DE VINUM VERITAS In estate esco sempre presto al mattino, quando l’aria è ancora fresca e la brezza è leggera sulla pelle del viso, tesa per la barba appena fatta; le ombre sono lunghe e morbide, non grigie ma azzurrine, e la differenza di temperatura, nel passare dal sole al riparo degli alberi, non sembra sia così tanta, e spesso non ci si fa caso. E’ un po’ lo stesso effetto che si prova nel decidere un abbinamento tra cibo e vino: sembra di illudersi che il naso, la mineralità, la sapidità, la rotondità, l’azione dilavante siano le sole qualità sulle quali sintonizzare il connubio solido – liquido, senza salti di percezione, né ombre. Ma chi nota la temperatura del cibo, ed il colore? Spesso non ci si fa caso. Credo che, quando cucino, debba essere un po’ come il fotografo, prima di uno scatto, capace di scomporre la luce, di misurarne la temperatura, di valutare un accostamento cromatico tra brillantezze, riflessi e ombre, di valorizzare la leggerezza di un velo che fluttua nel vento, o la luce che, investendo un volto, seguendone le curve, accentua le espressività tagliando le spigolosità delle ossa alte degli zigomi. Ecco, la consistenza. Quella qualità della pietanza che sembrerebbe immisurabile e che invece esprime la grande differenza al palato, che determina la sapida leggerezza o la speziata persistenza ed il suo corretto abbinamento col fluido che la segue, più o meno ricco di perlage, o di tannini. E’ come se mutasse il punto di vista, l’illuminazione, la prospettiva, mutando gli aspetti salienti delle qualità della sostanza, pur apparentemente immobile nelle sue proporzioni. E se io fossi anche un compositore, un musicista? Una mano a seguire l’armonia, l’altra all’accompagnamento, due modalità sinergiche per eseguire una melodica sinfonia di matematica creatività, la sensibilità di fiati, archi, percussioni per redigere sul pentagramma la pienezza di una sensazione completa ed avvolgente, piacevole all’orecchio. Poiché diciamo “sentire un vino morbido”, potremmo apprezzare la musicalità stessa del vino? La nostra bocca non è forse anche uno strumento musicale, una cassa armonica emettente suoni, ed evidentemente in grado di riceverne vibrazioni sonore o frequenze di liquidi di un mare alcolico. Complesse sensazioni di sapori? Ma il rapporto del vino col cibo può essere anche quello che ho tra canto e musica, parole e sospiri sulla melodia che ha tempi, ritmi e pesi calibrati, così come è misurata l’interazione tra il vino ed il cibo abbinato. Ecco, la consonanza gastronomica. Note di musica suonate in cucina, scritte per essere interpretate da tutti gli organi percettivi, di palati fini, di orecchie musicali, di olfatti acuti, che condividono una visione artistica della mise en place, di mani che toccano il cibo, per portarlo alla bocca. Si può apprezzare l’abbinamento di musica classica ad un piatto di spaghetti alle vongole? Si può bere gassosa fredda sentendo jazz caldo? Si può ascoltare rock ‘n roll mentre fuma una ribollita? Esiste la consonanza musicale anche della nostra percezione dei colori, delle tonalità più o meno accese, del genere musicale e del piacere del palato che viaggia secondo binari genetici e di educazione al gusto musicale, pittorico o gastronomico. Anche se le winemakers donne sono figlie del nostro secolo, l’apoteosi del vino è l’essere potenzialmente donna madre. Non è forse una gravidanza in cantina che dura almeno nove mesi? Non è un parto la vendemmia stessa, la vinificazione, a completamento di allevamento e cure, e poi lo svezzamento nell’educazione in botte, delle spigolosità caratteriali? Non sono forse i vini figli, gemelli diversi, della stessa madre terra? Arte è determinare il corretto abbinamento delle materie, dell’incontro della terra del vino con la terra delle verdure e delle carni, o col mare con i pesci. Arte è coniugare la natura, l’esperienza di millenni di storia dell’uomo, tutta in un solo sorso, in un boccone. Un’arte davvero ma, spesso, non ci si fa caso.