La Prima guerra mondiale – la Grande guerra, come venne

La Prima guerra mondiale – la Grande guerra, come venne chiamata dai contemporanei – fu una guerra
totale e di massa: per il numero di nazioni che vi parteciparono, per i milioni di soldati mobilitati, per il
coinvolgimento di coloro che non erano al fronte, per i 10 milioni di morti e oltre 20 milioni di feriti e mutilati
che provocò. Come gli studiosi hanno messo in evidenza, la Grande guerra fu un vero spartiacque della
storia contemporanea: in conseguenza del conflitto crollarono quattro Imperi (austro-ungarico, tedesco,
ottomano, e, in precedenza, a seguito della rivoluzione, russo) e cambiò totalmente la carta geopolitica
dell’Europa e del Medio Oriente. Il centro si spostò dall’Europa agli Stati Uniti d’America, che divennero la
potenza egemone nella politica internazionale.
Alla fine del conflitto prevalsero gli interessi delle grandi potenze vincitrici, in particolare di Gran Bretagna,
Francia e Stati Uniti. In primo luogo, facendo cadere sulla Germania tutte le responsabilità degli eventi
bellici, le furono imposte durissime condizioni economiche, territoriali e militari, che avranno conseguenze
assai gravi negli sviluppi successivi. In secondo luogo, per quanto riguardò l’Europa centro-orientale, si
privilegiò la formazione di diversi Stati multietnici, piuttosto che rispettare il diritto all’autodeterminazione dei
popoli, al fine di contenere la Russia, che con la rivoluzione bolscevica era diventata uno Stato socialista.
Infine, nel Medio Oriente si imposero le logiche imperialiste di Gran Bretagna e Francia, che si spartirono i
territori arabi dell’Impero ottomano. Nei fatti gli esiti della guerra, invece di risolvere i problemi delle diverse
nazionalità – che ne erano stati all’origine – li esasperarono, imponendo – in Europa come nell’ex Impero
ottomano – decisioni che, in misura diversa, saranno all’origine della Seconda guerra mondiale e di molti
conflitti che si susseguiranno nel XX secolo.
4.1 Tensioni internazionali e nuovo sistema di alleanze
Contrasti tra le potenze. Nel corso dei primi anni del Novecento, come abbiamo visto, si modificò
profondamente il sistema politico creato da Bismarck – che si reggeva sul distacco fra Gran Bretagna,
Francia e Russia –, con la formazione di un nuovo quadro di alleanze, mentre per diversi motivi e su diversi
fronti maturarono quei contrasti che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Germania e Gran Bretagna. In primo luogo, il crescere della tensione fra Germania e Gran Bretagna,
sempre più allarmata per la politica di riarmo avviata da Guglielmo II e per la penetrazione commerciale
tedesca verso il Medio Oriente, della quale erano preoccupate anche Francia e Russia. In particolare,
l’Impero britannico vedeva minacciato il proprio primato sia sul Mediterraneo, sia in generale, a livello
internazionale, in conseguenza dell’affermarsi non solo della potenza tedesca, ma anche di quella
statunitense.
Alleanza anglo-franco-russa. Di fronte alla minaccia tedesca, la Gran Bretagna fu costretta a uscire da
quello che veniva chiamato “splendido isolamento” e ad avvicinarsi alla Francia. Mettendo in secondo piano
le controversie coloniali, le due potenze giunsero a un accordo (aprile 1904), che prese il nome di Entente
cordiale (Intesa cordiale), con cui riconoscevano le rispettive influenze in Egitto e in Marocco. Dopo la
sconfitta russa nella guerra con il Giappone, la Gran Bretagna, con l’obiettivo di accerchiare
diplomaticamente la Germania, superò i precedenti contrasti con la Russia, firmando con questa un accordo
(agosto 1907). La Francia, a sua volta, già si era avvicinata alla Russia, con la quale aveva stipulato la
Duplice Intesa (1893), e aveva rafforzato ulteriormente i legami attraverso il sostegno finanziario alla sua
industrializzazione e, successivamente, dopo la guerra del 1905, alla sua ripresa economica. L’Intesa
cordiale si trasformò così nella Triplice Intesa anglo-franco-russa: si trattava di un accordo non formale
derivante da accordi bilaterali, ma era comunque proprio quello che Bismarck con la sua politica di equilibrio
aveva cercato di evitare. Rimaneva consolidata, sull’altro fronte, la Triplice Alleanza di cui facevano parte
gli Imperi austro-ungarico e tedesco e l’Italia.
Crisi marocchine. Ai motivi di tensione della Francia nei confronti della Germania, che risalivano alla
sconfitta subita a Sedan e alla perdita dell’Alsazia e della Lorena (1870), se ne aggiunsero altri quando la
Francia avviò nel 1905 la conquista del Marocco (che era ancora un regno indipendente). L’imperatore
Guglielmo II fece due tentativi nel 1905 e nel 1911 per opporsi, ma senza riuscirci (prima e seconda crisi
marocchina): la crisi fu risolta con un accordo in base al quale la Germania riconosceva il predominio
francese in Marocco e aveva in cambio parte del Congo francese. Nel 1912 la Francia impose quindi al
paese africano il suo protettorato.
Tensioni nei Balcani. Altro fronte di conflitto era quello dei Balcani dove, come abbiamo visto a proposito
del Congresso di Berlino, ai contrasti fra le grandi potenze (Austria-Ungheria, Russia, Impero ottomano) si
intrecciavano le aspirazioni nazionalistiche locali. La situazione degenerò all’indomani della rivolta dei
Giovani turchi e della crisi interna dall’Impero: la Serbia, che mirava a costruire la propria egemonia sulla
regione, appoggiata dalla Russia, si mise in contrasto con l’Austria per il suo obiettivo di realizzare
un’unione delle popolazioni slave del Sud Europa (Serbia, Montenegro, Croazia, quest’ultima appartenente
all’Impero austro-ungarico); la Bulgaria si dichiarò indipendente; l’Austria, per frenare il programma
espansionista serbo, procedette all’annessione della Bosnia-Erzegovina che amministrava dal 1878.
Guerre balcaniche. In questo contesto, la Russia, approfittando della nuova situazione di crisi determinatasi
nell’Impero ottomano in seguito all’attacco italiano in Libia, favorì la formazione di un’alleanza antiturca fra gli
Stati balcanici (Serbia, Montenegro, Bulgaria, Grecia), che portò alla prima guerra balcanica (1912-1913), in
cui la Turchia fu sconfitta, e alla seconda guerra balcanica (1913), scoppiata per discordie tra i vincitori. Ne
uscì un quadro ancora cambiato e foriero di ulteriori contrasti. Rispetto al Congresso di Berlino, questi erano
i mutamenti: • era scomparso quasi completamente il dominio turco, ridotto alla Tracia orientale;
• la Bosnia-Erzegovina era passata all’Austria;
• fu creato lo Stato autonomo dell’Albania, abitata da popolazioni non slave;
• la Macedonia fu divisa tra Serbia, Grecia, Bulgaria.
Contrasto austro-serbo. La Serbia emerse così quale maggiore potenza regionale, ma restava
insoddisfatta per la presenza austriaca in Bosnia-Erzegovina e per la mancanza di uno sbocco al mare in
seguito alla formazione dell’Albania. L’Austria, a sua volta, aveva subito una grave sconfitta politica, non
essendo riuscita a contenere la Serbia. Il conflitto fra Austria e Serbia per il controllo dei Balcani divenne
ancora più grave rispetto al passato.
Bellicismo. A questi contrasti di natura politica e dovuti alle mire espansioniste, si aggiungeva il clima di
acceso bellicismo nazionalista e di esasperato patriottismo che si era formato nei diversi paesi, sulla base di
posizioni politiche e ideologiche che si erano affermate tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento:
ovunque la guerra e la violenza sembravano essere divenute l’unico strumento per arrivare alla
realizzazione degli obiettivi che ciascun paese a suo modo si proponeva e, non ultimo, il mezzo per fermare
il movimento operaio e socialista. Un clima che venne peggiorato dalla corsa agli armamenti, dalla
mobilitazione delle forze disponibili per la guerra e da un sensibile aumento delle spese militari in Germania,
in Austria-Ungheria e nei paesi della Triplice Intesa.
4.2 Lo scoppio del conflitto
Sarajevo. L’attentato di Sarajevo, in Bosnia, il 28 giugno 1914, in cui rimasero uccisi l’erede al trono
asburgico Francesco Ferdinando e la moglie Sofia per mano dello studente nazionalista serbo-bosniaco
Gavrilo Princip , costituì la scintilla che fece esplodere la polveriera di contrasti che – come abbiamo visto –
si erano stratificati nel corso degli anni. Si trattò solo dell’ultimo episodio di una catena di tensioni, che,
peraltro, non suscitò nemmeno un’immediata reazione: in Austria non fu proclamato il lutto nazionale e
l’ultimatum alla Serbia fu trasmesso quasi un mese dopo. Furono i militari austriaci e tedeschi a premere
perché si arrivasse alla resa dei conti con la Serbia, accusata di aver armato gli attentatori. La Germania e
l’imperatore Guglielmo II, sostenuto dai grandi industriali, con i Krupp alla testa, direttamente interessati alle
costruzioni navali e all’industria degli armamenti, svolsero un ruolo di primo piano nello spingere l’Austria
verso l’ostilità. Intanto, anche la Russia, che prese subito le parti della Serbia, iniziò a mobilitare il proprio
esercito.
Ultimatum. Quando il 23 luglio l’Austria inviò l’ultimatum alla Serbia, con il quale le veniva imposto di
accettare la presenza di funzionari austro-ungarici per la «soppressione del movimento sovversivo», e la
Serbia, pur accettando le altre richieste austriache, respinse questa clausola, che metteva in discussione la
sua stessa sovranità, la polveriera esplose in tempi rapidissimi: alla dichiarazione di guerra dell’Austria il
28 luglio, il meccanismo delle alleanze che si erano costituite nel corso degli anni si mise in moto
trascinando nel conflitto le altre potenze: saranno alla fine del conflitto 28 le nazioni che vi prenderanno
parte. Fu la prima guerra mondiale della storia non solo per i paesi coinvolti, ma anche perché, nonostante
il centro principale delle operazioni si svolgesse in Europa, si combatté in Africa (dove le colonie tedesche
furono rapidamente conquistate dagli anglo-francesi), nel Pacifico (dove furono occupate dai giapponesi) e
soprattutto in Medio Oriente, luogo nevralgico dei successivi assetti internazionali; nell’esercito inglese e in
quello francese inoltre furono inquadrate truppe provenienti dalle loro colonie.
Per la guerra. Le dichiarazioni di guerra vennero accompagnate da entusiasmo collettivo ed esaltazione
patriottica, tutti erano convinti che il conflitto sarebbe stato di breve durata e vittorioso e milioni di uomini
corsero ad arruolarsi. Pochi ne avvertirono i rischi. Anche nel campo socialista molti partiti, dimenticando gli
ideali internazionalisti e la tradizione pacifista e antimilitarista della II Internazionale, si schierarono con la
propria nazione. Tra i primi furono i socialdemocratici tedeschi, che votarono in Parlamento a favore dei
crediti di guerra, in nome della solidarietà nazionale, tanto che in quell’occasione Guglielmo II affermò: «Non
ci sono più partiti, ci sono solo Tedeschi». Ugualmente fecero i socialisti francesi: l’unico che si era opposto,
Jaurès, fu assassinato da un militante di destra (31 luglio 1914). Solo i socialisti russi, serbi e italiani
mantennero una posizione contraria alla guerra. La stessa II Internazionale fu impotente contro il conflitto e,
non potendo ricomporre la spaccatura determinatasi tra i partiti aderenti, di lì a breve si sciolse (1917).
Voci isolate. Gli intellettuali, salvo poche eccezioni, si schierarono entusiasticamente per la guerra, sia con
le proprie opere, sia arruolandosi volontari. In quei mesi di euforia non vi era spazio per messaggi pacifisti,
come quelli dell’inglese Norman Angell, autore della Grande illusione (1910), in cui metteva in evidenza che
le guerre non producevano vantaggi per l’economia capitalistica, o dello scrittore francese Romain Rolland,
che si appellò agli uomini di cultura perché restassero Al di sopra della mischia (1915), secondo il titolo di un
suo testo. In Italia, la posizione critica del filosofo Benedetto Croce rimase isolata.
4.3 Guerra di logoramento e mobilitazione totale
Piano tedesco. Ma la guerra non fu breve. Il piano tedesco (elaborato dal comandante in capo Alfred von
Schlieffen nel 1905), che si basava su una “guerra lampo” e prevedeva lo sfondamento a Occidente
passando attraverso il Belgio, per costringere la Francia alla resa e affrontare da un punto di vista di forza il
confronto a Oriente con la Russia, si risolse in un fallimento. L’invasione del Belgio, che era neutrale, suscitò
ovunque indignazione e fu il motivo scatenante per l’ingresso della Gran Bretagna nel conflitto a fianco della
Francia.
Fronte occidentale. L’offensiva tedesca, pur essendo arrivata quasi alle porte di Parigi, incontrò, infatti, una
resistenza maggiore del previsto e venne fermata da francesi e inglesi sul fiume Marna (settembre) e a Nord
(ottobre-novembre). La guerra di movimento – come doveva essere per i piani tedeschi – si trasformò in
guerra di logoramento e si arrestò lungo oltre 800 chilometri di trincee e fortificazioni difensive che furono
costruite dalle Fiandre fino alla frontiera svizzera, lasciando gran parte della Francia orientale e del Belgio
sotto occupazione tedesca. Per tre anni e mezzo il fronte non subì spostamenti rilevanti. I soldati vivevano in
condizioni disumane nelle trincee ed erano mandati di tanto in tanto all’assalto della trincea nemica, venendo
falcidiati dalle mitragliatrici. Gli eserciti si fronteggiavano combattendosi per mesi senza raggiungere risultati
significativi, come avvenne, ad esempio, nella battaglia di Verdun (febbraio-dicembre 1916), che si concluse
con 400 000 morti fra i tedeschi e 300 000 tra i francesi, e quella sul fiume della Somme (luglio-novembre
1916) che provocò quasi un milione di morti. Nel Mare del Nord si svolse la dura battaglia fra la flotta
tedesca e quella inglese, con grandi perdite da entrambe le parti, che alla fine costrinsero i primi a ritirarsi
nelle proprie basi (maggio 1916).
Fronte orientale. Sull’altro fronte, i tedeschi riuscirono a bloccare l’avanzata russa, mentre gli austriaci non
riuscirono a piegare la resistenza dei serbi. La Serbia venne occupata l’anno seguente, quando fu attaccata
anche dalla Bulgaria entrata in guerra a fianco degli Imperi centrali (ottobre 1915). Nel 1915 gli austrotedeschi sfondarono le linee russe in Galizia e occuparono la Polonia, arrivando a Varsavia (agosto). I russi
riuscirono ad arrestarne l’avanzata, ma le loro perdite territoriali, in uomini e mezzi furono assai ingenti. Per
spezzare il fronte degli Imperi centrali, gli anglo-francesi tentarono nel febbraio del 1915 di conquistare gli
Stretti che mettono in comunicazione il Mar Egeo con il Mar Nero, ma l’offensiva si risolse in una disfatta a
opera dell’esercito turco a Gallipoli, con grandissime perdite per l’Intesa (battaglia dei Dardanelli).
Guerra sottomarina. La guerra colpì anche la popolazione civile con gli attacchi sottomarini della
Germania contro le navi dirette in Francia e in Inghilterra: grande sdegno suscitò l’affondamento del
transatlantico inglese Lusitania, avvenuto il 7 maggio 1915 al largo delle coste irlandesi, nel quale morirono
circa 1200 civili, tra cui vi furono numerosi americani. Il presidente degli USA, il democratico Woodrow
Wilson (1856-1924), che all’inizio della guerra aveva dichiarato la neutralità del paese, protestò duramente
con il governo tedesco che si impegnò a non attaccare navi civili.
Armi moderne. La Prima guerra mondiale fu una guerra moderna, in cui si fece ampio uso di nuovi
armamenti, via via perfezionati (potenti artiglierie, mitragliatrici, carri armati, cannoni a lungo calibro,
sommergibili, aerei, gas asfissianti), che la resero non solo più distruttiva, ma anche più difficile da risolvere
secondo strategie tradizionali.
Guerra totale. Fu anche guerra totale, che coinvolse non solo un numero elevatissimo di cittadini al fronte,
ma anche la società e l’economia delle diverse nazioni. Gli apparati industriali vennero concentrati nella
produzione di materiale bellico e di tutto quanto potesse servire alla guerra (dalle automobili alle coperte),
tutte le attività che non servivano alla guerra erano sacrificate, mentre lo Stato divenne sempre più il
principale committente per le industrie. La società civile fu anch’essa pienamente mobilitata (si parla infatti di
“fronte interno”), a cominciare da quanti – donne soprattutto – dovettero sostituire nei diversi campi
lavorativi gli uomini al fronte. Le donne entrarono in massa a lavorare nelle fabbriche e numerose si
impegnarono in lavori fi no ad allora esclusivamente maschili, come la guida degli autobus e dei tram e la
loro manutenzione. Parteciparono anche direttamente alla guerra, come volontarie crocerossine, per
assistere i soldati e i feriti. Proprio per la necessità della continua mobilitazione del fronte interno, grande
importanza aveva la propaganda – attraverso giornali, opuscoli e manifesti – a sostegno dell’impegno delle
nazioni e dei loro soldati e perché sempre più persone si arruolassero.
4.4 L’Italia in guerra
Neutralità. Allo scoppio del conflitto l’Italia era rimasta neutrale perché, oltre a non essere stata consultata,
la Triplice era un’alleanza difensiva. Nel paese tuttavia il quadro politico era molto frammentato e quelle
contrapposizioni emerse in occasione della guerra di Libia si fecero più forti, producendo un duro scontro fra
quanti volevano mantenere la neutralità e quanti ritenevano doveroso entrare in guerra. Del primo
schieramento facevano parte la maggioranza dei socialisti (e la Confederazione generale dei lavoratori), i
cattolici, Giolitti e i liberali a lui vicini.
Interventisti. Più composito il fronte degli interventisti, che nel suo insieme era per la partecipazione alla
guerra a fianco dell’Intesa e non quindi con i vecchi alleati, ritenendo che questa poteva essere l’occasione
per l’Italia di liberare Trento e Trieste e completare così l’unità nazionale. In primo luogo, oltre naturalmente
agli irredentisti, vi erano i liberali di destra (fra i quali il capo del governo Antonio Salandra), sostenuti dal
re, e gli interventisti democratici (i socialriformisti e i radicali). A differenza di altri paesi il Partito socialista si
oppose all’intervento: fece eccezione Benito Mussolini, a capo della corrente rivoluzionaria, il quale, con i
fondi stanziati da gruppi capitalistici interventisti italiani e francesi, fondò il quotidiano «Popolo d’Italia» (15
novembre 1914), e venne espulso dal partito. Dalle colonne del giornale – che divenne il luogo di riferimento
per il movimento dei Fasci di azione rivoluzionaria –, con linguaggio aggressivo fece opera di propaganda
contro il governo e il Parlamento che impedivano all’Italia di partecipare al «grande cimento». In prima fila a
favore dell’intervento erano poi i nazionalisti, da sempre sostenitori della guerra come mezzo per affermare
la potenza della nazione, intellettuali come i futuristi e Gabriele D’Annunzio, che con i suoi discorsi e i suoi
scritti, basati su un accorto uso della retorica, svolse un’intensa azione propagandistica.
Patto di Londra. Salandra e il ministro degli Esteri Sonnino avevano intanto avviato trattative segrete prima
con l’Austria, che però non volle fare concessioni, non accettando di cedere Trieste, poi con l’Intesa, con la
quale fu firmato il patto di Londra (26 aprile 1915): l’Italia si impegnava a entrare in guerra entro un mese
dietro la promessa di Trentino, Sud-Tirolo, Trieste, Istria (esclusa Fiume), parte della Dalmazia e di eventuali
compensi coloniali. Ci fu un crescendo di manifestazioni popolari e di esaltazione patriottica in tutto il paese,
che raggiunsero il culmine in quelle che D’Annunzio definì le «radiose giornate di maggio», caratterizzate da
propaganda aggressiva e da violenze contro i neutralisti e i giolittiani, perché il Parlamento approvasse
l’intervento. Sotto la pressione del clima che si era creato nel paese, la maggioranza della Camera – che in
precedenza aveva espresso il proprio orientamento neutralista – approvò la legge che concedeva al governo
i pieni poteri: dichiarata guerra all’Austria-Ungheria, il 24 maggio 1915 l’Italia diede così inizio alle ostilità.
Fronte italiano. Le operazioni sul fronte italiano si svolsero lungo i confini con l’Impero austriaco e furono
comandate dal generale Luigi Cadorna, sulla base di una tattica di assalto frontale alle trincee nemiche,
che però su un terreno difficile (e a bassissime temperature d’inverno) come quello delle Alpi produceva
scarsi risultati a fronte di un numero elevatissimo di vittime. Le offensive lanciate sull’Isonzo e sul Carso,
costate decine di migliaia di morti, non produssero risultati, salvo la conquista di Gorizia (8 agosto 1916).
Con difficoltà nel maggio 1916 gli italiani riuscirono a respingere la spedizione punitiva (Strafexpedition)
scatenata dall’Austria nel Trentino per aver tradito l’alleanza. Il 28 agosto 1916 fu dichiarata guerra alla
Germania. Come su quello francese, anche su questo fronte dominò la logorante guerra di trincea. Le
memorie di Emilio Lussu, tante lettere di soldati, le relazioni di alcuni comandi, conservate negli archivi, che
gli studiosi – seppure solo negli ultimi decenni – hanno fatto conoscere, mettono in evidenza un quadro
tragico, di incompetenza dei comandi, ostinati a mandare al massacro i soldati, di scarso equipaggiamento
delle truppe e di poco addestramento (bisogna ricordare che i soldati erano in ampia parte molto giovani,
essendo di leva, e in maggioranza contadini). All’esaltazione patriottica dei giorni e degli anni che
precedettero la guerra cominciò a subentrare la consapevolezza di cosa essa significasse e della scia di
morte e di desolazione che si lasciava dietro.
Il fronte interno. Anche il fronte interno cominciò a dare segni di cedimento e di delusione. Fra la
popolazione si diffuse l’ostilità verso la guerra, che la costringeva a condizioni di vita sempre più disastrose,
in una situazione economica difficilissima. A Torino nell’agosto 1917 si verificarono tumulti per la mancanza
di pane, che si trasformarono in dimostrazioni contro la guerra e degenerarono in scontri violenti con le
truppe, durante i quali morirono 50 persone.
La rotta di Caporetto. Le difficoltà dell’esercito italiano e dei suoi comandi emersero drammaticamente
quando una violenta controffensiva austro-tedesca sfondò il fronte italiano a Caporetto (24 ottobre 1917) e i
reparti italiani dovettero ripiegare fino al Piave. Fu dato l’ordine di resistere a ogni costo e l’esercito subì
perdite ingenti: 40 000 fra morti e feriti, 300 000 prigionieri, un elevato numero di disertori. La disfatta fu
gravissima per l’Italia e gettò le truppe nello sconcerto e nella convinzione che la guerra fosse perduta. Il
generale Cadorna, fautore di una politica di spietata repressione disciplinare, attribuì la colpa degli
avvenimenti alla mancata resistenza dei soldati, in preda della propaganda disfattista. Si aggravò il
malessere delle truppe e divennero sempre più numerosi gli episodi di insubordinazione, diserzione e
ammutinamento, come è provato dalla quantità di processi e di condanne dei tribunali militari dopo la fine
del conflitto. Si trattò di un fenomeno che si diffuse anche negli altri eserciti: uno dei casi più gravi avvenne
sul fronte francese nel maggio 1917, con l’ammutinamento di più di 40 000 uomini.
Nuovo governo. Dopo Caporetto, si formò un nuovo governo di unione nazionale, presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando, e Cadorna fu sostituito dal generale Armando Diaz, che riuscì a organizzare
un’efficace resistenza contro le offensive austriache sul Piave. Fu istituita una Commissione parlamentare
d’inchiesta che accertò la disorganizzazione dell’esercito e le gravi responsabilità dei comandi e di Cadorna
e addirittura del governo (allora presieduto da Paolo Boselli).
4.5 La guerra in Medio Oriente
Fronte del Caucaso. L’Impero ottomano, entrato in guerra con gli Imperi centrali nell’ottobre 1914, dopo la
vittoriosa battaglia dei Dardanelli, fu impegnato su due fronti. Il primo era nel Caucaso, contro i russi,
nell’obiettivo di ricongiungere l’Impero con le popolazioni musulmane dell’Asia centrale (tartari, kazaki,
uzbechi): l’offensiva si risolse in un fallimento e i russi penetrarono in ampie zone del territorio turco (aprile
1916).
Massacro degli armeni. L’Impero zarista, a sua volta, puntava all’annessione dell’intero territorio armeno.
L’Armenia, come abbiamo visto, era infatti divisa tra la Russia e la Turchia, dove vivevano circa due milioni
di armeni, contro i quali già alla fine dell’Ottocento il sultano aveva scatenato feroci massacri. Traendo
pretesto da sporadici atti di ribellione, nel timore che ulteriori avanzate dell’esercito russo comportassero un
passaggio di massa degli armeni al suo fianco, i turchi iniziarono un’operazione di repressione, che si
trasformò in una vera e propria pulizia etnica: fu il primo dei genocidi del Novecento. Si calcola che ci fu tra
un milione e un milione e mezzo di vittime: molti armeni furono uccisi nei villaggi, altri durante la
deportazione verso il deserto, altri furono decimati dalla fame e dalle malattie. Lo sterminio di un’intera
popolazione era finalizzato all’islamizzazione e alla turchizzazione della penisola dell’Anatolia.
Fronte della Mesopotamia. Il secondo fronte era in Mesopotamia, contro gli inglesi, che vi erano sbarcati
e che in una fase iniziale erano stati respinti (dicembre 1915). A loro volta gli inglesi avevano proclamato il
proprio protettorato sull’Egitto (dicembre 1914), già occupato dal 1882. L’obiettivo turco era di coinvolgere gli
arabi nella “guerra santa” dell’islam contro la Gran Bretagna: gli arabi scelsero invece di liberarsi della
secolare oppressione ottomana alleandosi proprio con questa nazione. Lo sceriffo della Mecca Hussein ibn
Alì negoziò infatti, nel luglio 1915, la loro insurrezione contro l’Impero, avendo in cambio la promessa che la
Gran Bretagna avrebbe appoggiato la causa dell’indipendenza araba una volta che i turchi fossero stati
cacciati. Nel giugno 1916 Hussein diede inizio alla rivolta araba, con l’appoggio del colonnello britannico
Thomas Edward Lawrence (detto Lawrence d’Arabia), che si concluse, dopo aver liberato gran parte della
penisola arabica, con la conquista di Damasco e poi di Aleppo (Siria) nell’ottobre 1918. Le truppe britanniche
erano intanto risalite in Mesopotamia e avevano liberato Baghdad. La guerra su questo fronte si concluse
per la Turchia con la perdita totale delle province arabe, segnando di fatto la fine dell’Impero.
Accordi anglo-francesi. Contrariamente a quanto promesso agli arabi, tuttavia, inglesi e francesi – secondo
le logiche imperialiste – si erano accordati per la spartizione dei territori ottomani. Nel maggio 1916, infatti, il
plenipotenziario inglese Mark Sykes e quello francese François Picot avevano firmato un accordo con il
quale alla Gran Bretagna veniva riconosciuta l’influenza in Mesopotamia e nei territori dalla Palestina al
Golfo Persico, e alla Francia in quelli dalla Siria e dal Libano fino a Mosul, nell’alta Mesopotamia: si tratta di
un passaggio di grande importanza per comprendere gli sviluppi della situazione mediorientale dopo la
Prima guerra mondiale fino – come vedremo – ai giorni nostri. La Gran Bretagna intervenne in maniera
contraddittoria rispetto agli arabi e all’integrità della regione anche per quanto riguardava la questione
ebraica. In una lettera al presidente della Federazione sionistica mondiale (2 novembre 1917), il ministro
degli Esteri inglese lord Arthur James Balfour trasmise una dichiarazione in cui si affermava che il governo
britannico vedeva «con favore l’istituzione in Palestina di un focolare nazionale del popolo ebraico» e che
avrebbe fatto del suo meglio «per facilitare il raggiungimento di tale scopo», dando così il proprio avallo alla
formazione di uno Stato ebraico in Medio Oriente.
4.6 La svolta del 1917 e la sconfitta degli Imperi centrali (1918)
Rivoluzione in Russia. Con il passare dei mesi cresceva il clima di sfiducia delle popolazioni e si facevano
frequenti in tutti gli eserciti episodi di rivolta tra i soldati. La situazione economica dei paesi belligeranti
diveniva sempre più grave, dato il continuo aumento dei costi della guerra e le difficoltà di
approvvigionamento: ovunque si ricorse alla stampa di nuova moneta, con il conseguente rialzo dei prezzi.
La crisi del fronte interno esplose con radicalità in Russia. Nel marzo 1917 una rivoluzione, iniziata
spontaneamente, portò all’abdicazione dello zar e alla formazione di un governo provvisorio. L’esercito
continuò ad andare incontro a nuove sconfitte e il tentativo di un’offensiva in Galizia si risolse in un
fallimento, mentre all’interno la situazione precipitava di mese in mese, fin quando il 7 novembre i
bolscevichi, guidati da Lenin, presero il potere attuando il primo Stato socialista della storia: a questo
dedicheremo il prossimo capitolo. Intanto occorre dire che la Russia, con l’armistizio (dicembre) e poi con la
pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918), uscì dalla guerra accettando le durissime condizioni poste dai
tedeschi, che comportavano, oltre al pagamento di un’ingente indennità, la perdita di Polonia, Finlandia,
Estonia, Lettonia e Lituania.
Appello del papa. La guerra non cessava: il «grido di pace» di papa Benedetto XV (1914-1922; Giacomo
Della Chiesa) contro quella che con parole forti definiva «inutile strage» rimase inascoltato (1° agosto
1917): «Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? – domandava il papa ai capi delle
potenze belligeranti – E l’Europa, così gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale,
all’abisso, incontro a un vero e proprio suicidio?»
Guerra sottomarina. Nel corso del 1917, tuttavia, ci fu la svolta che segnò lo sviluppo bellico. All’inizio di
quell’anno, infatti, il quartier generale tedesco decise di ricominciare la guerra sottomarina, attaccando le
navi di qualunque nazionalità in rotta verso la Gran Bretagna, per rompere il blocco navale e porre fine alla
grave carenza di viveri di cui soffriva la sua popolazione. Fu questo a convincere gli Stati Uniti – già
ampiamente impegnati a sostenere finanziariamente Gran Bretagna e Francia – ad abbandonare la
neutralità e a invitare gli altri paesi a fare altrettanto.
Gli USA in guerra. Nel suo discorso al Congresso americano il 2 aprile 1917, il presidente Wilson affermò
che, di fronte alla guerra sottomarina della Germania contro il commercio – che definì una «guerra contro
l’umanità» e «contro tutte le nazioni» –, gli Stati Uniti avevano il dovere di intervenire per difendere «i diritti e
le libertà di tutte le piccole nazioni». L’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto (avvenuto il 6 aprile 1917) fu
strategicamente di grande importanza per le sue sorti, poiché fornì le potenze alleate di soldati e aiuti, nel
momento in cui l’Intesa era stata pesantemente indebolita dal crollo della Russia; ma lo fu anche per motivi
che andarono oltre la guerra e per il ruolo che essi assunsero nella politica mondiale e nell’assetto futuro
delle nazioni. Oltre che per interessi economici, gli USA entrarono in guerra con l’intento che si ponessero le
condizioni perché non si ripetesse più un simile massacro. A questo scopo Wilson enunciò l’anno seguente il
suo programma di pace in 14 punti (gennaio 1918), al centro del quale erano il rispetto delle nazionalità e
il diritto all’autodeterminazione dei popoli, assieme alla libertà di commercio e l’abolizione delle barriere
doganali, e nel quale proponeva la creazione di un organismo sovranazionale, la Società delle Nazioni, per
garantire il nuovo ordine internazionale. Un mondo in cui vigevano rapporti pacifici tra le nazioni era per gli
Stati Uniti la garanzia per lo sviluppo e la crescita economica.
Controffensive dell’Intesa (1918). Essendosi notevolmente rafforzato grazie allo spostamento di numerose
divisioni dal fronte russo, l’esercito tedesco avviò una nuova offensiva sul fronte francese raggiungendo la
Marna (luglio 1918): ma le truppe alleate, anch’esse più forti in seguito all’arrivo del contingente americano,
la respinsero e diedero inizio, con largo impiego di aerei e carri armati, alla controffensiva (agosto). Da
questo momento in poi, la guerra si volse su tutti i fronti a favore delle potenze dell’Intesa:
• sul fronte occidentale i tedeschi iniziarono la ritirata;
• su quello balcanico l’armata anglo-franco-italiana, sbarcata a Salonicco dal 1916, riuscì a sfondare il fronte
bulgaro-tedesco e a dilagare nei Balcani (settembre);
• l’Impero ottomano, come abbiamo visto, veniva sconfitto (ottobre);
• sul fronte italiano, arrestata l’offensiva austriaca sul Piave, a ottobre l’esercito iniziò il contrattacco,
sbaragliando gli austriaci a Vittorio Veneto. Il 3 novembre, mentre le truppe italiane entravano a Trento e a
Trieste, il comando austriaco firmò l’armistizio a Villa Giusti (entrato in vigore il 4).
Fine dell’Impero austro-ungarico. L’Impero austro-ungarico, sconfitto militarmente, si dissolse. Il governo e
l’imperatore Carlo I (1916-1918) (succeduto al prozio Francesco Giuseppe) tentarono inutilmente di
mantenerlo in vita, trasformandolo in una federazione di Stati indipendenti (18 ottobre), ma ormai, anche per
gli accordi stabiliti nel corso del conflitto, le sue diverse componenti conquistavano la propria autonomia. La
Cecoslovacchia si dichiarò indipendente il 28 ottobre, sulla base del patto stabilito fra cechi e slovacchi a
Pittsburgh (USA) nel maggio 1917: vennero unificate due nazionalità e due regioni economicamente distanti,
la Boemia e la Slovacchia, e fu incorporata la regione dei Sudeti, abitata in prevalenza da tedeschi. Il 6
novembre si proclamò indipendente l’Ungheria. Il 1° dicembre si costituì il Regno dei serbi, croati e
sloveni, secondo quanto era stato stabilito con l’accordo siglato a Corfù tra il governo serbo in esilio e il
Comitato iugoslavo, legato a fuorusciti croati e sloveni (luglio 1917). Dopo che l’imperatore ebbe abdicato
(12 novembre), l’Austria e l’Ungheria divennero repubbliche.
Crollo della Germania. Anche la Germania fu costretta a cedere. Pur non avendo subito una sconfitta
diretta come l’Austria e la Turchia, la Germania, stremata economicamente e militarmente, crollò di fronte
all’esplodere della protesta interna e della rivolta della flotta. L’imperatore abdicò e fuggì in Olanda (9
novembre) e venne proclamata la repubblica. L’11 novembre fu firmato l’armistizio a Rethondes (Francia),
mentre in tutto il paese sorsero consigli di operai e soldati, sul modello dei Soviet bolscevichi, e in diverse
città ci furono – come vedremo – tentativi rivoluzionari.
4.7 Gli accordi di pace e le conseguenze della guerra
Tributo umano. La Prima guerra mondiale era finita, provocando circa 10 milioni di morti e oltre 20 milioni
di feriti gravi e mutilati, ai quali vanno aggiunti i circa 12-13 milioni di vittime (probabilmente un numero
ancora maggiore) della terribile epidemia di influenza spagnola che si diffuse in tutto il mondo tra il 1918 e il
1919. Per i cambiamenti di nazionalità o per l’espulsione dai propri paesi, tra il 1914 e il 1922 ci furono –
sulla base di una stima approssimativa – dai quattro ai cinque milioni di profughi.
La conferenza di pace. Gli effetti politici della guerra furono decisi alla conferenza di pace che si aprì a
Parigi nel gennaio 1919, alla quale non furono ammessi i paesi sconfitti e la Russia bolscevica. Le decisioni
vennero prese dai quattro “grandi”: il presidente americano Wilson, i primi ministri britannico David Lloyd
George, francese George Clemenceau e italiano Vittorio Emanuele Orlando, quest’ultimo tuttavia in
posizione secondaria. Due furono le concezioni che si scontrarono al tavolo delle trattative: da una parte,
quella di Francia, Gran Bretagna e Italia decise a umiliare la Germania e a trarre vantaggi territoriali e politici;
dall’altra, quella di Wilson per il quale – sulla base dei principi dei 14 punti – i nuovi confini dovevano
comprendere le popolazioni che parlavano la stessa lingua e che appartenevano alla stessa nazionalità. Gli
ideali di Wilson furono battuti: prevalsero l’obiettivo di indebolire la Germania e la decisione di dare vita
nell’Europa centro orientale a diversi Stati multietnici, piuttosto che rispettare il diritto
all’autodeterminazione dei popoli, al fine di contenere la Russia bolscevica. Una divisione sulla base del
criterio etnico avrebbe infatti favorito la formazione di piccoli Stati che non avrebbero costituito quel solido
“cordone sanitario” contro l’espansione bolscevica che si voleva innalzare. Nei fatti gli esiti della guerra,
invece di risolvere i problemi delle diverse nazionalità, li esasperarono.
I trattati.
Furono firmati cinque trattati.
1. Il trattato di Versailles (28 giugno 1919) con la Germania, che comprendeva anche lo statuto della
Società delle Nazioni, faceva ricadere sul paese le responsabilità «di tutte le perdite e di tutte le devastazioni
subite dai Governi alleati e associati e dai loro cittadini». Il trattato comportò:
• la perdita dell’Alsazia e della Lorena, restituite alla Francia;
• la cessione temporanea alla Francia dello sfruttamento dei bacini carboniferi della Saar;
• la perdita a Nord dello Schleswig (alla Danimarca), a Est della Posnania, dell’Alta Slesia e del corridoio di
Danzica (alla Polonia), cosicché la Prussia orientale veniva separata dal resto del paese;
• l’occupazione alleata di Renania-Palatinato e la smilitarizzazione a sinistra del Reno;
• la perdita delle colonie che furono spartite sotto forma di mandati*, cioè di protettorati, tra Inghilterra,
Francia, Belgio, Giappone e Australia;
• il disarmo attraverso la riduzione dell’esercito a 100 000 uomini;
• l’obbligo di risarcire i vincitori per i danni subiti con il confl itto.
2. Con il trattato di Saint-Germain (10 settembre 1919) l’Austria venne ridotta a un piccolo Stato di 6
milioni di abitanti. Furono riconosciuti gli Stati nati dal dissolvimento dell’Impero: Ungheria,
Cecoslovacchia, Polonia (che veniva ricostituita con i territori appartenuti all’Austria, alla Russia e con
quelli ceduti dalla Germania), Regno serbo-croato-sloveno. L’Albania fu riconosciuta indipendente.
All’Italia furono ceduti il Trentino, l’Alto-Adige (fino al Brennero), Trieste e l’Istria; alla Romania la Bucovina.
All’Austria e all’Ungheria venne imposto un disarmo pressoché totale.
3. Con il trattato di Trianon (4 giugno 1920) l’Ungheria divenne indipendente ma dovette cedere parte
consistente del territorio a favore di Cecoslovacchia, Regno serbo-croato-sloveno e Romania.
4. Con il trattato di Neully (27 novembre 1919) la Bulgaria dovette cedere la Tracia alla Grecia, la Dobrugia
alla Romania e la Macedonia al Regno serbo-croato-sloveno, ed era privata dello sbocco sul Mar Egeo.
5. Il trattato di Sèvres (10 agosto 1920) con la Turchia assegnò, sotto forma di mandato, l’amministrazione
di Mesopotamia, Transgiordania e Palestina alla Gran Bretagna, di Siria e Libano alla Francia. Alla Grecia
andarono la regione di Smirne, parte della Tracia e Adrianopoli; gli Stretti del Bosforo e dei Dardanelli furono
posti sotto il controllo britannico; Arabia e Yemen acquistarono l’indipendenza; l’Armenia, approfittando del
collasso dell’Impero, nel maggio 1918 si era costituita in Repubblica autonoma, che comprendeva assieme
alle regioni turche quelle russe. La Turchia fu quindi ridotta a poco più della zona dell’Anatolia, con meno di
8 milioni di abitanti.
Nord Europa. A Nord dell’Europa, sui territori che la pace di Brest-Litovsk aveva strappato alla Russia e
posti sotto il protettorato tedesco, nascevano le repubbliche di Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia.
La Società delle Nazioni e la sconfi tta di Wilson. In attuazione del progetto wilsoniano, il 28 aprile 1919
nasceva la Società delle Nazioni (SDN), un organismo internazionale che aveva lo scopo, come recitava il
patto costitutivo, di «promuovere la cooperazione internazionale» e di «realizzare la pace e la sicurezza
degli Stati», attraverso «l’impegno a non ricorrere in dati casi alle armi; lo stabilimento di rapporti palesi,
giusti e onorevoli fra le Nazioni; il fermo riconoscimento delle regole del diritto internazionale come norme
effettive di condotta fra i Governi; l’osservanza della giustizia e il rispetto scrupoloso di ogni trattato nelle
relazioni reciproche dei popoli civili». L’organizzazione favoriva quindi un programma di disarmo generale e
prevedeva l’applicazione di sanzioni collettive a carico di quegli Stati che, violando il patto, facessero ricorso
alla guerra. Operativa dal gennaio 1920, con sede a Ginevra, la SDN non riuscirà a svolgere questo
compito, nascendo già indebolita e con significative limitazioni: ne furono escluse Russia e Germania, e gli
stessi Stati Uniti non vi aderirono. Wilson, che pure aveva svolto un ruolo fondamentale nella sua
costituzione, non riuscì a convincere il proprio paese della necessità di prendervi parte, prevalendo la
posizione “isolazionista” dei repubblicani: il Congresso non ratificò infatti i trattati di pace e il candidato del
partito democratico alle elezioni presidenziali del novembre 1920 fu sconfitto dal repubblicano Warden
Harding (1865-1923).