Istituto MEME associato a Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles Buio Esperienza di intervento musicoterapico su un bambino non vedente Scuola di Specializzazione: Musicoterapia Relatore: Dott.ssa Roberta Frison Contesto di Project Work: Scuola dell’infanzia Tesista specializzando: Silvia Cavatorta Anno di corso: Primo Modena, 15 Maggio 2008 Anno accademico 2007-2008 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Indice dei contenuti Due parole prima di cominciare 3 1. Introduzione 1.1. Musicoterapia o didattica musicale? 1.2. Quale musicoterapia? 4 7 15 2. Francesco 22 3. Le emozioni predominanti 3.1. La Paura 3.2. La Rabbia 3.3. Bambini arrabbiati 29 29 34 37 4. Memorie di viaggio 4.1. Obiettivi 4.2. Setting 4.3. Musica del sonno, musica della veglia 4.4. Cacciatori e uccellini 4.5. Gioco vecchio, regole nuove 4.6. Confusione 4.6.1. La teoria dell’attaccamento 4.7. In gruppo, ma fuori 4.8. In marcia 4.9. Di nuovo in gruppo, la fatica di stare “dentro” 4.10. Percorso 4.11. Nel gruppo 4.12. Ripresa e cambiamenti 4.13. Gioco di regole 4.14. Batteria 39 39 39 40 43 47 50 55 60 61 63 65 69 70 72 73 5. Conclusioni 76 6. Bibliografia e Sitografia 78 2 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Due parole prima di cominciare Ciò che segue è la “registrazione” della mia prima esperienza di intervento musicoterapico. In realtà questa è stata anche la prima volta che mi sono trovata direttamente a contatto con il mondo dei diversamente abili. Per sintonizzarmi su questo canale, sconosciuto e per certi versi misterioso, ho osservato molto e pensato altrettanto. Gran parte di quello che segue è infatti basato sulle osservazioni fatte lungo la strada e su spiegazioni che ho cercato di darmi in relazione alle cose che osservavo. Concludo questo breve incipit con una sintetica spiegazione dei contenuti di questo scritto, virtualmente diviso in quattro parti. La prima parte, “Introduzione”, si apre con una breve descrizione di come si è svolto il mio lavoro nelle scuole fino ad ora per poi passare all’analisi delle differenze fra musicoterapia e didattica musicale, partendo dalle definizioni più comuni date alle due discipline ed arrivando infine alla spiegazione dei vari modelli di musicoterapia riconosciuti a livello internazionale. La seconda parte, composta da due capitoli, “Franco” e “Le emozioni predominanti”, è dedicata al protagonista di questo lavoro, il bambino non vedente con il quale ho compiuto questo viaggio e a quello che di lui ho osservato lungo la via. La terza parte, “Memorie di viaggio”, è una sorta di diario degli incontri, delle attività svolte, dei cambiamenti, delle sensazioni, dei dubbi e dei pensieri registrati in questi mesi di lavoro. La quarta e ultima parte è quella relativa alle “Conclusioni”. 3 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 1. Introduzione Ho conosciuto Franco (il nome è di fantasia) tre anni fa nella Scuola dell’Infanzia che frequenta tutt’ora. Il primo incontro non è stato dei migliori. Inserito in un gruppo con il quale iniziare un percorso musicale, Franco si teneva stabilmente le mani premute sulle orecchie, piangeva aggrappato alla sua maestra di sostegno e se mi avvicinavo mi mandava via. Purtroppo il poco tempo a disposizione non mi ha permesso di dedicargli la dovuta attenzione e di approfondire i motivi di questo rifiuto. L’anno successivo, l’anno scorso, nel tentativo di avvicinarci a lui abbiamo cambiato strategia e, pur essendo sempre inserito in un gruppo, cosa che Franco non ama particolarmente, si è comunque mostrato molto più disponibile ed “accogliente” nei nostri confronti. Dal momento che ne parlerò spesso, prima di proseguire mi sembra corretto spendere due parole riguardo a quello che io e Corrado Equilibrati, il mio collega didatta, compositore e chitarrista, proponiamo a scuola. Da anni, occupandoci di musica, lavoriamo su quello che consideriamo il primo dei saperi: il saper ascoltare. Senza ascolto non c'è comprensione, non c'è comunicazione, non c'è rispetto, senza ascolto non c'è crescita, senza ascolto non esiste sapere. Le più grandi culture del passato tramandavano i loro saperi oralmente, coloro che sapevano ascoltare erano degli eletti. Oggi saper ascoltare è purtroppo patrimonio di pochissimi. Da questa considerazione è nata la volontà di incentrare principalmente sull’ascolto i nostri laboratori didattico musicali dedicati ai bimbi delle Scuole 4 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO dell’Infanzia. Ovviamente, data la giovanissima età dei nostri “alunni”, tutti i progetti sono caratterizzati da un approccio alla musica estremamente giocoso, basato su attività di ascolto, piccole attività vocali, attività ritmiche e attività di movimento. La musica eseguita in classe durante ogni incontro diventa così realmente una sorta di “persona” con cui i bambini possono interagire, comunicare, giocare, rapportasi, a cui affidare confidenze e piccoli segreti e da cui ricevere in cambio una “carezza di suono”. Quello che cerchiamo di fare nel primo approccio dei bambini con il mondo della musica, oltre a cercare di abituarli ad un ascolto più attento ed “emozionale”, è far capire loro che la musica è qualcosa di vicino e conosciuto con il quale possono interagire. Per questo motivo leghiamo la musica ad emozioni e sensazioni “forti” che loro già conoscono perché vivono quotidianamente, come ad esempio la gioia, la tristezza, la paura, la ritrovata serenità, la rabbia (non siamo i primi: il melodramma dell’800 deve a questa idea gran parte del suo successo). Tutti questi concetti passano anzitutto attraverso l’uso del corpo (alzarsi, sedersi, muoversi come dice la musica, passare dentro al tunnel nero della paura dal quale si può uscire solo quando arrivava la 5 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO musica della ritrovata serenità, andare tutti nell’angolo della musica arrabbiata e così via) in modo da viverli prima di tutto “dentro” se stessi. Successivamente viene chiesto ai bambini di “ tirare fuori” queste emozioni musicali ad esempio collegandole ai colori e sempre facendo sedimentare i concetti anche attraverso vari giochi. Altre volte viene chiesto loro di disegnare le loro sensazioni subito dopo l’attività, in modo che siano il più “fresco” possibile (un piccolo esempio: l’attività legata al tunnel della paura, nel quale i bambini entrano da soli in un brucomela opportunamente “mascherato”, si conclude con l’uscita dal tunnel, che deve avvenire solo quando lo dice la musica, quando arriva la musica della “non paura”. All’uscita i bimbi arrivano in un ambiente molto diverso da quello che trovano all’interno del tunnel: materassi morbidi, teli profumati, caramelle sparse, luce. Immediatamente gli viene chiesto di disegnare la cosa che al mondo li spaventa di più. È interessante vedere che molti bambini disegnano il buio come qualcosa di nero in mezzo a moltissimi colori). Tornando a Franco, è facile capire che per lui abbiamo dovuto inventare un nuovo modo di procedere. 6 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 1.1. Musicoterapia o didattica musicale? Prima di tutto credo che sia bene chiarire cosa si intende per “musicoterapia” e cosa per “Didattica musicale”. Dal momento che spesso gli interventi, in entrambi i campi, non si rivolgono a persone che possiedono particolari competenze legate a questi ambiti, ed è a loro che spesso bisogna far capire la differenza fra i due “mondi”, ho trovato interessante effettuare una piccola ricerca in internet per capire come vengono definite, presentate e “spiegate” la musicoterapia e la didattica musicale ad un pubblico eterogeneo per età, stato sociale, cultura, interessi, formazione, contesti di vita e convinzioni come si immagina sia quello di Internet. Ecco allora alcune definizioni del termine “musicoterapia” trovati in rete. Dal sito http://it.wikipedia.org http://it.wikipedia.org/wiki/Musicoterapia La World Federation of Music Therapy (Federazione Mondiale di Musicoterapia) ha dato nel 1996 la seguente definizione: "La musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione intra e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico." 7 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Dal sito http://www.mtonline.it http://www.mtonline.it/definizioni.php In questo spazio si raccolgono varie definizioni di musicoterapia che nella loro diversità testimoniano la ricchezza e la freschezza di una disciplina relativamente giovane. Associazione Professionale dei Musicoterapeuti della Gran Bretagna “La musicoterapia è una forma di trattamento in cui s’instaura un mutuo rapporto fra paziente e terapeuta, che permetta il prodursi di cambiamenti nella condizione del paziente e l’attuazione della terapia. Il terapeuta lavora con una varietà di pazienti, sia bambini che adulti, che possono avere handicap emotivi, fisici, mentali o psicologici. Attraverso l’uso della musica in maniera creativa in ambito clinico, il terapeuta cerca di stabilire un’interazione, un’esperienza ed un’attività musicale condivise che portano al perseguimento degli scopi terapeutici determinati dalla patologia del paziente". Associazione Canadese di Musicoterapia “La musicoterapia è "l’uso della musica per favorire l’integrazione fisica, psicologica ed emotiva dell'individuo e l’uso della musica nella cura di malattie e disabilità. Può essere applicata a tutte le fasce d’età, in una varietà di ambiti di cura. La musica ha una qualità non – verbale, ma offre un’ampia possibilità d’espressione verbale e vocale. Come membro di un’équipe terapeutica, il musicoterapeuta professionista partecipa all’accertamento dei bisogni del cliente, alla formulazione di un approccio e di un programma individuale per il cliente e poi offre specifiche attività musicali per raggiungere gli scopi. Valutazioni regolari accertano ed assicurano l’efficacia del programma. 8 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO La natura della musicoterapia amplifica l’approccio creativo nel lavoro con gli individui handicappati. La musicoterapia fornisce un approccio umanistico possibile che riconosce e sviluppa le risorse interne del cliente spesso non sfruttate. I musicoterapeuti desiderano aiutare l’individuo per spingerlo verso un migliore concetto di sé, e, nel senso più ampio, per far conoscere ad ogni essere umano le proprie maggiori potenzialità". Associazione Nazionale di Musicoterapia U.S.A. “La musicoterapia è "l’uso della musica nella realizzazione degli scopi terapeutici: il ristabilimento, il mantenimento e il miglioramento della salute mentale e fisica: è l’applicazione sistematica della musica, diretta dal musicoterapeuta in un ambito terapeutico, per portare i cambiamenti desiderati nel comportamento. Tali cambiamenti permettono all’individuo di affrontare la terapia per arrivare ad una maggiore comprensione di sé e del mondo intorno a lui, e di ottenere quindi un più adeguato adattamento alla società. Come membro della squadra terapeutica il musicoterapeuta professionista prende parte all’analisi dei problemi dell’individuo e alla formulazione degli obiettivi del piano generale di trattamento, prima di progettare ed elaborare specifiche attività musicali. Valutazioni periodiche vengono fatte per determinare l’efficacia delle procedure impiegate". Federazione Mondiale di Musicoterapia “La Musicoterapia è l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo ,melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un cliente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, 9 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche, emozionali, mentali, sociali e cognitive. La Musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che il paziente o la paziente possano meglio realizzare l'integrazione intra e interpersonale e consequenzialmente.” Dal sito http://www.musicotherapy.it http://www.musicotherapy.it/corpo.asp?S=0&M=0&R=1&L=0 “La musicoterapia è una tecnica che utilizza la musica come strumento terapeutico, grazie ad un impiego razionale dell’elemento sonoro, allo scopo di promuovere il benessere dell’intera persona, corpo, mente, e spirito. Oggi vi sono diversi approcci alla musicoterapia, diverse metodologie, che hanno prodotto diverse musicoterapie, con un ampio spettro che va dall’approccio pedagogico, a quello psicoterapeutico a quello psicoacustico. La musicoterapia viene impiegata in diverse campi, che spaziano da quello della salute, come prevenzione, riabilitazione e sostegno, a quello del benessere al fine di ottenere un migliore equilibrio e armonia psico-fisica.” Finito questo piccolo viaggio in rete, stringo il campo all’ambito di coloro che operano in campo didattico musicale o musicoterapico. Ecco alcune definizioni di “Musicoterapia” date da celebri “addetti ai lavori” e raccolte in dispense dedicate a futuri “addetti ai lavori”. Definizione di G. Orff (da “La musicoterapia Orff”, Cittadella Assisi, 1992) “La musicoterapia è una terapia multisensoriale. L’utilizzo del materiale musicale (linguaggio fonetico ritmico, ritmo libero e metrico, melodia nel linguaggio e nel canto, capacità di maneggiare gli strumenti) è organizzato in modo tale da indirizzarsi in tutti i sensi” 10 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Definizione di E. H. Boxill (da “Musicoterapia per bambini disabili”, 1991) “La musicoterapia è un’amalgama di Musica e Terapia. Quando la musica, in quanto agente di cambiamento, è utilizzata per stabilire una relazione terapeutica,per favorire la crescita e lo sviluppo della persona, per assisterla nella realizzazione di sé, il processo è musicoterapia. Ampliando la definizione la musicoterapia è l’uso della musica come strumento terapeutico per il ristabilimento, il mantenimento ed il miglioramento della salute psicologica, mentale e fisiologica e per l’abilitazione, la riabilitazione ed il mantenimento delle capacità comportamentali, evolutive, fisiche e sociali, il tutto all’interno del contesto di una relazione cliente – terapeuta”. Definizione di R. Benenzon (da “Manuale di Musicoterapia”, 1981) “Dal punto di vosta scientifico, la musicoterapia è un ramo della scienza che tratta lo studio del complesso suono – uomo, sia per il suono musicale o no, per scoprire gli elementi diagnostici e i metodi terapeutici ad esso inerenti. Dal punto di vista terapeutico, la musicoterapia è una disciplina paramedica che usa il suono, la musica ed il movimento per produrre effetti regressivi ed aprire canali di comunicazione che ci mettono in grado di iniziale il processo di preparazione e di recupero del paziente per la società”. Definizione di K. Bruscia (da “Definire la musicoterapia”, 1992) “La musicoterapia è un processo sistematico di intervento ove il terapista aiuta il cliente a migliorare il proprio stato di salute utilizzando le esperienze musicali ed i rapporti che si sviluppano attraverso di esse come forza dinamica del cambiamento”. (definizioni tratte dalla dispensa “Musicoterapia, scuola e intergazione” di Paola Pecoraro Esperson). 11 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Per quanto riguarda la “didattica musicale”, in rete non ho trovato alcuna definizione ma solo una lunga serie di siti che propongono attività variamente, e spesso discutibilmente, legate alla musica e, soprattutto, alla musica “per bambini” (piccola osservazione personale: questo conferma in modo spaventoso ciò che molti pensano, cioè che “fare musica” con i bambini sia “facile” dato che, in fin dei conti, con loro “va bene tutto”) . Mi sono quindi dedicata alla ricerca relativa al termine “didattica”. Ecco alcune delle definizioni trovate: Dal sito http://www.dizionario-italiano.it “Arte e metodo dell'insegnamento” Dal sito http://www.demauroparavia.it “Parte della pedagogia che studia i metodi di insegnamento validi per ogni disciplina” “Ramo della pedagogia che studia i metodi di insegnamento” “Insegnamento, il modo di insegnare” Per dare una definizione a “didattica musicale” mi sono rivolta alla “Nuova Enciclopedia della Musica Garzanti” che, alla voce “didattica musicale”, rimanda alla definizione di “educazione musicale”. “(…) L’espressione educazione musicale può essere utilizzata con diverse accezioni. In primo luogo l’educazione musicale può essere intesa come pratica concreta dell’insegnamento musicale. In secondo luogo, educazione musicale è la denominazione di una specifica disciplina scolastica, che rappresenta una delle componenti del curricolo complessivo; ma la nozione di educazione musicale coincide con un dato modello educativo (un insieme concettuale o una teoria) che costituisce o dovrebbe costituire il fondamento delle attività concrete e un modo di concepire la disciplina scolastica stessa. 12 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Infine, in un’accezione più allargata, con educazione musicale può intendersi il campo delle ricerche che riguardano l’insegnamento musicale, quindi tutto il complesso dei modelli o delle teorie, ciò che si progetta, propone e realizza intorno al problema dell’insegnamento musicale. Per “didattica della musica”, poi, si intende l’insieme dei procedimenti, dei mezzi, delle strategie che permettono di tradurre un certo modello in precise operazioni di insegnamento. Un modello di educazione musicale – secondo la logica della moderna teoria curricolare – dovrebbe prevedere in linea essenziale gli obiettivi da perseguire (ciò che deve essere appreso), i contenuti su cui operare (in senso lato: attività, tipi di conoscenze), le metodologie funzionali all’apprendimento.” (da “Nuova Enciclopedia della Musica Garzanti”, marzo 1993, pag. 915) Definiti i concetti, passiamo all’eterno dilemma: cosa distingue l’intervento musicoterapico da un incontro di didattica musicale? Come fare a chiarire l’ambito di intervento se spesso le “armi” a disposizione, corpo, voce, ascolto, suono, strumenti, sono le stesse? Dall’analisi di queste definizioni appare evidente come sia la finalità dell’intervento, lo scopo ultimo, l’obiettivo a fare la differenza fra didattica musicale e musicoterapia. Mentre la didattica musicale si pone come scopo l’educare il soggetto alla musica, il fornire materiale di apprendimento, il formare tecniche, competenze ed abilità, l’obiettivo primario della musicoterapia è la presa in carico di un altro essere umano attraverso un approccio bio – psico - sociale nel tentativo di promuovere il benessere dell’intera persona, composta da corpo, mente, e spirito (visione olistica dell’individuo). La musicoterapia è quindi un rinforzo per contrastare patologie varie e/o facilitare i processi riabilitativi attraverso una relazione di aiuto. In più, come chiarisce Bruscia, le cose che si imparano attraverso la didattica 13 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO musicale sono generali ed universalmente valide (i parametri del suono, l’altezza delle note, il loro nome, ecc…) mentre ciò che si apprende attraverso la musicoterapia è una via d’accesso per entrare in contatto con noi stessi e con gli altri, cosa che si basa su variabili estremamente personali e legate al vissuto di ognuno. Infine il rapporto che lega allievo e insegnante è molto diverso per intimità, dinamiche e contenuti da quello che lega paziente e terapista. L’insegnante accompagna lo studente “dentro” la conoscenza di una materia mentre il terapista aiuta il paziente nel viaggio dentro sé stesso e verso un migliorato senso di salute e benessere. Per quanto riguarda le aree di intervento, è possibile delineare quattro ambiti di intervento musicoterapico: - Ambito preventivo Il musicoterapeuta che opera in questo ambito si trova ad agire in contesti nei quali non esistono particolari patologie su cui “lavorare”. La “terapia” viene vissuta e proposta come “apportatrice” di benessere psicofisico per chi la fruisce e quindi preventiva alla nascita eventuali disagi. Fanno parte di questo ambito il lavoro con gli anziani, con gli adolescenti di fasce sociali a rischio, con gestanti e partorienti, con malati terminali e il lavoro nelle scuole. - Ambito integrativo In questo ambito, il laboratorio di musicoterapia può diventare luogo privilegiato per favorire ed incentivare l’integrazione dei diversamente abili all’interno delle scuole. - Ambito abilitativo – riabilitativo Questo ambito riguarda gli interventi in cui la musicoterapia viene utilizzata nel trattamento di deficit psichici e psicomotori, disturbi dell’età evolutiva, disturbi dell’età senile, disturbi sensoriali, disturbi del linguaggio, disturbi neurologici (alzaimer, parkinson), stati di coma e pot coma. 14 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO I musicoterapeuti che agiscono in questo ambito operano in equipe con gli altri specialisti che si occupano, ciascuno in base alla sua specializzazione, del paziente. - Ambito terapeutico In questo ambito, riservato a medici o psicologi abilitati e specializzati in musicoterapia, generalmente sono trattati pazienti psichiatrici (interventi dedicati ad autismo, psicosi, nevrosi). I musicoterapeuti che non sono medici e che operano in questo ambito devono ovviamente operare in equipe con medici, psicologi e terapisti. Tutti gli interventi devono essere ovviamente adattati ai bisogni fisici, emotivi, intellettuali e sociali del paziente. 1.2 Quale Musicoterapia? La musicoterapia è una scienza relativamente giovane, molto vitale e, di conseguenza, in continua evoluzione. Nel 1993 è stato pubblicato un documento basato su materiale dedicato alla musicoterapia raccolto da 38 esponenti di altrettanti paesi mondiali appartenenti ai diversi continenti. I risultati hanno evidenziato una moltitudine di scuole, pratiche, tecniche, letture ed interpretazioni legate alla musicoterapia. Per far chiarezza in questo mare di interpretazioni, il 9° Congresso Mondiale di Musicoterapia tenutosi a Washington nel 1999 ha presentato i cinque modelli di musicoterapia riconosciuti a livello internazionale. Sono: • l’Immaginazione guidata e musica; • la Musicoterapia analitica; • la Musicoterapia creativa; • la Musicoterapia benenzoniana; • la Musicoterapia comportamentale. 15 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Prima di illustrare brevemente le principali caratteristiche di ogni metodo, per chiarezza è importante definire i significati dei termini “metodo”, “variazione”, “procedura”, “tecnica”, “modello” (in base alle definizioni che Bruscia fa nel suo “The Dynamic of Music Psychotherapy” del 1998). Un metodo è una particolare esperienza che il paziente sperimenta a scopo terapeutico (a esempio: la musicoterapia recettiva). Una variazione è il particolare modo in cui quella particolare esperienza musicale è formata. Una procedura o strategia è tutto ciò che il musicoterapeuta fa per coinvolgere il paziente nell’esperienza (ad esempio: l’improvvisazione). Una tecnica è l’unità più piccola della procedura che il terapista attua sul paziente (ad esempio: il rispecchiamento musicale). Un modello è l’approccio sistematico al metodo, alla procedura ed alla tecnica (ad esempio: la Musicoterapia analitica). Questi i termini base del “lavoro” musicoterapico. Per quanto riguarda invece gli elementi prettamente musicali, che all’interno di un intervento musicoterapico possono essere per il terapeuta fonte di spunti ed informazioni sul paziente, è importante citare: • Timbro (che indica l’identità). • Intensità (che può indicare sia il volume che il tipo, la qualità di “partecipazione” all’incontro). • Altezza dei suoni, intervalli, melodia. • Armonia (che può essere consonante o dissonante). • Componenti ritmiche (pulsazione e rispetto della pulsazione, durate). • Forme musicali (se esistono e sono riconoscibili). • Fraseggio (cioè come tutti gli elementi già citati, timbro, melodia, armonia, ritmo, intensità, vengono gestiti insieme). 16 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO • l’Immaginazione guidata e musica - GIM (modello sviluppato da Helen Bonny) La definizione data a questo modello da Helen Bonny, colei che l’ha sviluppato, dice che “GIM è un processo dove l’immaginazione è evocata durante l’ascolto musicale” (Bonny, 1990). Altra definizione efficace è stata data da Goldberg nel 1995 dice che “GIM è un approccio profondo alla psicoterapia musicale dove un determinato repertorio di musica classica è usato per generare una comprensione dinamica delle esperienze interne. È olistica, umanistica e transpersonale e permette l’emergere di tutti gli aspetti dell’esperienza umana: psicologico, emozionale, fisico, sociale, spirituale e dell’inconscio collettivo”. Questo metodo prende l’avvio da un’esperienza che Helen Bonny fece nei primi anni ’70 quando selezionò musica da sottoporre all’ascolto di alcolisti e pazienti oncologici terminali in abbinamento al trattamenti psicoterapeutico sperimentale con allucinogeni. In seguito la Bonny sviluppo un modello psicoterapico che non prevedeva l’uso di allucinogeni e nel quale un rilassamento profondo provocava un’alterazione dello stato della coscienza al quale seguiva un breve ascolto di brani di musica classica. Attraverso il “viaggio musicale”, che è il centro di questo metodo, il paziente ha modo di esplorare diversi aspetti della sua vita, “rivivendola” in modo simbolico. • la Musicoterapia Analitica (modello sviluppato da Mary Priestley) La Musicoterapia Analitica nasce all’inizio degli anni ’70 grazie all’impegno della violinista inglese Mary Priestley che ebbe l’intuizione di sviluppare una teoria che mettesse insieme musicoterapia e psicanalisi. La Musicoterapia Analitica è uno strumento creativo con il quale esplorare la 17 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO vita interiore del paziente ed offrirgli possibilità di autoconoscenza. In questo tipo di musicoterapia il paziente è attivamente coinvolto nelle attività musicali, molto spesso orientate verso l’improvvisazione. L’improvvisazione e l’analisi dello stile, delle caratteristiche, delle modalità, dei ritmi che il paziente usa e sceglie sono modi attraverso i quali il paziente stesso entra in contatto con il suo mondo interiore esprimendo se stesso ed allo stesso tempo importanti indizi e spunti di analisi per il musicoterapeuta. • la Musicoterapia Creativa (Modello Nordof-Robbins) Questo modello, creato dal compositore e pianista americano Paul Nordoff e dallo psicopedagogista inglese Clive Robbins, è diventato il modello di musicoterapia improvvisata più famoso degli ultimi 50 anni. Nella Musicoterapia Creativa la musica suonata è al centro dell’esperienza musicoterapica e le risposte musicali del paziente costituiscono il principale materiale su cui il terapista può lavorare. Proprio a causa dell’importanza e del valore dell’esperienza musicale, nel modello Nordof-Robbins il musicoterapeuta deve avere una solida formazione musicale che gli permetta una notevole padronanza dello strumento e della tecnica improvvisativa. L’“improvvisazione clinica” è infatti veicolo preferenziale di comunicazione fra terapista e paziente e mezzo attraverso il quale stabilire una relazione, oltre ad essere un mezzo di autoespressione e conoscenza di sé, valido non solo per il paziente ma anche per il terapeuta. Nella Musicoterapia Creativa la musica è quindi l’anima della terapia, l’oggetto attraverso il quale si attuerà il cambiamento. Il nocciolo di questo modello sta proprio nella visione della musica come veicolo di crescita e sviluppo e nella convinzione che in chiunque, a prescindere dal disturbo, dalla disabilità, dal trauma o dalla malattia ci sia una parte raggiungibile e valorizzabile attraverso la musica. 18 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO • Terapia della libera improvvisazione (modello di Juliette Alvin) Questo modello non fa parte dei cinque riconosciuti a livello internazionale durante il 9° Congresso Mondiale di Musicoterapia (Washington, 1999) ma è importante citarlo in quanto modello fondamentale per la musicoterapia improvvisativa. La Terapia della Libera Improvvisazione, sviluppata da Juliette Alvin, violoncellista famosa a livello internazionale, fra il 1950 e il 1960, si basa sull’”uso controllato della musica nella cura, nella riabilitazione, nell’educazione e nella formazione di adulti e bambini affetti da disordini fisici, mentali ed emozionali. Attraverso l’uso della musica in maniera creativa, in ambito clinico, il terapeuta cerca di stabilire un’interazione, un’esperienza ed un’attività musicale condivise che portino al perseguimento degli scopi terapeutici determinati dalla patologia del paziente” (definizione della stesa Alvin, 1975). Obiettivo di questa teoria e agire sulla totalità dell’individuo, integrando le diverse dimensioni della personalità ed utilizzando la musica come espressione del carattere e della personalità della persona stessa. Il metodo della Alvin è un metodo assolutamente musicale: tutto il lavoro terapeutico si basa infatti sul fare o sull’ascoltare musica. Cuore del metodo è l’idea della Libera Improvvisazione, che non richiede abilità musicali da parte del paziente( mentre, così come per la musicoterapia creativa, al terapista è richiesta padronanza dello strumento e del linguaggio musicale) e che può prevedere un uso non convenzionale della voce, degli strumenti e del linguaggio musicale in genere. Nella Libera Improvvisazione paziente e terapista condividono le esperienze musicali allo stesso livello (relazione paritetica) improvvisando insieme senza dover necessariamente rispettare le regole musicali se non quelle decise e fissate all’interno della relazione stessa e mantenendo entrambi il controllo della 19 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO situazione musicale. • Il modello Benenzon e il principio ISO La definizione della musicoterapia secondo il modello Benenzon, dal nome del musicista e psichiatra Rolando Benenzon, colui che l’ha strutturato, è la seguente: “La musicoterapia è una psicoterapia non verbale che utilizza le espressioni corporosonoro non verbali per sviluppare un legame relazionale tra il musicoterapeuta ed altre persone che necessitano di un aiuto per migliorare la qualità della vita, riabilitarla e recuperarla per la società; così come produrre scambi socio – culturali – educativi nell’ecosistema e attuare la prevenzione primaria della salute comune”. In questo modello la musicoterapia si definisce come una terapia relazionale non verbale che riguarda “l’uomo” e non “il paziente”, attraverso l’evidenziazione di possibilità di impiego molto ampie che vanno dalla prevenzione dei disturbi al miglioramento della qualità della vita della persona. Centrale in questo modello di musicoterapia è il principio ISO, termine che sta ad indicate l’identità sonora. Ognuno di noi ha la sua particolare identità sonora. Per aprire i canali di comunicazione fra paziente e musicoterapeuta, fondamentali per la buona riuscita della terapia, è necessario che ciascuna delle parti del processo comunicativo individui e riconosca l’ISO dell’altro. Solo attraverso questo riconoscimento la comunicazione diventa possibile. • la Musicoterapia Comportamentale La Musicoterapia Comportamentale si è sviluppata in particolare negli Stati Uniti, dove ancora oggi rappresenta il principale modello di intervento musicoterapico. Bruscia nel 1998 l’ha definita come: “l’uso della musica come rinforzo contingente o come stimolo segnale per aumentare o modificare comportamenti adattivi od eliminare comportamenti maladattivi”. 20 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO La Musicoterapia Comportamentale è una forma di modificazione cognitiva del comportamento, e infatti lo scopo del trattamento è indurre una modificazione nel comportamento attraverso un condizionamento. In questo modello la musica non ha la centralità “attiva” che riveste nei modelli precedenti e può essere usata come segnale, come struttura temporale e guida per i movimenti corporei, come centro dell’attenzione, come ricompensa. In tutti questi casi la musica viene comunque usata per cambiare un comportamento e ridurre i sintomi della patologia piuttosto che come tentativo di esplorare le reali cause del comportamento. Nella Musicoterapia Comportamentale la musica viene usata ed agisce come stimolo e rinforzo di un comportamento non musicale. Scopo principale della terapia non è l’osservazione di come il paziente comunica e si esprime attraverso la musica ma la valutazione di ciò che è bene mettere in atto per ottenere dei comportamenti o delle modificazioni ai comportamenti nel paziente stesso. 21 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 2. Franco “La minorazione della vista propone problemi gravi, spesso problemi che non trovano soluzione nell'ambito dell'individuo, che conducono l'individuo stesso verso forme di vita abnormi, verso modi di organizzare la propria reazione sociale e la propria attività affettiva su schemi e verso fini che non sono consueti, e non sono, soprattutto, armonizzabili con gli schemi e i fini di tutti. La minorazione della vista può dunque determinare nel soggetto un comportamento assolutamente estraneo alla comprensione della società.” Enrico Ceppi, tratto dall’articolo “PEDAGOGIA, METODOLOGIA E DIDATTICA IN AUGUSTO ROMAGNOLI” Franco è un bambino non vedente di 7 anni. Ovviamente il suo deficit gli crea grandi difficoltà in ogni ambito della vita, compreso naturalmente il muoversi, l’orientarsi, l’organizzarsi nello spazio, l’esplorare, il giocare, il relazionarsi con il mondo esterno in generale. Fisicamente è molto contratto, chiuso, si muove in maniera rigida, sono evidenti diverse stereotipie nel movimento (il dondolarsi, il “battere” ritmicamente ovunque, il muovere le mani). 22 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO A questo proposito, è stato per me molto utile e importante leggere l’articolo intitolato “Educazione estetica dei ciechi. Gesto - Ritmica – Espressione”, scritto da Elena Romagnoli Coletta e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”, rivista dedicata alle problematiche pedagogiche e didattiche per l'integrazione dei minorati della vista. L'atteggiamento del corpo, l'incedere, il gesto, sono rivelatori, in tutti, della personalità e dello stato d'animo del momento. Si dice che lo sguardo rivela l'animo, ma non sempre si riesce ad averne la certezza; lo sguardo si può controllare, ma per l'atteggiamento generale il controllo è più difficile. Nei ciechi questa espressività naturale è inceppata dalla mancanza di esercitazione delle membra e finisce col diventare quasi una paralisi, una sofferenza fisica dovuta allo sforzo di esprimersi senza averne il mezzo. (…) Nei ciechi il gesto sgraziato o la staticità rigida sono dovuti alla mancanza di possesso dell'immagine spaziale e del dinamismo della forma. La strumentalità dell'espressione mediante il gesto è ridotta nella sua spontaneità per l'inibizione dovuta al timore di muoversi e alla mancanza della padronanza dei propri muscoli; padronanza che si ottiene con l'esercizio dei muscoli stessi. (…) Non bisogna rendere goffo il cieco, insegnandogli una mimica convenzionale; ma assuefarlo a innervare nelle sue mani, nel viso e, in una parola, nelle parti interessate della sua persona i movimenti corrispondenti alle cose che dice o pensa, è quanto dire animare la sua immaginazione e la sua espressione”. Il suo parlato è continuo, logorroico in alcuni momenti. Si percepisce che non parla per comunicare ma più che altro per calmarsi. Se è chiamato a rispondere direttamente a una domanda, soprattutto se è gli è richiesto di parlare di se, spesso cade nel mutismo. 23 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Quando sente esaurito “il pericolo” ricomincia con la sua pseudo comunicazione. La comunicazione diventa reale solo in contesti di lavoro a due e sempre in relazione con adulti di cui si fida. È però un bambino a suo modo attento e curioso che continuamente vuole conoscere il perché di tutto. Così come il suo parlato, anche la sua produzione vocale è fuori da ogni contesto comunicativo e viene usata solo come sorta di “rinforzo” alle stereotipie di movimento. Se invitato a partecipare ad una qualsiasi attività vocale, cantare una canzoncina, intonare una filastrocca, sia di gruppo sia in un contesto di lavoro a due, la sua reazione è sempre quella di deciso rifiuto. A scuola ha atteggiamenti piuttosto dominanti. Sia con le maestre che con gli altri bambini, con i quali questa è l’unica modalità di relazione che mette in atto, è lui decide cosa fare e cosa gli altri devono fare. Se gli si chiedono cose diverse da quelle che lui ha deciso o si rifiuta o entra nel mutismo o si innervosisce, molto spesso reagendo in modo violento. Molto difficilmente esegue le consegne che gli vengono affidate, non perché non le ricorda ma solo perché non gli va di farle. Anche sotto il punto di vista relazionale Franco ha diversi problemi. Osservandolo all’interno del suo gruppo, è piuttosto evidente che i bambini della sua sezione non lo trovino una compagnia particolarmente divertente. Spesso infatti lo escludono dai vari giochi che animano le loro giornate scolastiche. Nemmeno Franco, almeno apparentemente, cerca la relazione con i compagni. Il rapporto è sempre con l’adulto e anche con gli adulti è comunque molto selettivo. 24 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Difficilmente si allontana dalla sua insegnante di sostegno, tranne quando si trova davanti ad alternative che giudica più appetibili, situazione nella quale le chiede invece di andare via. Spesso rifiuta con decisione ogni tipo di nuova figura. Se viene invitato a giocare con i compagni o rifiuta o diventa aggressivo, soprattutto nei confronti degli altri bambini. Ho provato ad ipotizzare spiegazioni a questi comportamenti: la prima è che il fatto di sentirsi poco accettato lo porti per reazione a rifiutare. Un altro sospetto è che, all’interno di quello che dovrebbe essere il gruppo dei pari, il bambino si annoi. Cosa che sarebbe comprensibile, considerando la differenza di età (i tre, quattro e cinque anni dei suoi compagni contro i suoi sette) e il fatto che comunque Franco è un bambino per certe cose già “grande” di suo. In più, quando gli altri bambini della sezione si rapportano con lui, mediano e “aggiustano” ovviamente molto meno di quanto non faccia qualsiasi figura adulta che graviti nella sua orbita. Ho l’impressione che il gruppo in cui è inserito Franco, composto da una ventina di bambini dai 3 ai 5 anni, non sia mai stato particolarmente “preparato” alla presenza di un amico “diverso” come può essere un bambino non vedente. I bambini, soprattutto e a maggior ragione se opportunamente preparati ed informati, sanno essere estremamente dolci ed accoglienti con i “più deboli” e mi è capitato spesso di osservare con quanta passione, delicatezza ed attenzione sanno curarsi di un amico in difficoltà. Non ho notato niente di tutto questo nei compagni di Franco che il più delle volte si limitano ad ignorarlo. Bisogna però anche dire che, a causa degli atteggiamenti violenti e dominanti che Franco ha sempre tenuto nei confronti dei suoi compagni di sezione, probabilmente loro faticano molto a riconoscere in lui un amico e, soprattutto, un amico da aiutare. 25 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO A conclusione di questa piccola considerazione, mi piace riferire una frase che ho trovato molto significativa. È tratta da un articolo di Barbara Celani Psicologa Clinica e di Comunità, intitolato “I bambini non vedenti nella scuola: gli insegnanti e le strategie didattiche” e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”. “La presenza in classe di un alunno con minorazione visiva dovrebbe diventare una fonte di stimolo per organizzare un’azione educativa più attenta alle possibilità d’uso di tutti i sensi, finendo in questo modo per favorire tutta la classe.” Nemmeno la sezione in cui Franco vive il suo tempo scuola è stata molto “preparata” al suo arrivo. Gli spazi, non ampissimi, sono disseminati di oggetti (tavoli, seggioline, angoli di gioco e travestimento, senza contare i giocattoli, pennarelli e oggetti vari dimenticati sul pavimento, tutte cose normali, considerando che parliamo di una scuola dell’infanzia) dei quali ogni tanto viene modificata la disposizione. Purtroppo non esiste un luogo pensato per lui in cui Franco possa sentirsi “sicuro” e protetto dalle sue ansie e paure e questo probabilmente rende ancora più difficile il suo già problematico rapporto con il movimento nello spazio. L’importanza di questa situazione, ovviamente non volontaria o figlia di cattiva volontà ma conseguenza delle difficile organizzazione e gestione degli spazi all’interno delle nostre scuole, è ben spiegata in questo passaggio dell’articolo “Educazione psicomotoria del bambino minorato della vista” scritto dalla Prof.ssa Luigina Teresa Orsini e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”. “È importante, almeno inizialmente, che ogni oggetto abbia un posto stabilito, onde evitare che il bambino, confondendosi, si disorienti. Se si sposta qualcosa, ad esempio una sedia, va informato e possibilmente coinvolto nell'azione, poiché egli, come già detto rapporta lo spazio al proprio 26 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO corpo e alle esperienze motorie con le quali riesce a dare una collocazione agli oggetti. I locali in cui vive devono diventare talmente familiari da permettergli esperienze complete di movimenti che interessino tutta la sua persona. Di ogni ambiente deve conoscere la “voce” caratteristica, avendone uno schema immaginativo sempre più preciso. (…) Solo quando avrà imparato a riconoscere le sue cose e ad orientarsi attraverso esse, si potrà variare, con intelligente gradualità, la disposizione degli oggetti in modo che non si fossilizzi in schemi fissi e soprattutto non si blocchi di fronte a situazioni nuove. L’orientamento consiste nell’acquisire l’abilità di dirigere i propri movimenti nello spazio precedentemente esplorato, nel riviverlo a livello immaginativo motorio e nel riuscire a descriverlo. (…) Viene a determinarsi così una forte correlazione fra capacità esplorativa, sicurezza nella deambulazione e processi di orientamento, tutti elementi che concorrono allo sviluppo conoscitivo, che trova concreta espressione e verifica nel percepire gli ostacoli, nel riconoscere spazi e locali valutandone dimensioni e forme, nel ritrovare l’orientamento individuando particolari noti. (…) Riepilogando: l'orientamento è il presupposto indispensabile di ogni autonomia e va di pari passo con lo sviluppo psico-motorio e con quello affettivo e intellettivo.” Per permettere a Franco di sentirsi accettato e a suo agio durante il laboratorio musicale, l’anno scorso abbiamo pensato di eleggerlo aiutante mio e del maestro Corrado. Questo ruolo “privilegiato”, del quale Franco ha abusato tentando di monopolizzare la mia attenzione e, ancora di più, quella di Corrado e rendendo difficile e frammentario lo svolgimento dell’incontro per gli altri bambini presenti, gli permetteva però di passare il tempo degli incontri seduto vicino a noi (eliminando leggermente, almeno in quei momenti, l’ansia legata allo spazio 27 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO e al movimento) e di essere investito di un ruolo preciso, quello dell’aiutante (e spesso suggeritore di scherzetti volti ad “imbrogliare” con la musica gli altri bimbi del suo gruppo). Questo gioco, poco didattico mi rendo conto, oltre a divertire moltissimo Franco, ha permesso a noi di entrare in contatto con lui ed essere finalmente accettati come amici. Concludendo questo capitolo dedicato a Franco, osservandolo è facile capire che due sono le emozioni che emergono con maggiore chiarezza dai suoi comportamenti: la paura e la rabbia. Franco le esprime continuamente, la prima attraverso tutto ciò che il suo corpo si rifiuta di fare, attraverso la contrattura, la rigidità, il blocco, la chiusura a tutto, le stereotipie; la seconda soprattutto attraverso le reazioni violente, sia verbali che fisiche, che spesso lo travolgono. Ma anche quando non esplode in maniera eclatante, la sua rabbia è sempre presente. Traspare, alle volte velata e vestita di altri colori, anche dai suoi giochi, anche dai momenti in cui è apparentemente sereno. Il fatto che sia per lui fonte di divertimento il rimprovero fatto ad un amichetto, il fatto che abbia atteggiamenti violenti nei confronti dei compagni anche quando questi non gli danno alcun fastidio, il fatto che l’unico modo di interagire con loro sia dominarli, così come spesso tenta di fare anche con gli adulti, il fatto che nei giochi di fantasia ci sia sempre qualcuno da uccidere, qualcosa a cui sparare, il fatto che sembra non provi nessuna forma di empatia nei confronti di niente e nessuno credo siano elementi da non sottovalutare. 28 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 3. Le emozioni predominanti Paura e rabbia sono considerate, insieme alla gioia, alla tristezza e al disgusto, emozioni “fondamentali”. Sono così definite perché tutte queste emozioni sono innate, autonome dallo sviluppo cognitivo e riconoscibili attraverso una serie di espressioni facciali che non variano al variare della cultura di appartenenza. Ecco di seguito una breve analisi delle due emozioni che più di tutte emergono con decisione dai comportamenti di Franco. 3.1. La Paura “È forte la paura, è importante. Meno male che c'è la paura. Ti mette in allarme la paura, ti fa stare attento, ti aiuta. È come un campanello che ti fa fermare per ragionare, per capire. Non ti permette di essere superficiale.” Giancarlo Abba, direttore dell’Istituto dei Ciechi di Milano Tratto dal resoconto dell’iniziativa “Dialogo nel buio” Con il termine “paura” si intende una intensa emozione derivata dalla percezione di un pericolo, reale o supposto che sia. Essendo una delle emozioni primarie, comune sia alla specie umana sia a molte specie animali, è governata prevalentemente dall'istinto ed ha come obiettivo la sopravvivenza dell'individuo ad una presunta o reale situazione di pericolo. 29 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Si scatena infatti ogni qualvolta si presenti qualcosa che viene vissuto o percepito come un possibile rischio per la propria incolumità. Il termine ”paura” spesso viene usato in modo generico per indicare stati di diversa intensità emotiva che possono andare dal timore, all'apprensione, alla preoccupazione, all'inquietudine sino ad arrivare all'ansia, al terrore, alla fobia o al panico. (grafico tratto dal sito http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_paura.htm) La paura viene vissuta come un senso di forte spiacevolezza, di tensione, di insicurezza e desiderio di fuga, come un intenso desiderio di evitamento nei confronti di un oggetto, di una persona, di un contesto o di una situazione giudicata pericolosa. Dai risultati di molte ricerche si giunge alla conclusione che potenzialmente qualsiasi oggetto, persona, evento o situazione può essere vissuto come pericoloso e quindi indurre una emozione di paura in base, appunto, alla percezione e valutazione dello stimolo come pericoloso. Essenzialmente la paura può essere di natura innata oppure appresa. Le paure innate possono avere origine da: • stimoli fisici molto intensi (ad esempio il dolore oppure il rumore); • oggetti, eventi o persone sconosciuti; 30 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO • situazioni di pericolo per la sopravvivenza dell'individuo (ad esempio l'altezza, il buio, il freddo, l'abbandono da parte della figura di attaccamento); • circostanze in cui è richiesta l'interazione con individui o animali aggressivi. Esempi di paure innate sono: la paura degli estranei, del buio, la paura per certi animali (ragni e serpenti), il terrore alla vista di parti anatomiche umane amputate. Le paure apprese riguardano un’infinita varietà di stimoli che derivano da esperienze dirette vissute dal soggetto e percepite come in qualche modo pericolose. Il meccanismo universale responsabile dell'acquisizione di paure apprese viene definito condizionamento e può trasformare un qualunque stimolo neutro in paura attraverso l’associazione ad uno stimolo originariamente fonte di paura. Fisicamente la paura si manifesta in un modo molto caratteristico: occhi sbarrati, bocca semi aperta, sopracciglia avvicinate, fronte aggrottata, stato di tensione dei muscoli del viso. Tutto ciò rappresenta quella tipica “espressione della paura” che è ben riconoscibile già in età precoce e in tutte le diverse culture. “Le alterazioni psicofisiologiche sembrano differenziarsi fra quelle che si associano a stati di paura intensa quelle invece concomitanti alla preoccupazione e all'ansia. Precisamente, uno stato di paura acuta ed improvvisa caratteristica del panico e della fobia, si accompagna ad una attivazione del sistema nervoso autonomo parasimpatico, si ha quindi un abbassamento della pressione del sangue e della temperatura corporea, diminuzione del battito cardiaco e della tensione muscolare, abbondante sudorazione e dilatazione della pupilla. Il risultato di tale attivazione è una sorta di paralisi, ossia l'incapacità di reagire in modo attivo con la fuga o l'attacco. 31 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO (…) Paradossalmente, in casi estremi, tale reazione parasimpatica può condurre alla morte per collasso cardiocircolatorio. Stati di paura meno intensi invece attivano il sistema nervoso simpatico, per cui i pelli si rizzano, ai muscoli affluisce maggior sangue e la tensione muscolare ed il battito cardiaco aumentano; il corpo è così pronto all'azione finalizzata all'attacco oppure alla fuga.” (informazioni tratte dal sito http://www.benessere.com http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_paura.htm) Nonostante la “brutta fama” di questa emozione, la funzione della paura, così come quella del dolore fisico, è sicuramente positiva. Serve infatti a segnalare uno stato di emergenza ed allarme, preparando la mente il corpo alla reazione. La paura infatti non costituisce semplicemente una risposta istintiva a qualcosa che viene vissuto o percepito come un pericolo, ma piuttosto una modalità messa in atto dagli individui per relazionarsi al mondo ed all'ambiente circostante, esplorandolo contenendo i rischi. Lo studio di questa importante emozione evidenzia che solo grazie alla paura, emozione strettamente legata alla nostra sicurezza e sopravvivenza, è possibile affrontare l’eventuale pericolo in modo adeguato. A questo proposito, cito questo passo dell’articolo “Paura e autonomia” scritto dalla psicologa e psicoterapeuta Maria Luisa Gargiulo e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione” “L'evoluzione ha predisposto il sistema nervoso umano in modo tale che una forte paura abbia la precedenza su qualsiasi altra cosa nella mente e nel corpo. L’organismo di fronte ad un evento minaccioso reagisce con comportamenti che l’essere umano ha in comune con numerosi altri animali. 32 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Fiutare il pericolo, allertare l’attenzione, esaminare la situazione, bloccare ogni altra attività. È una risposta naturale, necessaria e opportuna, volta a preservare la vita o l'integrità del soggetto o dei suoi oggetti, mantenendone sufficientemente conservato il potenziale difensivo e reattivo. Chi non sente la paura o l’ansia si pone in serio pericolo nella realtà esterna, chi invece vive in una condizione patologica di perenne paura, a prescindere dall'oggettività o meno dei pericoli esterni, è solitamente alle prese con fantasmi interni di varia natura derivanti dall’interiorizzazione di paure esterne mal gestite o mal vissute, oppure dalle paure introiettate da adulti significativi.” Per tutti questi motivi la paura non è un’emozione da evitare ma da imparare a conoscere, perché parte della vita di tutti, a comunicare e a gestire. Concludo con una considerazione tratta dal già citato articolo “Paura e autonomia” scritto dalla psicologa e psicoterapeuta Maria Luisa Gargiulo e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione” “Aiutare il bambino a non spaventarsi delle sue stesse reazioni, significa dare dignità anche a questo sentimento. Non tutti e non sempre siamo disposti ad ammettere di aver provato paura, perché questo per alcuni può essere un segno di debolezza o peggio, di codardia. Provare paura, in certi contesti implica una valutazione sociale negativa. È questo il caso in cui paura e vergogna diventano elementi contigui e concatenati.” 33 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 3.2. La Rabbia “… e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.” Da “Alla Sera” di Ugo Foscolo La rabbia è un’emozione considerata fondamentale da tutte le teorie psicologiche. Anche questa, come la paura, è un’emozione primitiva (come pure la gioia e il dolore), è inoltre una tra le emozioni che vengono percepite ed espresse più precocemente nell’uomo e può essere osservata anche in specie animali diverse dell'uomo. La rabbia può essere definita come la “reazione ad un limite” ed esprime il bisogno profondo di affermare il proprio Io: i bambini, ad esempio, si arrabbiano violentemente, con le cose, con i divieti con le persone, ma non è raro vedere le stesse reazioni anche negli adulti. Ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita una certa intenzionalità di ostacolare l'appagamento del bisogno stesso. La rabbia può quindi essere descritta come reazione ad una precisa sequenza di eventi: • stato di bisogno; • oggetto o soggetto che si oppone alla realizzazione di tale bisogno; • attribuzione a tale oggetto dell'intenzionalità di opporsi; • forte intenzione di attaccare, aggredire l'oggetto frustrante; • azione di aggressione che si realizza mediante l'attacco. 34 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Essendo l'emozione la cui manifestazione viene maggiormente inibita dalla cultura e dalla società attuali, nella specie umana spesso si assiste ad una inibizione della tendenza all'azione di aggressione e attacco e al mascheramento dei segnali della rabbia verso l'oggetto frustrante. L’impedimento, come già detto spesso imposto dalla cultura, dalla società e dal rispetto di norme e regole morali e civili, di dirigere la manifestazione e l'azione della rabbia direttamente verso l'agente che la scatena, può però portare a gravi problemi come l’autolesionismo e l’auto aggressione (la rabbia viene diretta verso se stessi). Come per tutte le emozioni, la rabbia non è mai giusta o sbagliata: esiste, bisogna prenderne atto, capirla e gestirla al meglio. Reprimere le manifestazioni d'ira può essere nocivo per la salute psicofisica: depressione, problemi psicosomatici come l'ulcera e l'emicrania possono colpire i troppo accomodanti. Chi invece esprime la rabbia, spesso entro poco tempo si trova ad affrontare grossi disagi relazionali e arrecare conseguenze negative a se stessi e agli altri. Sotto il punto di vista fisico anche la rabbia, come la paura, possiede una sua espressione facciale tipica e ben riconoscibile: aggrottare violentemente fronte e sopracciglia, scoprire e digrignare i denti sono le modificazioni del viso che meglio esprimono l'emozione della rabbia. Le variazioni psicofisiologiche tipiche sono: accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell'irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all'immobilità, la voce si fa più intensa, il tono minaccioso, tutto l'organismo si prepara all'azione, all'attacco e all'aggressione. 35 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Tutte queste modificazioni, che si manifestano attraverso una forte propensione all'agire con modalità aggressive, sono destinate alla rimozione dell'oggetto frustrante (cioè dell'ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno). Le numerose ricerche compiute sui comportamenti di specie diverse dall'uomo, hanno dimostrato che l'ira e le conseguenti manifestazioni aggressive sono determinate da motivi direttamente o indirettamente legati alla sopravvivenza dell'individuo e delle specie (gli animali, infatti, spesso attaccano perché qualcosa li spaventa oppure perché vengono aggrediti da predatori, per avere la meglio sul rivale sessuale, per cacciare un intruso dal territorio o per difendere la prole). Negli uomini invece, i motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano maggiormente la frustrazione di attività che erano connesse con l'immagine e la realizzazione di sé. Come negli adulti così anche nei bambini esistono collere sane, non violente e costruttive, e collere eccessive che si trasformano in violenza. Le prime devono essere ascoltate, le seconde decifrate. Entrambe devono essere rispettate in quanto espressione di bisogni profondi. Nei bambini la rabbia è la prima tappa dell’accettazione della frustrazione. Accettare il “no” significa infatti passare attraverso questo sentimento naturale ed evolutivo. Per questo motivo soddisfare un bambino perché non si arrabbi significa non solo non aiutarlo, ma anzi, rendergli più difficile lo sviluppo del sentimento di identità. Quando però il malessere è troppo intenso e il bambino non trova il modo per far arrivare il proprio messaggio, allora può succedere che la collera si trasformi in violenza, rendendo ancora più incomprensibile ciò che si vorrebbe esprimere. 36 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Informazioni tratte dai siti: http://www.benessere.com http://www.benessere.com/psicologia/emozioni/la_rabbia.htm http://italiasalute.leonardo.it http://italiasalute.leonardo.it/News.asp?ID=7332) http://www.genitoriquasiperfetti.it http://www.genitoriquasiperfetti.it/rabbia_bambini.htm 3.3. Bambini arrabbiati Tratto dalla premessa del libro “Aiutare i bambini pieni di rabbia e odio” di M. Sunderland e N. Armstrong, 2005, Trento, Erickson • Bambini che feriscono, colpiscono, mordono, schiacciano, calciano, gridano. • Bambini che hanno perso il controllo di loro stessi. • Bambini che hanno spesso scoppi impulsivi di rabbia anche senza motivo. • Bambini che riescono a sfogare la propria rabbia solo attraverso aggressioni verbali o fisiche, senza essere in grado di pensare e riflettere sulle proprie emozioni. • Bambini che si cacciano sempre nei guai per aver reagito in modo impulsivo. • Bambini che sono arrabbiati perché è più facile che sentirsi feriti. • Bambini che sono arrabbiati perché è più facile che sentirsi tristi. • Bambini chiusi nella propria rabbia perché qualcuno li ha abbandonati. • Bambini chiusi nella propria rabbia a causa della rivalità con un fratello o con una sorella. • Bambini che non sono in grado di regolare il proprio livello di stess. 37 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO • Bambini sovraeccitati e iperattivi. • Bambini talmente chiusi nella propria rabbia che le loro emozioni più gentili e affettuose vengono eclissate o sono de tutto assenti. • Bambini che non sono in pace con loro stessi. La rabbia è una massiccia disorganizzazione del sé; come dice Damasco, “ una perturbazione totale della mente e del corpo” (1996, p. 69). Durante uno scoppio d’ira, il livello di tensione nel corpo e nella mente del bambino è talmente alto da suscitare in lui un incontrollato bisogno di scaricarlo, verbalmente o fisicamente. Alcuni bambini esplodono regolarmente, scaricando la terribile tensione che sentono nel corpo e nella mente attraverso morsi, calci, picchiando, imprecando, gridando o perdendo il controllo.” (Dal sito delle Edizioni Centro Studi Erickson http://www.erickson.it http://www.erickson.it/erickson/repository/pdf/PRODUCT_992_PDF.pdf) 38 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 4. Memorie di viaggio 4.1. Obiettivi - Stimolare in Franco il gusto per l’esplorazione vissuta come strategia di conoscenza degli altri e del mondo. L’esplorazione che si cercherà di stimolare sarà quella dello spazio in cui Franco passa il suo tempo e quella degli oggetti che “incontra” o che gli vengono proposti nella speranza che questo stimoli in lui il desiderio di esplorare se stesso e gli altri. - Stimolare in Franco un minimo di “liberazione” del corpo e del gesto per avvicinarlo ad un’autonomia nel movimento e ad una presa di coscienza del proprio corpo e dello spazio. - Stimolare in Franco l’interazione con i compagni di sezione e favorire la sua integrazione all’interno del gruppo. 4.2. Setting Il luogo in cui si svolgono gli incontri con Franco è il “salone” della scuola dell’infanzia. La scelta è stata piuttosto obbligata ma comunque felice: il salone è l’unico luogo in cui poter lavorare senza “l’intromissione” 39 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO degli altri bimbi ed è più o meno libero da oggetti così da permettere a Franco di muoversi con tranquillità nello spazio. La cosa più bella di questo spazio è che si presenta su più livelli, come una sorta di anfiteatro. Ha infatti una zona più bassa piuttosto ampia, una gradinata composta da gradini bassi e molto profondi e una parte superiore che riporta alle varie sezioni della scuola. Questa disposizione è interessante perché può permettere attività di movimento molto più varie rispetto ad una sala disposta su un unico livello. Dentro al salone si trovano diversi oggetti sui quali è possibile stendersi, muoversi, arrampicarsi, camminare, rotolare, strisciare: due grossi materassi bassi, un materasso composto da tre “onde” piuttosto alte, cubi morbidi e altri oggetti morbidi di forme diverse. In più ci sono un tavolo con intorno alcune seggioline e un angolo in cui sono raccolte grosse palle colorate usate per la ginnastica e la psicomotricità. I “luoghi di azione” utilizzati con Franco, come si vedrà di seguito, cambieranno quasi ad ogni incontro, in modo da offrirgli una “visione” il più possibile d’insieme dello spazio salone. 4.3. Musica del sonno, musica della veglia (7 Febbraio 2008) Franco sapeva che oggi avremmo lavorato insieme e, dalla quantità di volte in cui è venuto a sentire “se era ora”, era evidente che aspettava la cosa con gioia. Infatti è stato molto disponibile ed aperto. La sua maestra di sostegno nei giorni scorsi mi ha fatto notare che Franco “batte” ritmicamente in continuazione e che questa modalità, essendo usata in modo molto poco ”costruttivo”, non solo non gli fornisce ulteriori vie di comunicazione, ma anzi sembra che la utilizzi per isolarsi ancora di più. Quella che Franco mette in atto è una delle sue stereotipie. 40 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Per chiarire il significato di questa parola, cito parte di un testo di Stephen M. Edelson del Ph.D.Center for the Study of Autism (Salem, Oregon) intitolato “Comportamenti stereotipici (auto-stimolatori)” e pubblicato a questo indirizzo internet http://www.asperger.it/?q=node/166 “Per stereotipie, o comportamenti auto-stimolatori, si intendono movimenti ripetitivi del corpo o movimenti ripetitivi di oggetti. (…) Questo comportamento è comune in molti individui con disturbi dello sviluppo; tuttavia sembra essere più comune nell'autismo. (…) I ricercatori hanno suggerito varie ragioni per cui una persona può adottare comportamenti stereotipici. Un gruppo di teorie suggerisce che questi comportamenti forniscano al soggetto uno stimolo sensoriale. A causa di un sistema cerebrale o periferico difettoso, il corpo cerca stimolazioni e perciò il soggetto indulge nelle stereotipie per sollecitare il proprio sistema nervoso. Una teoria in particolare afferma che questi comportamenti rilasciano betaendorfine nel corpo (sostanze oppiacee endogene) e procurano al soggetto una forma di piacere. Secondo altre teorie le stereotipie si manifestano quando il soggetto deve calmarsi (quel senso di quel determinato soggetto è ipersensibile). Questo significa che l’ambiente è troppo ricco di stimoli e il soggetto si trova in uno stato di sovraccarico sensoriale. Conseguentemente il soggetto indulge in questi comportamenti per bloccare gli stimoli esterni e la sua attenzione si sposta verso l’interno.” Per cercare di dare un significato reale e in un qualche modo emozionale a questo suo comportamento ritmico e per vedere se, assecondando questa sua “ritmicità” Franco riusciva a tranquillizzarsi un po’, una volta arrivati nel salone 41 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO e seduti sulle seggioline intorno al tavolo, gli ho chiesto se aveva voglia di raccontarmi la sua mattinata con il ritmo (con le dita battute sul tavolo, come fa sempre) ma non era molto dell’idea. Quindi abbiamo preso un’altra strada: insieme a Corrado abbiamo inventato la musica di quando si dorme e la musica della sveglia. Abbiamo analizzato un po’ le due musiche cercando di capire cosa le rende diverse e abbiamo visto che una era lenta e morbida e l’altra era veloce d energica e che la cosa che le distingueva di più era il ritmo. Poi ci siamo dati questa regola: quando la chitarra suonava la musica del dormire bisognava appoggiare la testa sul tavolo che avevamo davanti, quando la chitarra suonava la musica della sveglia, bisognava far finta di spaventarsi e alzare le braccia verso l’alto. Ho immaginato questo piccolo gioco per dare a Franco un pretesto per muoversi, pensando che il muoversi stando seduto, quindi muovendo solo il busto, e il muoversi “dentro” la musica gli avrebbe dato un aiuto, uno stimolo e una sicurezza in più. Non è stato così. Fisicamente è completamente bloccato, rigido, persino appoggiare la testa alla mano lo mette in grande difficoltà. Infatti persino questi semplicissimi movimenti, sono risultati molto complicati per Franco che li ha fatti per un po’ e poi si è rifiutato. Abbiamo continuato il gioco riconoscendo le musiche “a voce” e non più attraverso il movimento. Quando l’ho visto un po’ più tranquillo, su consiglio della sua maestra di sostegno gli ho chiesto, forse forzando un po’ i tempi, se quando c’era la musica del dormire, gli andava di levarsi gli occhiali come fa quando la sera va a dormire. 42 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Gli occhiali non gli servono assolutamente a niente, anzi, credo che gli creino una certa confusione (ci vedo, non ci vedo) e un sicuro fastidio, ma pare che la madre glieli imponga per “proteggergli gli occhi”. Ovviamente si è rifiutato, anche se non con l’energia che mi aspettavo. Si è però molto divertito con l’alternanza musica del dormire (lenta e morbida) – musica della sveglia (veloce d energica) che riconosceva bene e viveva ogni volta come una sorpresa. 4.4. Cacciatori e uccellini (15 febbraio 2008) La maestra di sostegno di Franco mi ha riferito che in questo periodo è molto nervoso e che spesso alterna momenti di grande aggressività durante i quale la caccia e alle volte addirittura la picchia a momenti in cui la cerca per avere rassicurazioni. Questi sono comportamenti che Franco ha spesso, ma sembra che ultimamente siano peggiorati a causa di una difficile situazione famigliare che il bambino si trova a vivere. Pare infatti che fra i suoi genitori non ci sia armonia. La storia di Franco è triste anche in questo senso. La madre alla nascita l’ha in qualche modo ”rifiutato” smettendo di essere madre sia per lui che per il fratello maggiore. Per molto tempo non si è presa cura di lui, tanto che il bambino, fino a non molto tempo fa, non aveva con lei quasi nessun contatto. In relazione a questo argomento e per sottolineare cosa questo “abbandono” potrebbe aver causato su Franco, cito parte di un articolo della psicopedagogista Virginia D’Antuono intitolato “Lo sviluppo dell’affettività nei bambini non vedenti” e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione” (lugliosettembre 2007). 43 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO “Il rapporto tra la madre e il bambino non vedente risente degli stati psicologici che caratterizzano le reazioni dei genitori all’handicap visivo. La consapevolezza della situazione del proprio figlio, può originare nei genitori uno stato di shock ed inadeguatezza e talvolta anche uno stato depressivo. Tali vissuti possono generare un allontanamento affettivo dal bambino (Gargiulo, 1985). Dal canto suo il bambino non vedente mostra già nei primi due giorni di vita una certa apatia motoria, una forma generale di passività che determina nei genitori, ed in particolare nella mamma, una forte tendenza a ritirarsi ed a ridurre al minimo il contatto con il proprio bambino. Spesso quell’atteggiamento che la mamma interpreta come passività o mancanza di rispondenza non è altro che una forma di attenzione uditiva per cui il cieco, utilizzando il senso dell’udito molto più efficacemente del bambino vedente, nel momento in cui ascolta i vari suoni e rumori, si ritrae dalla situazione inibendo spesso anche il movimento (Burlingham, 1964). Il problema risiede nel fatto che la mamma non sempre è in grado di capire questo atteggiamento. In pratica, quando la mamma ha un comportamento amabile in superficie, ma in realtà teme il contatto con il bambino, questi riceve questi due messaggi contraddittori e non congruenti, e non può rispondere ad alcuno di essi senza determinare risposte ambivalenti.” Dopo questa premessa, e considerando il fatto che anche in questa stessa mattinata aveva avuto reazioni molto violente e agitate alle minime richieste delle sue maestre, ero un po’ preoccupata della reazione che poteva avere Franco all’ipotesi di lavorare insieme. Sul tavolo del salone avevo preparato una cassetta di legno con dentro tante percussioni di diverso tipo: legnetti, campanelli, cembali, tamburi, tamburi con 44 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO sonagli, triangoli, piatti sospesi di tante dimensioni diverse, più uno strumento che imita il suono di un uccello. Ho lasciato Franco libero di esplorare gli strumenti della cassetta e ho notato che ha esplorato il tutto in modo estremamente frettoloso e superficiale, come se in realtà non gli interessasse conoscerli. Alle volte li toccava appena per poi passare ad altro. Così lo abbiamo fatto insieme: abbiamo esplorato tutto quello che la cassetta conteneva, abbiamo sentito le forme e i materiali di cui gli strumenti erano fatti, immaginato che suono potevano avere e poi, suonandoli, abbiamo confermato o modificato le nostre ipotesi. Poi Franco ha scelto gli strumenti più “belli” ed eliminato quelli che non gli piacevano. Osservando le sue scelte ho notato alcune cose: gli piacciono i suoni forti solo se sono prodotti da lui, se sono prodotti da altri non se li aspetta e lo spaventano. Ho l’impressione che sia in qualche modo spaventato anche dai suoni prodotti da strumenti che vibrano come i piatti sospesi, il triangolo, persino i piattini piccoli, tutti strumenti che invece pensavo gi sarebbero piaciuti moltissimo. Alla fine della selezione sono rimasti “in gioco”: un tamburo, un tamburo con sonagli, i legnetti, i campanelli e lo strumento che imita la voce degli uccelli. Da lì siamo partiti per inventare la storia sonora: un cacciatore va a caccia, i passi del cacciatore che cammina nel bosco erano “detti” dal tamburo a sonagli, poi, una volta 45 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO arrivato nel posto giusto, si ferma in silenzio ad ascoltare se per caso c’è in giro qualche uccellino a cui sparare. Gli uccellini erano divisi in: uccellino tonto che si fa sempre prendere (i legnetti), uccellino furbo che non si fa mai prendere (i campanelli), uccellino piccolo che non vale la pena di prendere perché è troppo piccolo e non c’è niente da mangiare (il richiamo per uccelli). Il suono degli spari del cacciatore era prodotto dal tamburo. Franco, per circa un’ora, tempo per lui lunghissimo, si è molto divertito a fare un po’ il cacciatore e un po’ l’uccellino, a fare tutte le “voci” del caso e persino ad immaginare con che contorno avrebbe mangiato gli uccellini più cicciottelli. Il lato di questo lavoro che a me interessava di più era cercare di dare un senso al “comportamento ritmico” che Franco pratica continuamente, “battendo” su tutto in maniera un po’ ossessiva e assolutamente staccata da ogni significato comunicativo o emotivo. Giocare con i ritmi e le sonorità e stato un bel modo di dare significato a questi elementi. Una bella sorpresa di stamattina è stato vedere finalmente Franco senza occhiali. L’imposizione di portare gli occhiali viene dalla madre, forse per autoconvincere se stessa di non avere un figlio cieco ma di avere un figlio che vede poco. Il fatto che gli abbia permesso di toglierli potrebbe essere un passo verso l’accettare questo bambino diverso dagli altri ma non per questo “minore”. Non ho chiesto niente a lui, preferisco prima parlarne con la sua maestra di sostegno, ma sono curiosa di conoscere le sue sensazioni riguardo a questo cambiamento. 46 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 4.5. Gioco vecchio, regole nuove (21 febbraio 2008) Stamattina, mentre accompagnavo Franco nel salone, una maestra mi ha fermata per dirmi che anche questa settimana il bambino ha avuto alcune crisi “isteriche (così le ha definite). Ha concluso dicendo che secondo lei queste manifestazioni sono sintomo del disagio e della frustrazione che Franco prova nel passare tutte le sue giornate all’interno di un gruppo formato da bambini molto più piccoli di lui. Questo problema alla fine dello scorso anno scolastico ha creato non poche tensioni fra maestre che consideravano Franco pronto per cominciare la Scuola Elementare e quelle che, al contrario, consideravano una scelta migliore fargli trascorrere un altro anno nella Scuola dell’Infanzia. Non mi sento di esprimermi riguardo a queste decisioni, ma annoto ciò che osservo. Franco non ha mai amato molto le attività di gruppo, ma, soprattutto in questo ultimo anno, non l’ho mai visto interagire con uno dei suoi compagni (l’ultima volta che l’ho osservato in gruppo a sua insaputa, i bambini della sezione erano seduti su un divanetto più o meno intenti ad ascoltare la maestra, lui era seduto in terra dalla parte opposta rispetto ai suoi compagni impegnato a giocare, ovviamente da solo, con una sedia rovesciata). Ogni volta che lo vedo gioca da solo o lavora con la sua maestra di sostegno o con un'altra figura adulta. Credo che il rapporto con il gruppo dei pari gli manchi molto e, per un bambino che ha grande necessità di sentirsi “come gli altri”, non è un problema da poco. Concludo questa mia piccola analisi con una riflessione tratta da un articolo di Barbara Muzzatti, psicologa e dottore di ricerca in Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione, intitolato “I tempi e le diverse modalità di apprendimento del bambino non vedente e ipovedente” e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”: 47 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO “(…) è da tenere presente che, spesso, i bambini non vedenti (soprattutto in epoca prescolare) sono meno intraprendenti e tendono a cercare meno attivamente l’interazione con i compagni e/o a proporre giochi ed attività. È quindi importante creare delle situazioni di interazione "protette" in cui il bambino si possa sentire libero di proporre e suggerire attività.” Tornando ai nostri incontri, oggi abbiamo ripreso la storia dei cacciatori e degli uccellini che la settimana scorsa aveva lo aveva divertito tanto. Siamo ripartiti dall’esplorazione della scatola degli strumenti, questa volta appoggiata sul pavimento in modo da “obbligare” Franco a sperimentare un’altra posizione (seduto a terra). Le mie curiosità erano due: vedere se l’esplorazione di Franco, all’interno di un gioco già conosciuto e quindi in una situazione di maggiore tranquillità rispetto all’incontro scorso, sarebbe stata più attenta ed approfondita e vedere se avrebbe fatto scelte timbriche diverse rispetto alla volta scorsa. L’esplorazione è rimasta molto superficiale e gli strumenti sono rimasti gli stessi mantenendo anche gli stessi ruoli. Grazie all’articolo, del quale riporto di seguito un frammento, scritto della Dott.ssa Barbara Muzzatti, psicologa e dottore di ricerca in Psicologia dello Sviluppo e dei Processi di Socializzazione, intitolato “L’apprendimento mediante gli altri sensi” e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”, ho chiarito dentro di me alcuni concetti ed alcune difficoltà legati all’esplorazione tattile che fino ad ora non avevo tenuto nella giusta considerazione. “ (…) La vista offre continuamente e costantemente stimoli all’apprendimento e, soprattutto, permette di familiarizzare con caratteristiche fondamentali degli oggetti quali la permanenza (l’oggetto non si volatilizza quando se ne perde il contatto fisico o uditivo), la conservazione (gli oggetti a volte cambiano forma, 48 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO ma rimangono tali) e la complessità degli stessi (la mela è rotonda, liscia, rossa, gustosa, profumata). Il tatto e l’udito non assolvono con la stessa efficacia a queste funzioni. Il tatto è il senso della staticità e del particolare. Con il tatto è difficile, ad esempio, cogliere le modificazioni di un oggetto, se non per stadi prefissati. È quindi fondamentale, nella misura maggiore possibile, isolare le diverse fasi di un processo (per esempio preparare il latte caldo) e far toccare ed esperire direttamente al bambino ciascuna fase (p.e.: la mamma apre il frigo, prende la bottiglia del latte, versa il latte nel pentolino, accende il fornello e scalda il latte, prende una tazza, versa il latte caldo nella tazza, offre la tazza al bambino). Con il tatto, poi, si colgono pochi aspetti dell’oggetto e dagli aspetti particolari, spesso, risulta difficile fare sintesi per giungere alla rappresentazione globale dell’oggetto e alla generalizzazione del concetto che esso rappresenta. È quindi importante non trascurare la guida delle mani del bambino nell’esplorazione sia minuziosa che generale di un oggetto” Una volta preparato lo strumentario e ricordata un attimo la storia ho aggiunto alcune nuove regole. La prima regola era che oggi i ruoli erano fissi: Franco cacciatore, io uccellino. La seconda, la più importante, era che il cacciatore doveva ascoltare bene la voce dell’uccellino (i legnetti), sentire se veniva da davanti, da destra o da sinistra e sparare girandosi dalla parte giusta. Approfittando della presenza di Corrado abbiamo anche deciso che, per capire la sorte dell’uccellino dopo lo sparo del cacciatore (e anche per utilizzare “l’effetto sorpresa” che piace sempre molto a Francesco), una musica veloce e “scherzosa” indicava che l’uccellino era riuscito a scappare dagli spari del cacciatore senza farsi prendere mentre una musica dissonante, ma sempre un po’ buffa, indicava che il cacciatore era riuscito a sparare all’uccellino e a prenderlo. 49 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Franco ha riconosciuto e distinto sempre bene le due musiche ma non è riuscito a individuare da dove veniva il suono. Avendo il dubbio che forse le consegne erano troppe per permettere a Franco di tenere tutto “sotto controllo”, siamo rimasti per un po’ a lavorare solo sulla spazialità ma non ci sono stati risultati. Ho avuto l’impressione che Franco sia rimasto male dal fatto di non sapere cosa rispondere alle mie richieste (“da dove viene questo suono? Prova a prenderlo con la mano.”), tant’è che per non insistere e non demoralizzarlo ho eliminato questa regola e abbiamo inventato che gli uccellini che riuscivano a scappare poi diventavano amici del cacciatore e gli andavano a dare delle beccatine sulla testa e sul viso. Per rendere questo gioco “di ripiego” un minimo interessante almeno a livello sensoriale, abbiamo aggiunto ai legnetti, lo strumento uccellino, il richiamo per uccelli che ha una parte di metallo. Franco doveva dire se l’uccellino che lo beccava aveva il becco “caldo” (legnetti) o “freddo” (richiamo per uccelli). Mi ha impressionata il modo in cui si lasciava “coccolare” dalle beccatine sul viso e come, più che al gioco, fosse interessato al semplice contatto fra la sua pelle e l’oggetto, forse perché la sensibilità cutanea cambia notevolmente e ogni parte del corpo “percepisce” le stimolazioni in un modo diverso. 4.6. Confusione (29 febbraio 2008) Oggi non è andata molto bene. Per stimolare Franco ad un‘esplorazione più attenta e significativa degli oggetti, ho portato a scuola la chitarra. Pensavo che la custodia morbida, lo strumento stesso che è composto da materiali diversi, la forma dello strumento, il fatto che lo si possa suonare in tanti modi diversi, compreso l’abbracciarlo e il tenerlo addosso, sarebbero stati elementi di forte interesse. 50 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Invece anche oggi, nonostante abbia cercato di indirizzarlo e stimolarlo, ha dedicato all’esplorazione un’attenzione quasi nulla. Questa mancanza di “necessità di esplorazione” può forse essere ricondotta al difficile rapporto che Franco ha avuto con la madre nei primi anni di vita. A questo proposito cito parte di un articolo della Dottoressa Barbara Celani intitolato “La relazione madre – bambino non vedente”, pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”. “Sotto il profilo evolutivo la vista è la primaria modalità sensoriale per la conoscenza del mondo e per l’interazione con gli altri. Il contatto visivo con la madre rappresenta una delle prime modalità di scambio affettivo con lei e costituisce la base per lo sviluppo di altre funzioni importanti. Le madri di bambini non vedenti, in genere, hanno difficoltà ad interpretare i segnali non verbali dei loro bambini con implicazioni negative sulla continuazione dell’interazione (Perez-Pereira, Conti-Ramsden, 2002). (…) Facendo riferimento al paradigma teorico dell’attaccamento di Bowlby, si prende in considerazione il legame del bambino con la madre come punto focale e determinante per lo sviluppo successivo del bambino. (…) Bowlby considera il legame che unisce la madre e il bambino come una necessità primaria (innata) che si sviluppa indipendentemente dalla soddisfazione dei bisogni fisiologici di base (Bowlby, 1958). (…) La teoria di Bowlby ha trovato conferma nelle ricerche della Ainsworth (1978), la quale, per valutare la qualità dell’attaccamento al caregiver nei bambini di un anno, ha utilizzato la videoregistrazione di situazioni create sperimentalmente (Strange Situation). In queste situazioni, il bambino viene esposto ad ambienti sconosciuti, a separazioni di tre minuti dal genitore e alla presenza di un estraneo. (…) Sulla base di queste osservazioni la Ainsworth propone un sistema di classificazione per descrivere il modello di risposta del bambino al genitore. 51 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Modello “sicuro”: il bambino impiega la presenza materna come “base sicura” per l’esplorazione e il gioco, piange, cerca la madre durante la sua assenza e l’accoglie attivamente al suo ritorno. In genere richiede vicinanza o contatto e, una volta assicurata la sua presenza, torna a giocare. Modello “insicuro-evitante”: il bambino mostra scarso o nessun disagio alla separazione dalla madre, continuando ad esplorare attivamente i giocattoli e la stanza. Al ritorno della madre il bambino la ignora e la evita, guardando altrove e rifiutando il contatto prima di tornare ad esplorare l’ambiente. Modello “insicuro/ambivalente”: il bambino mostra disagio prima della separazione, quando entra in un ambiente sconosciuto o alla presenza dell’estraneo. Il bambino risponde alla separazione dalla madre con grande sofferenza, ma il suo ritorno non sembra confortarlo, continua a mostrare disagio e non riescono a riprendere l’esplorazione. A volte esprime rabbia, alternata o combinata alla ricerca di contatto.” Alla luce di queste teorie, che verranno affrontate più dettagliatamente nel paragrafo successivo, appare più chiaro il motivo per cui Franco, che appartiene al modello insicuro ambivalente, non mostra interesse per l’esplorazione. Data quindi per fallita l’attività di esplorazione mi sono concentrata su una serie di giochi che mi aiutassero a capire meglio il rapporto di Franco con lo spazio e la spazialità. Abbiamo deciso insieme che il suono della corda grossa della chitarra (Mi grave) corrispondeva l’azione di allungare verso destra il braccio destro, il suono della corda piccola della chitarra (MI cantino) corrispondeva l’azione di allungare verso sinistra il braccio sinistro e che al “bussare” sulla cassa corrispondeva l’azione di allungare entrambe le braccia davanti a se. 52 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Per rendere il compito più chiaro e utile, mi spostavo nello spazio intorno a Franco, seduto a terra al centro del salone, in modo che lo stimolo sonoro venisse dalla parte corrispondente a quella in cui doveva essere effettuato il movimento. Franco partecipa già da diverso tempo ad incontri di musicoterapia, davo quindi quasi per certo che questo gioco gli sarebbe risultato tanto facile da risultare noioso. Dopo qualche tentativo mi sono invece accorta che l’attività gli risultava piuttosto difficile. Franco non ha molto l’idea di spazialità e fatica a capire la collocazione nello spazio della fonte sonora. Per facilitare la consegna ho eliminato un suono, il battere sulla cassa, tenendo solo le regole suono grave – il braccio destro si allunga verso destra, suono acuto – il braccio sinistro si allunga verso sinistra, ma anche questo tentativo non ha dato risultati apprezzabili. A questo punto Franco ha cominciato ad agitarsi ed infastidirsi e, per peggiorare l’atmosfera, siamo stati interrotti dai bambini di una delle quattro sezioni della scuola che dovevano fare un’attività nel salone in cui si svolgono i miei incontri con Franco. Una volta trasferiti nella sezione lasciata libera e recuperata un attimo la concentrazione, siamo passati a un nuovo gioco sempre legato alla spazialità. Franco (che aveva deciso che “adesso faceva lui”) aveva a disposizione due strumenti piuttosto improvvisati ma dai suoni interessanti: un barattolo con dentro una pallina e una maracas (piccola osservazione: quando Franco entra in contatto con oggetti nuovi, non si preoccupa di esplorarli e di farsene una sua idea ma chiede sempre all’adulto presente “che cos’è?”). Seduto a terra alle mie spalle, quando suonava il barattolo dovevo allungare il braccio destro verso destra, quando suonava la maracas dovevo allungare il braccio sinistro verso sinistra. 53 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Ogni volta doveva controllare se facevo bene e allungavo il braccio giusto. Se sbagliavo mi doveva correggere. Il gioco stava cominciando a funzionare benino, anche perché ho fatto in modo di sbagliarmi diverse volte e Franco si diverte molto all’idea di “imbrogliare” il prossimo, quando siamo stati di nuovo interrotti dai bambini di ritorno dal salone. Franco fatica molto ad entrare in una condizione di tranquillità che gli permetta di concentrarsi e lavorare. È facile intuire quanto queste continue interruzioni lo confondano e disturbino il lavoro. Questi contrattempi ovviamente non capitano per mancanza di buona volontà e di attenzione, ma a causa delle oggettive difficoltà di gestione e organizzazione di tempi e spazi all’interno delle scuole dell’infanzia, soprattutto all’interno di quelle piuttosto grandi come la scuola che frequenta Franco. L’occasione è stata comunque utile per capire qualcosa in più del bambino. Mi ha chiesto perché i bimbi che erano tornati dal salone urlavano così tanto e mi ha detto che a lui non piace che si urli. Mi ha raccontato che a casa il fratello gli si avvicina senza farsi sentire e poi lo spaventa con delle grida. La vita famigliare di Franco non deve essere affatto facile. Prima di salutarci, dal momento che non ci saremmo visti per due settimane, gli ho regalato una tavoletta di cioccolato. Ovviamente la prima cosa che mi ha chiesto è stata: “cos’è?”. Gli ho risposto che l’avremmo capito insieme. L’ha toccata, annusata, ha capito che era cioccolata e, con un po’ di aiuto, è riuscito a scartarne un angolo e a mangiarne un pezzetto. Breve osservazione finale: oggi Franco indossava di nuovo gli occhiali. 54 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Parlando con la sua maestra di sostegno ho saputo che li porta perché in settimana ha subito un intervento all’occhio destro che, per colore e forma dell’iride, è diverso dal sinistro. Per risolvere questa situazione i genitori gli hanno fatto mettere una lente dipinta davanti all’occhio destro. Da questa operazione il bambino non ha ricavato alcun vantaggio “visivo”, ma adesso i due occhi adesso sono uguali. 4.6.1. La teoria dell’attaccamento La teoria dell’attaccamento nasce subito dopo la Seconda Guerra Mondiale grazie agli studi che John Bowlby ha dedicato ai meccanismi che spingono il bambino a legarsi, cercare un contatto e una forma di comunicazione con il caregiver e a come queste “tecniche” influenzano nel bambino lo sviluppo e l’organizzazione di processi emotivi, motivazionali e mnemonici. Ovviamente questi studi sono stati poi ampliati ed integrati da moltissimi studiosi e ricercatori, prima fra tutti Mary Ainsworth, prima collaboratrice di Bowlby che ha basato i suoi studi sull’analisi della relazione madre – bambino e dei comportamenti ad essa correlati. Queste osservazioni hanno portato la Ainsworth a definire e strutturare una “situazione sperimentale”, la Strange Situation (durante la quale il bambino viene “esposto” ad un momento di solitudine, essendo lasciato solo dal genitore in un ambiente sconosciuto, seguito dall’arrivo di un estraneo), capace di evidenziare e differenziare, attraverso l’analisi delle varie reazioni del bambino a questa situazione di stress, tre diversi stili di attaccamento del bambino nei confronti della madre: sicuro, insicuro evitante e insicuro ambivalente. A questi tre stili, grazie alle osservazioni di due studiosi, Main ed Hesse (1990), si è aggiunta un’altra categoria: l’insicuro disorganizzato. 55 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO L’attaccamento sicuro è caratterizzato da una figura genitoriale disponibile e incoraggiante, pronta a rispondere quando chiamata in causa ma che interviene attivamente solo quando è chiaramente necessario, in grado di promuovere l’autonomia del proprio figlio e di essere punto di riferimento nel momento del bisogno. Il bambino, fiducioso nella disponibilità e nel supporto della figura di attaccamento nel caso si verifichino condizioni avverse o di pericolo, si sente libero di poter esplorare il mondo. Questo stile è caratterizzato da: - sicurezza nell’esplorazione del mondo; - convinzione di essere amabile; - capacità di sopportare distacchi prolungati; - nessun timore di abbandono; - fiducia nelle proprie capacità e in quelle degli altri; - Sé positivo e affidabile; - Altro positivo e affidabile. L’attaccamento Insicuro Evitante è caratterizzato dalla convinzione del bambino che, alla richiesta d’aiuto, non solo non incontrerà la disponibilità della figura di attaccamento, ma addirittura verrà rifiutato dalla figura stessa. Così facendo, il bambino costruisce le proprie esperienze facendo esclusivo affidamento su se stesso, ricercando l’autosufficienza anche sul piano emotivo, “eliminando” la necessità di amore ed sostegno da parte delle figure di accudimento, con la possibilità di arrivare a costruire un falso Sé. Questo stile è caratterizzato da: - insicurezza nell’esplorazione del mondo; - convinzione di non essere amato; - percezione del distacco come “prevedibile”; - tendenza all’evitamento della relazione per convinzione del rifiuto; 56 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO - apparente esclusiva fiducia in se stessi e nessuna richiesta di aiuto; - Sé positivo e affidabile; - altro negativo e inaffidabile. Nell’attaccamento Insicuro Ambivalente il bambino non ha la certezza che la figura di attaccamento sia disponibile a rispondere con costanza ad una richiesta d’aiuto. Il caregiver infatti può essere disponibile in alcune occasioni ma non in altre, il bambino può essere sottoposto a frequenti separazioni se non addirittura a minacce di abbandono usate come mezzo coercitivo. In questo stile l’esplorazione del mondo è incerta, esitante, connotata da ansia ed il bambino è incline all’angoscia da separazione. Questo stile è caratterizzato da: - insicurezza nell’esplorazione del mondo; - convinzione di non essere amabile; - incapacità di sopportare distacchi prolungati; - ansia di abbandono; - sfiducia nelle proprie capacità e fiducia nelle capacità degli altri; - Sé negativo e inaffidabile (a causa della sfiducia verso di lui che attribuisce alla figura di attaccamento); - altro positivo e affidabile. Dalle osservazioni della Strange Situation è emerso che alcuni bambini manifestavano comportamenti non riconducibili a nessuno dei tre pattern sopra descritti, rivelando la necessità di aggiungere un quarto stile di attaccamento, attaccamento disorientato disorganizzato, alle tre classificazioni originarie. Nell’attaccamento Disorganizzato il bambino esprime diverse gamme di comportamenti (spaventato, strano, disorganizzato, in conflitto) che non rientrano nei tre stili precedenti. 57 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Sono considerati disorientati/disorganizzati ad esempio i bambini gli infanti che, in risposta al ritorno del genitore dopo una breve separazione, appaiono apprensivi, piangono e si buttano sul pavimento. Altri bambini considerati disorganizzati possono manifestare comportamenti conflittuali, come girare in tondo mentre si avvicinano ai genitori o muoversi verso la figura di attaccamento con la testa girata in un’altra direzione, in modo da evitarne lo sguardo. Altri ancora appaiono disorientati, congelati in tutti i movimenti. (informazioni tratte dal Blog di Massimo Zanetti, psicologo, Bologna http://massimoequilibrio.blogspot.com http://massimoequilibrio.blogspot.com/2008/02/teoria-dell-attaccamento-dijohn-bowlby.html) Questi studi, da quelli di Bowlby e della Ainsworth a tutti quelli che ne sono seguiti, hanno dimostrato che le modalità di relazione fra madre e bambino tendono a stabilizzarsi in tempi molto brevi ed a creare fin da subito una sorta di “copione” inconsapevole di comportamenti. Questo copione si struttura poi in uno “schema”, quello che Bowlby definisce “modelli operativi interni”, tanto che alcuni studi (Tronick, 1989) hanno dimostrato che bambini, anche di pochissimi giorni di vita, tendono a formarsi delle vere e proprie “aspettative relazionali” su se stessi e sugli altri, creandosi una prima forma di memoria implicita e non narrabile che gli permette di fare delle ipotesi, in relazione a se stesso e soprattutto alle figure di accudimento, e di prendere spunto dalle esperienze vissute per arrivare a delle vere e proprie immagini del mondo. Infatti, se consideriamo i diversi stili di attaccamento non solo come elenco di comportamenti ma come modo di sentire, vedere e vivere il contesto, se stessi e gli altri, possiamo intravedere dietro queste teorie anche la creazione di “mondi possibili”. 58 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Abitare nel mondo sicuro, legato ovviamente allo stile di attaccamento sicuro, significa vivere in un mondo basato sulla fiducia e dotato di confini chiari e netti in cui le differenze sono vissute come novità e spunti per l’inizio di nuovi percorsi e in cui e possibile e presente un chiaro scambio di affetti fra i soggetti. Abitare nel mondo evitante, legato allo stile di attaccamento insicuro evitante, vuol dire far parte di un mondo di soli fatti, nel quale le emozioni non esistono o esistono solo in quanto fastidi da evitare (predominio della razionalità). Vivere in questo mondo significa essere in balìa di se stessi, staccati ed indipendenti dai contesti e dalle relazioni che si vivono. Abitare nel mondo ambivalente, legato allo stile insicuro ambivalente, significa vivere circondato dall’incertezza, “invischiato” in legami fortemente connotati da emozioni contrastanti (odio, amore) dai quali separarsi, o anche solo allontanarsi per averne una visione più critica, risulta difficile se non impossibile. Caratteristico di questo “mondo” è il continuo scambio di forti passioni difficili da gestire e razionalizzare (predominio dell’emotività). Abitare infine nel mondo disorganizzato, legato allo stile insicuro disorganizzato, significa sentirsi privi di un’identità definita, disorientati e senza una qualsiasi possibilità di previsione sulle azioni e sul contesto circostante. Ogni evento viene vissuto come minaccioso e incomprensibile, il mondo viene percepito come estraneo e oscuro nel quale non è possibile alcuna forma di dialogo. Queste “letture del mondo”, che probabilmente abbiamo forse in parte vissuto tutti, diventano però patologiche quando si presenta una “rigidità dei sistemi di senso”, quando cioè la scena che si vive si ripete sempre nello stesso identico modo, con gli stessi ruoli, con gli stessi scambi, le stesse evoluzioni. In questo caso la musicoterapia potrebbe essere utile per creare nuovi “mondi possibili” nei quali la persona sia in grado di aggiornasi ad ogni nuovo evento e 59 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO ad ogni nuovo incontro permettendosi di liberare la possibilità di vivere nuovi capitoli della propria vita. (informazioni tratte da “Stili di attaccamento e mondi possibili”, dispensa di Luca Casadio). 4.7. In gruppo, ma fuori (13 marzo 2008) Oggi primo incontro con il gruppo del quale fa parte anche Franco. Riferisco brevemente ciò che ho osservato. Appena entrato nell’aula in cui svolgiamo il laboratorio didattico musicale Franco ha individuato la postazione del maestro Corrado e si è immediatamente seduto sulla panchina vicino a lui isolandosi rispetto al gruppo. Per tentare di modificare questa abitudine, facendo leva sulle sue caratteristiche dominanti, gli ho chiesto se quest’anno, essendo il più grande e quindi quello che poteva essere “di esempio” per i suoi amici più piccoli, gli andava di fare sempre il nostro aiutante ma seduto dalla parte dei bimbi e disposto a mostrare agli altri le cose che poi avrebbero dovuto fare (ad esempio muovere le braccia lentamente o velocemente, alzarle o abbassarle). Si è rifiutato, forse anche perché emozionato dalla presenza di Corrado, per il quale ha una decisa passione, e sicuramente perché più interessato allo strumento chitarra che non ai giochi musicali che abbiamo proposto al gruppo. Dovendo gestire l’attività di gruppo non ho potuto osservare Franco come avrei voluto, ma ho notato che ha tenuto stabilmente le mani sulla chitarra, sulla cassa per sentirne la vibrazione, sulle corde (tanto che spesso il suono usciva stoppato) e sulle mani di Corrado per sentirne il movimento sullo strumento. Rispetto all’anno scorso è stato molto meno “disturbante” e più rispettoso di alcune minime regole interne che abbiamo fissato come valide per tutto il gruppo (ad esempio: non interrompere l’attività per lasciare a tutti il tempo di capire, ascoltare la maestra e il maestro, ascoltare i propri compagni). 60 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Sempre nell’idea di rispettare questo suo ruolo di aiutante “attivo”, anche se a fatica, siamo riusciti a far decidere a Franco il ritmo di partenza dei canti e a farcelo sentire battendo con le dita sulla cassa della chitarra, dando così un piccolo significato ai suoi comportamenti ritmici. 4.8. In marcia (14 marzo 2008) Stamattina, sempre per stimolare Franco ad un’esplorazione meno superficiale e sommaria, gli ho portato un oggetto particolare: il cajón. Due parole su questo strumento ancora non particolarmente noto. Il cajón, strumento simbolo della comunità negra peruviana, come altre percussioni del sud america è un sostituto dei tamburi africani che vennero proibiti agli schiavi condotti nel nuovo mondo. Il suo nome descrive esattamente di che si tratta: una cassa di legno. Si dice infatti che i primi esemplari di cajón fossero cassette per la raccolta della frutta. Da allora ovviamente il cajón è stato perfezionato ed ora si presenta come un parallelepipedo di circa mezzo metro di altezza e trenta centimetri di larghezza e profondità. Il lato anteriore e quello posteriore si differenziano da quelli laterali; il primo è più sottile di tutti gli altri e costituisce la superficie battente, mentre l'altro ha un foro dal quale fuoriesce il suono. 61 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Può avere un sistema di cordiera interna destinata ad arricchirne il timbro. Un aiuto alla diffusione della popolarità del cajón si deve al percussionista Caitro Soto, al quale va il merito di aver fatto conoscere lo strumento a Paco De Lucia. L'abbinamento tra chitarra flamenca e cajón fu un successo immediato e, dalla fine degli anni settanta ad ora, il cajón si è consolidato come parte integrante di questo genere musicale. Il cajón si suona sedendovi sopra, la parte alta della superficie battente ha un suono secco ed acuto, suonandolo nella parte bassa si ottiene un suono più grave e profondo. (informazioni tratte dal sito http://www.cajondg.com) Al di là del corretto utilizzo dello strumento, la cosa bella del cajón, quella che mi ha fatto decidere di portarlo a Franco, è che suona ovunque tu lo batta e ogni parte ha una sonorità diversa. In più, il fatto di potercisi sedere sopra, può permettere a un bambino di suonarlo anche con i piedi. Franco è rimasto molto affascinato da questo oggetto e oggi finalmente l’esplorazione, anche se un po’ aiutata e indirizzata, è stata significativa e abbastanza approfondita. L’ho lasciato libero si assaporare le sonorità dello strumento per un lungo momento che rimpiango di non aver registrato. Poi Franco ha voluto raccontarmi la sua giornata attraverso i ritmi sempre eseguiti sul cajon e ha voluto che gli raccontassi la mia. Finiti questi racconti ero pronta per iniziare l’attività pensata per oggi, ma Franco mi ha presa di sorpresa chiedendomi se non c’erano uccellini a cui sparare. Improvvisando, ho pensato di cogliere questa occasione e tentare un’attività che prevedesse il movimento. 62 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Gli ho detto che lì al campo base dove eravamo non ce n’erano più perché li avevamo già presi tutti, ma se ci spostavamo verso il fiume sicuramente ne avremmo trovati altri. Franco è stato al gioco e mi ha chiesto dov’era il fiume. Gli ho detto che ci saremmo andati insieme per calcolare bene le distanze e poterci orientare. Abbiamo contato otto passi (circa sedici se li volevamo fare molto più corti) dal campo base (il tavolo con le seggiole) al fiume (l’inizio della gradinata del salone, di fronte al tavolo a distanza di circa un paio di metri). Da qui abbiamo cominciato un gioco che ha funzionato molto bene: Franco era il cacciatore che doveva andare dal campo base al fiume per la caccia e tornare indietro per portare le prede e far scorta di munizioni. Per accompagnarlo senza dargli la mano e facendolo quindi sentire indipendente, gli stavo dietro facendo il ruolo dello zaino che il cacciatore portava sulle spalle. Se mi appoggiavo molto voleva dire che lo zaino era pesante e quindi il cacciatore, facendo più fatica, andava più lento. Se mi appoggiavo poco voleva dire che lo zaino era più leggero e il cacciatore poteva andare più veloce. Abbiamo fatto questo tragitto molte volte, con “zaini” di peso diverso e quindi velocità diverse. In questo gioco Franco era sereno e a suo agio in un modo che mi ha sorpresa. Anche le sue stereotipie, normalmente molto evidenti e presenti, oggi sono sembrate in qualche modo zittite. 4.9. Di nuovo in gruppo, la fatica di stare “dentro” (18 marzo 2008) Oggi nuovo incontro di gruppo. Con l’insegnate di sostegno di Franco abbiamo deciso che, per rendergli utile e produttivo anche il tempo passato in gruppo durante il laboratorio di musica, 63 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO uno degli obbiettivi di quest’anno sarà tentare di favorire l’integrazione di Franco all’interno del suo gruppo e lo sviluppare l’interazione con i suoi amici. Cosa non facile sia perché, come già detto, Franco rifiuta decisamente l’interazione con i compagni sia perché il lavoro in gruppo prevede che, giustamente, l’attenzione degli insegnanti sia attiva e concentrata su tutti e che non solo Franco ma tutti i bambini della sezione traggano vantaggio dall’incontro. Abbiamo comunque tentato l’esperimento attraverso una serie di piccoli giochi musicali che permettessero ai bimbi di imparare qualcosa di nuovo e a Franco di interagire con i suoi compagni. Seduti a terra in cerchio abbiamo inventato la parte strumentale di una canzoncina che stiamo imparando intitolata “Oggi c’è musica”. Lo strumento era il nostro corpo, “suonato” attraverso quattro battiti delle mani seguiti da quattro battiti delle mani sulle gambe. Il tutto ripetuto ad libitum in modo che tutti imparassero l’esercizio. Una volta memorizzata questa sequenza abbiamo inserito una piccola variazione: ai quattro battiti delle mani non sarebbero seguiti quattro battiti delle mani sulle nostre gambe ma sarebbero seguiti quattro battiti delle mani sulle gambe degli amici che ci sedevano a destra e a sinistra. Il gioco era accompagnato da questo ritornello: mano mano mano mano, gamba gamba gamba gamba, mano mano mano mano, amico amico amico amico. Tutti i bambini hanno messo in atto questa nuova struttura tranne Franco che si è rifiutato di toccare gli amici che gli sedevano a fianco. Ha però accettato che loro “suonassero” le sue gambe, contando a voce alta i battiti e arrabbiandosi moltissimo quando i bimbi che dovevano interagire con lui non facevano giusto. Abbiamo poi cambiato gioco, accompagnando il canto della canzone con un piccolo girotondo. 64 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Franco, che si era dimostrato almeno parzialmente disponibile nel gioco precedente, qui è esploso. Urlando che non voleva farlo ha cominciato a tirare calci e pugni. Si è un po’ calmato solo quando abbiamo contato il numero dei passi che avrebbe dovuto fare (otto) e contrattando con lui la possibilità di farne solo quattro. Cosa che poi comunque non ha fatto e che ci ha spinto ad interrompere il gioco e a sederci di nuovo a terra in cerchio per un’ultima esecuzione della canzone. Per non lasciare Franco fuori dal gruppo, ho chiesto ai bambini del suo gruppo chi di loro avrebbe avuto piacere di averlo al centro del cerchio per abbraccialo con le nostre voci. Tutti i bambini, a sorpresa dal momento che questa cosa non era affatto preparata, hanno risposto nel modo giusto. Franco è rimasto piuttosto colpito da questa cosa tanto che dopo un po’ di insistenze ha accettato di sedersi al centro del cerchio. Finito l’incontro, forse per sfogare la rabbia di essere stato in qualche modo “costretto” a fare qualcosa che non gli andava, Franco ha preso per il collo un bambino del suo gruppo che naturalmente si è spaventato e si è messo a piangere. Alla richiesta di spiegazioni ha raccontato che il bambino “lo leccava”. 4.10. Percorso (4 aprile 2008) Oggi è stato un incontro produttivo. Volendo lavorare sul movimento per l’incontro di stamattina avevo preparato un percorso utilizzando due materassi bassi sui quali eventualmente poter anche camminare e un grosso materasso composto da tre “onde” piuttosto alte. 65 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO L La strada poteva prevedere delle varianti: passare attraverso le montagne (le scale, composte da sei gradini profondi e molto bassi), o passare dentro il calore (una striscia di sole, perfetta perché ampia, dritta e senza grandi impedimenti nel mezzo, che in quell’ora del mattino attraversa il salone). Scopo di questo viaggio era raggiungere la tana dell’orso, rappresentato a livello sonoro dal cajon e suonato dall’insegnante di sostegno di Franco. Il bambino ha accettato di giocare a questo gioco e insieme abbiamo affrontato più volte il percorso, strisciando o camminando a quattro zampe sui materassi bassi, facendo finta di muoverci in una palude, e scavalcando le onde del l’altro materasso facendo finta che fossero dei tronchi di pianta rovesciati. Una volta arrivati nei pressi della “tana dell’orso” (il cajon suonato dalla sua maestra di sostegno) lo lasciavo libero per vedere se riusciva a raggiungerlo da solo orientandosi attraverso l’ascolto, cosa che oggi gli è riuscita sempre e con una certa facilità. Dopo un po’ ovviamente ha voluto cambiare gioco facendo lui la parte dell’orso, suonando quindi il cajon. Per trovare un’alternativa che comunque lo mantenesse in movimento ho chiesto alla sua insegnante di sedersi dalla parte opposta della stanza e di suonare il tamburello. 66 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Una volta arrivato questo nuovo suono ho raccontato a Franco che evidentemente dall’altra parte del bosco c’era un altro animale che aveva voglia di parlar con lui. È così iniziato un dialogo fra i due strumenti. Franco lanciava un’idea ritmica che veniva ripresa dalla maestra con il tamburello. Accertato che l’altro animale fosse un amico, abbiamo affrontato il viaggio verso questa nuova voce, scegliendo però prima se fare il percorso nella palude e nel bosco, la strada delle montagne o la via del calore. Franco ha scelto l’ultima via. Ho provato a chiedergli di muoversi seguendo il calore e di fermarsi se sentiva che non c’era più perché voleva dire che avevamo sbagliato strada. La cosa ha funzionato piuttosto bene. Stamattina osservandolo, ho notato che Franco è diventato più sicuro nei movimenti, leggermente più fluido e meno contratto. Ha imparato a tenere le braccia allungate in avanti e ad usare le mani per sentire gli ostacoli e ad usare i piedi per sentire se nel piano in cui si appoggia cambia qualcosa. Almeno in ambito di lavoro a due, o a tre come è capitato questa mattina, questo aumento di sicurezza si ripercuote positivamente anche sulla sua capacità di ascolto e sulla sua tranquillità, tant’è che oggi, per la prima volta da che sono iniziati i nostri incontri, non c’è stato nessun animale o uccellino da ammazzare. Alle volte mi domando se sia giusto e utile creare dei percorsi di immaginazione (siamo in un bosco, siamo su una montagna, siamo in mezzo al fango, ecc…) con un bambino che fondamentalmente non ha mai visto la realtà o se questo non possa per caso essere per lui fonte di confusione. Ho trovato qualche risposta a questo mio dubbio in questo articolo intitolato “Educabilità dell’immaginazione” scritto da Enrico Ceppi e pubblicato sulla rivista “Tiflologia per l'Integrazione”, 67 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO “(…) Il sapere non può essere conquistato soltanto per concetti, e gran parte di esso, la parte più ricca più ampia, che porta maggiore vitalità allo spirito si fonda proprio sulle immagini, su questa miniera inesauribile che permette all'uomo nel chiuso della propria stanza di rievocare le cime dei monti o le onde del mare, di ricostruire scene e volti familiari, di disporre la sostanza per la realizzazione di grandi progetti (…) Starei per dire che l'uomo vive più di ricordi fondati sulle immagini che di sensazioni reali; o almeno che la sua ricchezza più grande è data proprio dal ricordo, da questa forza che lo unisce al passato, che lo fa sentire inserito in un tutto ampio e infinito che gli da la sensazione di non essere mai solo e gli permette di costruire il vero substrato della sua personalità. (…) Anche chi non vede può costituirsi il proprio patrimonio di immagini: non importa la provenienza, basta aver garantito sulla loro possibilità di esistenza, perché non venisse di conseguenza l'ammissione che il mondo spirituale del privo della vista fosse un mondo vuoto, ancorato alle formule e ai nomi, un mondo incapace di elaborare il vero volto della realtà. (…) L'importanza della nuova pedagogia dei ciechi, la sua rivoluzionaria portata, penso che stia proprio in questo rivendicare alle immagini di chi non vede un valore effettivo di durata e di strutturazione e quindi di rivendicare una vasta azione pedagogica che educhi e potenzi il sorgere di queste immagini. (…) Lo spirito va elaborando i dati della propria esperienza, ha in sé questa forza, questa luce che illumina e da significato a elementi che passerebbero nell'oscurità della coscienza sensoriale, come dati indifferenti gli uni agli altri: e indubbiamente la posizione normale dello spirito di chi non vede possiede alla stessa stregua di tutti, questa forza di sintesi e di illuminazione, per cui il dato diviene intelligibile, ma occorre pur sempre che il dato vi sia. In tal modo, ammessa pure l'immaginazione come facoltà originaria dello spirito, occorre 68 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO che ad essa fluiscano le immagini perché si concretizzi e non resti mera funzione, il che equivale all'annullamento della funzione stessa. Quando nelle nostre scuole parliamo di educabilità dell'immaginazione di chi non vede, intendiamo riferirci a questo arricchimento costante dell'immaginazione.” 4.11. Nel gruppo (7 aprile 2008) Solo poche un’immagine) parole per (e descrivere l’incontro di gruppo di oggi. Franco ha passato il tempo del laboratorio seduto a terra in cerchio fra i suoi amici ascoltandoli e ridendo insieme a loro. Nessun rifiuto, nessuna crisi. Credo che l’unione di forze, la creazione di quella famosa “rete” che fino a non molto tempo fa mi sembrava una cosa impossibile, il lavoro su obiettivi comuni e, non ultimo, il fatto che sia Franco che i suoi genitori abbiano iniziato ad andare in terapia, stiano dando qualche frutto. Franco, nonostante la persistenza delle sue “esplosioni” e delle sue chiusure, sembra comunque più sicuro, più sereno. Fisicamente si è abbastanza liberato, la postura, il modo di camminare e di muoversi in generale, tutto ne ha guadagnato. Il suo atteggiamento è più fiducioso. Soprattutto in relazione a questo, mi sono accorta che ciò che credevo che Franco “non sapesse fare” (espressione terribile), come ad esempio riconoscere la spazialità dei suoni, era dovuto a una grande mancanza di fiducia, in se stesso ma anche in me. 69 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO I passi fatti sono piccoli ma comunque importanti. 4.12. Ripresa e cambiamenti (11 aprile 2008) Oggi ho fatto scegliere a Franco i materiali con i quali lavorare. La scelta è caduta sulla scatola degli strumenti che già da un po’ non usavamo più. Seduti sui due materassi bassi, avvicinati fra loro in modo da crearne uno solo molto grosso e avvicinati alle strutture morbide di varie forme in modo da creare un “angolo morbido” sicuro, ho lasciato Franco libero di tirare fuori tutti gli strumenti, di suonarli tutti e di decidere quali rimettere nella scatola perché giudicati “brutti” o poco interessanti. Ho notato che l’esplorazione è diventata più attenta, anche se resta sempre piuttosto sommaria. Per stimolarlo maggiormente in questo senso, ci siamo concentrati non solo sui suoni ma anche sui materiali degli strumenti (quelli freddi come i triangoli e i piatti sospesi, quelli lisci come i tamburi con la plastica al posto della pelle, quelli ruvidi come i tamburi con la pelle), sui pesi, sulle dimensioni e sugli “accessori” (le cordicelle dei triangoli e dei piatti sospesi). Mi sono accorta che molti degli strumenti che aveva scartato in questa stessa attività proposta a febbraio (i piatti sospesi, i triangoli, un tamburello con i sonagli) oggi sono rimasti “in gioco” e anzi sono stati fra i più “gettonanti”. Alcuni dei suoni che un paio di mesi fa lo infastidivano e spaventavano (i suoni lunghi e vibrati dei piatti, ad esempio, ed in particolare quello del piatto più grosso) oggi sono stati cercati e prodotti in grande quantità da Franco con il quale siamo anche riusciti a quantificare, contando, quanto durava il suono forte 70 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO prodotto dal piatto sospeso più grosso e quanto durava il suono debole prodotto dallo stesso strumento e a valutare le differenze. Rimanendo nell’ambito degli strumenti “vibranti” abbiamo poi inventato uno strumento formato da tre triangoli tenuti per la cordicella e fatti battere uno contro l’altro. Il suono di questo strumento ci ha ricordato le campane delle chiese che ci sono in montagna e infatti l’abbiamo chiamato “le campane delle montagne” e abbiamo deciso che era un suono molto festoso. Franco mi ha raccontato che i suoi genitori gli hanno regalato una batteria e che la cosa gli piace molto. Allora mi è venuta l’idea di utilizzare tutti gli strumenti che avevamo a disposizione per “costruire” una sorta di batteria da suonare muovendosi però nello spazio. Così ho disposto tutto intorno a Franco gli strumenti, anche su sua indicazione, e lui doveva suonarli andandoli a cercare nello spazio. Il gioco è stato piuttosto divertente ed ha funzionato bene. Ho notato che nelle situazioni di lavoro a due le sue stereotipie risultano veramente molto zittite, mentre restano, anche se in misura minore, in situazioni di lavoro di gruppo. Questo mi fa pensare che si senta più tranquillo e mi conferma l’ipotesi che molti degli “insuccessi” passati fossero causati anche da mancanza di fiducia nei miei confronti. Prima di tornare in classe abbiamo esplorato con le mani tutte le forme che ci circondavano, le strutture morbide, in modo da dare a Franco l’idea delle forme che lo circondavano (cd traccia1). 71 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 4.13. Gioco di regole (18 aprile 2008) Oggi i bambini della sezione di Franco hanno fatto le prove per uno spettacolo dedicato al circo che “porteranno in scena” fra qualche settimana. Franco era impegnatissimo come “tecnico audio”, facendo andare la cassetta e spegnendo al momento giusto. Ho notato che la cosa lo divertiva molto e che era un bel modo per farlo sentire parte dello spettacolo e “utile”. Così ho rubato parte dell’idea e durante il nostro incontro gli ho proposto di registrare parte di quello che facevamo e poi di riascoltare per sentire cosa ne era uscito. Franco è stato entusiasta dell’idea. Abbiamo cominciato con un lavoro sul cajon, che ormai Franco conosce bene, basato su alcune regole precise. Per stimolare in lui il movimento e l’autonomia fra braccia e gambe ho proposto di non suonare con le mani e con i piedi contemporaneamente, ma di “dividere” i due momenti (traccia cd 2). Solo ad un richiamo preciso si poteva suonare tutto insieme. Poi, per stimolare il controllo del movimento le regole sono diventate più difficili: le mani suonavano piano e i piedi suonavano forte, le mani suonavano forte e i piedi suonavano piano, in contemporanea mani e piedi tutto forte, poi viceversa tutto piano (traccia cd 4 e 5). Il gioco è andato avanti per circa mezz’ora con buoni risultati e molto entusiasmo da parte di Franco. Poi abbiamo cominciato a registrare. E mi sono accorta che forse non questa non era stata una grande idea. Infatti l’attività ha provocato in Franco reazioni che non mi aspettavo: il ritorno deciso di alcune stereotipie che durante il lavoro a due erano ormai quasi sparite, il fatto che fosse decisamente più concentrato sul riascolto che non sulla 72 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO “produzione musicale” e il fatto che questa si sia riempita di strani versi prodotti con la voce che non gli avevo mai sentito fare (traccia cd 3). Il fatto di riascoltarsi e riconoscersi gli provocava un’eccitazione evidente che metteva in secondo piano tutto il resto. Forse tutto questo era dovuto proprio al fatto di riconoscersi, di risentire la propria voce, la propria musica, che, immagino, per chi non ha modo di vedersi sia un impatto molto forte, una sorta di “riconoscersi “fuori” da sé, un po’ come quando i bambini vedenti si incantano nel guardasi allo specchio o come anche noi capita di incuriosirci davanti ad una foto che ci ritrae scattata a nostra insaputa. Un’altra cosa che mi ha colpito è che Franco riusciva a ricantare con una notevole precisione i ritmi che aveva suonato, come se non fossero frutto di un’improvvisazione estemporanea ma parti scritte. 4.14. Batteria (21 aprile 2008) Stamattina doppio incontro: una prima parte con il gruppo e una seconda soli io e Franco. Durante gli incontri di gruppo, anche se per Franco restano molto più faticosi di quelli a due, il suo comportamento è molto migliorato e, nonostante non si possa dire che partecipi attivamente alle varie attività, riesce comunque a stare dentro al gruppo senza crisi e quasi senza opporre resistenze. Per quanto riguarda invece il nostro incontro “a due”, oggi abbiamo costruito una batteria utilizzando tutti gli strumenti più “belli” scelti dalle scatole degli strumenti. 73 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Prima di cominciare abbiamo “aggiustato” alcuni degli strumenti che avrebbero potuti essere “belli” ma che erano incompleti, tipo il triangolo ed il piatto sospeso che erano senza cordina. Ho chiesto a Franco di cercare le cordine dentro la scatola degli strumenti, in modo da stimolare in lui la capacità di riconoscere oggetti e materiali. Una volta trovate le abbiamo legate agli strumenti così da renderli suonabili. Una volta completato lo strumentario abbiamo disposto gli strumenti sul tavolo in modo da poterli suonare stando in piedi. Franco ha scelto la disposizione, decidendo di mettere tutti i tamburi in fila dalla stessa parte dal più grande al più piccolo e di creare un “angolo” con due tamburi più piccolini. I tamburi col sonaglio erano dall’altra parte e più lontani, forse perché gli piacciono meno. Triangolo e piatto sospeso erano più o meno al centro del tavolo, i campanelli molto defilati dietro un tamburo (anche quelli non gli piacciono molto). I legnetti venivano spesso usati come battenti per i tamburi. Per suonare bisognava allungare bene le braccia e spostarsi nello spazio lungo il tavolo. 74 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO Franco ha suonato un “concerto” che in parte abbiamo registrato (traccia cd 6 e 7) e mi ha raccontato tutto il suo fine settimana utilizzando parole, ritmi e sonorità dei diversi strumenti (traccia cd 8). Ha poi voluto che facessi io la stessa cosa. Mi accorgo che ormai Franco è del tutto a suo agio durante i nostri incontri e questo rende ancora più difficile l’idea che questa strada sia ormai alla fine. 75 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 5. Conclusioni Quando ho cominciato i miei incontri con Franco onestamente non sapevo bene dove sarei andata a parare. In questi mesi ho lavorato su di lui meno di quanto abbia lavorato su di me per sentirmi minimamente in grado di essergli utile. Ho capito la grandissima importanza che ha la fiducia all’interno di una relazione di aiuto e l’importanza di quella famosa “rete” di persone, obiettivi, intenti ed attenzioni che è fondamentale costruire intorno alla persona sulla quale si “opera”. Grazie a questa unione di forze, Franco ha compiuto passi importanti. È in grado di muoversi con maggior scioltezza, soprattutto ora accetta di muoversi, anche se ancora non sempre e non proprio entusiasticamente. Il suo corpo è meno contratto e le stereotipie, soprattutto in ambito di lavoro a due, sono meno evidenti. Ha cominciato ad integrarsi all’interno del suo gruppo. Anche se ancora non partecipa alle attività, quasi sempre accetta di sedersi insieme agli altri bambini, sta imparando a rispettare le regole ed a “ritagliarsi” spazi e ruoli su misura. Ovviamente non è stata fatta nessuna magia (magari!) e il Franco dei rifiuti, delle esplosioni di rabbia, delle paure, delle chiusure, dei piccoli “sadismi” nei confronti dei suoi amichetti non è scomparso. Per fortuna però se ne comincia ad intravedere anche un altro. Concludo questa esperienza con un po’ di rimpianto per tutto ciò che ho capito solo lungo la via e che forse, se avessi capito prima, avrei potuto usare in modo più utile. 76 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO L’ultimissima riga è per questo bambino così complicato e così speciale, per il quale continuerò a fare, con forza, il tifo. 77 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO 6. Bibliografia e Sitografia Testi consultati: - Dispensa “Musicoterapia, scuola e intergazione”, Paola Pecoraro Esperson, Istituto MEME, A.A. 2007 – 2008. - Nuova Enciclopedia della Musica Garzanti, marzo 1993. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 4 ottobre – dicembre 2006, articolo “Pedagogia, metodologia e didattica in Augusto Romagnoli” di Enrico Ceppi. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 3 luglio – settembre 2007, articolo “Educazione estetica dei ciechi. Gesto - Ritmica – Espressione” di Elena Romagnoli. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 1 gennaio – marzo 2007, articolo “I bambini non vedenti nella scuola: gli insegnanti e le strategie didattiche” di Barbara Celani. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 2 aprile – giugno 2007, articolo “Educazione psicomotoria del bambino minorato della vista” di Luigina Teresa Orsini. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 2 aprile – giugno 2007, resoconto dell’iniziativa “Dialogo nel buio” di Giancarlo Abba. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 3 luglio – settembre 2005, articolo “Paura e autonomia” di Maria Luisa Gargiulo. - “Aiutare i bambini pieni di rabbia e odio”, M. Sunderland e N.Armstrong, 2005, Trento, Erickson. - “Comportamenti stereotipici (auto-stimolatori)”, Stephen M. Edelson, Ph.D.Center for the Study of Autism, Salem, Oregon. 78 ISTITUTO MEME S.R.L MODENA – ASSOCIATO UNIVERSITÈ EUROPÈENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES SILVIA CAVATORTA - SST IN MUSICOTERAPIA – PRIMO ANNO A.A 2007/2008 PIPPO - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione”, luglio-settembre 2007, articolo “Lo sviluppo dell’affettività nei bambini non vedenti” di Virginia D’Antuono. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 2 aprile – giugno 2006, articolo “I tempi e le diverse modalità di apprendimento del bambino non vedente e ipovedente” di Barbara Muzzatti. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione”, articolo “L’apprendimento mediante gli altri sensi” di Barbara Muzzatti. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 3 luglio – settembre 2005, articolo “La relazione madre – bambino non vedente” di Barbara Celani. - Dispensa “Stili di attaccamento e mondi possibili”, Luca Casadio, Istituto Meme, A.A. 2007 – 2008. - Rivista “Tiflologia per l'Integrazione” n° 4 ottobre – dicembre 2007, articolo “Educabilità dell’immaginazione” di Enrico Ceppi. Siti consultati : - www.wikipedia.org - www.mtonline.it - www.musicotherapy.it - www.dizionario-italiano.it - www.demauroparavia.it - www.benessere.com - www.italiasalute.leonardo.it - www.genitoriquasiperfetti.it - www.erickson.it - www.asperger.it - www.massimoequilibrio.blogspot.com - www.cajondg.com 79