreste rimanere delusi scoprendo che nell’album di debutto del gruppo partenopeo non c’è alcuna traccia di tutto ciò. Al contrario, le dieci tracce (più immancabile intro) che compongono “Tutto lo splendore di un respiro” vivono di atmosfere eteree e rarefatte che, attraverso il gioco di intrecci tra arpeggi di chitarra e contrappunti al pianoforte, costruiscono una cattedrale sonora all’interno della quale la voce di Alberto Ferrante si muove in bilico tra enfasi declamatoria, sussurro confidenziale e falsetto solenne. In pratica, un ossimoro perfetto. Quello che gli Ammuina chiamano “pop gentile” altro non è che una miscela in grado di attingere tanto alla tradizione italiana quanto a quei modelli stranieri che hanno nelle strutture circolari del post-rock dei Mogwai e nelle dinamiche nervose dei Radiohead di “The Bends” il loro punto di riferimento. A tratti, infatti, avanzando tra i solchi del disco è forte la sensazione di déjà-vu ma è altrettanto nitida, in filigrana, l’immagine di un gruppo dal carisma notevole e dalla spiccata personalità, dotato di una forza poetica tutt’altro che banale. Evitando di calcare troppo la mano su quegli elementi che, sulla lunga durata di un album, possono renderne stucchevole e ridondante l’ascolto, gli Ammuina potrebbero regalarci (e regalarsi) numerose soddisfazioni, affermandosi come una piacevole sorpresa nel panorama musicale italiano. Il biglietto da visita, in fondo, parla chiaro ( www.ammuina.com). Enzo Zappia La C.o.ska Chettelodicoafare Bizeta/La Baraonda Dopo l’esordio, un paio d’anni fa, con “Gambero Killer” ritorna a far parlare di se La C.o.ska con questo “Chettelodicoafare”. Continuando una tradizione tutta nostrana che vede i gruppi che si cimentano con la musica in levare (ab)usare del suffisso “ska”, il combo ferrarese – nome esteso Compagnia Orchestrina Ska – non tradisce le aspettative regalandoci una dozzina di episodi freschi ed allegri che non possono trovare collocazione migliore se non in una torrida estate. Ad aprire – è proprio il caso di dirlo – le danze ci pensa una rivisitazione del tema che Nino Rota scrisse per “Il padrino”, per poi passare attraverso influenze rockeggianti (“Diatribe”) e le reminiscenze latine di “Svenditi l’anima” ma rimanendo comunque ben saldi allo ska Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 più o meno tradizionale. A far da apripista, con tanto di video incluso nel CD, ci pensa poi la cover (abbastanza prevedibile e rispettosa dell’originale) di “Donatella” della Rettore: un brano che già nella sua veste originale poteva definirsi pop-ska e che qui acquista grinta e velocità. Quaranta minuti che scorrono via veloci, caratterizzati da una buona capacità musicale – e in questo caso si sentono le variegate esperienze dei componenti – e da un’ottima capacità d’arrangiamento; peccato solo per dei testi un po’ troppo innocui e per una voce non esaltante. Niente, statene certi, che però possa intaccare il (molto) potenziale di “fun fun fun” e di ballabilità presente in “Chettelodicoafare”: un compito svolto alla grande ( www.coska.net). Giorgio Sala Crifiu Tra terra e mare Dilinò Esordio improntato a quell’indie folk multicolore e orgogliosamente plurietnico di casa nostra. Mare stretto tra le terre, che la terra la vedi, e terra tra i mari che ne senti il profumo. Ispirato in più di un episodio, oltre che a Pier Paolo Pasolini, sempre più influente a trent’anni dalla morte violenta, ai “pensieri meridiani” di Franco Cassano, teorico di una dignità meridionale basata su valori propri e peculiari. La title-track è mossa da archi di levante e suono di ciaramella, si respira sospensione del deserto in “Andare lenti” (ecco Cassano), con un ritornello ch’è un matrimonio tra Parto e CSI. Piano in levare su note ancora in sospeso, per esprimere senso di allarme sul danno che si sta apportando al cielo e alle stagioni in “Come sarà”, mentre fa capolino l’ottimismo in “Tammurriata d’esperánce”. “Rock a Sud” ritorna sui passi del pensare meridiano, che è lentezza, ascolto, capacità di sguardo largo. La tradizionale “Cecilia”, rifatta da molti a Sud, al Centro e a Nord, è accecata da un sole pietroso. Di buona fattura, complessivamente apprezzabile, “Tra terra e mare” soffre dei limiti che affliggono gran parte della nostra combat-etnica: in qualche frangente è un po’ canonico, a rischio retorica. Ci sarebbe piaciuto che il contenuto sonoro fosse ingegnoso e originale quanto il contenitore, un maxi-album con immagini di cartografia antica. Il featuring reca una bella fetta della koiné etno-folk da combattimento: Francesco “Fry” Moneti dei Modena, i Severini Bros., Fabio Lositi in prestito dai Folkabbestia e i Mascarimirì (www.crfiuweb.com). Gianluca Veltri Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Danila Satragno Un lupo in darsena Venus Rileggere un canzoniere italiano con la sensibilità del jazz. La canzone italiana, forse soprattutto quella leggera, molto si offre alla lente afroamericana. Ma la Satragno rifà un repertorio che è già di suo ricercato e pregiatissimo. Due Tenco, “Mi sono innamorato di te” e “Il mio regno” (risalente al 1961, anno di nascita della Satragno), pensata come un giocoso incastro sperimentale, il tema adattato alla struttura di “Ephistrophy” di Thelonious Monk. Due De André in genovese: “Jamin-a” e una “Creuza de mä” in reggae-jazz, a suggellare un rapporto speciale con l’autore di “Marinella”, che coinvolse la musicista nei suoi ultimi due tour. Due pietre preziose squadernate da Mina, “Non credere” (sfibrata e sognante) e “Bugiardo e incosciente”, illuminata dalla batteria nervosa di Roberto Gatto e dallo scintillante pianoforte di Dado Moroni, presenti in tutti brani insieme a Rosario Bonaccorso (contrabbasso) e Sandro Gibellini (chitarra). Un po’ di accademia (gioiosa, d’accordo) con la bongustiana “Spaghetti a Detroit”; “Quando” di Pino Daniele si adagia sulle note soffuse col pilota automatico, ma è poesia, di quella paradisiaca, con “Duke Ellington’s Sound Of Love” di Mingus, una delle poche divagazioni dal recinto italico. L’altro standard è “My One And Only Love”, eseguita dalla Satragno al pianoforte, suo primo amore al conservatorio “Paganini” di Genova. Stiamo parlando di un’artista che venti anni fa ricevette una borsa di studio a un seminario estivo su menzione speciale di Steve Lacy. Noblesse oblige ( www.danilasatragno.com). Gianluca Veltri Del Sangre Un nome ad ogni pioggia… Bandone Music Avevamo lasciato Luca Mirti alle prese con un sound sanguigno e granitico, un po’ privo di lampi. Ci aspettano sorprese. È spiazzante già l’ascolto di “La mia città”, raccolta e sommessa, sembra un pezzo tradizionale, come possedesse un nocciolo antico. “Si muore una volta sola” è impreziosita dalla tromba di Luca Marianini, e ha l’andamento classico della ballata scarna. La statura di Mirti è cresciuta, s’impone una diversa tempra, sia nella scrittura che negli arrangiamenti, che nelle doti d’interprete del band-leader. Meno prevedibilità, dunque, rispetto a episodi precedenti, semplicità essenziale che non significa mai banalità, anzi. Piuttosto una glabra ricercatezza, la prevalenza del “segno meno”, che risale dalla folkeggiante “Per non lasciarti fare…”, o dalla lirica e disincantata “Hotel Cristo”. In un gioco di Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 percentuali, i Del Sangre cedono qualche quota di Modena City Ramblers per acquistarne qualcuna di Mark Lanegan. C’è ricerca di soluzioni timbriche che lascino il segno in maniera funzionale: carillon, archi, tromba, hammond. Si ascolti “Marcella au revoir”, chanson d’amour con archi (arrangiati da Gianfilippo Boni), dal sapore quasi coheniano. “Il mio nome è…” richiama un immaginario anni Sessanta pseudo-western, coi vibrati elettrici, tra cactus e motel; minacciosa e fatta di tenebra è “Il diario dell’assassino”. Si chiude con la costante springsteeniana: “Il confine dell’odio e dell’amore”, dedicata alle vittime dell’11 settembre 2001 e registrata in West Virginia (www.delsangre.it). Gianluca Veltri Egokid The K Icon Ethnoworld/Venus Riascoltato a qualche anno di distanza, il debutto dei milanesi Egokid (“The Egotrip Of The Egokid”, 2003) suona sì piacevole, ma ancora un po’ acerbo, un po’ fuori fuoco. Come se le idee in esso contenute non sempre trovassero la forma migliore per venire alla luce. Problema che con “The K Icon” pare superato, visto come le sempre più numerose suggestioni vengano in esso amalgamate in maniera quanto mai organica e con risultati soddisfacenti. Tanti, tantissimi gli stimoli che offre l’ensemble, non solo dal punto di vista strettamente musicale: pop chitarristico di matrice inglese, indie-rock a stelle e strisce, lievi striature di elettronica, una puntina di jazz, prog, ballate acustiche, schegge di new-wave, ma anche Sean Connery, Maria Goretti, letteratura (nel libretto è incluso un mini-racconto inedito di Matteo B. Bianchi) e tematiche socio-politiche. Un caleidoscopio di suoni, immagini e parole che sulla carta disorienta non poco, ma che alla prova dei fatti avvince. Non tutto è perfetto – ad esempio, qualche ritornello davvero incisivo in più avrebbe reso il piatto ancora più succulento – ma nel complesso il CD non manca né di spunti interessanti né di buone qualità. Insomma, gli Egokid hanno il coraggio di osare, fanno bene a farlo e lo fanno bene. A completare il programma, poi, quattro tracce di un ipotetico EP intitolato “Songs In The K Of E”, poste di seguito a quelle dell’album vero e proprio, tra cui la divertente (e irriverente) “Santa Kraut” ( www.egokid.it). Aurelio Pasini Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Fish Robe grosse Warner È affascinante quanto è carsico l’andamento dell’hip hop in Italia: si alternano fiammate di interesse totale ad altri in cui invece pare l’ultima musica degli ultimi sfigati. Ora, è sotto gli occhi di tutti, siamo di nuovo in periodo di onda buona: Mondo Marcio, e poi anche la gente che impazzisce per il discutibile disco di Fabri Fibra (con entrambi che, ognuno col proprio stile e non si sa quanto intenzionalmente, prendono alcuni stilemi di Eminem: le major lo sanno). L’onda è talmente buona che la Warner decide di ristampare “Robe grosse”, il disco di Fish – ex metà dei Sottotono, ora anche autore di buona parte delle basi dell’esordio di Fabri, ed è quest’ultima cosa che solletica gli istinti dei discografici, raccogliamo il raccoglibile cioè. Aggiunge un DVD con un po’ di video, più due tracce nuove e un remix di quel simpatico ruffiano di Tony Touch, uno che dalla old school ortodossa che lo rendeva rispettatissimo a New York è passato ad un reggaeton che lo rende più rispettato dalla banca dove tiene il conto corrente. Ad ogni modo, Fish è un’inappuntabile professionista del suono da dancefloor che discende dall’hip hop e si contamina con quello che gira per la classifiche e le rotazioni di MTV; in un’Italia di molti dilettanti, questo ce lo fa apprezzare molto. Non chiedete a “Robe grosse” cose che non può darvi: raffinatezza, impegno, sottigliezza, intellettualità. È, in modo quasi cafone ed oltraggioso (quindi onesto), un disco da dancefloor a metà tra hip hop e reggeaton. Esa (ex OTR) si adegua all’andazzo, al microfono, gli altri ospiti idem. Se sapete cosa vi aspetta, e se è quello che cercate, questo è sicuramente un buon acquisto (www.bigfish.it). Damir Ivic Frida X Il mondo è lucido autoprodotto-Black Candy/Audioglobe I Frida X sono un gruppo anacronistico. E questo può essere il loro miglior pregio così come il loro peggiore difetto. Questo perché sono una bellissima fotografia di un determinato periodo storico in una determinata area geografica. Era la Bologna universitaria degli anni ’90, quando la scena musicale indipendente sperava di vedere la Grande Luce ed Enrico Brizzi – con cui i Frida X hanno da poco realizzato il CD-reading “Nessuno lo saprà”, e qui presente in veste di produttore esecutivo e co-autore di alcuni testi – pubblicava l’ormai pietra miliare “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” (tra l’altro, nella trasposizione cinematografica, che poteva contare enormi prove d’attore di Stefano Accorsi e Violante Placido, i Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Frida X – all’epoca Frida Frenner – prendevano parte alla colonna sonora con “Jack Punk”, qui riproposta); insomma, gli anni dell’esplosione dei Marlene Kuntz, degli Afterhours, dei Massimo Volume e di Umberto Palazzo e il Santo Niente. Ecco, chi ha vissuto in prima persona quei momenti troverà in queste canzoni (che compongono quello che è ad oggi il vero e proprio esordio della band di Andrea Agostini e Giovanni Azzoni) un forte sentimento di nostalgia e un grande senso di appartenenza, di quando si era giovani e pieni di sogni e bastava poco per essere felici. Il rischio, però, è che tutti gli altri possano trovare questo disco un po’ datato, gli arrangiamenti un po’ faciloni – inevitabile, richiamando quella scuola dei gruppi sopra citati – e le acrobazie testuali un po’ artificiose. A modo suo, un sussidiario illustrato della giovinezza (www.fridax.com). Hamilton Santià Hypnoise St. Valentine’s Porno Bar Veneto West/DGM Trio veneto che tocca la meta del secondo album, dopo l’esordio applaudito di sette anni fa, quell’“Opium” (su MP Records, label defilata dai grandi circuiti, ma attiva costantemente da un decennio), per il quale il leader – chitarrista, voce e altro – P. Mike III (più chiarezza no?), era volato in America al fine di migliorare parti vocali e produzione, ricavandone anche il contributo di Trey Gunn, allora nei King Crimson e pronto a gelare il sangue con la sua “warr guitar”. Per questa replica il trio – che si completa con Frez alla batteria e Sanze al basso –, sempre accompagnato dalla saggezza del produttore americano Ronan Chris Murphy, fa le cose ancora più in grande. L’album, che indossa le vesti di un concept ma vive su un gioco di incastri che evita la banalità delle suite a lunga gittata, sembra piuttosto un compendio di rock moderno a più facce, e può contare anche su ospiti di valore. Come Cheryl Porter, che incanta con la sua voce in “Like A Free Bird”, uno dei pezzi più belli del CD, in compagnia di “Black Napkin On Tomato Soup”, “Love In The Bathroom”, “My Own World” e “The End Of Reason”. “St. Valentino’s Porno Bar” è stato presentato a Londra e New York, e ha ricevuto critiche positive ovunque, anche da recensori di estrazione jazz, a testimonianza della sua validità. Ora la band cerca solo occasioni per suonare dal vivo. Accontentateli, ne vale la pena (www.hypnoise.net). Gianni Della Cioppa Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Madrac Real Musiche Furlane Fuarte Dopo sette anni ecco il ritorno di Madrac, ovvero il bizzarro progetto di Fulvio Romanin (aka ReddKaa). Si amplia a dismisura lo spettro sonoro, la crescita nelle soluzioni e negli arrangiamenti rispetto al precedente “Technotitlàn” è forte, resta il principio base – musiche “moderne”, diciamo ora tra hip hop e funk, interpretate alla voce con stilemi “moderni” (il rap) ma con un dialetto, quello friulano, che è l’antitesi della modernità (non è certo il napoletano almamegrettiano, per intenderci: uno dice dialetto friulano e pensa ai canti carnici, ecco). Per fortuna il booklet è ben fornito di traduzione dei testi, che in un più di un momento sono davvero esilaranti e/o acuti. Musicalmente, e chissà se è un misterioso DNA regionale (oltre a frequentazioni di vecchia data), stiamo nei territori degli Amari, magari con più spensieratezza e meno cerebrale intellettualità colto-pop. Ovvero: funk, in varie, eclettiche declinazioni. Fatto molto bene. Con tocchi di rustica follia. Con qualche ingenuità (non troppe). Con momenti di eleganza (molti). In tutto i musicisti coinvolti in “Real” sono qualcosa come ventinove, e questo è un buon indizio dell’accuratezza del progetto e dello sforzo che sottintende; ma gli sforzi sono perfettamente inutili se non ci sono le idee. In Madrac ce ne sono molte. Con un po’ di malizia in più negli arrangiamenti, con un po’ di voglia di essere ancora più zappiano, il prossimo progetto potrebbe essere un vero crack. Ma già questo “Real” è un prodotto che svetta per qualità e intelligenza nel panorama indipendente italiano del 2006 ( www.madrac.com). Damir Ivic Mammooth Feat. Raffaele Costantino Enzimi 2005 ZoneAttive Ne parliamo solo ora e vorremmo scusarcene, perché un progetto musicale ragguardevole come quello dei Mammooth merita più che una menzione. Un disco fuoriuscito dalla rassegna “Enzimi Musica”, nel senso che raccoglie e fotografa una performance concertistica del sestetto romano nel contesto di tale aggregazione sonora assieme al DJ-ing di Raffaele Costantino. E si tratta di una fotografia ricca di meravigliose suggestioni ed espansioni elettro-acustiche, un suono tutt’altro che preistorico a dispetto del simpatico nome, bensì coinvolto in una modernità vera, al di là di tendenziose tentazioni dell’ultima ora. Ecco perché l’ambigua definizione di post-rock potrebbe sembrare pertinente, ma invero sfumata e quasi casuale. Meglio sintonizzarsi sulle frequenze electro-rock dei quattro brani presenti nel dischetto, Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 progressioni immaginifiche che si espandono, si perdono felicemente nello spazio si arricchiscono di groove ipnotici dove la tromba di Claudio Santamaria trova terreno fertile per collocare un solismo lirico ed evocativo. In particolare le due lunghe escursioni, “Gassa d’amante” e “Bind Date”, sanno rapire e spiccare il volo in zona franca, eterea narcosi al di là di ogni vincolo gravitazionale, con la presenza di Costantino ad accrescere la felice commistione sonora. L’intimistica levitazione di “Out Of Season Song In NYC”, e le reiterazioni plananti di “Gachet” completano il quadro di una serata live evidentemente riuscita, ancor più lasciandoci con l’impressione di un Mammooth in forma smagliante. Un nome affatto trascurabile nel panorama electro-indie-rock nazionale. Lo aspettiamo piacevolmente con buone nuove (www.mammooth.net). Loris Furlan Maurizio Vercon Everything Is Here Videoradio Nonostante l’epoca dei “guitar heroes” sembri finita da un pezzo (diciamo dieci anni abbondanti?), l’impressione è che dischi strumentali con la chitarra al centro di tutto siano comunque sempre in grado di ritagliarsi una fetta di appassionati. Spesso musicisti in varie gradazioni di abilità, capaci meglio di noi mortali di cogliere sfumature e colori che questo tipo di approccio alla musica sa offrire. Fortunatamente questo esordio di Maurizio Vercon, sfugge alla sindrome masturbatoria di molti suoi colleghi e dipinge scenari godibili, con linee di chitarra sempre melodiche e cantabili che trascinano dieci canzoni ricche ma mai eccessive. Parte del merito è da dividere con il telaio che addobba l’album, con ospiti di rilievo (su tutti Maurizio Solieri alla chitarra in due brani) ma soprattutto con Maurizio Ardessi, tastierista a più latitudini che dimezza con il titolare sia la scrittura che la produzione dell’intero lavoro. Ed è proprio la presenza costante di una tastiera che permette a “Everything Is Here” di vivere un equilibrio genuino, trasformando il tutto in un buon rock variegato e non solo in un album di chitarra. Il sax del noto Andrea “Cucchia” Innesto sfoggia talento e concretezza tra i solchi “Too Much Easy But Not Eeasy”, “Evolution” e “Wild Sun”, tracce nelle quali la chitarra di Maurizio Vercon appare più ispirata che altrove (www.mauriziovercon.it). Gianni Della Cioppa Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Milagro Acustico I storie o café di lu forestiero novo CNI/RaiTrade Bob Salmieri affida alle note le memorie di un viaggio di formazione. Quello che fece da bambino a Tunisi, città in cui suo padre era nato nel 1920 da una famiglia di Favignana. Il disco, tratto dal volume omonimo di racconti dello stesso Salmieri, racconta del muoversi e dello stare. Se il viaggio è il cuore dell’idea di Mediterraneo come ponte che collega la Turchia alla Sicilia e i Balcani all’Africa, centrale è l’avamposto di Favignana, con la sua pigra sosta al Café, ritrovo di forestieri, viandanti, isolani, pellegrini. È lì che si ascoltano le storie, è li che ognuno può aggiungere la propria narrazione. Come indicato già dal precedente percorso dei Milagro, è l’afro-siciliano il dominio culturale di Bob Salmieri, senza disdegnare escursioni turche (“Salvate Hasankeyf”). Genti che trasmigrano per riti da celebrare in “U spusaliziu”, processioni senza un alito di vento in “Sanghe meu”, mentre in “Dioulo” Pape Kanouté descrive con la kora i mercanti mentre tornano a casa in un tramonto di fuoco e sabbia. Affidandosi alla ricchezza di una vasta varietà timbrica portata dall’ensemble - djembe, trombe, tabla, Steinwey - Salmieri alterna kaval, sax, baglama, clarinetto. Il ney e il violino di Jamal Oussini piangono in “Profughi”; è rilassata dolcezza la voce di Daniela Barra in “Duci velenu”. Il Milagro disegna atmosfere di fatica e sogno allucinate in un dormiveglia crepuscolare, con un lavoro robusto, di scavo sulla tradizione senza calligrafie, che non cede alle mode (www.cnimusic.it). Gianluca Veltri Miranda Rectal Exploration Fromscratch/Goodfellas Cinque anni di attività e una grande passione per Captain Beefheart, Arto Lindsay, i Can, gli Ex e gli US Maple: questi i primi dati presenti in ordine di apparizione sulla biografia dei Miranda, trio costituito da Piero Carafa (basso), Giuseppe Caputo (chitarra, voce, sampler) e Nicola Villani (batteria e rumori), e questo è quanto emerge, onestamente, dal primissimo ascolto di “Rectal Exploration”. Esordio da seguaci di una via dissonante al rock, di un blues mutato in post-punk e imbastardito da un’attitudine noise che si impone ma senza pretendere la ribalta. È sempre difficile individuare dove finisce l’omaggio ai propri codici di riferimento e alla propria formazione musicale e dove inizia una nuova storia, ma i tre sanno giocare con i loro maestri senza troppo utilizzarli per nascondersi, e il modo in cui una certa Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 ossessività di derivazione Can viene trasportata in territori disco-punk, in “Monosexfiles”, è qualcosa di più della semplice somma delle suggestioni, ed è piuttosto indicativa dell’attitudine spartana e allo stesso tempo energica del gruppo. Nessuna grossa sorpresa insomma, ma non è sempre necessario fare dell’originalità assoluta una discriminante così netta: “Rectal Exploration” è un saggio di bravura e di ottime potenzialità, la foto in movimento di un gruppo che, pur essendo appena entrato in partita, è già sulla buona strada per diventare qualcosa di notevole e di incisivo. Con già qualche frutto in bella evidenza ( www.mirandamiranda.it). Alessandro Besselva Averame Network Titanus NTW Benché attivi con alterne vicende sin dal 1984, soltanto di recente i Network sono giunti all’esordio discografico con un interessante CD prodotto e distribuito in proprio. Muovendo dalle più classiche strategie della new wave, la formazione ascolana fa propri linguaggi espressivi di natura diversa che vanno dal funky alla dance music. Non è dunque un caso se nelle note di copertina il trio dichiara il proprio amore per fenomeni quali A Certain Ratio, New Order, Material, Filia Brazillia. Ne scaturisce un bel lavoro che fuoriesce da schemi stilistici di sorta, attestandosi a metà strada tra dark elettronico e adulto pop radiofonico. Da un lato la voce cupa e profonda di Emidio Guidotti – che interpreta testi, per lo più in italiano, ispirati ad un positivo messaggio di speranza – riconduce alle atmosfere ombrose e avvolgenti tipiche degli anni 80; dall’altro, gli arrangiamenti fin troppo leccati e le ritmiche, che volentieri si trasformano in intriganti groove, tradiscono un approccio melodico più leggero, senza tuttavia mai scadere nel ruffiano. L’album rimane dunque sospeso in un pericoloso limbo, correndo il rischio di risultare troppo complesso per i gusti del grande pubblico e al contempo troppo volubile per le orecchie del popolo rock. Si tratta invero di un becero problema di formalismo stilistico perché, effettivamente, il valore oggettivo di questi dodici brani rimane mediamente alto ([email protected]). Fabio Massimo Arati Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Oleo Strut Oleo Strut Wallace/Audioglobe Sembra incredibile che lo Xabier Iriondo oggi coinvolto in formazioni quali Polvere, Uncode Duello e 2 Parti Molli Tremolanti sia lo stesso chitarrista che fino a poco tempo fa accompagnava i facili ritornelli degli Afterhours e animava le energiche sferzate elettriche dei Six Minute War Madness. Le sue scelte artistiche, dagli A Short Apnea in poi, sembrano voler dimostrare che il rock è morto e il futuro della musica debba essere ricercato altrove. Nell’improvvisazione, ad esempio, se non nella manipolazione del rumore. Trovato un degno mecenate nella figura di Mirko Spino (che con la Mail Series della Wallace Records ha predisposto per lui un ideale spazio espressivo), negli ultimi anni l’artista milanese ha messo in piedi alcuni progetti, spesso estemporanei, tutti fondati sull’incontro/scontro di musicisti dediti a forme sonore non convenzionali. Il collettivo italo francese Oleo Strut è soltanto l’ultima convergenza aleatoria di una lunga serie di meeting improvvisativi: venti minuti di sperimentazioni, racchiusi in un omonimo CD, nel caratteristico formato a tre pollici che contraddistingue l’intera collana. Sono il sunto essenziale di molte session ben più estese, tutte ispirate all’idea “di aprire lo spirito, l’ascolto e la tolleranza”. Ma affinché quest’effetto scaturisca, è necessario che l’ascoltatore sia ben disposto e tanto spregiudicato almeno quanto gli autori (www.wallacerecords.com). Fabio Massimo Arati Paolo Di Cioccio The Tarot Of Tomorrow Musica Maxima Magnetica Qui c’è il rischio di perdere il conto. Tra sconcerti d’oboe, tarocchi e segni zodiacali non facciamo più in tempo a segnalare un CD del Di Cioccio che già un nuovo disco è bello e pronto nei negozi. Dopo la parata pseudo-classica allestita assieme alla moglie Giovanna Castorina, il compositore romano è infatti di nuovo in pista con un’opera integralmente a suo nome, probabilmente il lavoro più significativo dai tempi del Theatrum Chemicum. Il progetto mira a recuperare il discorso creativo aperto nel secolo scorso dai padri dell’elettronica e mai portato a compimento, almeno secondo il personale punto di vista dell’autore. Questi denuncia altresì il definitivo esaurimento delle possibilità combinatorie offerte dalla musica, almeno nella sua forma espressiva tradizionalmente riconducibile al sistema temperato. Pertanto è necessario dedicarsi alla ricerca del timbro perfetto, della frequenza che faccia nuovamente vibrare gli Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 animi nel profondo. Ma non è semplice, almeno per l’ascoltatore comune, dedurre tutto ciò da un disco d’avanguardia come “The Tarot Of Tomorrow”. Il suo sviluppo sonoro è infatti assai impegnativo e tutt’altro che immediato; tra un delirio rumorista e l’altro bisogna allora predisporre una condizione ambientale adeguata – per esempio indossando le auricolari e spegnendo la luce – affinché i benefici dello spirito prevalgano sul disagio sensoriale ([email protected]). Fabio Massimo Arati Polvere Polvere Wallace/Audioglobe Un disco a suo modo roots, pieno di corde pizzicate e stropicciate, di fantasmi blues, di suoni e voci evanescenti, con un immaginario rurale passato sotto i ferri dell’improvvisazione ma duro a morire, questo esordio sulla lunga di stanza del progetto Polvere, dopo un mini album uscito nel 2003 per le Mail Series di Wallace. Il duo costituito da Xabier Iriondo e Mattia Coletti dei Sedia riesce a bilanciare abilmente la riverenza nei confronti di un’idea spartana di blues (in un disco che è, per molti versi, tradizionale, a partire dal timbro degli strumenti) con una buona dose di temerarietà nello scombinarne i codici, senza comunque sconfinare nell’astrattismo più radicale. Le composizioni se ne restano così a metà strada tra una dimensione prettamente acustica (qualche esempio: il brano che, senza titolo come tutti gli altri, chiude il programma, oppure il secondo in scaletta, dove una chitarra acustica convulsa e spezzettata procede a tentoni tra detriti vocali disseminati qua e là, non molto distante dai territori prediletti da John Fahey e Davey Graham, o ancora il successivo, più lineare, un arpeggio appoggiato sul suono sfasato dell’elettrica che ritorna, circolare) e una vena più sperimentale, come nella strana sinfonia di collage sonori che va a costituire la quinta traccia. Tra Leadbelly e gli A Short Apnea, volendo sintetizzare all’osso: un percorso affascinante e azzardato, che però funziona ben al di là degli stimoli improvvisativi che l’hanno generato (www.wallacerecords.com). Alessandro Besselva Averame Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Pornoriviste DVD Tube/Venus Un DVD delle Pornoriviste i molti estimatori della band lombarda lo chiedevano ormai da tempo e il gruppo, complice anche l’ottimo lavoro di RockTV per quanto riguarda le riprese, ha pensato bene di accontentarli. Registrato in un numero imprecisato di concerti e location, dai grandi locali alle piazze fino ai piccoli club, questo lavoro rispecchia in pieno lo spirito della band che vi è ritratta: schiettezza e sincerità, nessuna concessione a qualsivoglia standard e, soprattutto, punk rock grezzo e stradaiolo come quello a cui ci ha abituato da un decennio a questa parte. Una ventina di brani, per un prezzo fissato entro e non oltre i 15euro, pescati da tutte le produzioni del gruppo e catturati in una forma inevitabilmente energica e poco pulita, nient’altro che quello che potete ascoltare se li andate a vedere in un qualunque locale della nostra penisola, e nient’altro che la vera essenza della loro – e nostra – musica. A far da extra soltanto qualche fotografia e i crediti dei realizzatori, per un lavoro tanto essenziale quanto ben fatto, non fosse soltanto per un montaggio a dir poco frenetico che mescola varie esibizioni all’interno di ogni brano e che risulta un po’ dispersivo. Le Pornoriviste o si amano o si odiano, e se da queste parti propendiamo nettamente a favore della prima è inevitabile che questo DVD rafforzerà indistintamente l’una e l’altra fazione. Del resto, se non è punk rock questo cosa lo è più? (www.pornoriviste.net) Giorgio Sala Revhertz Buongiorno Altipiani/Goodfellas Ci sono due modi di recensire un disco italiano, magari pure esordiente (anche se nel caso dei Revhertz di tratta di tre musicisti che da più di un decennio si danno da fare): il primo è quello della benevolenza – aiutiamo i prodotti di casa nostra! – ed è lì dove un disco sufficiente diventa discreto, uno discreto diventa bello e coraggioso, uno bello e coraggioso diventa il più grande prodotto dell’ingegno umano dopo Leonardo Da Vinci. L’altro, è quello di trattarlo come se fosse un prodotto “adulto”, magari straniero. Il secondo ci pare un modo migliore per elogiare e rispettare il disco in questione, ed è quello che adotteremo per “Buongiorno” (e non solo perché è stato masterizzato a Londra). Dicendo così che la cifra pop + drum’n’bass + trip hop dei Revhertz deve essere aggiornata prima di tutto nella parte tecnologica (suoni vecchi, in parte deboli). Aggiungendo che la voce di Fiammetta Jahier, per altro molto bella, deve diventare più asciutta, meno “carina”, più carismatica. Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Chiosando col fatto che non tutti i tredici brani del CD sono riusciti, alcuni sono poco incisivi. Ma, detto questo: c’è freschezza compositiva, c’è comunque appropriatezza nelle soluzioni strumentali, c’è una qualità media soddisfacente, ci sono due piccole perle (la cover originale e ben congegnata di “Nessuno mi può giudicare”, poi anche “Endovena emozionale”), c’è insomma un po’ di roba da apprezzare. Se invece volessimo “aiutare i prodotti di casa nostra”, diremmo: album originalissimo, enorme capacità tecnica, soluzioni all’avanguardia, eccetera... Ma i Revhertz meritano recensioni migliori. Seguiamoli (www.revhertz.it). Damir Ivic Solitario Bit Solitario Bit Mexicat Ci sono regole – in questo caso redazionali – che è importante seguire, ma che ogni tanto è giusto trasgredire. Per quanto riguarda Fuori dal Mucchio, una è quella di considerare gli album e gli EP disponibili non su di un supporto tradizionale (e professionale) ma soltanto per il download in Rete alla stregua di demo, e come tali eventualmente recensirli. Poi, appunto, ci sono i casi straordinari, che portano a fare un’eccezione. Come questo omonimo lavoro di Solitario Bit, pseudonimo dietro il quale si nasconde il chitarrista torinese Fabio Perugia, in libera uscita dai Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo. Un’esperienza con cui si pone in una certa continuità, trattandosi ancora una volta di composizioni interamente strumentali, che prendono linfa vitale da quello che è (stato) il post-rock e lo nutrono a robuste dosi di sensibilità e intimismo, non perdendo di vista la tradizione tricolore ma neppure sposandola apertamente. Risultato: un lavoro in cui circolarità e melodia vanno di pari passo, tra arpeggi reiterati ma non ossessivi e aperture improvvise, tra atmosfere raccolte ed esplosioni (mai troppo fragorose), tra suggestioni acustiche e un’elettr(on)icità mai troppo ostentata. Grazie anche all’aiuto di alcuni amici – Christian Alati alle tastiere, Lucio Sagone alla batteria e Vivana Petrozziello al violino – Perugia ha creato una raccolta di acquerelli dai colori non troppo vivaci ma, proprio per questo, particolarmente ricchi di sfumature. Da “Radio Blu Bit” ai paesaggi folk di “Torno presto”, undici buone ragioni – tante quante i brani qui contenuti – per non farsi problemi di forme e formati, anche se un formato ufficiale probabilmente avrebbe dato al tutto una dignità ancora maggiore ( www.gattociliegia.it). Aurelio Pasini Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Sur Sur Ethnoworld/Venus Sur è una parolina che in lingua spagnola vuole dire Sud; la trovi spesso inserita in progetti latino-americani che vogliano indicare l’enfasi fiera sulla propria marginalità, sulla valorizzazione di sé in contrapposizione a un Nord freddo e distante. È il calore della bossa, quello che pervade l’esordio dell’ensemble Sur. Lezioni di stile, connubio tra Eloisa Atti (voce) e Francesco Gianpaoli (chitarra), circondati da un gruppo di musicisti e tenuti a battesimo dall’ex-Rosaluna Marco Ambrosi. È chiaro l’universo di riferimento di “Sur”, un Sud caldo e tropicale, amache e pappagalli: la stilosissima “Creta” è molto cool, con un sottostrato caraibico e una chitarra disturbante, costante; “Notte” è brasilera, morbida e pigra, adagiata in 6/4 sulle onde del piano Wurlitzer di Carlo Corzani. È bossa visionaria quella di “Stu”, il pianoforte di Luciano Titi scricchiola le note sui tasti, “La novità (como raiz na terra)” è delicatissima, con una chitarra sambeggiante degna di João. Eloisa e Francesco sono voce di velluto e chitarra, di sotto, a fare spesso da guastatrice, come in “Mattone dopo mattone”. “Side car” è funky, la chitarra è alla Adrian Belew sostenuta dal sax baritono; è una cavalcata sentimentale “Da sempre” (con due batteristi), ed è uno scherzo “Stagni”, sembra Astrud Gilberto la Atti. La chiusura è con “Vestito d’azzurro”, un insolito rock’n’roll bandistico, un canto al sole. Perché dietro ogni Sur c’è il sole, ovvio (www.surmusica.com). Gianluca Veltri Thelema Burnt Memories Small Voices Sono trascorsi quasi dieci anni da quando i Thelema decisero di sciogliersi, demoralizzati dall’immobilismo e dalle scarse prospettive offerte loro dalla scena indipendente nostrana. Era già la seconda volta che il gruppo emiliano seppelliva l’ascia di guerra e tutto lasciava presagire che sarebbe stata quella definitiva. Niente affatto: Giorgio Parmigiani e Massimo Mantovani sono ancora assieme e celebrano il loro ritorno con un CD tutto nuovo in cui la vena dark degli esordi e l’attitudine punk degli ultimi cd sembrano aver lasciato il posto ad un approccio più intimista e riflessivo. Le eleganti soluzioni elettro-acustiche di “Burnt Memories”, assai curate negli arrangiamenti, rivelano infatti una sorprendente vena psichedelica di derivazione barrettiana che conferisce un fascino soave e avvolgente all’intera opera. Per fortuna anche l’intransigenza dei nostalgici è soddisfatta da due cover d’eccezione: “European Female” degli Stranglers e “Heaven Street” dei Death In Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 June (quest’ultima presente soltanto nell’edizione in vinile). Mentre la band annuncia la prossima pubblicazione di una compilation con brani di repertorio ritoccati e remissati, è già nei negozi la ristampa dell’epocale “Tantra” (su etichetta In The Night Time), LP del 1986 adesso arricchito con pezzi inediti e alcuni estratti da compilation e singoli d’epoca (www.thelemaband.com.it). Fabio Massimo Arati Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Casa del Vento Nuovo capitolo di una prolifica carriera per la Casa del Vento. A un anno da “Sessant’anni di resistenza” dedicato ai massacri subiti dai partigiani dell’Aretino, “Il grande niente” (Mescal/Sony) propone il sestetto alle prese con quattordici canzoni dedicate al presente. La Casa è frequentata anche da diversi ospiti, come scoprirete nella nostra chiacchierata con Luca Lanzi, compositore, cantante e chitarrista della band. Che aria tira nella Casa? Tira sempre un po’ di vento, abbiamo una certa costanza compositiva perché ci sentiamo persone attente, desiderose di emozioni. Qualcuno critica la nostra prolificità artistica, ma siamo tra i pochi gruppi che tentano di mandare messaggi nelle canzoni. Il vostro disco è pieno di spunti tematici, partiamo dalla title-track. Il “grande niente” si riferisce soprattutto all’anestesia televisiva, vero? Si, l'anestesia della televisione spazzatura, ma anche la corsa al consumismo o ai modelli di "ultima generazione". In una società dove contattarsi è diventato facilissimo le persone non comunicano, sono sempre di più individui, aumenta la solitudine e i giovani sempre più in preda dell'apparenza. Prolifera l'emarginazione. Questo diventa il terreno di benpensanti e ipocrisie, tema forte di questo album. L’album è per così dire alquanto “spesso”. Disoccupazione, deportazione, mafia e legalità, razzismo, tensione civile. Non è tempo di leggerezza, vero? Non sono del tutto d'accordo. È vero che affrontiamo temi forti, ma mai come in questo album si è usato la tenerezza, la gioia e la speranza, quale antidoto al marcio che vediamo. Mi riferisco a canzoni quali “Un giorno”, "Alla fine della terra", "L'amore infinito", "Finché il vento". Anche gli arrangiamenti rappresentano una discontinuità col passato. L’invettiva contro la piattezza dei media si collega alla dedica a Pasolini, “Il fiore del male”, nella quale canti, rivolgendoti direttamente a lui, delle “geometrie oscene” che hanno sostituito le borgate. A trent'anni dalla morte di Pasolini ci siamo resi conto di quanto sia attuale il suo messaggio. L'ambiente deturpato, le guerre, l'ingerenza della chiesa nella politica italiana, i diritti negati agli omosessuali, sono ancora temi irrisolti della nostra società. Abbiamo pensato di scrivergli una lettera, nella quale traspare il disincanto che nulla è cambiato. La voce di Ginevra Di Marco ha dato a "Il fiore del male", titolo dell'omonima opera di Baudelaire, una forza e una bellezza incredibili. E “La meglio gioventù”, la voglia di sognare, studiare e vivere dei ragazzi di Locri? Come vedete l’irruzione giovanile in una universo dominato da padrini e leggi immobili? Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Con "La meglio gioventù" volevamo sottolineare la lezione di legalità dei ragazzi di Locri, per rimarcare ed esaltare che intorno al "grande niente" vi sono giovani capaci di sognare e progettare un futuro onesto lontano dalle mafie. Rappresentano un altro aspetto di speranza in questo album. Nel brano si segnala la presenza di Erriquez, uno dei molti ospiti. La “ospitata” illustre spesso nasconde solo il distintivo appiccicato a forza. In questo caso, però, mi pare che gli apporti Ginevra Di Marco, Cisco, Tall Abdoulaye siano funzionali a un risultato. Ci parli di questi incontri? Proponiamo le collaborazioni mai in maniera avventata, ma pensando che "quella canzone" sia adatta a quell'ospite. Sono stati tutti molto cari nel partecipare al nostro lavoro, sono venuti con entusiasmo ed empatia artistica. Nel precedente album "Al di là degli alberi" ospitammo Elisa, cosa che la stampa ha a malapena considerato. “Ala sinistra” è ispirata al centravanti del Livorno Cristiano Lucarelli, mosca bianca dell’ambiente calcistico già da prima di Calciopoli. Che posizione assumete oggi sul tema? Volevamo sottolineare l'idea di un calcio diverso. Aver scritto questo brano sembra una profezia. Ci piacerebbe un calcio con giocatori pagati con un buono stipendio, tipo 2000 euro al mese, che è sempre il doppio di un operaio, e con ciò che avanza pagargli la pensione per quando non giocheranno più. I prezzi dei biglietti così potrebbero essere più popolari, 5/10 euro al massimo, per rendere il calcio davvero popolare. Meno soldi uguale meno avidità e meno competitività, per insegnare ai bambini che si avvicinano a questo sport lealtà e onestà da riportare poi nella vita. Musicalmente si avverte ne “Il grande niente” un passo verso un’ulteriore maturità. Senza rinunciare alla cifra sanguigna c’è però un certo agio a muovervi anche nei chiaroscuri. Era necessario trovare una scrittura diversa, sia nei testi che nelle musiche. Abbiamo cercato ritmiche coinvolgenti nei pezzi più energici, suoni con molto "ambiente" nelle ballate, poi , da una parte, parecchie tracce di chitarre elettriche con effetti di ogni tipo, dall'altra, pianoforte e archi e strumenti acustici, ma pochissimi sono i riferimenti al folk, per non ripeterci rispetto al passato. La componente etnica è scomparsa. Ho trovato molto toccante “L’ultimo viaggio”, cantata dalla MCR Betty Vezzani, che racconta su tambureggianti ritmiche combat una storia tragica: il tragitto per Auschwitz di Carolina Lombroso, che partorirà nei vagoni il quarto figlio, prima di essere cremata insieme a tutti i suoi figli. Perché è tanto necessario ancora raccontare queste storie? Quella di Carolina Lombroso e dei suoi bambini nonché del marito Eugenio Calò trucidato nella strage di S. Polo (AR) è una tragedia da raccontare ai giovani. Antisemitismo, odio, maternità, paternità, infanzia violata, perché la scuola di oggi quando racconti queste storie ti dà dello sporco comunista? Ad Arezzo nessuno conosceva questa storia, dobbiamo sensibilizzare i giovani, non come i programmi scolastici della Moratti che hanno tagliato la storia contemporanea! Che ipocrisia Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 vederla sfilare alla manifestazione del 25 aprile col padre deportato, solo perché candidata a Milano, e poi allearsi con i fascisti della Fiamma tricolore... che tristezza... come si fa a non porre un muro con realtà politiche che negano la tragedia della Shoah!? Contatti: www.casablancabazar.it Gianluca Veltri Les Fauves Gli emiliani Les Fauves sono in questi giorni in uscita per Urtovox (distribuzione Audioglobe) con il loro EP d’esordio, “Our Dildo Can Change Your Life”. Il titolo, volutamente – anzi sfacciatamente – provocatorio fa venire in mente una serie di domande altrettanto provocatorie, cui il batterista Davide Caselli a.k.a. Case risponde con spirito (anche se in maniera un po’ laconica). Così come è facile chiedergli dell’argomento più tabù e più intrigante del caso – alla luce dell’uso lirico che fanno del sesso più “kinky”, quello feticista – viene spontaneo ricorrere al topic delle influenze, inflazionato ma sempre interessante. Il ritratto della band che emerge dalla mini-intervista qui di seguito è quello di una band che lotta e gioca con lo stereotipo della formazione pseudo-postpunk inglese in voga al momento, tentando di ritornare alla radice programmaticamente geniale e triviale dei Violent Femmes. “Fauves” in francese vuol dire belve, mostri. “Monstrum” però, in latino, vuole dire anche e soprattutto "prodigio". Quale delle due accezioni preferite, quella classica, spaventosa, o la seconda, quella relativa allo straordinario? Pensavamo significasse soltanto "belve" in francese, ma non importa tanto tutti ci chiamano "Le Fave". Tra prodigi e mostri siamo sicuramente fave. Che tipo di mostri siete (o vorreste essere)? Quelli pieni di tentacoli nei fumetti zozzi giapponesi (ecco una risposta che accontenta tutti). Senza troppi giri di parole, e visto che voi non ne fate, il sesso è molto importante nella vostra poetica, o almeno lo sembra. Si tratta semplicemente di un desiderio di “épater les bourgeoises” oppure siete alla ricerca di una maniera nuova di esprimere il sesso in musica? Non facciamo sesso o giri di parole? A parte gli scherzi ci viene naturale coinvolgerlo nelle nostre canzoni perché il rock'n'roll parla sempre di quello, anche quando non ne parla affatto. Parliamo di amore e di guerre nucleari, ma non sappiamo quanto questo sia casuale. Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Per voi, i "mostri", il sesso è mostruoso? Dipende con chi lo fai, ma effettivamente si; tolta la componente libidinosa il sesso non è altro che un mostruoso (o prodigioso) scambio di liquidi... Il dildo, noto oggetto da sexy shop, dà addirittura titolo al vostro album. E, così come le sculacciate in "Spank Me" tutta la sfera dei giocattoli del genere è un po' tabù. Perché avete scelto un titolo come "How Our Dildo Can Change Your Life"? Innanzitutto, alcuni di noi credono nel feticismo consapevole. Poi, volevamo pubblicizzare qualcosa di divertente.. E' un titolo puramente ironico... E in più, se ci pensi, l'autoerotismo ha cambiato la vita di molte persone… Il tutto deve essere in qualche modo legato all'immagine di band che volete proiettarvi addosso (anche se ancora non ho avuto la fortuna di vedervi dal vivo). Quali sono gli aggettivi che attribuireste a questa immagine e perché? Sinceramente non abbiamo mai pensato a un tipo di immagine in particolare, dovrebbe delinearsi da sola o almeno vorremmo che così fosse. Il fatto che il nostro EP parli principalmente di sesso non significa che sarà così anche in futuro. Ci lasciamo aperte un sacco di strade, e speriamo che ci siano sempre più aggettivi da poterci appiccicare addosso. Ok, fine prima parte. Passiamo ai dettagli tecnici: l'incontro con il fondatore della Urtovox Paolo Naselli Flores e quello, altrettanto determinante, con Giacomo Fiorenza. Abbiamo avuto la fortuna, durante il 2005, di vincere alcuni importanti concorsi, ed in particolare, grazie alla vittoria di "Progetto Demo" abbiamo incontrato Giacomo. Si trovava in tour con Yuppie Flu al SoundLabs Festival, dove suonavamo anche noi. Da allora decise di prendersi a cuore le nostre sorti. E' stato grazie a lui che abbiamo potuto registrare l'EP all'Alpha Dept di Bologna e conoscere Paolo. Diciamo che non è facile decidere di produrre un gruppo esordiente e la carica reciproca li ha convinti a provarci. Ed eccoci qui. A quali band vi dà più fastidio essere musicalmente (o "fisicamente") accostati? I Placebo (è capitato!). In generale non fa piacere leggere o sentirsi dire di essere il solito gruppo "indie modaiolo" modello inglese, come capirai. Le varie recensioni uscite in questi mesi ci hanno paragonato a gruppi che stimiamo da sempre, quindi non possiamo certo lamentarci. E a quali invece vorreste assomigliare? Siamo alla ricerca di una nostra identità il più personale possibile. Ci piace prendere spunto da ogni dove. In particolare da tutte quelle band americane che hanno dato voce, soprattutto negli 80s, a sussulti adolescenziali come Cramps, Devo e Violent Femmes. Ah, per finire. Avete mai pensato ad un live in un sexy shop? Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 No. Ma se ce lo proponessero saremmo felicissimi di farlo, chi non lo sarebbe? Contatti: www.lesfauves.net Marina Pierri Lulù Elettrica Cinque anni di storia per un debutto – “Venti Rose Porpora” (Manzanilla/Audioglobe) – che percorrere i sentieri del rock, indie se siete tra quelli che cercano una definizione a tutti i costi. Niente di rivoluzionario, ma una freschezza di scrittura che merita la nostra attenzione. Ne abbiamo parlato con il cantante e bassista Enrico Tedeschi (gli altri “elettrici” sono Matteo Micheloni alla batteria, Alessio Comerlati e Gabriele Giuliani alle chitarre). Inizierei con una breve storia della band e con la curiosità del vostro nome… Il nostro nome deriva da un trucco che veniva usato dai “maghi” degli spettacoli circensi nell’800: durante lo spettacolo infatti il “mago” di turno includeva nel proprio numero un giochetto che consisteva nel dare la mano ad un “prescelto” del pubblico facendogli prendere la scossa elettrica. Il trucco si basava su un intricato sistema di fili e piastrine ed era chiamato ‘electric lulù’, Lulù Elettrica appunto. Ho avuto occasioni di ascoltarvi dal vivo alcune volte. L’impressione è che sul palco il vostro potenziale si liberi da vincoli e ci sia molto più energia. Che ne pensi? In parte forse è vero. Questo è dato dal fatto che in studio riusciamo a rendere in maniera diversa, forse meno immediata rispetto al contesto live, perché tendiamo a curare l’aspetto più tecnico dei pezzi. È una questione puramente emotiva. In studio non hai gli stessi stimoli di quando sei su di un palco davanti ad un pubblico che è lì per “guardare” cosa suoni. Ho volutamente usato il verbo “guardare” perché quando ti esibisci non solo devi soddisfare le orecchie delle persone che ti stanno ascoltando, ma esse ti devono riconoscere in quello che sentono. Ecco che allora viene spontaneo dare sfogo a se stessi insieme a tutti i watt dei propri strumenti. Come state promuovendo l’album? E quanto è difficile farsi ascoltare nella palude del rock italiano? Concerti, concerti, concerti. Grazie anche al lavoro della nostra etichetta (Manzanilla) che riesce a trovarci gli spazi, i locali dove poter suonare riusciamo a muoverci piuttosto bene, ma non è di certo facile. In ogni caso solo con i concerti nel giro di pochi mesi abbiamo girato in lungo ed il largo il nord e il centro dell’Italia. A volte è stressante perché non ci si mantiene facendo solo questo, tutti e quattro lavoriamo e non sempre risulta facile incastrare gli impegni. Siamo convinti però che Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 ne valga la pena, “Venti rose porpora” è il nostro punto di partenza, la nostra visione di ciò che ci circonda e ci fa vibrare gli animi. Che idea avete della stampa rock italiana, sia cartacea che sul web? Questa è una domanda molto impegnativa, come tutte le domande generiche del resto. È un mondo che certamente non ci riteniamo di conoscere oggettivamente fino in fondo, quindi non abbiamo qui un pensiero o un giudizio preciso a riguardo. Per conto nostro è un panorama molto vario nel quale, da una parte si trovano persone che di musica ne capiscono e di conseguenza ne sanno scrivere, dall’altra invece se ne trovano altre per le quali l’unico merito è quello di aver trovato una penna con cui scrivere nel cassetto della scrivania. Vogliamo convincerci che vada bene anche così, a volte la verità si trova pure nella penna degli stolti. Nonostante ci siano riferimenti sparsi, il vostro rock non ha una matrice evidente. Quali sono, velate o reali, le vostre influenze e tra i protagonisti del rock di oggi, c’è qualche nome che vi sembra particolarmente interessante? Che tutti quelli che ascoltano il nostro album sentano nelle sue note i propri artisti preferiti, che siano essi i CSI, i Marlene Kuntz, i Pearl Jam, o la banda del proprio paese. Non credo che abbiano importanza le nostre influenze. Se vuoi possiamo provare ad elencarti gli artisti di cui noi quattro ci siamo musicalmente nutriti da quando siamo piccoli, ma non avrebbe senso. Siamo quattro persone che musicalmente hanno trascorsi anche piuttosto diversi prima di approdare nei Lulù Elettrica. Si passa dai Pink Floyd ai Judas Priest, da Bruce Springsteen ai dischi solisti di John Frusciante per passare attraverso il giunge anni 90 e mille altri ancora. Ciò che si sente nel disco è allo stesso tempo la somma e l’annientamento di tutto quello che abbiamo sentito-ascoltato fino ad ora. Oggi è tutto un brulicare di nuovi nomi, si sentono bei motivi che durano il tempo di un battito di ciglia, ci sono troppe proposte, lascio ai posteri l’impegno di fare i nomi interessanti della musica del nostro tempo. Voi provenite da Verona, una città molto attiva per quanto riguarda la scena rock locale, eppure, vivendo la cosa da dentro, ho come la sensazione che a tradire la musica siano proprio i musicisti, sempre avvinghiati alle loro canzoni, ma quasi sempre assenti ai concerti o alle tante iniziative che la città offre. Chi mi conosce sa come la penso, quindi è una critica forte che rivolgo a tutti. Voi come vivete l’essere musicisti nella vostra città? Chi fa musica è fondamentalmente una persona come tante. E come tanti va ad ascoltare solo chi gli interessa e gli piace. Non vedo il motivo per cui visto che scriviamo canzoni dobbiamo andare ad ascoltare concerti o partecipare ad iniziative che non suscitano il nostro interesse. Non vorremmo mai diventare come qualcuno che finisce per andare ai concerti altrui solo per poi aspettarsi che l’altro ricambi il favore. Non è così che dovrebbe funzionare la cosa. Perché dobbiamo sentirci “traditori” della musica se non assistiamo a tutte le manifestazioni musicali della città in cui viviamo? A molte si partecipa, ad alcune no. I traditori sono altri. Non ci sentiamo “avvinghiati alle nostre canzoni”, siamo sempre stati aperti a qualsiasi collaborazione artistica. Più in generale diciamo che Verona offre tante iniziative che Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 spesso però non vengono sufficientemente pubblicizzate o rese note all’infuori di certi ambiti o associazioni, questo, per chi li organizza, è come fare il lavoro a metà. Quindi diciamo che se una manifestazione non ottiene una larga partecipazione di pubblico non è solo da criticare “l’utente” ma anche gli addetti ai lavori. Come vi vedete tra dieci anni? Un modo diverso per chiedervi i vostri progetti futuri. E’ la seconda domanda impegnativa di questa intervista. Nell’immediato stiamo lavorando a quelle che saranno le canzoni del prossimo disco. Parallelamente continueremo a promuovere attivamente “Venti rose porpora”: ci rimangono ancora mille e mille luoghi dove non siamo stati. Per il resto non saprei, noi pensiamo per piccoli passi, andiamo avanti a piccoli gradini, speriamo solo di percorrere una bellissima e lunghissima scalinata. Contatti: www.luluelettrica.com Gianni Della Cioppa Meganoidi L’EP d’esordio “Supereroi vs. Municipale”, nel 1998, li aveva portati alla ribalta con una formula ska-punk di sicuro impatto – perfezionata nel fortunatissimo “Into The Darkness, Into The Moda” del 2000 –, ma hanno preferito seguire la loro strada lasciandosi alle spalle un filone di sicuro successo: i genovesi Meganoidi, dopo il più rock “Outside The Loop Stupendo Sensation”, sono approdati – anticipati dall’EP “And Then We Met Impero”, alle aperture formali di “Granvanoeli” (Green Fog/Venus), disco variegato e multidirezionale. Ne parliamo con Luca Guercio (tromba e chitarra) e Mattia Cominotto (chitarra). Guardando le singole tappe, una alla volta, probabilmente il divario è molto meno evidente di quanto non possa sembrare nel suo complesso, resta il fatto che è davvero impressionante la distanza che intercorre tra le vostre disavventure con i vigili urbani e “Granvanoeli”, anche se immagino abbiate vissuto questo processo in modo molto naturale. Ci potete raccontare sinteticamente le esigenze che stanno dietro a questa mutazione? (L) Siamo un gruppo realmente indipendente, gestiamo interamente noi il progetto, dalla registrazione, al booking, all'ufficio stampa. Essere indipendenti non significa "non firmare" per una major e fare l'alternativo, è un vero e proprio modo di concepire e proporre la propria musica, purtroppo spesso i primi a non capirlo sono proprio gli addetti ai lavori. Essere sinceri con noi stessi è sicuramente controproducente se si vogliono rispettare le regole del mercato, ma preferiamo fare quello che ci rappresenta ogni volta e non auto-etichettarci per garantirci un Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 pubblico e delle vendite. Se facessimo in modo diverso, non saremmo tanto lontani da chi firma per una major o da chi è indipendente solo perché le multinazionali non vogliono lavorare con loro, e dopo si comportano esattamente nello stesso modo. Sinceramente non ho nulla contro di loro, ognuno fa le proprie scelte, ma incominciamo a chiamare le cose con il proprio nome, altrimenti non lamentiamoci se c’è chi il “falso in bilancio” lo chiama “bilancio creativo”. Per una questione di strutture musicali complesse ma mai troppo lontane dal pop, e il ricorrere di alcuni temi (ad esempio mi pare che le questioni ambientali ricorrano con una certa frequenza), “Granvanoeli” mi ha ricordato a tratti la stagione fortunata del progressive italiano dei primi anni Settanta. Non solo e non necessariamente dal punto di vista estetico-musicale, ma proprio nell'attitudine del prendere una tradizione più o meno melodica e cercare di trasportarla da qualche altra parte. (M) Cerchiamo di scrivere pezzi che abbiano la forza di essere comunicativi al di là delle strutture. Faccio fatica a definire più pop o più indie un prodotto solo in base al grado di melodicità e di comunicabilità: a priori non escludiamo nessuna possibilità compositiva e non ci interessa scrivere per essere identificati con una scena. In verità non ci sentiamo molto legati a quella progressive italiana dei primi anni 70. In genere è la classica domanda che viene fuori quasi in automatico, ma mi pare che siate piuttosto elusivi a riguardo, ragion per cui insisto: cosa significa “Granvanoeli”, e perché lo avete scelto come titolo? (L) “Granvanoeli” non significa nulla, è un suono, una parola inventata. L'interpretazione è libera anche per quanto riguarda il titolo, ognuno può dargli il significato che vuole. Pur essendo una parola inventata, ha comunque un suono che a noi piace molto, ed è per questo che l'abbiamo scelta. D'altra parte, le parole sono suoni. In realtà questo disco non è un'opera a sé stante, ma la prima parte di un dittico destinato ad essere completato se non sbaglio il prossimo anno. Due album gemelli, mi pare di capire. Che tipo di disco sarà il secondo e come mai avete sentito il bisogno di realizzare questa continuità concettuale? (L) Durante la realizzazione di “Granvanoeli” sono nate molte idee che non avrebbero potuto essere incluse in questo disco, che aveva già un suo equilibrio. Abbiamo così deciso che saranno il seguito di questo lavoro. Non saranno due album gemelli, anche se avranno alcune cose in comune. In almeno un brano, “Un approdo”, vi avvicinate molto a una dimensione cantautorale classica. Sintomo di una possibile evoluzione in tal senso? Oppure preferite, come mi pare di capire, tenere tutte le porte e i sentieri aperti, lasciare il cantiere in costruzione senza dover scegliere un percorso segnato? (M) “Granvanoeli” effettivamente ha lasciato diverse porte aperte e probabilmente alcune si chiuderanno con il prossimo lavoro. Non saprei ancora dire se la direzione di “Un approdo” sarà quella definitiva, ma sicuramente è un pezzo nel quale ci Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 riconosciamo particolarmente, così come ci riconosciamo nella tradizione cantautoriale genovese. L'utilizzo dell'inglese in alcuni brani credo rappresenti anche, quantomeno indirettamente, una porta aperta verso l'estero. Come vedete la questione, se ve la siete mai posta? (M) Sinceramente quando scriviamo in inglese non lo facciamo pensando a un riscontro fuori dall'Italia, anche se sicuramente può essere fondamentale. L'utilizzo di questa lingua deriva da una necessità metrica e fonetica. Ci sono certi brani che perderebbero alcune caratteristiche se non fossero accompagnati dal suono della lingua inglese. A un certo punto avete deciso non solo di autoprodurvi ma anche di dare spazio a nuove realtà musicali della vostra città attraverso Green Fog. Un bilancio di questa esperienza discografica fino ad ora? (L) Fino ad ora abbiamo prodotto gli En Roco e usciremo entro la fine dell'anno con TarikOne, Cut Of Mica e Marti, tre gruppi completamente diversi l'uno dall'altro, ma in cui crediamo. Il bilancio è ottimo se contiamo che ora il nostro studio (GreenFogStudio) è cresciuto molto grazie ad un investimento economico e personale, e l'etichetta garantisce un buon supporto promozionale. Un'altra garanzia per l'etichetta è data dal fatto che Mattia è il fonico di riferimento dello studio, che non si occupa solo delle nostre produzioni ma è aperto a chiunque voglia registrare il proprio materiale. Contatti: www.meganoidi.com Alessandro Besselva Averame Mosquitos In un ordine preciso che alterna il CD all’EP, arriva il terzo disco lungo del gruppo di Frosinone. “Ventilator Blues”, appena uscito per Fosbury (e distribuito da Audioglobe), è un album corposo, virulento, che si tinge di pennellate di cuore scuro mentre vengono fuori (inevitabili) certe sonorità della vecchia scuola 4AD. Uno di quei dischi che riempie le ore: le amplifica e fa dimenticare che passano raccontando in inglese storie leggermente truci, ma anche no. Canzoni che vi sembreranno abbracci. Ci risponde Mario Martufi: voce, chitarra e “colpevole” di tutto ciò assieme a Gianluca Testani al basso, Fabrizio Gori alla batteria e – da questo disco in forma ufficiale – Simona Fanfarillo alle tastiere e Sandro Martufi alla chitarra. Voi siete un gruppo d'ispirazione new¬ wave, cosa o quale disco vi ha Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 fatto innamorare di questo genere musicale? Non è semplice rispondere alla tua domanda visto che è la prima volta che veniamo associati così direttamente alla new wave, ma non ti nascondo che mi fa piacere. Però non c’e un disco in particolare che ci ha spinto in questa direzione. Siamo un gruppo in cui le singole individualità, miscelandosi, generano spontaneamente questo genere d’approccio, anche se poi, singolarmente nessuno di noi è un frequentatore assiduo di questo genere musicale. Alla volta del vostro secondo album e due EP che li hanno intervallati, com'è cambiato il vostro approccio creativo nella composizione? Le canzoni rimangono l’elemento centrale. Quando iniziamo a scrivere la prima cosa che cerchiamo di fare ogni volta è provare a realizzare la nostra canzone migliore. L’approccio creativo cambia continuamente perché siamo noi che cambiamo. La stessa canzone, se fosse registrata di nuovo a un mese di distanza, potrebbe suonare completamente diversa. Le nostre canzoni, sono creature che attraversano diverse fasi di sviluppo e il risultato che finisce in un disco è la fotografia di ciò che la canzone era in quel determinato momento. Inoltre, è stato molto importante l’ingresso nel gruppo di un’altra chitarra e delle tastiere che ci hanno aperto inevitabilmente nuove possibilità creative contribuendo a modificare i nostri tratti somatici. In quest’occasione è andata così, ma la prossima volta potrebbe essere tutto diverso. Le canzoni nuove mi sembrano più morbide e meno psichedeliche, come mai? Sono il risultato della fase creativa che stavamo attraversando quando le abbiamo scritte. Credo che questo disco rappresenti una sorta di percorso d’uscita dai due precedenti. C'è stato anche un cambio di formazione. Adesso siete ufficialmente cinque o succede solo nel disco? Siamo, definitivamente e ufficialmente in cinque. C’è stato l’ingresso di Simona che aveva suonato le tastiere anche su un paio di canzoni di “Electric Center”, mentre Sandro si è aggiunto subito dopo. Quando scrivete i testi, poiché vi piace raccontare delle storie, raccontate quella di “Ventilator Blues”? L’idea iniziale era quella di intitolarlo “Z”, ma è tramontata definitivamente all’inizio delle sessioni di registrazione, e più precisamente quando è uscito il disco dei My Morning Jacket che, appunto, si intitola “Z”. Stavamo già impostando la grafica di copertina. Avevo anche parlato con il nostro amico Natalino Capriotti di quest’idea della zeta che doveva servire a rappresentare la fine di qualcosa intesa come il limite ultimo, il confine. Forse, l’ultima parte di qualcosa più che la fine vera e propria. Lui ha iniziato a mandarmi racconti e poesie che aveva scritto e tutto è nato da lì. “The Guns And The Bombs” e “At The End Of It”, sono estrapolate dalle sue storie e le altre canzoni ne hanno seguito l’ispirazione. Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Avete registrato il CD a Frosinone, dove vivete, ma per mixarlo siete finiti a Bologna. Come mai la scelta dell' Alpha? Perché ci piacciono tutti i dischi fatti in quello studio. E abbiamo conosciuto Giacomo Fiorenza al Greenfly Festival, dove suonavamo prima degli Yuppie Flu, in quell’occasione abbiamo iniziato a parlare di una collaborazione e siamo rimasti in contatto fino ad oggi. Ci tengo a dire che l’Alpha è stato un ambiente in cui ci siamo trovati a meraviglia. Giacomo e Francesco Donadello sono persone cui devi spiegare niente e c’è stata alcuna discussione sulle proposte di mixaggio. Semplicemente ci siamo trovati d’accordo su tutto e non è una cosa che succede spesso. Per “Ventilator Blues”, avete avuto anche diversi ospiti. Vuoi ricordarli? Certo. Otello Rosi, che ha suonato il banjo su “By The Gun”, è un vecchio amico di Gianluca dai tempi dei Bluebonnets, il gruppo in cui suonava prima dei Mosquitos. Poi Sandro Traversi, che aveva già suonato la chitarra su “Electric Center” e ci aveva accompagnato anche dal vivo in diverse occasioni: sua è una delle chitarre noise sulla coda di “Nice At Night”. E, ancora, Marco Schietroma, cantante/chitarrista dei Fleven e batterista degli Sweetsick, due band molto giovani e molto promettenti, che ha aggiunto la lap steel su “Bird Singing”. Giacomo Fiorenza infine, ha semplicemente detto “qua io ci sento proprio un tamburello”, e lo ha aggiunto di sua mano sulla coda di “Bird Singing” e su quella di “By The Gun”. Qual' è stato il concerto più emozionante della vostra vita musicale? Per me ogni concerto è emozionante. Una persona timida che deve salire su un palco per esibirsi non può che essere emozionata. Magari sarebbe più semplice dire quale non lo è stato. Quelli, almeno io, li ricordo tutti. Se non esistesse la Fosbury per quale etichetta uscirebbero i Mosquitos? Ce ne sono diverse alle quali ci sentiamo vicini come attitudine. La Homesleep ci piace molto, ma anche la Ghost o la Urtovox fanno un ottimo lavoro, anche perché in questo momento ci sono tanti gruppi interessanti. Contatti: www.mmmosquitos.com Francesca Ognibene Numero6 Dai Laghisecchi ai Numero6, passando per il “via”. Questa in sintesi la storia di Michele Bitossi – il nostro interlocutore – e Stefano Piccardo, spine dorsali di una band che con “Dovessi mai svegliarmi” (Eclectic Circus-V2/Edel)decide di fare del pop da camera una scienza esatta. Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Partiamo dalla fine. Soddisfatti del risultato finale o col senno di poi avreste cambiato qualcosa? Siamo soddisfatti, ed è la prima volta che succede. Per una ragione o per l’altra, infatti, tutti i dischi pubblicati fino ad ora possedevano, a posteriori, alcuni difetti che ne intaccavano il valore globale. Ovvio, il fattore esperienza gioca un ruolo fondamentale nell’approccio alla scrittura e alla produzione: dopo qualche anno di “militanza” abbiamo probabilmente una maggiore coscienza dei nostri mezzi. Per questo disco avevo pronte una trentina di canzoni, ho scelto banalmente quelle che mi piacevano di più. Le ho registrate in parte da solo e in parte con i miei “compagni di merenda”, curandone la produzione artistica. Importante è stato l’apporto in fase di mixaggio di Maurice Andiloro, una persona splendida e tecnicamente assai preparata. In cosa l’ultimo disco si differenzia dal primo episodio pubblicato a nome Numero6, quel “Iononsono” risalente al 2004? “Dovessi mai svegliarmi” è sicuramente più organico del suo predecessore. “Iononsono” era sì il primo album dei Numero6 ma in un certo senso anche “l’ultimo dei Laghisecchi”. Quel disco, che tuttavia apprezzo, trasuda instabilità, perché uscito in un periodo travagliato per la band. Quest’ultimo è più compatto, contiene idee musicali migliori e una produzione più varia. Mi sono imposto di scrivere con serenità, senza badare a logiche commerciali di alcun genere. Anche con i testi ho operato in maniera nuova, facendo un lungo e meticoloso lavoro di “preproduzione” e scrivendo per circa tre mesi qualsiasi cosa mi passasse per la mente. In seguito si è trattato soltanto di scegliere. Pop ricco di armonie vocali – spesso vicine ai Beach Boys più cerebrali –, geometrie strumentali stratificate, progressioni melodiche ricercate e un instancabile lavoro di limatura sui testi: quali, in due parole, le altre caratteristiche del suono a marca Numero6? Per questo disco io e Stefano abbiamo deciso di lavorare soprattutto sulle voci e sulle armonie. Il riferimento ai Beach Boys ci lusinga. Non sei la prima persona che ci paragona alla band di quel disco-bibbia che è “Pet Sounds”. Ci siamo resi conto che adoriamo il fatto di “giocare” con le nostre voci e dedicare loro molto tempo, col fine di ottenere risultati imprevedibili. La nostra volontà era di fare un disco importante, per questo ci siamo dedicati anima e corpo alla costruzione dei brani curando ogni dettaglio, non fermandoci alla prima soluzione ma scandagliandone le potenzialità. A mio avviso ci siamo riusciti, ora starà alla gente giudicare. Venite entrambi dall’esperienza Laghisecchi. Cosa vi ha lasciato in termini di vissuto l’avventura conclusasi nel 2002? Molto. Uscimmo col primo disco nel 1998 osannati dalla critica e diventammo in breve un piccolo culto. Erano altri tempi, si pubblicava un numero ragionevole di dischi e di conseguenza c’era un attenzione maggiore per progetti come il nostro. Il secondo disco “Très bien: piano b” passò invece piuttosto inosservato e coincise con tutta una serie di vicissitudini discografiche davvero sgradevoli. Mi sono accorto Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 recentemente che molta gente ha apprezzato i Laghisecchi, anche per questo abbiamo in programma un “The Best Of Laghisecchi”, a firma Numero6. Godete dell’appoggio, oltre che di Eclectic Circus, anche di V2 e avete all’attivo alcuni passaggi televisivi su reti musicali specializzate. Come siete arrivati ad ottenere queste piccole soddisfazioni personali? Chiariamo immediatamente un punto: siamo un gruppo totalmente autoprodotto e autogestito. In passato abbiamo lavorato con major, non mi sento di giurare che la cosa non accadrà nuovamente, ma sono convinto che non firmeremo mai più un contratto di casting. Lavoriamo in totale autonomia investendo in prima persona e gestendo senza mediazioni i rapporti con ufficio stampa, booking, promozione radio, TV. Non crediamo tuttavia nell’auto-ghettizzazione, per cui siamo abituati a valutare, di volta in volta, quali siano le “alleanze” più opportune da stringere. A Eclectic Circus e V2, ci lega essenzialmente un rapporto di distribuzione. I passaggi televisivi e la visibilità di cui abbiamo goduto e di cui godremo dipendono dal fatto che la nostra musica - come del resto i videoclip, che siamo soliti autoprodurre - è apprezzata da persone che lavorano nelle emittenti musicali. I brani che proponete presentano testi piuttosto lunghi e articolati. Una simpatia dichiarata per la dimensione narrativa confermata dai contributi raccolti nel booklet di questo CD che alcuni scrittori-amici hanno voluto regalarvi. Come è nata l’idea? Non mi pare che i miei testi siano lunghi, anche perché non ho idea di quando un testo possa essere considerato tale. Articolati forse sì, soprattutto se paragonati alla media delle insensatezze nazionali. Per quanto riguarda le nostre collaborazioni letterarie, la cosa è andata in questo modo: desideravo fortemente mettere in atto un progetto a cui pensavo da tempo e che prevedeva di coinvolgere in un mio disco alcuni scrittori italiani. Ho contattato quindi Violetta Bellocchio, Francesco Dezio, Marco Mancassola, Marco Missiroli, Gianluca Morozzi e Paolo Nori – autori che apprezzo tantissimo – chiedendo loro un intervento ispirato all’ascolto del nostro nuovo album. Sono stati disponibilissimi e ci hanno regalato delle vere e proprie perle, che ovviamente abbiamo inserito nel booklet trasformandolo in sorta di raccolta di racconti. Quali progetti per il futuro della band? Attualmente stiamo lavorando al nuovo live set che porteremo in giro da settembre/ottobre prossimo. Nella band sono entrati tre nuovi musicisti (Max Morales al pianoforte e alle tastiere, Lelio Mollar al basso e Spyros Magliveras alla batteria), abbiamo lavorato per integrarli al meglio ma siamo ancora un cantiere aperto. E’ prevista la pubblicazione di un EP intorno a novembre prossimo dove troveranno spazio una versione di “Da piccolissimi pezzi” cantata in italiano dal grande Bonnie “Prince” Billy e un pezzo inedito il cui testo è stato scritto per noi da Enrico Brizzi. Io sto lavorando al mio primo disco solista che sarà pronto in autunno mentre subito dopo l’estate uscirà il secondo singolo estratto da “Dovessi mai svegliarmi”, ossia “Automatici”, per il quale abbiamo anche realizzato un videoclip che ha come protagonisti Fausto Paravidino e Iris Fusetti (sceneggiatori e attori del Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 film “Texas”) . Contatti: www.numero6.com Fabrizio Zampighi Paolo Di Cioccio Paolo Di Cioccio ha la grinta di un rockettaro e la superbia di un accademico. Nel suo indomabile impeto artistico le due anime convivono; e spesso si azzuffano. L’attitudine rivoluzionaria ha spesso la meglio, ma nell’esprimersi difficilmente riesce a calpestare le regole. Con la sua opera più recente – “The Tarot Of Tomorrow” (Musica Maxima Magnetica) – il compositore romano pretende addirittura di scavalcare i canoni tradizionali del sistema temperato, quegli stessi che sono sopravvissuti per secoli, dando peraltro adito a tutti i capolavori della musica – colta e non – che ognuno conosce. A quello stereotipo vuole dunque contrapporre un nuovo timbro elettronico, riprendendo il discorso lasciato in sospeso – circa mezzo secolo fa – dai primi sperimentatori di circuiti, che al contrario ebbero riscontri e apprezzamenti soltanto tra una ristretta cerchia di cultori. Un progetto così ambizioso merita di essere approfondito. Nelle note del tuo nuovo cd sostieni che la musica è morta... Non sono l’unico ad essere giunto a questa conclusione; e non la considero neanche una diagnosi catastrofica. Mi accorgo che occorre trovare altre vie uditive per non cadere nella solita ed estenuante monotonia. Ma ha ancora senso parlare di musica elettronica? In effetti il quadro oggi è un po’ desolante. I computer moderni, così intuitivi e semplici da adoperare, hanno ridotto al minimo l’antica e noiosissima perdita di tempo del pensare. Per fortuna siamo ancora in molti ad indagare nel profondo il mondo dei suoni. Personalmente ritengo esaurito il fenomeno storico-culturale definito musica. Certamente abbiamo il diritto ed il dovere di interpretare e far rivivere le meravigliose pagine tramandate per secoli. Ma quando si parla di scuola contemporanea debbo arrendermi: riascoltare sempre lo stesso noiosissimo pezzo – che sia stato scritto ieri o cinquanta anni fa, non importa – genera angoscia ed apatia interiore. Sarebbe allora più giusto uscire da questo meccanismo perverso e ricominciare a vibrare con le sensazioni sonore, rinunciando ai facili tranelli perfidamente offerti da una stanca o rumorosissima melodia. Lasciamo stare poi le alienanti sequenze rockettare-cosmico-ballerecce che hanno precluso la scoperta e oscurato la consapevolezza del nostro vero ritmo interiore. Credi davvero che il tuo messaggio possa essere raccolto anche dalla gente Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 comune? I padri dell’elettronica ci hanno insegnato la liberazione dal sistema; oggi sono quasi tutti passati a miglior vita. La recente morte di Ligeti è solo l’ultima delle tante scomparse a cui non posso rassegnarmi. Sento quindi il bisogno di proseguire il cammino intrapreso da questi geni delle nuove sensazioni, riconoscendo loro un profondo debito artistico che pago nel mio lavoro – naturalmente modesto – di compositore elettronico. Se la musica - almeno nella sua accezione comune - ha già battuto tutte le strade percorribili, perché oggi si producono ancora dischi in gran quantità? e soprattutto perché la gente continua ad ascoltarli? Perché si mangia? Perché si fa l’amore? L’uomo moderno si adopera in ogni modo per soddisfare il proprio corpo, sia nel fisico che nello spirito. Da diverso tempo la musica non rientra nei suoi bisogni primari, almeno non più in quelli spirituali. Al giorno d’oggi non ci chiediamo il perché di troppe cose; così anche la musica è diventata merce da supermercato, da svendita fallimentare. Anche in questo disco hai voluto ribadire il tuo interesse per la magia e le scienze occulte. Ritieni che debba essere il compositore o l’ascoltatore a conferire un valore spirituale alla musica? Stockhausen una volta disse che la funzione della musica doveva essere spirituale. Sono in parte d’accordo, anche se non capisco fino in fondo a quale spiritualità facesse riferimento. L’esoterismo è una continua ed estenuante ricerca nel nostro io più profondo; senza mezze misure. Ai tempi degli antichi Sumeri e degli Egizi la pratica della musica era riservata ai sacerdoti; la gente prendeva parte a rituali che causavano sicuramente ascesi e stati di coscienza extra-ordinari. Non esiste comunque una musica esoterica canonicamente definita; ci sono tuttavia dei musicisti che ancora pretendono di fare esoterismo stropicciando primitivi strumenti che ancora oggi, nostro malgrado, continuiamo ad ascoltare. Che influenza ha avuto Robert Moog nel tuo percorso accademico e nelle tue passioni di musicista? Purtroppo non l’ho conosciuto – almeno in questa vita – ma possiedo alcuni magici strumenti da lui creati. La sua invenzione del controllo in voltaggio ha fatto storia ed ha spalancato le porte del successo a tanti artisti: dal meraviglioso Keith Emerson, (musicista di grande sensibilità seppur legato ad un’epoca freak-progressive), a Wendy Carlos, Tomita, Klause Schulze e i Tangerine Dream. Non ci tengo ad indossare il parruccone da accademico o da sognatore invaso di LSD; tuttavia mi domando se è lecito chiedere a queste macchine qualcosa che vada oltre l’effettaccio da osteria e le infinite possibilità dei mostriciattoli elettrici. Dovendo rinunciare ad uno strumento, preferiresti fare a meno dell’oboe e del trautonium? Non ci sono altri strumenti che possano sostituirli, neppure il Theremin… Che cosa dicono i Tarocchi del Domani? Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Poche parole: “per un domani che non sarà più musica”. Un’ennesima provocazione che dedico al mio Maestro, il compianto Franco Evangelisti. Contatti: [email protected] Fabio Massimo Arati Studiodavoli Arrivati con “Decibels For Dummies” (Record Kicks/Audioglobe) al secondo disco, possiamo veramente parlare di “ascesa” per gli Studiodavoli? A sentire le parole di Matilde De Rubertis (voce), sembra proprio di sì. L’ottimismo e l’entusiasmo sono il filo rosso di questo periodo del quale la band è estremamente soddisfatta. "Megalopolis" ha avuto un buonissimo riscontro da parte della critica. Com'è stato ripartire in un clima dove c'erano comunque delle aspettative? È stato un buon disco di partenza, è vero, ma tutti noi eravamo assolutamente convinti che “Decibels For Dummies” sarebbe stato un lavoro più completo e maturo. In realtà non c'è stata nessuna preoccupazione durante la realizzazione dell'album. Eravamo più che certi che non avremmo deluso nessuno. E spero che così effettivamente sia stato. Cos'è cambiato in questi anni tra i due dischi nella band? Avete avuto particolari esperienze che avete inserito in questo lavoro? Non è cambiato assolutamente nulla. Si è semplicemente affinato il lavoro di gruppo. C'è molta più sintonia. Capisci immediatamente se qualcosa non va o che tipo di svolta prenderà una determinata situazione, non solo nei live, ma anche nelle cose che viviamo insieme come amici. Ed è bello. È rassicurante. È quasi perfetto! Il fatto di aver girato tantissimo in giro per l'Italia ci ha reso forti e compatti e ci ha fatto crescere in professionalità e capacità di adattamento. È stato un vero e proprio allenamento mentale e fisico. Come mai avete deciso di chiamare il disco "Decibel For Dummies"? Chi sono gli scemi cui il titolo fa riferimento? Il titolo fa parte di un'altra storia. In origine il disco doveva chiamarsi "Hitch-Hiker's Guide To The Galaxy" dal bellissimo romanzo di Douglas Adams (in italiano “Guida galattica per autostoppisti”, NdI). Eravamo ormai decisi a far uscire l'album con questo nome, quando, un brutto giorno, scoprimmo che la Disney stava per mandare in tutte le sale il film tratto dal libro. Così cominciò un lunghissimo periodo, durante la lavorazione del disco, nel quale uscirono titoli di tutti i tipi. Eravamo completamente in crisi. Finché, sfogliando per caso un libro di Bob Katz che aveva Stefano Manca (fonico e proprietario del Sudestudio a Campi Salentina), trovammo Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 un paragrafo intitolato “Decibels For Dummies”. Nel libro il senso del nome era orientato a descrivere degli esperimenti acustici che fanno i fonici in studio. Nel nostro caso il significato cambia in alcune sfumature: esperimenti acustici sì, ma per chi? Siamo completamente circondati da persone che ascoltano solo quello che viene passato dalle radio convinti che sia l’unica che si possa ascoltare. Quindi: cosa sono tutti se non pupazzi? Qualcuno potrebbe dire che sia un po' severo come giudizio, ma secondo noi è molto divertente. E poi non suona forse bene? La vostra musica si rifà ad un'idea "rétro-futurista" e nelle recensioni si snocciolano sempre i nomi di Stereolab e Stereototal. So che siete appassionati di musica italiana tra gli anni '50 e '60… Credo che con questo disco sia in diritto di dire: "bugia!" a chiunque mi nomini gli Stereolab. Gli Stereototal invece, non penso ci azzecchino tantissimo con noi. Siamo degli appassionati di musica. Estimatori e preservatori della musica italiana degli anni 60/70. Grandissimo e forse unico motivo di orgoglio italiano, secondo noi. Ma, diciamoci la verità, questo può essere definito un disco lounge? Io credo proprio di no! Cosa c'è di lounge? Forse “Kiss” è l'unico pezzo che si avvicina a quel tipo di stile. Ma per il resto? Non penso che si possano sentire atmosfere stereolabiche, fatta eccezione forse, e dico forse, per “City Dweller”, o somiglianze spiazzanti con altri gruppi. Penso solo che, facendo riferimento ovviamente ai nostri ascolti e gusti musicali, siamo riusciti a creare qualcosa di un po' più personale e maturo, cercando di arrivare, quanto più possibile, ad un suono e uno stile nostro e di nessun altro. Apparentemente sembra che non ci siano differenze tra l'esordio e questo nuovo disco, ma le atmosfere qui sembrano più dilatate, forse addirittura psichedeliche. Come avete lavorato per apportare questi cambi, se di cambi possiamo parlare? Non c'è stato nessuno studio di "cambio di stile". Voglio dire, nessuno di noi si è seduto a tavolino e ha detto all'altro: "mmm… questo disco magari lo facciamo più psichedelico." Le canzoni sono semplicemente uscite così. Molto spontaneamente, senza nessun tipo di ragionamento o di programma definito. Ci siamo ritrovati con una ventina di canzoni dalle quali abbiamo selezionato le migliori dodici in base alla composizione o alla complementarietà che potevano avere con altri pezzi. L'unica cosa ragionata è stata quella di cercare di rendere l'album il più omogeneo possibile. Le canzoni sono state molto spontanee, quasi tutte sono rimaste com'erano state concepite nei provini casalinghi. Forse siamo cresciuti noi. Migliorati, per alcune cose e sicuramente, ora, abbiamo un'esperienza di studio assolutamente superiore e imparagonabile agli esordi di “Megalopolis”. Questo nuovo disco vi ha peraltro permesso di girare per concerti molto più che in passato. Com'è stata l'accoglienza del pubblico? Beh, l'accoglienza nei live è varia e multicolore. Non c'è mai stata una situazione uguale nelle diverse città. Devo dire che, in assoluto, Catania è il posto più bello d'Italia dove andare a suonare. Abbiamo suonato tre volte ai Mercati Generali e ogni volta ci siamo impressionati per l'accoglienza e per l'attenzione che ci dedica la Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 gente durante il concerto. Bellissimo, veramente. Ci torniamo sempre con tanta gioia. Per il resto, dipende dalle situazioni, dal posto, dal locale… Ma il bilancio di risposta è assolutamente positivo. Come sta andando il disco a livello di critica e di pubblico? Per il momento non mi sono capitate recensioni negative sottomano. Lo prendo come un fattore positivo. Molti, anzi, ne hanno parlato molto bene e noi siamo felici come dei bambini con in mano lo zucchero filato. Ne abbiamo guadagnato in popolarità: il nome è conosciuto, la nostra musica gira e la gente comincia a venire a vedere i concerti per noi. Contatti: www.studiodavoli.net Hamilton Santià The Fire A voler tracciare un paragone un po’ forzato si può dire che Olly, dimessi i panni degli Shandon, è diventato il Mike Patton nostrano. Molte collaborazioni, con gruppi come Furious Party e Good Fellas, e sempre nuove idee in testa. Ma quella iniziata con gli ex Madbones, e che prende il nome The Fire, è un nuovo inizio che speriamo porti molto lontano. Con un bellissimo esordio – “Lovedrive” (Bagana-V2/Edel) – e un tour in svolgimento tra Italia ed Europa, ci è sembrato giusto parlare di questa nuova creatura e tracciarne le coordinate e le aspettative. Come e quando vi è venuto in mente di provare a fare qualcosa assieme come The Fire? La direzione musicale era già stata decisa "a tavolino" o è venuta fuori in seguito? Ci siamo ritrovati io e Andre a pensare che tipo di sound avremmo voluto da una band nostra dopo i precedenti con Madbones e Shandon e la risposta è stata rock. Non avevamo idea di come ma avevamo le idee chiare sul songwriting: volevamo delle canzoni e non dei pezzi e volevamo che la produzione fosse molto easy, senza fronzoli o virtuosismi. Poi, con il tempo e con più di 40 canzoni scritte, ci siamo trovati a capire in che direzione stavamo andando. Nel frattempo io cercavo un suono che fosse pesante e potente ma allo stesso tempo malleabile ed accessibile a più orecchie, quindi mi sono tuffato mesi e mesi in studio alla ricerca di questo connubio e mi sembra che ne sia uscito un buon lavoro. Un ulteriore aiuto alle mie idee è stato sicuramente dato da Icio dello Hate Studio che ha raffinato il tutto in fase di Mix al Family Studio. I Fire come sono vissuti da tutti voi: una valvola di sfogo o sono il vostro principale progetto? Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Nessuno di noi ha voglia di tornare indietro, i Fire ci stanno dando molta soddisfazione e per quanto mi riguarda vivo meglio questa nuova esperienza che la mia passata esperienza con gli Shandon, al capolinea da un bel po'. Insomma i Fire non sono un progetto parallelo tipo Furious Party o Punx Crew o Good Fellas, è la nostra priorità ed è quello che siamo veramente. Come ho scritto nella recensione quando due songwriter si incontrano nasce sempre qualcosa di stimolante. Tu e Andrea come avete vissuto la fase di scrittura di "Loverdrive", come vi siete divisi i compiti? Diciamo che oltre a noi ci sono altri autori che hanno collaborato: Luca Chiaravalli nell'aspetto musicale e Cristiano Cairati e Max Turozzi sui testi. Persone che ci hanno aiutato a colmare qualche lacuna e ad arricchire le idee. Non c'è un metodo vero e proprio: ogni tanto parte tutto da un riff, una volta da una frase o da una parte strumentale. Figurati che la strofa di Emily è stata scritta in bagno, un aneddoto suggestivo no? (risate, NdI) Come sono state le prime reazioni al progetto? E' stato facile scrollarvi di dosso l'etichetta delle vostre esperienze precedenti, o è una costante a cui vi siete abituati? Direi che sono state ottime e favorevoli al nuovo suono, anche se sembra scontato dirlo. Chiaramente alcuni fan di Shandon e Madbones ci sono un po’ rimasti male ma molti di loro hanno capito l'onesta del progetto. Io personalmente ho avuto mille domande sul fatto dell'abbandono dello ska-core o del punk melodico, ma onestamente non mi sono mai sentito relegato nel ruolo del cantante in levare. La musica è come i vestiti, la si cambia in base all'umore o al periodo: lo può fare un ascoltatore, perché non dovrebbe farlo un musicista? Essere fedeli a un genere e rilegare un linguaggio in un suono solo è da persone che non accettano i cambiamenti, ed io esigo da me stesso il cambiamento e adoro assaggiare nuove sensazioni. Se quelli che mi ascoltano vogliono da me una cosa sola, non capiscono come sono fatto e quindi non capiscono cosa comunico. Forse è un pensiero presuntuoso ma è paurosamente realistico. Le prime date dei Fire si sono svolte all'estero: coincidenze casuali o è indice di una vostra precisa volontà "esterofila"? In effetti l'idea era di suonare prima in Europa per farci condizionare dall'aria che tira, per cercare un sound più esterofilo e meno Italiano. Anche il fatto che fuori da qui vieni considerato un Musicista e un Artista e non un semplice Intrattenitore stimola il lavoro e rende tutto molto più carico di entusiasmo. Girare l'Europa, cercare contatti per suonare, cercare distribuzioni e label aiuta a mantenere una certa concentrazione sul progetto, mentre suonare in Italia per l'ennesima volta e poi tornare a casa dopo il concerto porta tutto a una sorta di routine che toglie vitalità. Ascoltando "Loverdrive" ho notato che i brani hanno una grossa musicabilità: hai mai pensato che, per far breccia nel pubblico nostrano, avreste potuto cantare qualcosa in italiano? Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 Molti testi suonerebbero bene anche in Italiano ma mi sono un po’ stufato di questa regola non scritta, dove per vendere un disco in Italia bisogna fare il singolo in Italiano: ma dove viviamo? La scusa è che la gente vuole capire cosa si dice nei testi? Balle! Allora perché Marilyn Manson o Madonna per essere inclini al mercato dello stivale non fanno i loro singoli in Italiano? Venderebbero il doppio? Non credo, però se sei Italiano e non stai alle regole della discografia sei out. Il pubblico che vuole cantare le canzoni che sente alla radio, farfugliando un fake english lo può fare su un pezzo dei Placebo (tipo mia sorella) o dei Rolling Stone (tipo mio padre) come su uno nostro (tipo me)… (altre risate, NdI) Quali sono i gruppi musicali che al momento trovi più interessanti e stimolanti? Al momento ho un po’ di crisi degli ascolti: mi annoia tutto ma è colpa mia, non della musica. Devo dire però che mi sono innamorato da un paio di anni dei The Fire Theft, un gruppo stellare formato dagli ormai sciolti Sunny Day Real Estate dove milita anche il bassista dei Foo Fighters. Anche Foo Fighters e Motorpsycho mi hanno entusiasmato, e poi posso dire che sto andando molto indietro, mi sto ascoltando i primi lavori di Tom Waits a ripetizione e anche un po’ di sano hard rock tipo i Deep Purple, i Motörhead o gli AC/DC, dei sempreverdi che ogni tanto vanno rimessi nello stereo per ricordarsi il motivo per cui lo sono. Riguardo ai gruppi Italiani invece mi fa piacere citare Lemeleagre, ottimo gruppo rock romagnolo, e Deasonka, che ho scoperto grazie al progetto Rezophonic. Contatti: www.thefiremusic.com Giorgio Sala Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '06 “MusicalBox” Fortezza Albornoz, Urbino (PU), 19/6/06 Edizione numero sei per “MusicalBox” che, distaccatosi dal cartellone di “Frequenze Disturbate” – all’interno del quale si esibiranno comunque i vincitori di quest’anno – ritorna nella sua sede abituale della fortezza Albornoz. Forse per questo motivo, forse per la presenza in cartellone degli ospiti Damien* (sempre più maturi) e Tre Allegri Ragazzi Morti (una garanzia di divertimento, bacini e r’n’r, con la novità in scaletta di una notevole cover in italiano di “My Little Brother” degli Art Brut), fatto sta che la cornice di pubblico è stata delle più soddisfacenti. Esattamente quella che un concorso di questo livello merita. Il che, in pratica, significa una qualità media dei gruppi finalisti davvero elevata. Alla fine, primo classificato è risultato il cantautore trevigiano Giorgio Barbarotta che, accompagnato da una ottima band (con alla batteria Nicola “Accio” Ghedin degli Estra) ha presentato un pugno di canzoni intense e raffinate allo stesso tempo, confermandosi come autore ispirato e tutt’altro che banale. Secondi, invece, i sassolesi Les Fauves, che hanno mostrato a suon di garage’n’roll come le buone parole spese per il loro EP di esordio “Our Dildo Can Change Your Life” siano più che meritate. Terzi, infine, i fiorentini Underfloor, con il loro rock lirico e graffiante, in cui la lezione radioheadiana viene in qualche modo stemperata da stilemi e soluzioni tipicamente italiane, per un risultato finale di grande impatto emotivo. Doverosa, infine, la menzione anche per chi è rimasto fuori dal podio, ovvero – in ordine alfabetico – i torinesi Farmer Sea con il loro indie-rock pavementiano e i Joule (Alessandria), titolari di un rock d’autore muscoloso e spigoloso con testi particolarmente interessanti. Bilancio più che soddisfacente, insomma. A maggior ragione se si pensa alle difficoltà logistiche e finanziarie che, ancora una volta, gli organizzatori si sono trovati a dover fronteggiare. D’accordo che gli enti pubblici – e gli sponsor privati – stanno vivendo una situazione non certo facile, ma un poco di attenzione in più per manifestazioni di questo genere sarebbe tutt’altro che sprecata, visto il suo valore non solo culturale e artistico, ma anche aggregativo. Aurelio Pasini Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it