Luglio/Agosto '09 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Luglio/Agosto '09 Numero Luglio/Agosto '09 EDITORIALE Con l’arrivo dell’estate anche “Fuori dal Mucchio”, come sempre, si appresta ad andare in vacanza. E, visto che il numero di luglio deve servire anche per agosto, ecco che vi abbiamo preparato un sommario ancora più ricco del solito: trenta recensioni (più una nello spazio “Dal basso”), dieci interviste e tre report. In particolare è su questi ultimi che vorremmo attirare la vostra attenzione, visto che riguardano tre festival, diversi tra loro ma accomunati dall’entusiasmo degli organizzatori e dalla qualità della proposta. E se, come si dice, tre indizi fanno una prova, le manifestazioni in questione – e altre simili, di cui non abbiamo potuto occuparci – ci forniscono l’immagine di una scena rock tricolore non soltanto estremamente prolifica, ma anche vivace e creativa più che mai. È con questa (bella) immagine negli occhi che ci congediamo in vista del meritato riposo, per poi ritrovarci tutti qui, a settembre, pronti ad affrontare insieme una nuova stagione all’insegna del rock – in senso lato, naturalmente – italiano. Buone letture, allora, buoni ascolti e buone vacanze. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Francesco Forni Francesco Forni, 36enne di nascita napoletano, romano d’elezione, esperienze nel teatro e nelle colonne sonore e nel Collettivo Angelo Mai, ha dato da poco alle stampe il suo esordio discografico “Tempi meravigliosi” (Blue Venom/Self). Un lavoro pregevole intriso di blues, folk, cantautorato a metà strada tra la scuola romana, Jeff Buckley e Jimi Hendrix, del quale viene riproposta una versione unplugged di “Voodoo Child“. Chi è Francesco Forni? E cos’ha fatto prima di “Tempi meravigliosi”? Sono da molto tempo chitarrista e compositore. Ho partecipato a tanti progetti, e sempre portato avanti la mia musica. Lavoro con il teatro, il cinema e attualmente scrivo e realizzo la colonna sonora per uno show televisivo canadese. È un ruolo che amo, l'ho sempre amato anche prima quando ero dalla parte dell'ascoltatore. So che hai iniziato a cantare molto più tardi di aver scoperto la passione per la musica. Come mai? E com’è avvenuto? Pudore, sfiducia e una brutta voce. Il primo l'ho vinto con il teatro, la seconda con la caparbietà, la terza con un'operazione al setto nasale che mi ha liberato il respiro e dato la possibilità di educare la voce. Sebbene tu sia napoletano, c’è tutta una scena romana che ruota attorno al tuo esordio. Mi riferisco a Roberto Angelini, Andrea Pesce, Massimo Giangrande, Rodrigo D’Erasmo, collettivo Angelo Mai, Acustimantico. Cosa individui di peculiare in questa scena? Essendomi trasferito a Roma per me era importante capire chi c'era, cosa proponeva e cosa potevamo scambiarci. Quelli che hai citato sono tutti punti di riferimento per me qui a Roma. Devo aggiungere Filippo Gatti e Pino Marino che sono tra i miei preferiti della scena nazionale. Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 A chi ti senti più vicino dei nuovi cantautori? Non so se c'entra la vicinanza, dirò chi mi piace, oltre i nomi che dicevo prima: Cesare Basile, Francesco Di Bella, Giorgio Canali... mi rendo conto che non sono la nuova scena... ma oggi è difficile venire a conoscenza di nuovi cantautori, è già difficile avere notizie e riuscire ad ascoltare quelli di cui ho parlato fin ora. Il tono prevalente del tuo album mi pare il blues, sia come genere che come – diciamo così – mood. La scommessa è quella di fare blues italiano, in lingua italiana. Hai seguito in questo le orme di qualcuno in particolare? Con “Tempi meravigliosi” ho voluto lavorare sulla canzone partendo dai testi. il blues è passato da là, dalle parole, e in certi casi si è preso anche l'andamento e i suoni della canzone. Credo che il motivo per cui io suoni la chitarra sia il blues... In questo senso le mie influenze vengono tutte da fuori, e il connubio con l'italiano è stata una strada che ho cercato, anche faticosamente, da solo. Viviamo “tempi meravigliosi”, o “tempi di errori e complicazioni”? Che tempi canti? Canto il tempo prima del temporale, ma anche prima del ritorno del sole. Tempi di quando sta per succedere qualcosa e tu sei estremamente più sensibile, tutto ciò che vivi è più intenso. Ci parli delle tue fonti di ispirazione? Si intuisce facilmente il tuo amore per Hendrix... Nel disco c'è “Blue Venom Bar”, un omaggio al chitarrista gitano Django Reinhardt, alla sua musica e al potere in generale della musica di prenderti e spedirti in altri luoghi. c'è “Un giorno qualunque”, una ballad che mi riporta al periodo di Tenco e dei cantautori della scena genovese, “Tre metri sotto terra”, una storia che mi ricorda la scrittura di Vecchioni... Per quanto riguarda le musiche e le sonorità, in “Tempi meravigliosi” credo di avere avuto soprattutto influenze dal mondo anglosassone con venature sud americane e mediterranee. Ma oltre a Hendrix, quali sono stati (e sono) i tuoi ascolti principali? La lista è infinita... ma ai primi posti quelli che sono stati i classici per molte persone: Led Zeppelin (ci ha rubato la prossima domanda, Ndr), Tom Waits, Pixies, Johnny Cash, Jeff Buckley, Ry Cooder, Paul Simon, Nina Simone, Dylan, Bowie, Sylvian, Zappa, Gilmour, Lennon... Dopo essere giunto al fatidico debutto, che sapore provi? Sei soddisfatto, sia del risultato che dei riscontri ottenuti? Mi reputo un artista da performance live. Non c'è concerto o replica teatrale che non mi emozioni e non mi dia brividi e gratifiche, così come spunti su cui lavorare meglio. Non posso dire di provare lo stesso per l'uscita di un disco o di un film. Per me è un mezzo “concreto” per farmi ascoltare anche quando non ci sono. non è così fredda la cosa, ma il disco, le vendite, la distribuzione... Sono cose che non controllo e sulle quali non posso intervenire. Dal vivo me la gioco, a fine serata so sempre se ho fatto un buon lavoro, se sono stato insieme con il pubblico, se l'ho conquistato, se ci siamo emozionati, divertiti. Queste cose non me le dicono le cifre delle vendite o i passaggi in TV, altrimenti dovrei cambiare mestiere. Però del risultato artistico del disco, che devo anche a tutti i collaboratori, sono Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 contento. Come porti dal vivo il tuo album? Quali cover esegui in concerto? Lo spettacolo live cambia sempre, resta vivo. Decido di volta in volta la formazione, i musicisti, gli strumenti. Per quanto riguarda la scaletta, che decido pochi minuti prima di salire sul palco, segno sempre l'inizio e l'impronta che voglio dare alla serata, poi mi suggerisco delle canzoni e vado a braccio. Inserisco anche canzoni di colonne sonore o inediti o canzoni appena scritte. Ho un repertorio enorme di cover con brani di tutti gli artisti che ho citato prima e molti altri che amo interpretare. In un paio di compilation ho un brano di Marley e uno di Drake che a volte propongo. Se sono da solo e la gente non vuole farmi scendere posso andare avanti per ore... capita anche che il bis sia più lungo del concerto! Contatti: www.francescoforni.it Gianluca Veltri Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 33 Ore Marcello Petruzzi ha fatto parte dei Caboto e dei Franklin Delano prima di dedicarsi all'attività di autore di canzoni: un cantautore curioso e aperto ad una gran varietà di soluzioni, con uno stile ricco di deviazioni e riferimenti trasversali che fa di “Quando vieni?” (Garrincha Dischi), disco di debutto dopo l'EP dell'anno scorso, un lavoro fresco e ispirato. Ecco l'intervista. Provieni da esperienze musicali in qualche modo lontane dalla forma cantautorale classica. Come ti sei scoperto cantautore, seppur sui generis? La scelta dell' italiano inoltre, a quando mi sembra di capire, non è stata immediata ma è arrivata dopo un po' di riflessioni... Il tempo che ho impiegato a scegliere di cantare in italiano non misura alcuna difficoltà strettamente legata alla lingua. Molti testi li coltivavo da anni, ho accumulato tante pagine scritte tra racconti, canzoni o versi liberi: interesse emerso nella prima gioventù magari da una nota esigenza terapeutica e poi progressivamente estratto dall'emotività con l'intento di pubblicare questo materiale senza limiti di forma. Il problema era piuttosto nel mio background, costruito sulla musica estera e comune a tantissimi musicisti italiani di oggi, che ha bloccato per la sua natura talvolta diffidente l'uscita in lingua madre. Anche con qualche motivo ragionevole, per esempio le sonorità più avanzate di tante realtà provenienti da oltre il confine. La musica italiana mi sembrava impastata nei propri standard melodici e nel rigetto a prescindere di qualsiasi possibilità sperimentale. Naturalmente avevo molto da scoprire nel panorama nostrano e poi non immaginavo di trovare la chiave di una mia musica italiana possibile partendo dal fatto che la via della continuità e della rottura con una tradizione avvengono tanto sull'onestà del testo quanto sulla libertà della composizione. E' un concetto molto semplice. Oggi mi rende perplesso l'idea, ancora così diffusa in Italia, di esprimersi meglio in inglese con parole ricalcate o ridondanti, allontanando una lingua che reputano morta e anti-musicale, come se fosse un problema eventualmente ricalcare o essere ridondanti con la propria lingua. Per parte loro comprendo che ci sia un approccio Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 alla musica più incline alla natura evocativa o alla carica erotica di una voce, al di là dei significati ma – anche se può sembrare improbabile – io credo di muovermi anche in quella direzione. Immagino che il tuo background e le tue collaborazioni abbiano portato elementi costruttivi e dialettici importanti nella tua idea di canzone, soprattutto nella tuo approccio alla composizione. È così, oppure volevi in qualche modo liberarti, molto semplicemente, di sovrastrutture musicali già abbondantemente esplorate? Quando ho cominciato seriamente a lavorare su 33 Ore ero già consapevole di essere in qualche modo vittima dei miei modelli musicali. Il bagaglio riempito di tutte le esperienze fatte è notevole a cominciare dai Caboto, al cui interno nulla veniva negato ed ogni influenza accolta con interesse, dato il disinteresse verso la struttura scritta prima dell'esecuzione; e poi con i Franklin Delano, con i quali mi sono ricongiunto alla via che tiene lo stile al centro a scapito del mero virtuosismo. Ma è da solo che ho potuto sviluppare senza perplessità di gruppo le sfaccettature della musica che avevo imparato anche nei larghi ascolti senza limiti di genere, perché fatte le dovute retribuzioni, nei Caboto la situazione cominciò a mostrarsi sterile (come spesso accade, forse proprio nel momento più "alto" dell'ensemble) e l'aria di progressive che speravo di tenere a bada si era fatta asfissiante, infatti negli ultimi tempi premevo molto per una virata alla canzone che non ci fu mai e che avrebbe potuto portarci a espressioni di originalità tali da dare oggi un po' di rimpianto. I Franklin invece vivevano la fase calante che li avrebbe sciolti di lì a poco (anche in questo caso devo ammettere che gli ultimi concerti furono strepitosi, intensi): dopo il disco americano le "menti" della band sapevano di essere approdate ad una tradizione che li avrebbe privati della propria originalità; infatti poi nacquero i Blake/e/e/e. Insomma, 33 Ore resta autonomo da queste esperienze, come lo dimostra già il fatto che componevo alcune canzoni di "Quando vieni" in parallelo agli impegni con le due band, ma certo era mia intenzione smarcarmi. C'è un senso di incompiutezza (ma non di incompletezza) nelle tue canzoni, l'idea che non sia necessario limare troppo, che l'accostamento dei colori rappresenti già in qualche modo un "senso" complessivo. Ti riconosci in questa dimensione "non finita"? Questa musica può scorrere come dialogo per immagini nitide, o sfocate, o spezzate, decentrate e tagliate male, e rivelare comunque segni inaspettati; non è una comunicazione di sintesi, di compromessi o di patto stabilito, cioè non è un servizio o un manifesto e i suoi concetti chiari. Perciò può permettersi di rinviare i chiarimenti, di spiegare bene, di chiudere un discorso a ridosso di qualche precipizio, e di fare silenzio quando l'idea cessa di dare impulso. Piuttosto una mentalità pittorica, non documentarista. Ecco appunto che a volte vacilla il senso compiuto eppure rimane aria, evocativa, anche in lingua italiana. Su disco ti diverti a suonare buona parte degli strumenti da solo, con l'intervento di qualche ospite. Come "funziona", invece, 33 Ore in concerto? Il lavoro in studio può essere intrapreso con una moltitudine di filosofie diverse, due correnti però le riducono: una spinge sull'essenzialità e la fedeltà di una musica già di per sé ripetibile in live, l'altra investe sull'arricchimento di arrangiamenti, cori, espedienti per creare il mondo compiuto della canzone, quello in cui "dovrebbe stare" (e naturalmente potrebbe stare anche in un mondo scarno se quelle sono le intenzioni). A me vanno bene entrambi gli Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 approcci ma non ho voluto negarmi nulla nel caso di questo disco perché avevo interesse a misurarmi con la realizzazione di scenari completi, registrando tutto ciò che mi veniva in mente, chitarre, ritmiche, anche linee melodiche in MIDI nel caso di strumenti non in mio possesso, per quindi assegnare ai musicisti coinvolti le parti scritte o registrate: violini, fiati... È ciò che continuo a fare anche adesso che sono al lavoro sul materiale nuovo. Una volta usciti dallo studio c'è effettivamente un problema di esportazione ma non mi preoccupa, anzi, lo trovo piuttosto stimolante, intanto perché ho la garanzia che la canzone per sua natura sia autosufficiente e sempre vincolata al suo comunicare, come un'ombra: il suo essere non si stacca mai da ciò che la produce; e poi perché si reinterpreta e si segue ben volentieri la genialità del momento, le condizioni di un set. Suonare con altri è comunque un pregio, anche se non tutto il registrato è ripetibile, e soprattutto è spesso un'esigenza dello spettacolo. Per questo mi ritrovo in realtà dal vivo sia da solo, con la chitarra e qualche effetto, che in duo (con un efficace sax baritono), e con una band di quattro elementi. Contatti: www.33ore.it Alessandro Besselva Averame Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Black Smokers Un album uscito per la Pravda Records di Chicago, “Used”, all’insegna di un blues’n’roll essenziale e viscerale. Questo l’efficacissimo biglietto da visita con cui si presentano i Black Smokers, duo di stanza fra Alessandria e Bologna. Un nome, il loro, che gli amanti della musica più “vera” e priva di fronzoli farebbero bene a seguire con attenzione, perché da queste parti di band così ce ne sono davvero poche. Non a caso, almeno per ora, è negli States che hanno raccolto le maggiori soddisfazioni. Ne abbiamo parlato con Marcello Milanese, voce e chitarra di un sodalizio completato dal batterista Ivano Zanotti. Partiamo dall’inizio: dove, come, quando e perché nascono i Black Smokers? Ho sempre suonato rock-blues di stampo classico componendo io stesso le canzoni, e ho registrato tre dischi con Marcello & The Machine e con i Blues Maphia per delle piccole etichette locali. Anni fa avevo incontrato “Jimbo” Mathus, il chitarrista degli Squirrel Nut Zippers, e avevamo fatto qualcosa insieme; un giorno, parlandogli, mi ero lamentato del fatto che mi mancasse un bassista per fare una serata, e lui mi ha guardato stupito, chiedendomi a cosa mi servisse. Da lì ho iniziato a sperimentare con un organico sempre più ridotto, tenendo a mente l’insegnamento di Miles Davis per cui togliere è sempre meglio che aggiungere. Così, poco alla volta, siamo arrivati alla nascita dei Black Smokers, più o meno tre anni fa. Il dove, invece, è nel Nord Italia più provinciale; siamo molto orgogliosi di venire dalla provincia, perché rispetto alle grandi città devi metterci il doppio dell’impegno per farti conoscere. Non ci sono né il pubblico né i posti per fare qualcosa di originale: qui la maggior parte dei gruppi suonano in tribute band o cover band, dopodiché appena trovano la prima morosa lasciano tutto e si sposano; per chi invece ci crede è davvero difficile. È come essere lasciati in mezzo al deserto: se sopravvivi diventi anche più forte. Nello specifico, io sono di Alessandria, mentre Ivano è delle colline bolognesi. Come vi siete conosciuti? Quando ci fecero la prima proposta per fare un tour in America, siccome c’era stato qualche Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 problema con quello che allora era l’altra metà del duo, che aveva fatto scelte di vita diverse, decisi di contattare il miglior batterista che avessi sentito in vita mia, ovvero Ivano. Ci siamo trovati subito a meraviglia, basti dire che il giorno stesso che ci siamo visti abbiamo registrato il primo demo. E poi, sai, io credo molto nell’emozione del momento, quindi le registrazioni devono essere delle fotografie; ecco perché mi piace molto registrare live anche in studio, è una questione di onestà. Quante volte siete stati a suonare negli States? Abbiamo fatto due tour: il primo di tre settimane e due giorni; il secondo di un mese e una settimana, durante il quale abbiamo superato i diecimila chilometri. Sono stati veramente tanti concerti, in tutti i tipi di locali, da quello da redneck in mezzo al nulla fino alla House of Blues di Chicago, che fortunatamente ci ha chiamato anche per il secondo tour e successivamente ci ha riconfermato ancora, cosa di cui sono molto orgoglioso. Non è però quello il tipo di venue che ti fa paura: è una specie di museo, con un palco che è stato calcato anche da Ray Charles, e quando me l’hanno detto mi sono veramente emozionato; però ci sono locali piccolissimi e sperduti, in cui hanno suonato Muddy Waters o R.L. Burnside e che dall’epoca non sono stati più puliti (ride, Ndr), e quando lo vieni a sapere ti rendi conto di essere davvero fortunato e pensi che tutta la fatica fatta è valsa qualcosa. Che differenze ci sono rispetto a suonare in Italia? La curiosità del pubblico, anzitutto. Se tu fai qualcosa di personale la gente rimane, ed è esattamente ciò che vuole. Qui, invece, se non fai cose che, tra virgolette, possono cantare tutti come in spiaggia, rischi di avere un sacco di problemi. Loro preferiscono non sentire ciò che hanno già in casa, qui invece succede il contrario; e in questo senso là c’è una grande vittoria della fantasia. La cosa che ci ha portato più fortuna è stata cercare di dare un’interpretazione personale alla musica che ascoltano: voglio dire, là tutti sanno chi è Johnny Cash o Robert Johnson, qui invece questo non funziona. Immagino che le primissime volte ci fosse un po’ di timore da parte vostra nell’andare, da italiani, a suonare musica americana in America. Certamente. Ti faccio un esempio: nelle nostre scalette, e nel disco, c’è una versione tutta particolare di “Folsom Prison Blues” di Johnny Cash – pezzo che ho sempre amato moltissimo –, e le prime volte avevo un po’ paura a suonarla, è come se un americano venisse in Italia a suonare “‘O sole mio”. In realtà è stata apprezzata tantissimo, proprio perché la rifacevamo in maniera personale e vera. Questo mi ha insegnato che, ovunque tu sia, se fai uno spettacolo di musica onesta non sbagli mai; là però il pubblico apprezza un po’ di più. Un’altra differenza è che tra musicisti c’è un rapporto bellissimo, qui invece ci si fa la guerra tra poveri. Dalle mie parti vi sono musicisti meravigliosi che vengono ascoltati pochissimo e non vengono aiutati dai colleghi, e le collaborazioni scarseggiano, mentre negli Stati Uniti si aiutano molto di più, forse perché sono più consapevoli che alla fine siamo sulla stessa barca, e c’è spazio per tutti. Come si sono svolte le registrazioni del disco? Volevamo un posto grande, perché l’idea era quella di fare le cose in diretta e col suono migliore possibile. E, grazie a Luca Turatti dei “G di Giallo Studios” di Cesena ce l’abbiamo fatta. A dire il vero, non è che avessi particolari idee in testa a livello sonoro: quando mi Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 hanno chiesto dei riferimenti specifici ho portato un disco di James Brown e uno degli AC/DC. Più che altro, forse, cercavamo il tecnico giusto, e Luca è stato eccezionale. Ci sono solo un paio di sovraincisioni nel disco, niente di più. Come è nato, invece, il contatto con la Pravda? Li conoscevo soprattutto per il lavoro fatto con Andre Williams. La Pravda è un’etichetta varia e realmente indipendente, la cui discografia va dal punk rock al soul più “bastardo”, e ho pensato che potessero avere la mente più aperta per instaurare una collaborazione. Abbiamo iniziato a parlarne, poi una volta sentitici dal vivo hanno accettato l’offerta. Cosa mi puoi dire della traccia registrata dal vivo che chiude “Used”? La nostra esperienza americana nasce grazie a MySpace: tramite quello siamo stati contattati dagli organizzatori del “Deep Blues Festival” di Lake Elmo, Minnesota, che ci hanno chiesto se fossimo disponibili ad andare a suonare da loro. Appena mi è arrivata la loro mail sono rimasto per mezz’ora a fissarla, senza parole, anche perché è l’unico vero festival del cosiddetto alt.blues. Basti dire che abbiamo suonato lo stesso giorno di Bob Log III. È davvero un festival della fantasia. La traccia live del nostro disco viene proprio da una delle nostre esibizioni lì. In Italia c’è un grosso problema con il blues e la musica afroamericana, e cioè che molti non si rendono conto che i Blues Brothers non erano altro che una cover band. E la colpa è anzitutto dei musicisti, che non fanno niente per diffondere un minimo di cultura. Purtroppo pare che la fantasia non venda, quando in realtà si può essere felici suonando ciò che si vuole e al contempo dando al pubblico qualcosa di nuovo, o per meglio dire di personale. Ecco, a mio parere il limite dei festival blues italiani è proprio nella scarsa apertura verso le novità, specie dal punto di vista formale. Il blues canonico è bellissimo da suonare, ma limitandosi a quello si dà una versione sbagliata della storia. D’altra parte i ragazzi che organizzano i festival blues non possono neanche permettersi di rischiare e chiamare Bob Log, perché poi dovrebbero fronteggiare le proteste dei detrattori elegantissimi che invece non vogliono altro che la solita minestra. Non c’è niente di peggio degli oltranzisti, quelli secondo cui il suono deve essere ancora quello degli anni 50, quando invece la storia è andata avanti. Il blues e il rock’n’roll raccontano semplicemente le storie di ognuno, e nel momento in cui uno lo fa in maniera onesta ha già creato qualcosa di diverso dagli altri, perché è del suo vissuto che parla. A proposito: abbiamo parlato tanto dell’America: come stanno andando le cose qui da noi invece? Al momento l’etichetta sta cercando una distribuzione italiana per il nostro disco; fatto questo, entro la fine dell’estate partiremo in tour per la presentazione. In Italia, ma anche in Olanda e Spagna, il che ci rende molto felici, perché più chilometri si fanno e più siamo contenti! Contatti: www.blacksmokers.org Aurelio Pasini Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Ratti della Sabina Dopo due anni di lavoro e di intensa attività live arriva “Va tutto bene” (Rds/Universal), il nuovo disco dei Ratti della Sabina che, traendo ispirazione dal folk delle origini, strizza l’occhio al rock e alle sue svariate declinazioni. Il lavoro si regge su una matrice stilistica cangiante ma comunque incentrata sulla vena poetica dei testi, che rappresenta da sempre il tratto distintivo del gruppo. Ha risposto alle nostre domande Stefano Fiori, una delle due storiche voci dei Ratti. “Va tutto bene” è un disco che segna la “svolta rock” dei Ratti della Sabina, nonostante si avverta ancora in sottofondo la matrice folk originaria. Che legame rimane con gli album precedenti e cosa c’è di effettivamente nuovo? La cosiddetta “svolta rock” non è stata cercata, ma è venuta da sé, si è sviluppata in modo naturale probabilmente dalla necessità di inserire sonorità nuove e diverse all’interno delle nostre canzoni. La matrice folk del gruppo ovviamente emerge in molte parti del disco, in alcuni brani non c’è, in altri è più evidente, ma la questione è soprattutto relativa agli strumenti utilizzati: ad esempio la fisarmonica, che è la regina della musica popolare, ha notoriamente una risonanza folk, ma noi ci siamo divertiti a sperimentare accostamenti nuovi, facendo sì che anche gli strumenti “tradizionali” potessero esprimere sonorità particolari. Alcuni elementi presenti nel disco sembrano quasi “spiazzanti” perché si avvicinano con disinvoltura a certe sperimentazioni rock estremo, tendenti in alcune parti al progressive. Mi riferisco in particolare al brano “Qualcosa di interessante”, che parte con un riff di chitarra elettrica decisamente inusuale per il vostro stile... Il brano a cui ti riferisci contiene effettivamente echi progressive provenienti dagli anni Settanta e riproduce senza dubbio atmosfere che non avevamo mai sperimentato. Non sono io l’autore di questo brano ma ovviamente ho assistito alle varie fasi di costruzione e arrangiamento del pezzo, che ha attraversato vari momenti creativi e subito nel tempo Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 numerose modifiche. Anche qui la scelta è stata del tutto naturale: semplicemente quel tipo di atmosfera è quella che ha convinto di più i componenti del gruppo. Dopo varie prove e tentativi siamo arrivati a questa versione, che ci è sembrata quella più adatta... L’album sembra reggersi in equilibrio sullo sperimentalismo sonoro, da una parte, e poesia dei testi dall’altra. Mentre la musica sembra voler esplorare nuovi territori, i testi mantengono quella semplicità e immediatezza di sempre. È proprio la poesia il tratto distintivo dei Ratti? Le canzoni dei Ratti nascono per tradizione da me a da Roberto, e personalmente ti posso dire che i miei testi e le mie musiche si sviluppano in modo molto immediato: chitarra e voce in camera mia. Non so se effettivamente si possa parlare di sperimentalismo sonoro, ma ovviamente lo studio delle melodie e delle sonorità ha un ruolo molto importante nel nostro lavoro. È certo però che alla base di una buona canzone, per me, c’è la cura del testo, la creazione di un testo che sia evocativo e di facile ricezione e che sia capace di richiamare immagini chiare e concrete ma allo stesso tempo potenzialmente emozionanti. Personalmente sono molto scrupoloso per quanto riguarda i testi, che per me rappresentano la parte embrionale della canzone, anche se non so se questo arriva effettivamente al pubblico. Per quanto riguarda il discorso sonoro, invece, le scelte avvengono in maniera più corale e penso che sia anche la scelta più giusta, visto che spesso la singola persona non riesce a vedere elementi o caratteristiche che invece altri considerano, e che magari possono arricchire il discorso musicale. A dire il vero alcuni testi tendono leggermente al malinconico, penso ad esempio a “Qualcosa di interessante” o “Eccomi qua”. C’è stata un’evoluzione in questo senso? Magari una maggiore maturità nella scrittura dei testi? Sì, diciamo che grossomodo si può parlare di un percorso di maturazione: è ovvio che crescendo siamo diventati sempre più riflessivi, è proprio una questione biologica: quando nella quotidianità ti ritrovi a vivere determinate esperienze, acquisisci sempre più maturità, è un percorso di crescita progressiva e di miglioramento, perché di fatto la vita ti porta a cambiare e ad assumere nuovi punti di vista. Per riassumere, più esperienza acquisisci più diventi maturo, e questa tua maturità ovviamente tendi a riproporla attraverso le canzoni. Sempre a proposito dei testi: il classico duo compositivo Fiori-Billi si apre a nuovi componenti. In questo disco anche gli altri Ratti contribuiscono alla creazione dei testi, pensiamo a “Piccolo Principe” e “Oggi io”. Come è avvenuto questo processo? Che criterio avete usato per l’inserimento dei pezzi nel disco? Diciamo che si è trattato più che altro di una scommessa, proprio per dare un cambiamento a quello che abbiamo prodotto fino ad oggi. Il fatto che alcuni componenti del gruppo, come Paolo Masci, scrivessero, non era una novità, ma visto che da sempre io e Roberto siamo stati considerati i “compositori” del gruppo, gli altri stentavano a fare proposte. Il punto è che, al sesto disco, la voglia di fare qualcosa di nuovo si sente, per cui abbiamo coinvolto Paolo e Alessandro, il violinista, allargando quindi l’invito a proporre pezzi nuovi. Questo è quello che si è verificato ad esempio con i brani “Oggi io” e “Quante volte”. Ovviamente poi tutti i brani sono stati rivisti insieme, proprio per il discorso corale che ti ho accennato prima, perché se una canzone abbraccia il contributo degli altri acquista sicuramente un valore aggiunto. Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 I Ratti della Sabina si distinguono per la loro forte e riconoscibile identità e per la formazione, sempre uguale da più di dieci anni. In un gruppo così numeroso, con per di più due cantanti, in che modo vengono prese le decisioni? Dopo dieci anni i rapporti sono sempre gli stessi? Quando abbiamo iniziato a suonare eravamo otto estranei. Io e Roberto ci siamo conosciuti tramite amici in comune e poi abbiamo iniziato a cercare insieme i componenti del gruppo. Partendo come semplici estranei, una volta partito il progetto, si è sviluppato il discorso dell’amicizia e si è creato quell’ “humus” che ha contribuito a tenere insieme il gruppo. Le scelte si prendono solitamente secondo una via molto democratica e c’è molta condivisione, anche se per alcune decisioni una supervisione può essere presa da me o da Roberto. Prima dell’uscita di “Va tutto bene” avete firmato un contratto con l’etichetta On The Road. Cosa significa per voi questo passo? Pensate che in qualche modo il vostro lavoro verrà condizionato da questo nuovo rapporto? Per quanto riguarda la On The Road, il rapporto si è sviluppato sottoforma di interessamento reciproco. In realtà non si tratta di un contratto discografico vero e proprio, ma un accordo relativo al booking e alle attività di ufficio stampa. Tramite On The Road abbiamo avuto poi accesso alla distribuzione Universal. Il contratto è stato stipulato quando il disco era già pronto, per cui non c’è stato alcun tipo di intromissione da parte loro e abbiamo mantenuto al nostra tradizionale autonomia. Ora speriamo (e crediamo) che la On The Road prenda atto di questa nostra autonomia e che continui a fidarsi delle nostre scelte artistiche. Per quanto riguarda i progetti futuri: immagino che al primo posto, come sempre nella storia dei Ratti della Sabina, ci sarà l’attività live. E poi? Che altro? Con l’estate si avvicina anche il tour quindi, come dicevi, al primo posto c’è l’attività live. Anche se in forma embrionale c’è in ballo un progetto di collaborazione con un’orchestra sinfonica, che fa capo ai fratelli Allegrini (uno dei quali è considerato il primo corno al mondo) che vengono proprio dalla nostra zona. Sfruttando questo contatto pensavamo di organizzare un concerto con un’orchestra sinfonica. Ma è ancora tutto in via di definizione... Contatti: www.rattidellasabina.it Federica Cardia Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Maisie Sembravano non uscire più con questo doppio CD “Balera metropolitana” (Snowdonia/Audioglobe) annunciato da tempo e invece eccoli di ritorno, i Maisie da Messina, in formazione allargata a sette elementi e con quarantaquattro ospiti. Un lavoro che vuole essere leggero, ma allo stesso tempo raccontare dei mali del mondo e dell’Italia in genere, giocando anche sull’itineranza delle collaborazioni raccolte in giro per la penisola nel corso di quattro anni e poi rimesse insieme dai due co- fondatori del gruppo Cinzia La Fauci (con cui ne parliamo) e Alberto Scotti. Come avete fatto a mettere insieme tutti questi musicisti e cantanti? All’inizio Alberto componeva le canzoni, dopodichè io partivo con il microfono e la nostra fida 001 a registrare a casa dei musicisti in giro per l’Italia. Il primo volume doveva chiamarsi “Balera metropolitana” e il secondo “Festa in casa”, poi in realtà mi sono resa conto che quasi mai andavo nelle case delle persone a registrare, quasi tutti ci hanno portato comunque in studio, in posti molto belli dove siamo stati accolti meravigliosamente, per circa undici mesi e mezzo e quindi registrando cantando facendo cantare, editando, mixando e così via. Avevamo in mente comunque un suono preciso e trovarlo ci ha richiesto il tempo necessario. Come mai ogni disco, la formazione dei Maisie cambia tutta o in parte? È una scelta o è la vita degli altri che li porta altrove? All’inizio i Maisie eravamo io Alberto e mio fratello. Poi mio fratello, per ragioni sue di vita ha abbandonato il progetto. Per cui restavamo sempre io e Alberto; poi con “Morte a 33 giri” abbiamo avuto il piacere di conoscere Carmen D’Onofrio e anche Paolo Messere, prima nostro fonico poi chitarrista ufficiale del gruppo. Successivamente negli anni di preparazione di “Balera metropolitana” Paolo era sempre più impegnato con il suo progetto e quindi si è allontanato dal nostro ma nel frattempo abbiamo incontrato tante belle persone ovvero Luigi, Michele, Serena e Donato che oggi completano i Maisie. Per quanto mi riguarda, amo e Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 adoro questa formazione e penso che faremo tante belle cose insieme perché ci divertiamo molto. Ho notato che in questo disco ti sei un po’ messa da parte per la composizione che è affidata quasi per intero ad Alberto Scotti, mentre prima firmavate insieme i pezzi. In realtà la musica e i testi sono sempre stati di Alberto Scotti, semplicemente questa volta è uscito di più. Alberto è una delle persone più riservate dell’universo, poi è anche un super democratico comunista per cui non gli piaceva scrivere ogni volta chitarra di, flauto di, però se una persona fa il 95% del lavoro è giusto che sia lui a firmare le cose. Questo disco, di sicuro vi ha spinto ad andare in tour! Già l’anno scorso avevate fatto qualche data e a giorni ne iniziate altre. Sì abbiamo ceduto alle lusinghe dello show business, dopo anni di vita casalinga ritirata, ci concediamo ai migliori palchi italiani. In realtà noi facciamo tutto quello che fanno i gruppi normalmente però al contrario. Prima facciamo sei dischi recensiti meravigliosamente, con accoglienza eccellente da parte della stampa per dodici anni, poi andiamo a suonare dal vivo. Io adesso mi chiudo in garage come tutti i gruppi per provare il live ed è una cosa che mi stimola tantissimo e sono contenta come se avessi quindici anni. Come sarà strutturato il live? Andrete in giro tutti e sette? No, abbiamo una formazione leggermente diversa dal disco ma solo perché le persone che ci accompagneranno adesso, saranno quelli del disco successivo per il quale stravolgeremo delle bosse nove. L’idea nostra è di produrre un live acustico psichedelico, un po’ folk anni 60 e questo perché se anche io volessi portare “Balera metropolitana” in giro così com’è stato suonato mi servirebbe l’orchestra filarmonica di Vienna più una corale, ma poi perché mi piace portare qualcosa di diverso dal disco. Venendo agli ospiti c’è la grande Amy Denio che ha scritto anche due testi. Amy Denio la conosciamo dal 2000 da quando partecipò ad una compilation della Snowdonia. Un po’ di anni dopo, nel 2004, ci chiamò perché aveva una data in provincia di Messina. Allora a quel punto sono andata al concerto e le ho portato le olive fatte da mia mamma, la mostarda con la cioccolata, ma soprattutto un pacchetto di DVD dove avevo masterizzato tutti i pezzi che ci sono su “Balera metropolitana” e tanti altri che non sono stati inclusi. E ho avuto la faccia di suola di invitarla a comporre insieme tre quarti di disco. La cosa magnifica è stata che Amy è una persona veramente bella, una strumentista eccellente e cantante magnifica che vive la musica con passione e amore assoluto e anche i rapporti umani, per cui quando le ho portato queste cose invece di guardarmi schifata, mi ha risposto:”dai ,che bello, dai” e quindi mi ha mandato per risposta quello che aveva registrato. Dopodichè noi siamo entrati in studio a Napoli per registrare e quando le ho detto che sarebbe stato bello averla in Italia a quel punto delle registrazioni, ha risposto direttamente “no, dai, io vengo, dai”. Per cui si è fatta questo viaggio incredibile dall’America per venire a registrare con noi e ti giuro il disco ha veramente cambiato faccia dal punto di vista degli arrangiamenti vocali, dopo il mio incontro con Amy, perché all’inizio avevamo solo qualche corettino, o armonizzazione o controcanto, ma dopo che sono stata in studio con lei dieci/quindici giorni è cambiato tutto perché a quel punto ho cominciato ad osare fino a farci sembrare il Quartetto Cetra. Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 È un disco in generale sull’ipocrisia, sul prendersi troppo sul serio... La nostra idea era di rappresentare dei personaggi che vivono nella metropoli e appunto come dicevi tu: l’ipocrisia, la falsità, oppure il falso moralismo e i rapporti umani fasulli. Il matrimonio come morte civile, morte dell’amore, erano tantissimi i personaggi che volevamo descrivere in questa balera e poi man mano ho notato anche altri percorsi che mi si sono presentati perché erano stati notati da altre persone. Ritorna anche qua il tema della morte, però non era stato progettato. In realtà per noi è come se fosse un giro che fai in città, entri nei negozi, vai nelle case spii nelle intimità e racconti le storie che hai raccolto, senza sognarci di fare però moralismi vari. La versione primordiale delle vostre canzoni come la registrate, con quale supporto? Alberto quando ha un’idea prende la webcam! Prima scendevamo di sotto, attaccavamo la famosa 001 anche per fare il provino più rozzo, essenziale e scarno, ora invece con la webcam, Alberto schiaccia il bottoncino e parte. Certe volte, mentre sono in studio e sto provando delle armonizzazioni, mi manda messaggi video: “Cinzia prova quell’armonizzazione, ma fatta così!” e la canta. Ho un archivio dei suoi filmini dove canta tutto “Balera metropolitana”. Contatti: www.snowdonia.it Francesca Ognibene Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Mamamicarburo Mamamicarburo. Un nome una garanzia. Quasi due decenni di storia, cinque album all’attivo, con tanto di live celebrativo ed oggi di nuovo in pista con “Barçelona” (4T Records), un’autentica esplosione di rock ironico e tagliente, con il ritorno del cantante Teo Morgotti che garantisce quella dose di follia ed imprevedibilità, tipica del loro suono. Oltre a Teo, la formazione comprende Jonathan Gasparini alla chitarra, Lele Borghi alla batteria e Cristiano Incerti al basso. Ed è proprio quest’ultimo che ci racconta fatti, misfatti e sogni “meditabbondanti” dei Mamamicarburo. Vorremmo sapere la verità. Il perché della dipartita e del rientro di Teo Morgotti, il vostro carismatico cantante, che non ha fatto parte della band per il precedente album “Electro”. Non c’è stato nessun litigio o fatto “cruento”. Teo voleva fare altre cose e lavorare ad altri progetti che in parte ha realizzato e che in parte sta ancora portando avanti, molto diversi da quello Mamamicarburo. Il suo ritorno è avvenuto con uguale semplicità. L’ho chiamato, gli ho chiesto di tornare e lui ha detto di sì. Sinceramente un pensiero va anche al cantante che l’ha preceduto, immagino sommerso di attese e confronti. Come se l’è cavata Luca ferro in quel vortice di paragoni? E’ dovuto crescere in fretta. “Electro” del 2003 il terzo album, è il frutto del suo impegno con noi. Il ritorno di Teo voluto e inevitabile essendo il cantante naturale dei Mamamicarburo. Avete pubblicato nel 1995 un album che portava il vostro nome per una major come la BMG, le cose sembravamo mettersi bene. Nel secondo, pur perdendo il contratto, avete piazzato il singolo “Sposa” in tantissime radio. Poi cosa è successo che vi ha frenato? In realtà firmammo con Ricordi, acquisita da BMG nell’agosto dello stesso anno e il disco Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 uscì per BMG/Ricordi. Voglio sottolinearlo perché fu per noi un episodio molto sfavorevole. Il Cd venne letteralmente “buttato fuori” nell’autunno seguente da persone che non ci avevano scelto. Nel 1995 eravamo esordienti in una casa discografica importante, presi per fare del rock’n’roll, poi le cose cambiarono improvvisamente e non fu facile rimanere insieme. Credo che “Supervirus”, uscito nel 1999 e che contiene “Sposa”, sia il nostro “disco perfetto”. Peccato fossimo ancora troppo giovani, troppo folli e probabilmente poco protetti, anche da noi stessi, per rendercene pienamente conto. Siete da tanti anni nel giro rock italiano, avete visto nascere e morire centinaia di gruppi che sembravano destinati ad un futuro radioso. Ora le domande sono due: la prima è perché in Italia non siamo mai riusciti a creare una vera scena rock (Germania, Svezia, Spagna, Svizzera, ) e perché, a parte qualche nome legato più ad un personaggio che ad un gruppo (penso Afterhours/Agnelli, Marlene Kuntz/Godano, Litfiba/Pelù) non è mai emerso nessuno in grado di fare da traino ad una scena che pure esiste, ed è vastissima, a livello underground? Ironia e tante chitarre sono gli ingredienti fondamentali. Temo e lo dico con preoccupazione che il “sistema in Italia” non lo permetta. I Negrita avevano le qualità per emergere e rivolgersi ad un pubblico vastissimo ma hanno dovuto cedere e diventare pop. Non capisco poi le pretese di popolarità di certe formazioni che vorrebbero essere sulla bocca di tutti mantenendo un atteggiamento spiccatamente underground. A metà degli anni 90 si parlò di ondata, vennero prodotti tantissimi gruppi anche rock ma solamente i Negrita possedevano le qualità giuste. Forse sono troppo formazione. Il rock in Italia ha ceduto ad alcuni personaggi il compito di fare sì che le chitarre possano continuare a esserci ma senza vederle e soprattutto sentire troppo, nascoste ad introspezione e liriche nella tradizione. Non so dire se i Mamamicarburo avrebbero potuto essere un traino, non siamo mai stati sufficientemente promozionati per poterti rispondere. Ti posso dire però che ironia e chitarre nei nostri dischi si sentono e ai nostri concerti si vedono. Dal vivo siete una band trascinante, divertente e piena di risorse, capace di coinvolgere il pubblico anche nelle situazioni più difficili. Questa è una caratteristica che possiedono solo le grandi rock band. Non ti sembra strano che oggi molti gruppi arrivino all’album, prima di essersi costruiti una reputazione ed un’esperienza sul palco? Cosa sta succedendo? È cambiato tutto rispetto agli anni novanta. Noi abbiamo sempre fatto musica nostra. Jonathan a vent’anni suonava già la chitarra a un livello altissimo e Teo si lanciava veramente “contro i muri per divertimento” Questo ci ha permesso di fare esperienza senza necessariamente dover avere delle canzoni in radio. La gente si divertiva perché vedeva un gruppo di squilibrati suonare con il piglio delle rock band americane e si divertivano anche i gestori dei locali che così ci tornavano a chiamare. Questo sistema non permetteva a tutti di suonare ma richiedeva qualità a chi saliva su di un palco. Le tribute band hanno aggirato l’ostacolo. Tutti suonano. Chi ha delle idee è schiacciato dai programmi dei locali stracolmi di imitatori di altri e allora sfinito sta in casa a registrarsi le cose su di un computer. Quando si sente pronto va in discografica e se per caso dovesse avere qualche qualità viene in ogni caso stravolto e gettato sul mercato a farsi un po’ di esperienza!! Poi l’immagine collettiva del discografico che ti viene ad ascoltare e ti propone un contratto non esiste più. I Mamamicarburo vennero visti suonare al Vox di Nonantola da Rick Hutton, allora deejay di Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Videomusic e segnalati a Lucio Salvini, figura storica della discografia italiana che ha poi prodotto il loro primo disco senza cambiarlo di una virgola per la Ricordi. Non credo che oggi questo sia più possibile. “Barçelona” è il vostro quarto album di studio. In cosa si differisce dagli altri e quali sono invece gli elementi di continuità con il passato? Il gruppo di lavoro è tornato ad essere quello di sempre con il ritorno di Teo. Fabio Ferraboschi alla regia artistica ma la spinta decisiva credo che sia stata la voglia di Luca Santini, produttore del Cd, di investire su di un quarto disco fino a quel momento solamente sulla carta. In “Barçelona” ci sono delle canzoni che i Mamamicarburo non avevano mai scritto prima come “Sesto senso”, “In-sensibile” e brani che contengono le caratteristiche migliori delle precedenti produzioni. La vera forza del disco sta nei brani più “meditabbondanti” come li ha definiti un nostro fan ma “Barçelona” rimane una corsa forsennata e autodistruttiva su di una strada che si stringe pericolosamente. Mi ha sorpreso vedervi dal vivo eseguire “Ace Of Spades” dei Motörhead. Che altre sorprese ci aspettano? E i Mamamicarburo da quale background artistico provengono, ascoltando gli esordi si poteva parlare di Van Halen, poi quasi di Soundgarden e oggi dove guardate? I Motorhead sono un mito e “Ace Of Spades” un brano formidabile poi Teo riesce a calarsi nella parte di Lemmy Kilmister con straordinaria ironia, a tutti gli effetti la consideriamo “una nostra canzone”. In quanto a sorprese vorrei conoscerle anch’io, Teo si lancia sul palco in attacchi frontali e indiscriminati contro di noi, più di una volta è stato difficile poi addormentarsi la notte..!! Le nostre influenze i Van Halen certo, Soundgarden, ma potrei dire anche Extreme. Nell’album “Electro”, Depeche Mode e Limp Bizkit più di recente Foo Fighters, Motörhead e perché no anche Nine Inch Nails. Jonathan ha una conoscenza enciclopedica del rock mondiale e la band negli ultimi anni ha guardato anche all’Inghilterra tanto che mi piace definire il nostro genere “rock anglo-americano cantato in italiano”. Ho l’impressone che l’Italia si prenda musicalmente troppo sul serio e non sia capace di apprezzare una rock band che pensi anche al divertimento, come elemento di traino, supportato naturalmente dalla qualità. Elio e le Storie Tese rappresentano un caso anomalo, ma hanno avuto un supporto notevole dalla televisione e dai videoclip, quando ancora servivano a qualcosa. Onestamente cosa servirebbe ai Mamamicarburo per compiere il meritato salto di qualità? Un certo tipo di tendenza musicale riesce a imporsi grazie a chi ha i mezzi per poterla spingere. E’ una imposizione e come tale porta a delle conseguenze. Quello che sostieni, cioè che la musica italiana esprime poco rock e poca ironia ad un certo livello è un fatto evidente. Ai Mamamicarburo servirebbe soprattutto continuare a stare insieme divertendosi e una buona agenzia di booking che abbia voglia di divertirsi con loro. Più le delusioni o le soddisfazioni in più di venti anni di carriera? E ci racconti qualche episodio divertente dei vostri movimentati concerti? Tra le tante soddisfazioni poter annoverare tra i nostri fan, un grande artista italiano come Freak Antoni che quando capita non perde l’occasione di mostrarci tutta la sua stima. C’è da dire che le delusioni con il trascorre del tempo si sono trasformate grazie al filtro dell’ironia in Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 storie divertenti, tipo l’avere visto discografici scappare dai nostri concerti spaventati a morte da Teo, tirati in ballo e sputtanati pubblicamente. Capitò in particolare con una signora di prima grandezza della discografia italiana, roba da “tagliarsi le vene” anche subito!! Anche a distanza di dieci anni. Ma noi siamo fatti così, ”prendere..”!! Contatti: www.myspace.com/mamamicarburo Gianni Della Cioppa Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Paolo Spaccamonti “Undici pezzi facili” (Bosco Rec.) è il titolo dell’album di debutto del torinese Paolo Spaccamonti. Un musicista che ha subito dimostrato di avere gusto per la melodia, tecnica e poliedricità, passando da diversivi delle stesse poche note a trame più complesse ma non per questo meno incisive. Un disco capace di colmare momenti che a volte sembrano infiniti e invece con questo lavoro nelle orecchie potrebbero diventare preziosi minuti di gioia dell’anima. Con questo cognome potresti avere tutto dalla vita. Sì, ne vado abbastanza fiero prima me ne vergognavo un po’ e invece adesso è quasi diventato il mio punto di forza. “Undici pezzi facili” è il tuo esordio, ma hai avuto altri progetti prima di questo? Sì, beh, ho collaborato con diverse persone. Prima con diversi amici tra cui DJ Ezda che ha suonato anche con i Casinò Royale, vari cantautori di Torino come Vittorio Cane, Stefano Amen e Daniele Brusaschetto, e poi con Cletus che era un progetto di musica elettronica minimale suonata; però si può dire che questo è il mio primo lavoro completamente solista. Come hai conosciuto Daniele Brusaschetto che poi ha prodotto il disco tramite la sua etichetta la Bosco Rec.? Daniele Brusalchetto inizialmente l’ho visto in concerto diventando subito un suo fan perché mi ha esaltato, dopodiché gli ho chiesto semplicemente se aveva voglia di registrarmi dei pezzi e da lì in poi siamo diventati amici e si è deciso di fare uscire il lavoro per la sua etichetta. Tra l’altro Daniele abita dietro casa mia quindi è stato anche facile farlo. E l’ho registrato quasi tutto da lui a parte tre pezzi che invece sono andato a registrare nello studio di Ezra. Raccontami della prima volta che hai preso in mano uno strumento, quando è stato e Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 che cosa hai preso in mano? Ho sempre suonato la chitarra non ho mai suonato nient’altro. Ho cominciato a suonare a sedici anni ed ero in pieno periodo metal: avevo infatti subito deciso di suonare la chitarra elettrica e infatti credo che anche se non lo ascolto più e non lo pratico come genere, un minimo si possa percepire dalle cose che faccio quando sono da solo; mi è rimasto un po’ il marchio del metallaro. Non andresti comunque al Gods of Metal? No, no. Sono stato a vedere i Black Sabbath quando si sono riformati, ma solo perché lì ho dovuto fare un’eccezione. Oggi ascolto tutt’altro dal cantautorato anni 60 all’elettronica. Ultimamente mi hanno folgorato gli Animal Collective e i TV On The Radio, veramente di tutto e di più. Non ho limiti. Le tue composizioni sono più evocative di mille parole, ma come mai la scelta dello strumentale? Sai non credo sia stata una scelta. Mi sono semplicemente seduto lì e mi è venuto fuori quello. Come dicevo prima, apprezzo molto la scena cantautoriale sia vecchia che nuova, e spesso amo i gruppi con una voce, ma non mi veniva altro, mi è venuto facile fare quello e mi sono assecondato tutto qui. Ci sono dei musicisti che secondo te, ti hanno portato verso questa direzione? In realtà non lo so ho apprezzato molto Daniele Brusaschetto per l’uso del loop che ha fatto con i suoi effetti. Lui è stato fondamentale in quel senso, però di gruppi strumentali in realtà ascoltavo i Mogwai anni fa ma li ho persi un po’ di vista. Mi sono semplicemente lasciato andare. Non credo di essere stato influenzato da chissà chi. Ho cercato di esprimere quello che mi veniva. Tu da cosa parti quando componi, i tuoi brani rappresentano comunque delle storie? Come fai ad immaginarli a metterli in musica? Mi metto in camera e semplicemente mi metto a suonare e se quello che sento mi sembra accettabile lo registro è così che è venuto fuori il disco. A parte tre pezzi del disco che sono stati composti dal mio amico e ottimo contrabbassista Marco Piccirillo. Comunque anche in quel caso era uguale: s’improvvisava in due e se quello che veniva fuori ci sembrava buono, veniva successivamente ripreso e risuonato. Sono quindi nate così “Tex”, “Minos” e “Lamento” provando e riprovando da un primo breve riff o giro di contrabbasso. Ma questi duetti col contrabbassista sono stati composti in un periodo diverso dagli altri? No tutti i brani appartengono allo stesso periodo. Inizialmente dovevano essere due dischi: uno chitarra e contrabbasso e l’altro da solo, poi per una serie di vicende ho fuso le due attitudini e ne è venuto fuori solo uno. È nato tutto due anni fa, quando ho deciso di suonare e di fare una cosa tutta mia. Ci sono diversi ospiti come accennavi prima, vuoi ricordarli? Sì c’è appunto Daniele che ha curato gran parte delle registrazioni che sono state completate da Ezra. Poi Marco il contrabbassista. Si è cercato di tirare dentro amici Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 sostanzialmente. Ci sono due batteristi: Simone Sanna e Francesco Cocola. E non posso dimenticare le violoncelliste Paola Secci e Beatrice Zanin. Sono tutti amici, quindi è stato facile sceglierli. Meglio specificare forse che non suonano tutti insieme negli stessi brani. È molto brava poi la ragazza che ti ha fatto il ritratto che possiamo notare dentro al CD. Ma è davvero questa la chiave del disco un uomo solo con la testa china che sta seduto su una panchina? Quella era una foto che avevo sul computer e ho deciso di farmela ridisegnare da una mia amica. Non so, credo si addica abbastanza al mood del disco. È un sound credo abbastanza intimo cupo. Inizialmente volevo mettere quella foto in copertina, poi ho preferito relegarla all’interno, proprio per la sua natura intima. Spero sia venuta bene, a me piace molto. Tecnicamente come hai registrato il disco? Il disco come ti dicevo è stato registrato in gran parte da Daniele con un computer, l’amplificatore e il microfono – a parte le parti di batteria che sono state registrate in sale varie, l’altra parte, quella legata a Ezra è stata mixata al No.Mad Studio e qui abbiamo potuto sfruttare altri microfoni con una situazione più “professionale”. Sono contento di quello che è stato il risultato finale, sostanzialmente tra il minimale e casalingo. Se dovessi farne un altro mi piacerebbe sfruttare i mezzi che potrebbe mettermi a disposizione uno studio. Dal vivo ti presenterai da solo o ti farai accompagnare da qualche musicista presente anche sul disco? Dipende perchè la dimensione live è sempre aperta, nel senso che alcuni brani li faccio da solo con la mia pedaliera e chitarra, per cui in base anche alla disponibilità dei musicisti, cambio. La presentazione l’ho fatta per dire con Beatrice Zanin, la violoncellista, con Marco Piccirillo al contrabbasso e Daniele Brusaschetto che mi ha accompagnato su un brano. Dipende un po’ dalla situazione. È abbastanza elastica nel senso che quando si può si fa in più persone se no anche da solo ho la possibilità di farlo. Contatti: www.myspace.com/paolospaccamonti Francesca Ognibene Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Petrina È un genio. Di elevatissimo spessore artistico, il suo destabilizzante album “In doma” (DBR/Egea) riesce a combinare con spirito giocoso pop-rock e avanguardia. Tanta esperienza alle spalle, un sacco di idee a illuminare il presente e il futuro. Vi presentiamo l’eclettica Debora Petrina. “In doma” può essere considerato il tuo esordio nel campo della forma-canzone, lasciando da parte il disco di musica contemporanea “Early And Unknown Piano Works” in omaggio a Morton Feldman. In precedenza avevo registrato dei demo, ma non a livello di un disco vero e proprio, prodotto in studio, mixato e masterizzato. Anche se c’era del materiale appartenente al passato che non ho inserito, “In doma” in tal senso è il primo album “serio” e rappresenta la chiusura di un cerchio, anche perché adesso sto avviando un nuovo ciclo di canzoni. Compositrice, songwriter, arrangiatrice, multistrumentista, ballerina, insegnante di musica: come si combinano i tuoi numerosi talenti/impegni? Quella di riuscire a svolgere tante attività simultaneamente e tenere le padelle su tutti i fornelli è una caratteristica molto femminile. Ci vogliono forza d’animo e tenacia, e a volte si sacrifica qualcosa. Quando si parla di ballerina di solito si intende quella classica, ma io ho frequentato palcoscenici di danza contemporanea, che poi sono vicini al teatro, alla sperimentazione e quindi anche al tipo di musica che faccio. La musica e la sperimentazione corporea nel teatro vanno spesso assieme. C’è stato un periodo in cui lasciavo più spazio alle performance teatrali di danza, mentre adesso pratico soltanto nei ritagli di tempo perché la musica è l’interesse principale. L’insegnamento è quello che dà da vivere e che faccio comunque con passione, cercando di essere me stessa e facendovi confluire la creatività. Sono un’insegnante sui generis, che fa suonare il pianoforte all’interno - non solo fuori, tramite i tasti - e spinge anche i bambini più piccoli a comporre. Il titolo dell’album strizza l’occhio all’ambiente casalingo dove hanno preso vita i Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 brani e all’indomabilità di musiche imprevedibili: cura artigianale delle composizioni e ricerca di soluzioni atipiche sono due presupposti fondamentali? Hai assolutamente colto nel segno. La “casalinghicità” dell’album non significa aver registrato con il microfonino a casa - anzi, la produzione è stata accurata dal punto di vista tecnico - bensì si riferisce alla nascita dei brani, ai miei arrangiamenti privi dell’interferenza di produttori esterni. “In doma” come in casa, da sola. “In doma” perché non seguo le leggi del mercato, in una ricerca che mi porta per indole e background a scelte che a volte possono sembrare indomite proprio perché fuori dai generi, dai canoni. C’è anche il rovescio della medaglia, perché qualcuno potrebbe chiedersi in che scaffale posizionare il disco e a quale pubblico destinarlo. Il problema della classificazione è soprattutto italiano. In “Sounds-Like” ti prendi non a caso gioco delle classificazioni di genere, ma nel disco troviamo di tutto: reminiscenze classiche, jazz, cabaret, sperimentazione e avanguardia così come pop, rock, drum&bass e blues. Un obiettivo che ti eri prefissa, quello di mettere in luce la tua notevole duttilità? Non ci ho pensato prima di comporre i pezzi ma mi viene naturale, forse perché i vari generi sono quelli che ho attraversato in tante situazioni diverse. Sono nata come pianista classica e mi sono avvicinata alla musica contemporanea, al jazz, alla vocalità teatrale, alla sperimentazione. L’impronta che stavolta sento più mia si rifà al rock che ascoltavo sin da bambina, al progressive degli anni 70. Un’impronta che è venuta abbastanza fuori in questo disco, anche per via della presenza massiccia di tastiere e pianoforti. Alla luce della tua particolare formazione, cosa reputi interessante nella musica di oggi? Riscontro un appiattimento nell’originalità, un piegarsi in se stessi - che forse è il segno dei tempi, oltre che del mercato discografico - distante dalle scelte che si facevano negli anni 70 o nei primi anni 80, intraprese da gruppi del calibro di Who o Led Zeppelin. La Tori Amos degli inizi non la ritrovo più, oppure penso ad artiste per me straordinarie come PJ Harvey: confrontandolo con ciò che aveva fatto prima, ho trovato “White Chalk” un disco confortevole e rassicurante, anche nel modo di utilizzare la voce. I Radiohead rimangono un esempio di grande coraggio per le loro scelte anticommerciali. Tornando alla duttilità, non si può non pensare al tuo utilizzo della voce. Il lavoro con la voce è tecnico e basato sugli esercizi, ma anche emotivo perché risente degli stati d’animo e della situazione psicologica. La voce si modifica ed è in continua evoluzione, come il corpo che cambia: me ne accorgo con la danza. Questo succede anche con la voce, quando la usi o non la usi, quando stai bene o male. È una parte di me che sto ancora esplorando, sia per quanto riguarda le capacità tecniche - ovvero salti, registri, alti o bassi - sia per quanto riguarda le modalità espressive, da quelle tipicamente cantate/melodiche a quelle più teatrali, espressive, del gridare, del sussurrare, dell’usare il diaframma. Sperimento giorno per giorno, lavorando da sola o con la band e modificando i brani del disco che sto già arrangiando in modi diversi. Quella vocale per me è una sfida, un confronto continuo con me stessa. Una me stessa indomabile perché la voce mi sorprende, come un dialogo con un’altra persona. Sei una musicista dal notevole tasso tecnico, come non è frequente trovarne in Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 ambito pop-rock. Pensi che sia importante bilanciare ricerca di un certo spessore e soluzioni più fruibili? Quello che è tecnico spesso è poco fruibile. Lo avverto ascoltando il progressive puro, che non mi piace neanche tanto perché si nota troppo il lato tecnico, della bravura, che spesso va a discapito dell’espressività: un effetto che cerco di evitare, vivendo i suoni che produco con tutta me stessa, non solo razionalmente. Negli Stati Uniti quello che è pop-rock si sposa con un notevole background culturale e ho avuto la fortuna di conoscere tre artiste che segnalo: Amy Kohn, Emily Bezar e Amy X Neuburg. Cercare di fare tutto da sola corrisponde alla mia indole, anche se difficilmente in Italia - per via degli stereotipi di seduttrice, musa, sirena... - una donna può dirsi musicista e il più delle volte è soltanto la diva che canta, apre la bocca. Rimanendo in campo pop-rock, non sono in effetti tante le donne in Italia capaci di gestire tutte le questioni artistiche senza aiuti esterni. Le difficoltà nel guadagnarsi rispetto sono tuttora maggiori? Di solito la diva del caso figura come autrice, ma in realtà non sa suonare nemmeno due note alla chitarra e ha bisogno di supporto in fase di arrangiamento e composizione: si tratta di mercato, di immagine. La musica rimane un luogo molto maschile, sia nel rock che nel jazz: generi dove prevale il lato tecnico. Nella classica il fenomeno è minore perché ci sono parecchie direttrici e pianiste. Premesso che la tua personalità è fortissima, i paragoni che ricorrono più spesso sono quelli con Beatrice Antolini e Cristina Donà. Siamo delle persone diversissime, con la propria individualità. I confronti ricorrono perché mancano altri termini di paragone. Mi si accosta a Beatrice Antolini perché in Italia non esistono o non sono venute allo scoperto delle donne che al contempo cantino e suonino una tastiera - tra l’altro, utilizziamo lo stesso modello - anche se all’estero ce ne sono parecchie: ho ascoltato le sue musiche e la stimo molto, ma facciamo cose diverse a livello stilistico. Cristina Donà è una cantante che mi piace tanto perché ha un mondo tutto suo, vocalmente parlando ma anche come costruzione delle canzoni, e ho visto dei video di alcuni suoi concerti da sola con la chitarra dal notevole impatto scenico. Non ho mai seguito granché la musica italiana, ho avuto riferimenti di altro tipo e solo negli ultimi anni ho cominciato a capire ciò che mi circonda. Passiamo ai testi, che vedono l’utilizzo di varie lingue e sono efficaci sia nel toccare con ironia argomenti d’impatto sociale sia nel proporre immagini suggestive/surreali. Con le parole ci gioco fin da piccola e la lingua è sempre stata una fonte di scoperta. Mio padre era professore di Lettere ed era solito tenere in mano una penna, con cui correggeva anche i giornali. La mia educazione linguistica è stata precoce: ho cominciato a scrivere a quattro anni e i giochetti riguardavano i sinonimi e i contrari. Nel disco ci sono vari giochi di parole e in “She-Shoe” ho lavorato sui doppi sensi e le rime in inglese, mentre ci sono canzoni in cui cerco appositamente degli scioglilingua velocissimi, come nella spagnola “Asteróide 482”. Da una parte c’è un aspetto ludico, dall’altra pensato perché non riesco mai a buttare giù la prima cosa banale che mi viene in mente. Sono una forte lettrice, ho in mente dei modelli di scrittura e poesia. Un testo poetico a volte rischia di risultare ermetico, proprio perché ricerco delle parole o dei significati non immediati. Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Prima parlavi di Amy Kohn, che è una degli ospiti del tuo album. Ecco, da una parte ti occupi di tutto in prima persona ma dall’altra sei aperta alle collaborazioni. Non è stato difficile ottenere l’apporto del musicisti coinvolti nel disco. Nonostante la sua celebrità, Ascanio Celestini è una persona di una disponibilità disarmante: ci siamo incontrati alla premiazione del “Ciampi” 2007 e abbiamo registrato il suo intervento in un sottoscala di teatro. Chitarrista a trecentosessanta gradi, Elliott Sharp ha inciso nel suo studio di New York con la massima disinvoltura. Di solito è così: i musicisti più grandi sono i più umili e disposti a collaborare, senza tirarsela. Poi c’è appunto Amy Kohn, un talento spontaneo e una carissima amica, la mia sorella d’oltreoceano che ho scoperto simile per inclinazione e modo di comporre estroso e fuori dai canoni. Emir Bijukic, invece, è un compositore serbo-svizzero che ha contribuito alla componente elettronica e ha elaborato i suoni reali di rane di “SMS”. Patrizia Laquidara, con la quale fino a un paio di anni fa portavo avanti un progetto sulle canzoni venete rielaborato con voci e pianoforte, è infine co-autrice del testo di “Fuori stagione”: mi aveva dedicato uno scritto in forma prosaica che mi aveva colpita, per cui ho pensato di farlo diventare una canzone sistemandolo, aggiungendo delle parole e mettendoci la musica. Mi hai accennato ai nuovi arrangiamenti delle canzoni di “In doma”: un lavoro che, immagino, andrà a riversarsi nei prossimi concerti. Adesso ho un nuovo gruppo con origini nel rock sperimentale, gli East Rodeo: due ragazzi croati e uno romano. Saremo io al pianoforte, tastiere e voce più chitarra, basso e batteria. Oltre a riarrangiare le canzoni e a portarle verso altri lidi, ne stiamo imbastendo di nuove. Continuerai a proporti anche all’estero? Quest’anno sono stata molto impegnata, tra l’uscita del disco e l’insegnamento. Non ho avuto ancora la possibilità, come altre volte, di uscire all’estero, ma spero di riuscirci entro la fine dell’estate. Mi pare comunque di capire che la tua volontà sia ormai quella di proseguire sul binario, seppur inclassificabile, della canzone propriamente detta. Giusto? Sì. Come dicevo all’inizio della nostra conversazione, “In doma” ha segnato la fine di un’era: per la gente che lo compra si tratta di canzoni nuove, ma per me sono vecchie. Sto già andando in un’altra direzione, sperimentando ulteriori strade che in questo momento sento particolarmente mie e che avranno esito nel prossimo disco, che vorrei venisse fuori in meno di un anno. Contatti: www.debora-petrina.com Elena Raugei Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Sunglasses After Dark Un vinile esplosivo e recensioni in giro per il mondo che ne tessono le lodi. Non male come biglietto da visita per i Sunglasses After Dark, certamente quanto basta per incuriosirci e, speriamo, incuriosirvi. Domande e risposte che guardano si al passato, ma poi tornano subito a fissare un futuro tutto da sentire. Che effetto fa, se ancora ne fa qualcuno nell'era dei miliardi di blog, essere la prima scelta nella top ten dei recensori di “Maximun Rock n’Roll”? Un tempo questo aveva ancora qualche risonanza... a voi è servito a qualcosa? Più in generale: come avete preso le recensioni (quasi tutte positive) che sono arrivate con questo esordio? Il numero di “MRR” che ospita la nostra recensione è intitolato appunto “Print Media Is Dead”, e indaga sulle sorti delle fanzine autoprodotte in epoca digitale. Abbiamo ricevuto ottime recensioni anche sulle web-zine più oscure e remote, per noi hanno significato tanto, ma per gli addetti ai lavori, distributori soprattutto, se resti nei blog non esisti. Essere consigliati da MRR e recensiti positivamente su tutte le maggiori testate musicali italiane nello stesso periodo accresce notevolmente la nostra credibilità, certifica il valore del disco, anche se noi lo conoscevamo già! Come mai la scelta della stampa in solo vinile? Volete una sorta di "selezione naturale" degli ascoltatori o semplicemente un LP è più bello? Il CD come supporto ormai è un veicolo di dati sorpassato, dovendo scegliere abbiamo preferito il monolite vinilico per ragioni di stile e resa sonora. Nessuna selezione, abbiamo fatto anche il CD mastering, ne regaliamo una copia su CD-R a chi acquista il disco, e un sacco di gente vuole solo il vinile! Se qualcuno volesse stampare il nostro album anche su CD, saremmo comunque disponibili. Siete in giro dal 2004 ma discograficamente siete esordienti. Col senno di poi è stato un bene non far uscire niente prima oppure è stato solo il caso a farvi attendere Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 quattro anni? In passato abbiamo inciso un paio di demo per farci conoscere, siamo un gruppo live, abbiamo rodato il nostro suono sui palchi, con artisti e pubblico di ogni genere. Per anni abbiamo scritto canzoni, formulato uno stile d'impatto suonando dal vivo; quando è stato il momento, è arrivata l'occasione del disco e la collaborazione con UFO Hi-Fi, la nostra etichetta. L'album è stato un nuovo punto di partenza, qualcosa da superare: adesso siamo una band migliore, i nostri standard si sono elevati, e continuiamo a scrivere, suonare ed evolverci. Etichettare il suono di una band non è mai facile, ma nel vostro caso è particolarmente difficile. Rock? Punk? Blues? Cosa rispondereste alla più classica delle domande: "cosa suonate?" Siete partiti già su questi schemi oppure la vostra formula si è affinata sui palchi che avete calcato? Ai concerti ci presentiamo dicendo “Siamo i Sunglasses After Dark, suoniamo rock‘n’roll!”, è la definizione più sintetica che si possa dare al nostro suono. In alternativa, potremmo dire che siamo un trio hard blues che ama la Motown e suona glam rock con attitudine punk ai concerti hardcore! Qualcuno, più semplicemente dice “tipo Motörhead ma più glam”, o nomina AC/DC, Dead Boys e New York Dolls... Abbiamo molteplici influenze, un'unica matrice blues, e non ci interessa assomigliare a nessuno: in un genere come il rock n' roll, l'originalità diventa una questione di stile. Il nostro pubblico comunque, è particolarmente eterogeneo. Ho apprezzato molto la registrazione "sferragliante"... potresti spiegare come si è svolta ed il perché di questa decisione quasi "lo-fi"? Abbiamo registrato le basi in diretta, batteria microfonata in sala, amplificatori di basso e chitarra in stanze diverse per evitare rientri, poi chitarra ritmica doppiata all'unisono, chitarra solista e voci: abbiamo inciso solo ciò che potevamo riprodurre dal vivo. Il resto è stato il magistrale mixing su banco analogico di Marco e Danilo UFO Hi-Fi, e il mastering presso Saffmastering di Chicago. Il suono è volutamente rudimentale, ma il lo-fi è un'altra cosa. Avete presente la leggenda secondo cui al primo concerto dei Ramones al CBGB c'erano solo una quindicina di persone ma dopo averli visti ognuno dei presenti ha messo su una band? Ecco, c'è stato un momento di cui dopo aver sentito qualcuno vi siete decisi a mettervi a suonare? Di momenti ce ne sarebbero tanti: da qualche disco anni 70 trovato in casa, un parente che suona la chitarra, i vinili dei Mötley Crüe che in epoca grunge costavano poco, la scoperta di Bo Diddley, “The Spaghetti Incident?”, gli Hellacopters che nascono dagli Entombed... Decisiva è stata poi la scena hardcore punk romana anni 90, gruppi come Concrete, Il Sangue, Evidence, Bresci 1900, visti in centri sociali occupati il sabato pomeriggio dopo scuola, musicisti con cui in seguito abbiamo avuto il piacere di dividere palco e sala prove. In generale abbiamo background diversi, ma la stessa attitudine indiscussa, e l'idea di suonare insieme ci è venuta naturale. Contatti: www.myspace.com/sunglassesad Giorgio Sala Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Unòrsominòre Non è un novellino, ma veste i panni dell’esordiente. Kappa, in arte Unòrsominòre, è stato il cantante dei Lecrevisse, una band che per un breve attimo, a cavallo tra fine e inizio millennio, è stata la nuova sensazione dell’indie rock italiano. Poi, come spesso accade, senza una vera ragione tutto si dissolve. Da quel coagulo di emozioni il cantante e polistrumentista di quella band, in compagnia di Ted al basso e Manuel alla batteria, alimentando nuove emozioni e inediti stimoli creativi, ha impresso il marchio ad uno nuovo progetto, gli Unòrsominòre appunto, il cui debutto omonimo è da poco uscito per I Dischi de Minollo. Visto che hai una storia da raccontare, facciamo un passo indietro. Perché i Lecrevisse, che sembravano incamminati a raccogliere quanto seminato in anni di underground, si sciolgono? E quanto hai imparato da quell’esperienza? Lo scioglimento dei Lecrevisse è stato necessario, per quanto doloroso. Semplicemente, non riuscivamo più a divertirci suonando insieme, perché gli attriti fra alcuni di noi erano diventati troppo aspri. Credo che divergenze di opinioni artistiche a parte (quelle ci sono sempre), la causa di tutto sia state l’inesperienza, unita a una certa ambizione che spingeva noi tutti a non essere mai soddisfatti di noi stessi e di quello che avevamo. Sono convinto che adesso, con la maturità arrivata con l’età, sapremmo gestire diversamente le cose, ma allora, mi pare, non c’era davvero altra via che separarci. E di questo mi rammarico molto, perché come Lecrevisse avremmo probabilmente avuto ancora qualcosa da dire, mentre come dici tu tutto è andato a rotoli appena prima di iniziare a raccogliere quello che avevamo seminato. In qualche modo questo mio disco è una specie di punto e a capo, per raccogliere l’eredità di quell’esperienza e darle una conclusione, almeno dal mio punto di vista ovviamente. In ogni caso quella nei Lecrevisse resta un’esperienza indimenticabile, fondamentale, e comunque meravigliosa. Come e quando nasce in te l’esigenza di dare voce ad un nuovo percorso artistico e Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 quali sono i punti fermi che hai individuato nel tuo nuovo progetto? Siamo al cospetto di una band o di un progetto solista? E che ne dici se ci spieghi il nome e i suoi buffi accenti? Beh, la voglia di continuare a scrivere e suonare c’è stata fin da subito, dall’istante stesso in cui i Lecre hanno cessato di esistere. Ma forse proprio per la scottatura presa con il fallimento dell’esperienza nel gruppo in cui avevo investito così tanto, ho cercato di dar vita a un progetto di tipo diverso, sul quale avere controllo e responsabilità totali. Unòrsominòre sono io al 100%, con tutti i pro e i contro della cosa; scrivo e suono quello che voglio come voglio, il che ovviamente da un lato può limitare il processo creativo, ma dall’altro mi lascia totale libertà espressiva, e senza il rischio di creare tensioni o scontenti fra musicisti con sensibilità diverse. Le mie coordinate restano il rock di matrice indie, e certo pop obliquo che ho sempre amato, magari un po’ più stemperati rispetto alle ruvidezze e alle svisate “lecrevitiche”, inquadrati in strutture generalmente più immediate. Poi dal vivo suono fin dall’inizio con gli stessi compagni musicisti (Ted, Manuel e Mauro); con loro si è creato un ottimo rapporto di collaborazione e amicizia, molto sereno dato che come dicevo la responsabilità di tutto resta comunque solo mia. Per quanto riguarda il nome del progetto, è un gioco che fonde in un’unica parola tre o quattro aspetti fondamentali della mia vita. Fra questi ci sono certi lati del mio carattere, il pessimismo cosmico che coltivo con ostinazione, e l’altra mia grande passione oltre alla musica, l’astrofisica, che poi è anche il lavoro che mi dà da vivere. Per gli accenti invece devi rivolgerti a una mia amica di Roma, io ho solo eseguito un suo imperativo... Ho sempre apprezzato, sin dai Lecrevisse, la tua vocalità diretta, melodica e vagamente drammatica, hai qualche modello da citare, per l’estetica vocale, ma anche per la stesura delle parole, visto che ai testi dai una valenza importante. Ti ringrazio per gli apprezzamenti. Domanda interessante. Per quanto riguarda l’espressività e la timbrica vocale in gioventù ho certamente cercato di ispirarmi a quelli che erano allora i miei idoli; non so, Eddie Vedder, o Jeff Buckley. Da loro ho cercato di imparare un modo di comunicare, una via di emissione delle parole che non fosse solo “canto” ma anche e soprattutto espressione di un’urgenza, di un’emozione. Poi però il canto in italiano è per certi versi molto più problematico, la lingua italiana è piena di parole sdrucciole, e generalmente più lunghe e meno dure delle parole inglesi; sicché è molto facile cadere nell’estremo opposto e risultare eccessivi, troppo melodrammatici, alla Ligabue o alla Renga per capirci – ottimi cantanti, per carità, ma un po’ lontani dal mio modo di intendere la voce. Allora per ottenere un buon risultato cantando in italiano si deve lavorare sul togliere anziché sull’aggiungere, e magari inacidire un po’ il timbro. Poi chiaramente ciascuno ha la voce che ha, si tratta di trovare la via più giusta per sfruttare le proprie doti riuscendo a esprimersi al meglio. Per quanto riguarda i testi, credo di aver fatto mio un modo di scrivere ereditato dagli artisti che ho sempre amato di più. Ivano Fossati su tutti, un esempio perfetto di profondità, emozione ed equilibrio nella scrittura, reinterpretare la sua “Discanto” è stato un passaggio necessario per me, qualcosa di catartico. In “Gagarin” i versi sembrano guardare al passato con un fare nostalgico e disincantato. Nonostante la tua giovane età, pensi che sia già arrivato il momento del rimpianto e del disincanto, che in qualche modo affronti anche nel magnifico rifacimento di “Discanto” di Ivano Fossati? Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Grazie per la “giovane età”! Io mi sento piuttosto vecchiotto invece, soprattutto al confronto di tanti esordienti d’oro che calcano le scene, ma forse è una mia fissazione personale, in effetti mi sentivo vecchio anche a vent’anni. Di certo però ormai ho un’età sufficiente per avere molti ricordi di vita vissuta ed elaborata, e per accorgermi che il mondo in cui sono cresciuto sta sparendo giorno dopo giorno, lasciando il posto a un paese, e a un pianeta, che per lo più mi sembrano peggiori. Un po’ sarà dovuto a quell’affezionarsi al proprio passato che fa sempre sembrare migliori i bei tempi andati, ma credo che non sia solo questo. In “Gagarin”, ad esempio, racconto di tempi in cui si poteva sognare immaginando un uomo da solo nello spazio; oggi i sogni sono oggetti da consumare, simboli di potere, la poesia romantica dell’uomo e della sua epopea non affascinano più, la gente cerca soddisfazioni più immediate. Paradossalmente, con il dilatarsi degli orizzonti fisici, quelli emotivi e intellettivi si stanno invece atrofizzando sempre più. Ma poi in generale sono una persona che si lega indissolubilmente al proprio passato, e tendo sempre a coltivare la nostalgia e la malinconia anche quando fanno male, forse perché non voglio perdere niente di quello che mi ha portato qui ed ora, perché voglio avere sempre con me tutto quello che sono stato. Certo, questo vuol dire confrontarsi con le proprie speranze e illusioni del passato, e il bilancio per forza di cose raramente è positivo. Il dis(in)canto è sempre dietro l’angolo, vivere significa anche cercare di scendere a patti con le proprie disillusioni, magari per farne tesoro e ripartire a testa bassa. Ascoltando il tuo CD mi assale quel senso di tristezza che provo sempre quando mi trovo davanti a buona musica che però rischia di restare ad appannaggio di pochi curiosi. Credo davvero che Unòrsominòre non sia la solita “buon” band, ma qualcosa di più. Come si può uscire dalle secche di un mercato musicale fatto di reality show e i soliti venti nomi che ruotano su MTV e nei radio network. Purtroppo non ho risposte pronte, non so come si fa a diventare famosi, o forse lo immagino ma preferisco lasciar stare. Ci sono molte band che non hanno la visibilità che meritano, vuoi perché non si sbattono abbastanza per mettersi in mostra, vuoi perché non arriva il colpo di fortuna che aiuta altri magari meno meritevoli. Certe volte conta di più essere amici della persona giusta che suonare bene o scrivere belle canzoni, un po’ come in ogni altro ambito. Forse anche gli addetti ai lavori hanno una parte di responsabilità in questo, è raro che un giornale o una webzine si espongano oltre la recensione per promuovere un artista o un gruppo se non c’è un buon management dietro. Magari se “Il Mucchio” mi mettesse in copertina il mese prossimo... Ma alla fine è questione di sbattersi, di provarle tutte, se ce la si sente e se ne hanno le possibilità. Chiaramente più passano gli anni e più è complicato mettersi in gioco. Non parliamo ovviamente del mercato di massa, quello è un altro pianeta, è un mostro governato da una strategia nascosta nemmeno troppo complicata da intuire: chi ha i mezzi investe su qualcuno che può funzionare, e lo pompa fino a farlo funzionare sul serio, spesso creando mostri che impesteranno la scena artistica per anni con le loro mediocrità che piacciono alla “ggente” con due “g”. Comunque non so, io non mi aspetto granché, prendo quello che viene; mi basta che la mia musica “esista”, non solo per me ma anche per chi la vuole trovare. Poi se ci saranno sviluppi ci penseremo. Ma perché l’indie-rock ha sempre queste copertine così brutte, confuse? Quante notti sei stato sveglio per decidere di fare una copertina praticamente bianca? Non ho ben capito se intendi dire che con questa scelta mi distanzio dallo standard delle Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 copertine indie, o se ti sembra “brutta e confusa” anche la mia. In ogni caso, ho sempre trovato molto affascinante l’idea di “quiete disturbata”, di sfocatura; se vuoi è la trasfigurazione grafica dell’estetica lo-fi. L’arte contemporanea è piena di esempi di superfici bianche o grigie in cui un piccolo elemento disturbatore incrina l’apparente equilibrio. Ma anche in ambito rock, prendi le copertine dei dischi dei Cure dei primi anni 80 ad esempio, “Faith” o “Seventeen Seconds”. Poi l’interno del booklet è decorato con disegni bellissimi, opere di un’artista davvero straordinaria, Antonella Prencipe. Magari il bianco non è perfettamente rappresentativo del mood sonoro del disco, forse avrei visto meglio un blu notte o un verde scuro, ma io e Antonella abbiamo alla fine optato per la soluzione più semplice e incisiva a livello visivo. Comunque avrai fatto la stessa domanda anche a Paul McCartney, spero! Contatti: www.unorsominore.it Gianni Della Cioppa Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Agnese Manganaro Mille petali Irma Una lunga gavetta, fatta di Castrocari, di selezioni sanremesi, di premi patrocinati da Mogol; poi l’attenzione della cricca della club culture intelligente/elegante, l’attenzione di Alessio Bertallot, l’approdo alla Irma Records. Lì, il mancato decollo, giusto qualche discreto colpo facendosi luce in mercati non convenzionali (il Giappone, l’Ucraina) per lo spazio di un brano e di un’apparizione in qualche compilation. Ma la Manganaro non si è scoraggiata, arrivando finalmente al traguardo del primo album dopo quasi dieci anni di fatiche, avventure e disavventure. Brava lei e bravo chi ha lavorato attorno a lei: perché “Mille petali” è prodotto e pensato davvero bene. Certo, non è un disco che sorprende o che osa stilisticamente; ad ascoltarlo superficialmente, o con orecchie non specializzate, pare una replica del filone Norah Jones, stop. Al che va detto che prima di tutto ‘sto filone ha una sua dignità, per poi aggiungere che nella Manganaro questa sembra una linea spontanea, non una scelta furbetta; poi, in generale le tracce dell’LP scorrono bene e ogni tanto tentano anche soluzioni personali (ogni tanto, eh, senza esagerare), quindi c’è senz’altro del buono. Anche i testi, opera della Manganaro stessa, hanno attitudine simile, visto che non osano voli pindarici e soluzioni atipiche ma viaggiano su una piacevole linearità talora in grado di piazzare qualche linea sagace. Un’opera di grazioso ingegno, dolce ma non dolciastra, piacevole ma non stucchevole. Contatti: www.agnesemanganaro.com Damir Ivic Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Alberto Styloo Infective Discipline/Venus Attorno alla Discpline, etichetta discografica ricostituita nel 2007 da Garbo insieme allo stesso Alberto Styloo, sembra ormai gravitare una vera e propria micro-scena di musicisti/amici dediti al recupero di sonorità prevalentemente Eighties. Tra le uscite degli ultimi mesi, ricordiamo per esempio il progetto Zerouno di Simone Cattaneo, Luca Urbani dei Soerba e Lele Battista de La Sintesi oppure l’affine Ottodix (Alessandro Zannier). “Infective” trae spunto nel titolo e nell’attitudine da artisti “maledetti” come David Bowie o Lou Reed, proponendosi l’impegnativo obiettivo di rappresentare una specie di “Nuova Scapigliatura” in opposizione all’attuale mancanza di correnti artistiche di rottura. Le undici canzoni in programma - cantate in inglese con voce perlopiù profonda, a eccezione dell’avvolgente semi-strumentale “Neamtz” - si rifanno alla new wave e a certa dance, con preponderanza di programmazioni, tastiere e piano. Gli ospiti chiamati a contribuire in fase di composizione o esecuzione sono tantissimi, fra i quali nominiamo almeno i succitati Garbo e Luca Urbani, Andy, Elisabetta Fadini, Georgeanne Kalweit, A Kid In Trouble e Hellzapop. Pregi: la cura formale prestata al tutto e qualche episodio di piacevole electro-pop ritmico (“Call My Name”). Difetti: brani non sempre all’altezza a livello compositivo e soluzioni stilistiche frequentemente fuori tempo massimo. In conclusione, un album di media fattura che non può definirsi né contagioso né rigenerante. Contatti: www.myspace.com/albertostyloo Elena Raugei Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Barbara De Dominicis Anti-Gone WM Recordings Raccoglitrice di suoni, curiosa di stili e atmosfere, Barbara De Dominicis realizza per una label olandese il primo disco a proprio nome. Già Cabaret Noir, la musicista napoletana fu animatrice dell’emsemble Poe-Si, insieme all’ex 99 Posse Marco Messina, Davide Lonardi e Mirko Signorile, tutti qui presenti in un nutrito stuolo di collaboratori reclutati tra New York, Berlino, Napoli e Parigi. La De Dominicis non ama le direzioni univoche; preferisce piuttosto dipanarsi in mille matasse. “Anti Gone” è un piccolo gioiello, capace di farsi fascinosa narrazione (finto-)epica. Il titolo si presta a un senso più o meno anglofono (“andare contro”) e/o può essere inserito dentro una classicità declinata in pop, nella quale trovano posto anche “Calypso”, “Venus Motel” e “Me-dea”, un jazz da club per voce, piano, sax e programming. I suoni spesso sono ingolfati e spezzettati, lacerti d’elettronica; note gocciolanti, pulsazioni; ma a volte un violoncello che fa da contro-melodia – in “Disremembering Echo” – fa venire in mente un Leonard Cohen, e in “Vulnerable Interlude” costruisce onde sognanti e lievi una chitarra slide suonata da Simon Olivier (del gruppo australiano Dominique & The Band). Lo stupendo tradizionale partenopeo “Passione” – un tributo scabro e minimalista – sta in chiusura di scaletta, con accompagnamento al piano di Mirko Signorile; e il remix di “Calypso”, e per farsi un’idea del progetto stilistico di Barbara De Dominicis, è affidato a Ursula 1000, della scuderia Thievery Corporation. Contatti: www.anti-gone.com Gianluca Veltri Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Devocka Perché sorridere!? Nagual/Nomadism Secondo lavoro dei Devocka, a tre anni dal debutto discografico, “Perché sorridere!?” è da intendersi come una tappa positiva nel percorso di maturazione del quartetto ferrarese. Le coordinate principali si confermano: un rock incendiario, alienato, a volte (s)confinante verso l’hardcore, sorretto da testi colmi di rabbia e malessere. Il “noise drugo” della band è ben servito, oltre che da una sezione ritmica coi fiocchi ─ basso e batteria a cura Francesco Bonini e Ivan Mantovani ─ dalla produzione di Giulio Favero (già con One Dimensional Man e Teatro degli Orrori). “Piero” è una sorta di prologo: sopra un tappeto acustico di arpeggi chitarristici canta la perdita dell’innocenza di quel che una volta chiamavamo “borghesia” (antichi!). Ma già la deflagrazione elettrica di “Corri”, ispirata al film “L’odio” di Kassovitz, si occupa di portarci nei territori adusi, con il chitarrista Matteo Guandalini a imbastire riff rissosi, abrasivi. In “Pane” la chitarra è campane a morto, in “Lab” un vagare lamentoso. Rumore e claustrofobia a Ferrara. “Altre 100 volte” e “Umor vitreo” ripropongono scenari scuri di crudezza pop, in stile fratelli maggiore Marlene. Lo stile vocale di Igor Tosi si alterna tra parti recitate e narrate, e altre in disperante urlato. L’Emilia paranoica dei Devocka ha debiti filmico-letterari con l’”Arancia meccanica”, di Burgess prima e di Kubrick poi. Lì le ragazze vengono definite, in slang anglo-russo, “devotchka”. È a quell’universo, a quel sistema di sensi, che rimanda la plumbea cappa sonica del gruppo. Contatti: www.devocka.it Gianluca Veltri Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 East Rodeo Dear Violence Trovarobato/Audioglobe Di base a Padova, i due fratelli croati Nenad (chitarra, voce) e Alen Sinkauz (basso) danno vita da alcuni anni agli East Rodeo: dopo alcuni rimaneggiamenti di line up la formazione si è assestata sull'attuale quartetto, completato dalle tastiere (e live electronics) di Alfonso Santimone e dalla batteria di Federico Scettri. Musica difficile da definire quella contenuta nei tre quarti d'ora di questo “Dear Violence”, disco dal titolo piuttosto programmatico, ma noi ci proviamo: impro-ambient nevrotico, o se preferite un math-rock errabondo che entra ed esce dai confini del genere , muovendosi tra sfuriate e sospensioni cariche di elettricità, sfuriate che hanno luogo entro confini solo apparentemente rigidi, una alternanza di chiaroscuri che riesce nel non facile compito di non allentare mai la tensione, tenendo sempre teso il filo rosso del conflitto con l'ascoltatore. I momenti più brillanti coincidono con una “Same Step” che si muove su eteree e contortamente convincenti linee melodiche di scuola canterburiana, che esplodono in frammenti al limitare dell'hardcore di impronta noise, e con una “Transiraniana” che ricorda certi esperimenti tra industrial e ambient dei King Crimson anni 90, mentre l'unico brano in italiano, “Ultima volta che il pesce abbocca”, scritto in collaborazione con il precedente tastierista Kole Laca, svela una vena surreal-nevrotica che ben si adatta all'impianto strutturale del brano. Contatti: www.eastrodeo.net Alessandro Besselva Averame Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Eua Eua Eua et voilà Aguirre Bislacco progetto gli Eua: per pigrizia li si potrebbe definire demenziali, ma quello che esce dall'ascolto del loro debutto, “Eua Eua et voilà”, è sì un bizzarro cabaret che certo non manca di precursori e modelli, ma anche una coraggiosa messa in pista di una sana e spontanea follia (leggi, senza paura di scivoloni o di compiacimenti). Se consentite un paragone impreciso ma non troppo, a chi scrive fanno venire in mente i primi Acid Folk Alleanza, con il loro oscillare tra spontaneismo ingenuo e citazioni volontarie, tra radici popolari e riferimenti enogastronomici e territoriali apparentemente gratuiti. Loro, d'altra parte, si autodefiniscono “sultans of folk-punk-swing”, e quello è un po' lo spirito delle canzoni, che tuttavia non si piegano a schemi folk sfruttati o ad una certa tradizione importata da tradizioni come quella irlandese. Goliardia e poesia intuitiva sono gli ingredienti – è proprio il caso di dirlo – di un pezzo come “Speck”, inno al prosciutto affumicato, mentre altrove il terzetto sembra fare l'occhiolino, almeno idealmente, al Guccini di “Opera Buffa”. A convincerci del talento potenziale dei tre (Attilio Poletti, Max Bertoli, tale Ribamar) è la davvero improponibile (a meno che non si sia particolarmente incoscienti, come in effetti i nostri sembrano davvero essere) “Barbara”, una strana cosa tra il canto cosacco, la barzelletta e il repertorio della house band di una immaginaria balera surrealista. In sostanza? Lo spirito che permea questi brani ci piace molto, al punto da perdonare al trio alcuni tentativi non del tutto convincenti di strappare sorrisi. Contatti: www.aguirre.it Alessandro Besselva Averame Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Fabrizio Coppola La stupidità Atelier Sonique/Mousemen Nuovo EP di quattro brani per Fabrizio Coppola, prodotto come il precedente album di studio, “Una vita nuova”, insieme a Simone Chivilò e racchiuso in un bel digipack dalla curata grafica artigianale. La canzone che dà titolo al dischetto, disponibile in download gratuito tramite il sito ufficiale, è per certi versi un efficace manifesto programmatico: la musica si fa cantautorale e tendente al blues, mentre le parole sono limitate con attenzione nel restituire un desolante, veritiero quadro di attualità a base di intolleranza e razzismo. Così come è programmatico il videoclip che accompagna il singolo, diretto da Angelo Camba e dedicato alla memoria di Abdul Salam Guibre. Il resto della scaletta, per meno di un quarto d’ora complessivo di durata, prosegue con la sospesa “L’altalena” (scandita da eleganti note di pianoforte e vicina alla ballate di Riccardo Sinigallia), la più incalzante “Il colpevole” (dove le elettriche graffiano in accompagnamento a un ritornello orecchiabile) e l’intimistica “L’ultima battaglia” (voce e chitarra acustica da storyteller vecchia scuola). Il songwriter milanese non rappresenta nessuna novità a livello puramente stilistico, ma riesce comunque a rifinire composizioni solide nonché fedeli a una propria visione artistica e sociale, ben distante dal circostante appiattimento perlopiù passivo. Le buone intenzioni, insomma, vanno di pari passo con i buoni risultati. In attesa di ulteriori sviluppi. Contatti: www.fabrizio-coppola.net Elena Raugei Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Farmer Sea Low Fidelity In Relationship I Dischi de L’Amico Immaginario/Audioglobe Allora, i Farmer Sea fanno indie-pop. Aspetta, “indie-pop” a chi? Certe formulette da generatore automatico di recensioni si portano dietro un codice ormai talmente calcificato – nei suoi connotati estetici e , diciamo così, sociologici” – da rendere in alcuni casi un pessimo servizio all’oggetto di tali descrizioni. Quindi, diciamo che da un certo punto di vista il quartetto torinese fa, ebbene sì, lo stramaledetto indie-pop. Quello che si può ricondurre agli Yuppie Flu e ai Grandaddy, ai primi Julie’s Haircut e ai Pavement più melodici e “diritti”, giusto per non far distinzioni tra prodotto nostrano e barbari d’importazione. Dall’altro lato, vogliamo sperare che i Farmer Sea taglino al più presto i ponti con quel piccolo mondo rosa fatto di camerette, blogger, assurdi gruppi svedesi, titoli “simpa”, look trendy e immaginario “giocattoloso”. Qualche detrito di quell’universo alternativo è ancora appiccicato ai Farmer, ma confidiamo se li scrolleranno di dosso senza problemi. Per due motivi. Uno, perché questa è gente abituata a procedere per piccoli passi senza montarsi la testa (nonostante la fighissima citazione come “next big thing” sull’“NME”, a seguito dell’EP “Where People Get Lost And Stars Collide”: da allora nessuno di loro si è fidanzato con Kate Moss, forse perché troppo impegnati a suonare in giro, produrre un altro singolo, “Helsinki Under The Great Snow”/”Neil Young Is Watching Me”, e a mettere assieme i rimanenti pezzi per questo debutto). Secondo, perché sanno scrivere melodie belle, solide e capaci di farsi ricordare. Se da un lato le influenze sono trasparenti (le accensioni chitarristiche dei - supponiamo amatissimi - Broken Social Scene e dei Deerhunter, tanto quanto il pop “casiotronico” dei Notwist), la personalità lo è altrettanto, e certe piccole trovate – il banjo che interviene in più di un brano, la tromba lounge alla Belle And Sebastian di “Sedinho”, i ricordi Yo la Tengo della magnifica e rarefatta “She Dreams Of Airports And Planes” – fanno ben sperare per il futuro. Per chi scrive, l’album italiano indie-pop (ahem...) più godibile dai tempi in cui i Perturbazione cantavano in inglese. Contatti: www.farmersea.it Carlo Bordone Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Funky Pushertz Lunch SuoniVisioni/Jestrai Erano magari destinati ai sani (e talora stantii) circuiti hip hop nazionali, i Funky Pushertz; ne sarebbero stati validi esponenti, originali anche, visto che all’interno del genere lavorano su un piacevole eclettismo stilistico che incorpora diversi tipi di flow nel rap, diverse soluzioni negli arrangiamenti (con anche la voglia di salire live su un palco con una band alle spalle), diversi atteggiamento rispetto ai meri luoghi comuni dell’hip hop nostrano. Però, ecco, alla fine questa era ed è la loro terra naturale d’appartenenza: b-boy innamorati del funk. È curioso allora vedere cosa succederà ora che la Jestrai, che finora è stata all’hip hop come gli americani al soccer, ha deciso di puntare su di loro, offrendo loro una piattaforma discografica e promozionale che lavora sui sentieri soliti (e solidi?) dell’indie rock italiano. Non sappiamo dire se questa sarà per i Funky Pushertz una soluzione vincente o meno, non ci azzardiamo a fare previsioni. Il rischio che non sia la scelta giusta c’è: perdono credibilità agli occhi del pubblico dei b-boy, sempre attento al richiamo del branco, e quindi se cominci ad affidarti a circuiti discografici e promozionali altri rischi l’ostracismo, al tempo stesso sono troppo autenticamente b-boy per sedurre veramente gli indie kids. Staremo a vedere. Nel frattempo dovrebbe parlare la musica: è quella è buona, è gradevole, anche intelligente in certi passaggi, è varia. Manca forse l’affondo; c’è qualche incisivo lampo verbale, ci sono varie soluzioni azzeccate dal punto di vista sonoro, ma non il colpo da k.o. che manda all’aria il tavolo e riscrive le regole del gioco. Magari arriva, le potenzialità ci sono. Contatti: www.myspace.com/funkypushertz Damir Ivic Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Hellekin Mascara/Angioletti Trio Il verso del vinile 01 Il Verso del Cinghiale Interessante questa iniziativa discografica della neonata etichetta Il Verso del Cinghiale, che esordisce con un 10” nel quale trovano spazio due band lombarde, entrambe interamente strumentali, diverse ma in qualche modo complementari. Il lato A è appannaggio degli Hellekin Mascara, che si muovono in bilico tra noise, dissonanze soniche e rock’n’roll; tre le composizioni per loro, caratterizzate dall’interazione tra una chitarra tagliente e la sezione ritmica, e scandite da continui cambi di tempo e improvvisi sbalzi dinamici, in una convincente alternanza di stati d’animo e suggestioni. Sulla seconda facciata trovano invece posto gli Angioletti Trio, ensemble che sull’asse batteria-chitarra-sax costruisce brani nervosi, tesi, in continua evoluzione, capaci nel giro di pochi secondi (è il caso dell’iniziale “Carabinieri dello zodiaco”) di passare dal jazzcore alla no-wave, dal free al jazz più tradizionalmente detto, fra sferzate di rumore e riusciti squarci di quiete melodica. Una bella sfida quella tra le due formazioni, senza né vincitori né vinti, perché entrambe si muovono con sicurezza e inventiva nei rispettivi campi di appartenenza; senza compromessi, ma neppure senza asperità inavvicinabili. Davvero un buon inizio per la label cremonese. Contatti: www.ilversodelcinghiale.org Aurelio Pasini Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Il Cane Metodo di danza La Tempesta/Venus Apprezziamo il talento di Matteo Dainese, fin dai tempi in cui il musicista percuoteva i tamburi con impressionante, metronomica e danzante violenza negli Ulan Bator. E ci piace anche lo spirito imprenditorial-artigianale che lo ha portato a fiondare una etichetta come Matteite. Ragion per cui, al di là di ogni sospetto di pregiudizio, vogliamo essere del tutto onesti nel confessare che questo suo nuovo lavoro a nome Il Cane, naturale prosecuzione del disco pubblicato una manciata di anni fa a nome Dejlight, orientato al songwriting (in quel caso la lingua scelta era l'inglese) e alla intersezione di colori elettronici, chitarre acustiche e batterie, non riesce a convincerti fino in fondo. Il tentativo è quello di creare un pop dalle traiettorie bislacche (ma anche molto immediate), mescolando ritornelli a presa rapida, riflessioni surreali, beats e strumenti, con il contributo sparso di amici musicisti (tra i nomi, Ru Catania degli Africa Unite, gli Amari, Enrico Molteni dei Tre Allegri Ragazzi Morti), ma a tratti il peso specifico dell'insieme è un po' troppo leggero per lasciare tracce durature. Anche se ci sono importanti eccezioni: l'atmosfera onirica e trasognata di “Dune”, il pianoforte gonfio di malinconia di “Male al dente”. Metodo di danza non è comunque mai un lavoro che cerca di assecondare i gusti del pubblico: si sente che c'è dietro un percorso, una visione assolutamente personale e determinata a costruire la propria cifra stilistica senza condizionamenti. Solo, questa volta una buona parte delle tracce resta in superficie, non si imprime fino in fondo nell'immaginario. Contatti: www.latempesta.org Alessandro Besselva Averame Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Illàchime Quartet I’m Normal, My Heart Still Works Fratto9 Under The Sky/Lizard Racchiuso in una splendida confezione digipack, con tanto di mini poster allegato (ma non aspettatevi cose da rockstar, piuttosto due immagini sfocate e le spiegazione di un paio di brani), il nuovo album dei napoletani Illàchime Quartet va a colmare uno spazio durato cinque anni: tanti ne sono trascorsi dall’esordio e sette dalla nascita del gruppo, un ensemble aperto che ha l’obiettivo colto di far convivere musica elettronica e strumenti acustici in un insieme sonoro che appare davvero strabiliante per la semplicità con cui viene elaborato e reso accessibile. Ma il merito maggiore è di aver evitato quell’approccio intellettualoide che ammanta spesso questi album di frontiera, in bilico tra sperimentazione, musica da camera e puntate di jazz. Il quartetto partenopeo ha invece dato una forma concreta a suoni e rumori mutevoli del mondo esterno che, come spiegano nella biografia, ispirano le loro composizioni. I brani si impreziosiscono di importanti collaborazioni: in “Discentro” la voce è di Mark Stewart dello storico Pop Group, mentre in “Ballrooms” è Graham Lewis dei Wire ad offrire il proprio contributo, senza dimenticare Salvatore Bonafede e Rhys Chatham, musicisti d’avanguardia divisi dalla provenienza, italiano il primo americano il secondo, ma uniti dalla volontà di spostare i confini del già sentito. Accanto agli ospiti, i titolari Fabrizio Elvetico (piano, basso), Gianluca Paladino (chitarra), Agostino Mennella (batteria) e Pasquale Termini (violoncello), tutti alle prese anche con synth e campionatori, creano il loro viaggio immaginario fatto di musicalità, evitando le secche di una scrittura algida, come troppo spesso accade nei sentieri della nuova (e vecchia) musica “contemporanea”. Ascoltando le improvvisazioni che avanzano di pari passo con momenti più logici, gli Illàchime Quartet svelano il volto umano di certe sonorità innovative o presunte tali. Un viaggio affascinante che si è rivelato molto meno ostico del previsto, senza mai perdere però in tensione narrativa e originalità della proposta. Contatti: www.myspace.com/illachine Gianni Della Cioppa Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Kaufman Interstellar College Radio Mizar/Audioglobe Il complimento migliore che posso fare ai Kaufman è che suonano un pop “universale”. Mi spiego: spesso, soprattutto quando ascolti dischi di area indie-pop italiana, ti rendi conto di come tutto suoni come ti aspetti, in un modo preciso, per sortire un determinato effetto. È una musica nata vecchia (quando va bene) che si vuole rifare a modelli definiti e solo citati. Ascoltando “Interstellar College Radio”, invece, pensi a tutt’altro. Lasciate perdere l’imbarazzante copertina. Se i Kaufman suonassero al Primavera Sound Festival tra le 17 e le 18 nessuno avrebbe niente da ridire. Si tratta di una musica che travalica i confini per diventare, appunto, “universale”. Non suona come un disco di italiani che vogliono fare gli americani. Suona come un disco pop di ottime canzoni fatto da gente che ha ascoltato e assimilato per bene le sue influenze (sulla cartella stampa si leggono Lemonheads e Dinosaur Jr., con me han già vinto anche se nel disco ci sono molte chitarre acustiche, diversi rumorini alla DCFC e cose varie che fan molto Weezer). Penso quindi sia il caso di dare più di una chance a questa band. Se non altro è più onesta di molte altre perché suona quello che vuole suonare e lo fa scrivendo canzoni elementari ma efficaci. Dura il giusto, trentaquattro minuti, e non puzza di stantio, logoro, tappo. Contatti: www.myspace.com/kaufmansound Hamilton Santià Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Maripensa Maripensa Terzo Millennio/Self A dir poco radiofonico questo esordio dei Maripensa. Con tanto di voce alla Renga a spingere sul pedale dell'emotività in stile “Amici”, schemi consolidati strofa-ponte-refrain, suoni patinati da network commerciale, chitarre elettriche innocue e romanticherie spicciole. Insomma, “Festivalbar” più che “Frequenze Disturbate”, Negramaro più che Radiohead, Maripensa più che Mariposa. Per un rock da FM che per chi naviga nell'underground alternativo “di noi altri” ha il viso scorbutico e il portafoglio gonfio di qualche manager major pre-Napster. Eppure, appurate le aspirazioni e verificato che non siamo parlando esattamente di materiale nelle nostre corde, non possiamo non rilevare come il gruppo non se la cavi affatto male nelle tredici tracce in scaletta. Che nel gioco delle metafore significa avere a che fare con materiale ispirato e decisamente meno “scandaloso” rispetto a certe supposte opere d'arte in giro per l'airplay dei grandi numeri o le classifiche di vendita ufficiali. Per di più confezionato con mezzi inferiori. Insomma, melodie e testi al posto giusto e una superficialità solo supposta, nonostante l'evidente flirt con estetiche di grido e a larga diffusione. Contatti: www.myspace.com/maripensaband Fabrizio Zampighi Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Martin Devil Problemi di beat generation Universo Martin Devil è il nome d’arte dietro al quale si cela Maurizio Guglielmelli, cantautore della provincia salernitana alla sua prima prova discografica. Erede di una vena cantautorale che guarda oltreoceano, Martin è un degregoriano e quindi un dylaniano. “Fuorilegge” è un country-rock nel perfetto stile dell’autore di “Rimmel”, con il duluthiano Mr. Jones che compare come personaggio; ma anche “L’amore nel ricordo” e “Spegni la luce” ci riportano (un po’ troppo, forse) dalle parti del canzoniere di De Gregori, la prima versante melodia-pura pianoforte & voce; ballad chitarra e batteria spazzolata la seconda. Un’altra ballata della medesima genìa, di quelle che ti avvolgono come drappi in serie, è il singolo “Portami le tue poesie”. “Così come dico io” presenta qualche spruzzatina di Rino Gaetano; “Non lasciarti qui” è un (potenzialmente) ottimo passaggio radiofonico alla Max Gazzè, e questo è un link che torna anche in “Pensiero nella tua mente”. Circola una bella freschezza nei solchi di questo esordio on the road. Una fragranza che non ha timore della gradevolezza, senza diventare mai ruffianeria. La poetica del songwriter di Centola è se volete anche naif, basata com’è sulla convinzione che “i sentimenti non fanno male”. “Amore e tempo”, uno dei migliori momenti dolceamari dell’album, pare fatto apposta per essere cantato dalla Mannoia. L’unico consiglio a Martin, dopo un esordio così, è progressivamente d’affrancarsi dai modelli, ancora un po’ troppo ingombranti. In questo esordio il giovane artista campano è assai ben accompagnato: per il disco, masterizzato da Bob Fix, Devil è coccolato da due bravissimi e esperti musicisti dell’area vesuviana: il bassista Gigi De Rienzo (anche alle manopole del missaggio) e il chitarrista Franco Giacoia. Contatti: www.myspace.com/martindevil Gianluca Veltri Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Mattia Coletti Pantagruele Wallace/Audioglobe A chi si fosse perso le puntate precedenti di un percorso atipico e abbastanza unico lungo i margini della scena impro/avant italiana (dalla presenza nel progetto Sedia, alle collaborazioni con Xabier Iriondo, il giro Wallace e il Damo Suzuki Network), Mattia Coletti apparirebbe ad una prima occhiata come un volenteroso emulo di John Fahey o un eccellente fan della scena di Louisville (Gastr Del Sol su tutti). Quello che invece emerge ad un ascolto attento di questo brevissimo quanto ispirato lavoro (siamo poco sopra i venti minuti), alla luce delle esperienze citate poco fa, è la volontà di trovare un equilibrio tra spinte radicali e forma canzone. Le chitarre acustiche sono registrate con impressionante nitore, le coloriture elettronico-rumoriste di un paio di pezzi non oltrepassano mai la soglia dell'ostica provocazione, senza per questo arretrare e smussare la personalità, e il risultato – cui contribuiscono i fiati di Paolo Cantù, il pianoforte di Alberto Morelli e la batteria di Michele Grassi - è un gran bel coacervo di folk elettroacustico, ambient rurale e minimaliste ripetizioni. Fortunatamente non se ne accorgeranno in pochi, o perlomeno non i soliti pochi italiani, visto che il disco è co-prodotto dalla giapponese Towntone, e l'interesse da quelle parti per la nostra scena ha sempre regalato soddisfazioni. Contatti: www.wallacerecords.com Alessandro Besselva Averame Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Medusa’s Spite Morning Doors (The Glass Path) Antibemusic/Halidon Non manca l’ambizione, ai Medusa’s Spite, a sentire questo disco. Chissà, forse la storia al tempo stesso semplice e complessa del gruppo – ancora negli anni 90 erano in fila per essere la next big thing del pop più avanzato ed elettronico in Italia, ma in un decennio di vita solo due album e molte fasi d’apparente scomparsa – ha aiutato a prendere scelte di un certo tipo. Una volta assodato che ti sei perso l’occasione di fare il grande botto, e visto che nel frattempo riesci comunque a tirare avanti anche al di là dell’attività del gruppo, tanto vale pensare a qualcosa di grandioso. Questo “Morning Doors (The Glass Path)” è una continuazione/integrazione di quanto fatto uscire nel 2005. Si spinge molto sul concetto di concept album, si lavora molto di field recording e di voci cinematografiche negli intermezzi fra un pezzo e l’altro, insomma, non si lascia nulla d’intentato per far capire che i Medusa’s Spite se tornano, lo fanno per offrire più di un disco. Ma la musica? Al di là degli elementi accessori, quanto è valida e consistente la musica? Lo è abbastanza. Non lo è sufficientemente da evitare che tutto lo sforzo concettuale sembri un po’ eccessivo e un po’ sovradimensionato, non lo è sufficientemente da evitare che qualche suono risulti un po’ datato quando si va nel campo del digitale, ma lo è sufficientemente per farsi ascoltare comunque con interesse. In certi passi, dei Pink Floyd periodo “The Wall” con molti sintetizzatori e Billy Corgan alla voce, l’impressione è un po’ questa; poi eclettismo vario, citazioni che vanno dall’electroclash ai Mogwai; buona proprietà di linguaggio strumentistico. Lavoro atipico, insomma, e non privo di ispirazione. Non quello che i musicisti avrebbero voluto che fosse, vero. Ma forse in questo caso è un limite veniale. Contatti: www.medusasspite.com Damir Ivic Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Miranda Growing Heads Above The Roofs fromSCRATCH/Audioglobe I Miranda sono una di quelle band che dal vivo tendono a giocare con i volumi taglienti e con la modulazione di trigger in una serie smisurata di effetti, rendendo consigliabile l'avvicinamento stretto alle casse soltanto a chi abbia un cervello sano con pulsioni autodistruttive. Giacché siamo in umore di anniversari, potremmo azzardare definendo il suono del loro terzo album come neofuturismo irrequieto: decostruzione, sintesi e ricostruzione della realtà alla ricerca della rappresentazione del movimento. I Miranda si nutrono di Oneida e LCD Soundsystem, melodia bastarda e Liars per metabolizzarne il piglio e rumoreggiare con synth, loop e drum-machine, mentre chitarra e batteria sono relegate al ruolo di guarnizione o poco più. “Growing Heads Above The Roofs”, terzo album ufficiale del gruppo, non è un disco col quale adagiarsi tra le coperte e chiudere gli occhi in cerca di sogni ristoratori. Dieci tracce in una quarantina di minuti uniscono rielaborazioni di lavori precedentemente rilasciati (come lo split con i canadesi Creeping Nobodies del 2007), rivisitazioni continue dello stesso brano, e no-wave nostalgica misto punk-funk deviato senza soluzione di continuità; “Head Growing”, quarta traccia, sembra decisamente un pezzo di James Murphy sotto l'effetto di una sbronza colossale. Il tutto fa parte di una corrente musicale che negli ultimi tempi prende piede soprattutto nei sottoboschi newyorkesi e nostrani. Una corrente che potremmo definire, azzardando, neofuturismo irrequieto. Per cervelli sani con pulsioni autodistruttive, anche. Contatti: www.mirandamiranda.it Marco Manicardi Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Mistonocivo Zerougualeinfinito Ostile/Halidon Da promessa a realtà consolidata; da giovani speranze a rocker esperti. Questo il percorso intrapreso dai Mistonocivo che, dopo qualche anno di silenzio, si ripropongono in una veste matura e, perché no, ambiziosa. “Zerougualeinfinito” si presenta infatti come una sorta di concept album, o per lo meno come un disco in cui tutte le canzoni sono legate da un argomento di fondo comune, nello specifico”l’ipotesi di una fine, quella di un pianeta prossimo al collasso fisico e mentale”. Un tema svolto lungo traiettorie che svariano dal rock chitarristico alle contaminazioni elettroniche, dalle ballate acustiche alle tempeste elettriche, tra una citazione di “M – Il mostro di Düsseldorf” e una di Astor Piazzolla, e con archi e fisarmonica a fare la loro comparsa abbellendo il tutto. Un lavoro estremamente curato, senza alcun dubbio; suonato e prodotto senza sbavature alcune, e cantato con trasporto e buona capacità di trasmettere sfumature e stati d’animo dei più diversi. A voler trovare un paio di difetti al CD, c’è da dire che nel complesso manca di veri picchi compositivi, pur mantenendosi sempre su livelli apprezzabili, e qua e là affiora qualche “maledettismo” di troppo nelle liriche; ciò premesso, con “Zerougualeinfinito” i Mistonocivo riescono discretamente bene nel tentativo di dar vita un rock moderno e capace di mantenere la propria umanità anche dopo l’incontro con la tecnologia; senza esaltarsi troppo, ma neppure senza mai scendere sotto il livello qualitativo di guardia. Contatti: www.mistonocivo.com Aurelio Pasini Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Morose La vedova d’un uomo vivo Ribes/Shyrec/Travelling Music/Boring Machines “La vedova d’un uomo vivo” è la quarta prova per i Morose, che così aprono una strada nuova per loro, ovvero il cantato dall’inglese passa all’italiano. Non posso negare di non aver apprezzato i ragazzi di Sarzana anche per i dischi precedenti, ma l’italiano ha dato loro una movenza sublime. Il timbro forte e sicuro di Davide Landini diventa un magma di poesia che solleva prima gli spiriti assieme a Valerio Sartori e Pier Grigio Storti e poi li cosparge di parole mai scontate, raccontando storie ma anche visioni, immaginazioni, speranze che l’amore perduto per sempre torni sotto forma di sognanti occhi che finalmente sono per lui per poi fargli sollevare i ponti levatoi perché lei è arrivata, parafrasando “Intorno a una donna dai molti mariti”. Questo disco è pieno d’amore, e quindi strugge. Quando non riuscite a lasciare andare lei e quello che bramate è “Ancora una parola” prima di non vederla più e si susseguono i ricordi, o il ritratto di un uomo: “Un uomo perduto” dove la ripetizione delle stesse frasi sembra sbattere contro una roccia la testa e sanguinare sempre di più, per rimarcare il dolore. “Il campo ha occhi, la foresta orecchi” è nel cuore del disco e qui si erge l’anima oscura del gruppo, che s’insinua in territori terrificanti che fanno gelare la pelle e si spinge tra vocalizzi amplificati, spettri tra le dita delle chitarre e voci sussurrate, quando la voce di Davide arriva accompagnata da un movimento svelto del pianoforte e dalla tromba, e di colpo scende la notte. Contatti: www.moroseismoroseismorose.com Francesca Ognibene Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Orient Express Illusion My Kingodom Music L’Orient Express corre su binari sicuri; nel nostro caso, una rock band con stazione di partenza pugliese, Barletta per l’esattezza, anno 2002. Poi il viaggio ha sedimentato strategie stilistiche, portando lontano, verso lidi anglo-psichedelici. Un trip dunque, come si suol dire, sancito adeguatamente dal debutto ufficiale “Illusion” pubblicato dall’eccellente avant-metal (e non solo) label romana My Kingdom Music, impregnato di un mirabile magnetismo elettrico. Impressionano positivamente le ipnotiche, tese slow-song come l’iniziale “Eternal Child”, “Illusion”, “Prison Head” e “Rats Know”, fluttuanti in un mare di arpeggi ed atmosfere malinconiche, anche quando fanno posto ai solidi riff di “Madness”. La voce di Wito (anche bassista) traccia linee melodiche ed interpretative rassicuranti, efficaci tra le pieghe più introspettive, ma anche nel seguire l’intensificarsi delle tensioni chitarristiche (pregevole anche il lavoro alle sei corde del fantomatico GG). Un indubbio, importante punto a favore, epicentro espressivo in un collaudato impianto rock. Crepuscolari movenze psichedeliche che sfociano i deflagrazioni controllate, ovvero la connotazione più evidente nonché formula vincente del quartetto barese, che pare aver raccolto anche dei riscontri positivi oltre confine. Forse un’ennesima trita storia di italici tentativi di sprovincializzazione, laddove il titolo del disco pare fotografare un ovvio frustrante pedaggio. Ma la partenza discografica è buona davvero, matura e consapevole dei propri mezzi, e spontanei vengono gli auguri per tante nuove soddisfacenti stazioni. Contatti: www.officialorientexpress.it Loris Furlan Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Quasiviri The Mutant Affair Wallace/Audioglobe I Quasiviri sono Roberto Rizzo dei mai abbastanza lodati R.U.N.I. (voce, synth), Chet Martino (basso a 8 corde, in curriculum Pin Pin Sugar e Ronin) e il batterista canadese André Arraiz-Rivas, proveniente dal jazz di confine e dalla scena improvvisativa: il loro incontro ha dato vita ad una delle situazioni più divertenti che siano state trasformate in disco quest'anno. Immaginate la new wave corrotta e demente, con punte di ossessioni ritmiche kraute, dei già citati R.U.N.I. inserita in un contesto appena più lineare e avrete un'idea di quello che vi aspetta immergendovi nell'ascolto di “The Mutant Affair”: “Italia forza” rievoca la infantile follia del Confusional Quartet, la successiva “Superlando” vi aggiunge una squadrata progressione sintetico-rumorista di scuola Trans Am e un naufragio verso spiagge melodiche che ricordano gli Abba. Ma l'incontro impossibile tra Eurofestival e math-rock non è l'unico risultato che impressiona e convince, visto che il gioco degli accostamenti ingloba anche i Devo (“Dito indipendente”) e i primi Tortoise nella splendida “Thanks For Giving”, mentre “L'ultima foresta pluviale” è un sublime cincischiare che si sviluppa in crescendo incalzanti e spirali geometriche di suono. Si mantiene però sempre, a prescindere dalle influenze, una fortissima impronta personale. Non sappiamo se Quasiviri sia un capriccio estemporaneo, oppure se si tratti di una realtà destinata a maturare ulteriormente, in ogni caso un elemento è particolarmente evidente: il trio si è divertito un mondo a registrare “The Mutant Affair”, e buona parte di quello spirito è arrivata intatta fino a noi. Contatti: www.quasiviri.it Alessandro Besselva Averame Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Ranj Ranj_2009 01 Freecom/Jestrai Senz’altro interessante il progetto Ranj: quattro musicisti veneti che, uniti dalla passione per gli strumenti e le sonorità indiane (che hanno studiato al conservatorio di Vicenza), hanno deciso di farli incontrare con il rock, e nello specifico con distorsioni e soluzioni tipicamente grunge. A differenza di altre esperienze simili, però, la particolarità del quartetto è che le strutture compositive non sono quelle tipicamente occidentali, bensì quelle dei raga. Il risultato di tale processo è una raccolta di brani – sei canzoni autografe, uno strumentale e tre riletture di canti tradizionali dell’India – che ammalia grazie a una riuscita compenetrazione di fascinose architetture acustiche e pesanti saturazioni elettriche. Spiritualità orientale e tensione urbana (non soltanto) anglo-americana si incontrano tra queste tracce, e anziché respingersi si attraggono e si compenetrano dando vita a qualcosa di originale e assolutamente degno di nota. Certo, per il pubblico rock tradizionale certe soluzioni suoneranno un poco strane, così come il cantato di Eli – così distante dai canoni a cui solitamente siamo abituati – potrebbe sembrare non facilissimo da assimilare: ciò detto, le melodie tratteggiate dalla voce e, ancora di più, gli arabeschi disegnati dagli strumenti (chitarra, basso, batteria, sitar e cornamusa) hanno tutte le carte in regola per convincere anche i più scettici. Contatti: www.myspace.com/theranj Aurelio Pasini Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Runaway Totem Manu Menes Runaway Totem Records/Lizard “Runaway totem non appartiene ad una sola Era. Runaway Totem è formata da Essere Cosmici”. Questa è la frase che chiude la biografia dei Runaway Totem sul loro sito. Niente di più normale, visto che siamo al cospetto di una delle band più enigmatiche e affascinanti del panorama musicale non solo italiano. Avvinghiati nel loro mondo, anzi nei loro mondi, i Runaway Totem, la cui collocazione geografica terrena è il Trentino Alto Adige, non conoscono mode, non sprecano tempo a definire quanto scrivono e compongono, preferiscono seguire e poi musicare le visioni che appaiono e forse scompaiono, frutto di studi cabalistici, di approfondimenti che sanno di alchimia e dottrine dimenticate, ma che in realtà, se lette con le giuste conoscenze, vivono e tornano sempre nella storia dell’umanità. Da oltre due decenni il gruppo, che ha subito modifiche continue (ed è transitato anche con la Black Widow e la Musea), è imperniato attorno a Châl De Bêtêl (chitarra, tastiere e voce) e sviluppa la propria storia in cicli e fasi (Analisi, Sintesi, Crono, Kalpa, Nous), avendo sempre come riferimento una delle band simbolo dell’esoterismo musicale, i francesi Magma, ma riletti con una soggettività straripante. E così, anche in questa settima creatura dei Runaway Totem emerge una personalità artistica di dimensioni universali, attraverso tastiere, strumenti a fiato, pianoforti, cori antichi, voci profonde e senza tempo, si avviluppano su stesure strumentali lunghe e piene di fantasia, con la voce leggiadra della nuova arrivata Issirias Moira che fa da contrasto alla timbrica ossianica del leader storico. Tre lunghe composizioni per un totale di oltre settanta minuti, roba che solo gli adepti a questo tipo di sonorità, che vi prego di non includere nel progressive, sapranno apprezzare. Ma per chi conosce i mondi dei Runaway Totem non c’è nessun rischio, se non quello di perdersi e farsi avvolgere dai tanti sentieri di questa misteriosa e straordinaria band. Contatti: www.runawaytotem.com Gianni Della Cioppa Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Sarah Schuster Rain From Mars Sarah Schuster/A Buzz Supreme Un esordio autoprodotto a sintetizzare tre anni di attività, dopo l’EP di presentazione “Thus Spoke Sarah Schuster” del 2007. Registrato in presa diretta e rigorosamente in analogico, “Rain From Mars” fotografa così un gruppo in ottima forma, capace di parlare un linguaggio indie-rock al contempo nervoso e melodico. Si sarà già capito che agli inutili orpelli si preferiscono composizioni secche ed essenziali, ma non per questo prive di inattese sterzate: da una parte vi sono cupi rimandi blues, dall’altra proiettili sparati a gran velocità. Non mancano nemmeno episodi più riflessivi, per quanto contraddistinti da un lodevole approccio obliquo (“Riverbank”). I punti di riferimento, tra l’altro dichiarati, sono quindi sia personaggi carismatici quali PJ Harvey o Nick Cave sia band “a tutto pepe” come le Sleater-Kinney (si ascolti la frizzantissima “Walk Through The City” oppure le energiche “More” e “Let’s Dance”). A ricordare ulteriormente queste ultime provvede una formazione priva di basso, costituita da Lisa Albanese (voce), Daniela Dal Zotto (chitarra, voce e pianoforte elettrico), Eleonora Dal Zotto (chitarra, cori e shaker) e Matteo Mosele (batteria, cori e glockenspiel). Sono proprio gli intrecci fra le chitarre e le due voci femminili a intrigare maggiormente, sebbene non manchino vari diversivi: si pensi alla presenza di Amy Denio, al sax contralto in “Music Beyond Me” e alla fisarmonica nell’intrigante “Tarà tarà”. Lavoro davvero godibile, ben superiore a tante proposte di provenienza internazionale. Complimenti al quartetto veneto. Contatti: www.sarahschuster.it Elena Raugei Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Serpenti Sottoterra Godz/Halidon Caspita se suona bene questo disco, pensi già dopo la prima traccia, e allora corri subito al booklet: album masterizzato all’Exchange a Londra (eh!) dal signor Mike Marsh (doppio eh!). Sforzo notevole, segno che si vogliono fare le cose per bene e, soprattutto, si crede nel proprio potenziale. Già: perché per quanto si flirti con l’elettronica e/o con suoni ruvidi, i Serpenti nella scrittura vanno nella direzione del più tipico pop-rock italiano. Spogliano i pezzi degli arrangiamenti molto carici e adrenalinici, quel che resta è, sì, pop, è il giro facile, logico, ricordabile. Cosa che di per sé non è un male, ma se siete lettori del Mucchio (e lo siete) allora il pop va declinato solamente in modi interessanti e non convenzionali, o per lo meno stranianti. “Sottoterra” invece è fatto per andare dritto allo scopo, vuole essere la colonna sonora perfetta per generazioni di ventenni cresciuti ascoltando i brani più mossi dei Subsonica o dei Bluvertigo e che ora come punta estrema di sperimentazione hanno i Justice, ma gli possono andare bene pure i Negrita. In questo, “Sottoterra” è fatto a modo, è un prodotto di vaglia, è roba buona. Ma noi, che siamo un po’ rompiscatole e leggiamo e scriviamo il Mucchio, vorremmo un po’ di più. Vorremmo più sfumature, più colpi di scena, financo più errori ed imprecisioni, meno sistematica adrenalina melodica e più intoppi sorprendentemente sinistri. Contatti: www.serpentimusic.com Damir Ivic Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Tecnosospiri I lupi Cinico Disincanto/CNI Giunti al terzo album, i Tecnosospiri si affidano alle maieutiche qualità produttive di Amerigo Verardi, e la scelta non poteva essere più azzeccata: il musicista brindisino arricchisce l'impianto delle canzoni con la propria sensibilità vintage e psichedelica, mettendo in evidenza il suono delle chitarre e contribuendo alla maturazione del pop sofisticato e un po' retrò della band laziale. Se volessimo collocare queste canzoni in un'area musicale, diremmo che ci si muove tra le ballate alla Benvegnù e quel trasognato cinismo che abbiamo imparato ad apprezzare nei Baustelle. Senza dimenticare qualche incisiva gita in territori wave, si veda la trascinante e cupa Varsavia, che evoca ovvi quanto appropriati scenari fine '70, mettendo in contatto certi spunti à la Battiato (linguistici, le incursioni in un immaginario vago eppure plausibile soprattutto) con i già citati Baustelle, una spruzzata di decadenza incorniciata da eleganti archi che compaiono decisi a sottolineare i momenti giusti. In altre occasioni, le luci si abbassano e le tessiture si fanno più tenui, come nella prevalentemente acustica ballata che dà il titolo al disco, anche qui una rievocazione perfettamente bilanciata tra creazione estetico-letteraria e reale memoria da condividere: l'essenza del pop secondo alcuni, che qui ci pare rappresentata in modo convincente, dando l'impressione di poter promettere ulteriori sviluppi. Contatti: www.tecnosospiri.com Alessandro Besselva Averame Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 The Forty Moostachy Three Rooms. Some Songs. The Show And A Suitcase Full Of Bones Black Nutria Avete presente quando andate a vedere un film molto lungo – ben oltre le due ore e mezza dei film catastrofici di Roland Emmerich – e uscite stremati e rispondete al vostro amico che vi chiede un parere dicendo una cosa tipo: “Eh, ma l’ultima mezz’ora cresce”. Ecco, questa è esattamente la sensazione che mi ha lasciato il disco dei Forty Moostachy. Uscito per la Black Nutria – etichetta dedita alla promozione di buoni dischi di italiani che ancora si ricordano come si fa il rock’n’roll – “Three Rooms. Some Songs. The Show And A Suitcase Full Of Bones” affossa tutti i suoi buoni propositi (onestà, schiettezza, voglia di fare) con due difetti difficilmente superabili: la musica, di fondo, è abbastanza banale (un blues rock veloce che ti fa dire: “Sì, ok, ma poi?” mancando appunto quello scarto che ti fa apprezzare anche certe cose apparentemente molto banali) e il disco dura cinquanta minuti. Ma a che serve fare dischi di quasi un’ora al giorno d’oggi? C’è troppa roba. Troppa dispersione. Troppe cose inutili. Ma ho scritto che alla fine il disco cresce. Ecco. “Pink Little Toffee” è un gran pezzo. Riff roccioso, andamento hard-psichedelico, pestone il giusto. Insomma, forse bisognava farlo tutto così. Contatti: www.thefortymoostachy.com Hamilton Santià Pagina 62 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 The Lonely Rat The Lonely Rat Ghost/Audioglobe Prima, le faccende burocratiche: The Lonely Rat è il progetto solista di Matteo Griziotti, voce e chitarra dei milanesi Merci Miss Monroe. Per questo omonimo debutto, il Topo Solitario si è affidato ad una ricetta semplice quanto efficace: una chitarra acustica, una manciata di effetti per cui ringraziare l’amico Enrico Mangione (aka Mr. Henry) e la propria voce, quella voce poco rigorosa e molto sanguigna. Consci di aver già abbandonato la burocrazia introducendo questioni meramente artistiche, ci arrendiamo di fronte ad un lavoro così ben riuscito e rompiamo le righe. I 13 brani in scaletta sembrano colare lungo il mento come freschi ghiaccioli salvo lasciare chiazze sul colletto e poi appena un po’ più giù, a tracciare linee sul cuore, di quelle che non vanno via con un colpo di spugna. In tal senso, “The Lonely Rat”, è un dolcissimo inganno, fatto di specchi e continui “think-twice”. Se la sua musica è facilmente etichettabile come folk con suggestioni pop, è altresì vero che manca quell’aura soporifera che caratterizza buona parte del genere. D’impulso si pensa a Elliot Smith, ma è un paragone scomodo e al tempo stesso un bersaglio troppo ovvio. Restiamo in Europa, piuttosto, che l’ombra di certa musica d’oltralpe (Red e su tutti, i Noir Desir più intimisti) pare essersi posata sul pentagramma in un paio di occasioni. Pare che questo disco sia nato nei ritagli di tempo. Una piccola magia a cui vogliamo credere, ma che rinsalda l’impressione di aver gustato un ottimo antipasto. A quando il piatto principale? Contatti: www.myspace.com/thelonelyrat Giovanni Linke Pagina 63 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Veracrash 11:11 Go Down/Audioglobe Nel flusso di nuove uscite discografiche, che sembra alimentato da un demone che si diverte a generare confusione in modo tale da evitare anche solo di provare a conoscere ciò che succede in un singolo genere, capita di rado di soffermarsi e scoprirsi sorpresi. Perlomeno, a me succede sempre più raramente. Colpa dell’età, della noia, forse del caldo. Però quando accade che dalle casse del nostro stereo (sì, stereo!) esca qualcosa che ci meraviglia, che ci costringe all’attenzione forzata, è uno stupore che compensa le tante ore spese inutilmente a cercare, se non il talento, almeno una stilla di emozione. I milanesi Veracrash, quattro ragazzi autori qualche anno fa di “The Ghost EP”, sono riusciti nell’impresa di obbligarmi all’attenzione, a prendere il booklet, misero invero, per provare a capire qualcosa di più di cosa c’è dietro queste otto canzoni più intro che alimentano l’esordio sulla lunga distanza. “11:11” (prossimo titolo per un film horror?) è un concentrato e allo stesso tempo un’estensione di certo rock vulcanico che ha irrorato gli ultimi tre lustri. I riferimenti sono evidenti: Kyuss, Queens Of The Stone Age, ma anche il feedback cupo dei Sonic Youth, per non dire di alcune successioni di accordi figlie dello shoegazer e frammenti di Isis e Neurosis (la copertina è frutto di Seldon Hunt, che ha lavorato con queste band); su tutto, però, eccelle la qualità dei pezzi, sempre viziosi e corrotti, scritti con percorsi ampi ma racchiusi in una logica compositiva fatta di melodie, alternanze e persino parti cantate – a opera del chitarrista e leader Francesco Menghi – melodiche e convincenti, scelta non così scontata in questo territorio stilistico. Leggendo la biografia della band si capisce il perché di tanta sicurezza: a differenza di tanti altri colleghi, i Veracrash hanno costruito il loro percorso partendo dai concerti, un’infinità di concerti, misurandosi in svariate situazioni e ricavandone l’esperienza necessaria per confrontarsi con la stesura di brani inediti. Alcuni di questi sono davvero notevoli, come “Beyond The Grave” e “Broken Teeth, Golden Mouth”, anche se uno dei pezzi più significativi è la cantilena di “Russian Roulette”, vocalizzata dall’ospite Johann Merrich, un’artista che vanta un suo lavoro solista come sperimentatrice elettronica e che qui si diverte anche a usare il synth nell’ipnotica apertura di “Spoon”. Veracrash, una band... vera. Contatti: www.myspace.com/veracrash Gianni Della Cioppa Pagina 64 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Artivive Festival Soliera (MO), 12-14 giugno 2009 Musica e teatro. Teatro e musica. Soliera rinvigorisce almeno una volta l’anno grazie all’estro di Stefano Cenci, deus ex machina di “Artivive”, in una settimana pregna di eventi d'ogni specie che invadono il paese da mattina a notte fonda. Le ultime tre serate, dal 12 al 14 giugno, sono dedicate principalmente alla musica. Di quelle parleremo, ché il teatro non è strettamente affar nostro. Aprono le danze i Motel Connection e lo fanno in modo letterale, portando in piazza Lusvardi il progetto audiovisivo “H.E.R.O.I.N”. L’impianto di luci davanti a DJ Pisti è impressionate: un grande reticolo metallico di neon e led cangianti che stordisce. Samuel si ingrazia le prime file con una chitarra suonata un po’ per gioco, mentre il basso è un groove non indifferente sotto i battiti pesanti di Pisti. Senza lode ma nemmeno infamia. Tra l’estetico e il tamarro, viene spontaneamente da muovere collo, bacino e natiche. Non ci si può far nulla. La seconda giornata è quella “alternativa” da programma. In piazza F.lli Sassi troviamo i Pip Carter Lighter Maker che saturano l’atmosfera di psichedelia texana a tratti barrettiana, peccato che il ruolo della band sia diventato quello di opener per ogni festival emiliano e il pubblico presente è ancora misero. I Mariposa seguono poco dopo sullo stesso palco con un pizzico di teatralità e con piacevole sorpresa dei molti che godono per la prima volta del loro art-pop ironico e avvincente. In piazza Lusvardi i Diaframma – francamente sottotono e a tratti imbarazzanti come in una versione pedissequa di “Anarchy In The UK” – richiamano uno zoccolo di ultras recalcitranti davanti allo stage che copre di urla la voce fiacca di Fiumani. Ma poi arrivano gli Zen Circus – qualche dio li benedica – che sparano un set furibondo stile Iggy & The Stooges: batteria suonata à la Violent Femmes, basso rovesciato e distorto, chitarra dal volume oltraggioso e tanto di arrampicata sui tralicci del palco. Deliranti e sorprendenti, gli Zen Circus regalano la migliore esibizione del festival e chiamano addirittura sul palco Federico Fiumani per una esilarante “I Wanna Be Sedated”. Pisani scaltri e scatenati, geniali. Dopo di loro, il concerto conclusivo dei Meganoidi nell’odierna metamorfosi “seria” è uno scioglimuscoli defaticante. La nottata è ancora lunga; moriremo alle prime luci dell’alba sul dancefloor del circolo Arci “Dude”. Il gran finale di “Artivive”, la parte più intellettuale del festival, vede in cartellone Carla Bozulich e Ascanio Celestini. Musica e teatro si mischiano e si celebrano vicendevolmente. L’americana, con un set chitarra-voce-violoncello, è teatrale nel suo scendere tra il pubblico durante alcune tirate d’ugola emozionanti. Ascanio Celestini – alle sue spalle un ensemble superlativo di fisarmonica, violoncello, batteria e chitarra – sale sul palco e accenna le prime strofe di “A quel omm” di Ivan Della Mea con i peli delle braccia di metà della platea che si rizzano e fremono nel lutto recente. Poi è tutto “Parole sante”, il disco omonimo e le performance parlate già viste nelle notti della Dandini. Musica e Teatro. Teatro e Musica. Nell’ultimo colpo di reni di Artivive, nell’Emilia un tempo rossa e oggi realmente sbiadita dall'avanzare delle destre, il clamore unanime della folla per lo show di Celestini è una sorpresa gradita e quasi un sospiro di sollievo. E alla fine abbiamo goduto e parlato, almeno un poco, anche di teatro, sebbene – come dicevamo in apertura – non fosse strettamente affar nostro. Pagina 65 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Marco Manicardi La Musica nelle Aie – Castel Raniero Folk Festival Castel Raniero (RA), 8-10 maggio Anno dopo anno “La Musica nelle Aie – Castel Raniero Folk Festival” cresce: non così tanto da snaturarsi, abbastanza da fare in modo che sempre più curiosi ne siano attratti e sempre più artisti partecipino alle selezioni. L'idea di fondo è sempre la stessa: coinvolgere i più di venti selezionati - tra solisti e gruppi – lungo un percorso di cinque chilometri sulle colline faentine, invitando giurati e pubblico ad un ascolto itinerante e partecipativo. Il tema di fondo è, ovviamente, il folk, ma come ogni anno si tratta di un criterio di valutazione di massima, di una questione di attitudine, così che non suona strano vedere tra i gruppi segnalati Musica Spiccia, orchestra di quaranta elementi che vede adulti e bambini fianco a fianco (qualcuno si ricorda della Portsmouth Sinfonia), così come i forlivesi Tziganotcha, con repertorio tra Balcani, klezmer e Sud Italia. Quello dei Balcani e dell'attigua mitteleuropa pare essere il leit motiv di questa edizione, con buona pace della dilagante xenofobia da fazzoletto verde, visto che ad aggiudicarsi la vittoria sono Roberto Durkovic e i fantasisti del Metrò (gruppo nato dall'incontro tra il cantautore di origine praghese e alcuni musicisti rom nella metropolitana di Milano), eclettici e “paraculi” nel miglior senso possibile. Chiudono la parata dei gruppi segnalati Francesco Sossio Sacchetti, il cui sax mediterraneo ben si sposa agli strumenti della tradizione pugliese, e i Geneviève, con il loro agile jazz folk, mentre la celebrazione della chiusura della manifestazione è affidata Alexian Santino Spinelli, autorità della musica rom in Italia, il cui show coinvolgente ci ha fatto credere che la Lega fosse semplicemente un brutto sogno. Alessandro Besselva Averame Rottura del silenzio XII Ekidna Habitat, San Martino Secchia (Carpi – MO), 19-21 giugno 2009 Intorno al solstizio d'estate da dodici anni a questa parte, prima itinerante, poi a Migliarina nella vecchia sede e ora nell'aere bucolico di una ex colonia elioterapica rimessa a nuovo in quel di San Martino Secchia, l'associazione Ekidna organizza tre giorni di musica ultraindipendente che per un abitante della bassa modenese, anche solo minimamente interessato al suono o all'impegno sociale, è immancabile a prescindere dai gruppi in cartellone. Si deve andare persino a scatola chiusa: la “Rottura del Silenzio” è una specie di obbligo morale e un rituale collettivo. Più di venti formazioni si susseguono con ritmo serrato sul palco esterno dell'Habitat tra gli alberi e la frescura di una campagna quasi incontaminata. Etichette, distro, banchetti et(n)ici e cibarie d'ogni sorta circondano lo stabile dallo stile littorio abbarbicato all'argine del Secchia. Quest'anno gli headliner stranieri sono due e nemmeno impeccabili, quindi meno Pagina 66 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 esterofilia e più spazio per le realtà nostrane. L'olandese Harry Merry chiude la serata dark di venerdì con un cabaret fin troppo scontato, e gli americani Constants nella mezzanotte di sabato alzano un muro sonoro quasi perfetto, ma che diventa pedante con l'andare del concerto. Entrambi verranno schiacciati dalla frenesia incontenibile dell'emo-screamo de La Quiete alla fine del festival. In mezzo, una serie di nomi più o meno noti: il consueto delirio garage Sixties dei The Tunas, lo struggersi distorto degli ex Laghetto ora Marnero, il noise lancinante dei Lleroy, la schizofrenia punk'n'roll velocissima di Laser Geyser. E poi ancora, in ordine sparso e mnemonico, Inferno, Oltretomba, Stardom, The Doggs, Summer Camp Disease, At The Saunddawn, Forty Feet Container e Argetti. Menzione d'onore per l'ovazione unanime riservata ai local heroes: il combat folk raffazzonato degli Italiana Filastrocca e il funky acido dei Chancla nel primo pomeriggio del sabato; il crossover a tinte metal e Biohazard degli ottimi Dead Are Walking (con una batteria incontenibile) e l'hc vecchia scuola degli Headed Nowhere, un pezzo di storia modenese, nella serata di domenica. Medaglia d'oro per il Drumudio. Un'orgia ritmica dalle batterie contemporanee di Fede dei Three In One Gentleman Suit e Adri dei The Death Of Anna Karina accompagnati – ma è solo un accessorio – da Davide “il pazzo” (sempre TDOAK) alla tastiera. L'esibizione del Drumudio viene relegata nel sotterraneo dell'Ekinda, nella vecchia sala mensa dei bambini in colonia elioterapica, come ultima polluzione della notte di sabato. Le pareti scricchiolano e i timpani lanciano segnali di cedimento, mentre i corpi vengono investiti da un ritmo sfrenato. Fede è un maestro di tecnica e ingegno, Adri una furia di potenza e precisione. Insieme creano un'atmosfera mistica, un sabba delirante di bacchette, pelli, piatti e carne umana sudata. Sogni convulsi e secchiate di adrenalina per tutti nella nottata che segue. Il resto è ordinaria amministrazione come da dodici anni l'Ekidna ci ha abituati. Quindi autogestione e autoproduzione, compravendite e baratti ai banchetti, chiacchiere disinvolte e alcoliche per un intero weekend, pizze nel forno a legna, cibi carnivori, vegetariani e vegani cucinati in loco, verde e svacco a volontà. Resta ancora il modo migliore per riempire le giornate più lunghe dell'anno e saltare dalla primavera all'estate con un balzo ultraindipendente. Anche quest'anno. Marco Manicardi Pagina 67 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Luglio/Agosto '09 Eleven Fingers Cinque trentenni dalla bassa modenese, componenti di Fourire, Duner e Fragil Vida e collaboratori di Aquaragia e Fooltribe, si mettono in gruppo e fondano gli Eleven Fingers. Ne esce “We Lost Everything Just To Find Ourselves”, EP con cinque tracce di spiccata radice indie-chitarristica dagli anni 80 ai giorni nostri; cinque ballate soavi come ombre cinesi disegnate sul muro da mani abili. La tromba elegante di Enrico Pasini (già Like A Shadow? e ora parte del collettivo di Beatrice Antolini) fa capolino nella “White Boots” iniziale e nelle “The Big Door” e “One Day” finali. In mezzo troviamo il collage tra Police e Sprinzi di “Everything Is Far Away”, la dolcezza pianistica di “We Fall In The Sea” e le punte soul di “One Day” come una versione lo-fi delle parrucche afgane. David Merighi, voce e pianoforte, sfoggia un inglese splendidamente maccheronico che d’acchito può apparire straniante, ma che si rivela un valore aggiunto con l'andare degli ascolti. La manciata di tracce in questione e qualche fugace live emiliano sono tutto ciò che la band ha prodotto finora. Attendiamo con ansia le prossime ombre proiettate sul muro... con undici dita, chiaramente. Contatti: www.myspace.com/elevenfingersband Marco Manicardi Pagina 68 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it