APPUNTI DI ALGEBRA I a.a. 2006-2007 Luciana Picco Botta 11 settembre 2006 2 Indice 3 4 INDICE Capitolo 1 Gruppi 1.1 Strutture algebriche e morfismi Definizione 1.1.1 Sia X un insieme. Una operazione binaria interna (o semplicemente una operazione) su X è una funzione ∗:X ×X →X (1.1) Per convenzione si scrive x ∗ y invece di ∗(x, y). Esempio 1.1.2 Sono esempi di operazioni: +:Z×Z→Z ·:Z×Z→Z ∪ : P(I)×P(I) → P(I), dove P(I) indica l’insieme delle parti di un insiemeI ∩ : P(I) × P(I) → P(I) exp : N × N → N ◦ : X X × X X → X X dove X X denota l’insieme delle funzioni di X in sè e ◦ indica la legge di composizione. Definizione 1.1.3 Si dice che una operazione ∗ in X gode della proprietà • commutativa se ∀x, y ∈ X x ∗ y = y ∗ x • associativa se ∀x, y, z ∈ X x ∗ (y ∗ z) = (x ∗ y) ∗ z. Si dice che un elemento u ∈ X è elemento neutro per ∗ se ∀x ∈ X u ∗ x = x ∗ u = x. Un elemento x0 ∈ X è detto inverso di un elemento x ∈ X se x ∗ x0 = u e x0 ∗ x = u. Se vale soltanto la prima delle due precedenti uguaglianze si dice che x0 è inverso a destra di x, se vale soltanto la seconda si dice che x0 è inverso a sinistra di x. 5 6 CAPITOLO 1. GRUPPI Definizione 1.1.4 Se ◦ e ∆ sono due operazioni definite in un insieme X, si dice che ◦ è distributiva a sinistra rispetto a ∆ se ∀x, y, z ∈ X x ◦ (y∆z) = (x ◦ y)∆(x ◦ z), si dice che ◦ è distributiva a destra rispetto a ∆ se ∀x, y, z ∈ X (x∆y) ◦ z = (x ◦ z)∆(y ◦ z). Esempio 1.1.5 Se X = {a, b, c, d} è un insieme finito, una operazione ∗ su X è descritta da una tabellina in cui all’incrocio della riga di x e della colonna di y si scrive l’elemento x ∗ y. ∗ a b c d a b c a d b b a b b c d b d c d a d c c Osservazione 1.1.6 E’ possibile considerare anche operazioni esterne, cioè funzioni A × B → C. Ad esempio, se V è uno spazio vettoriale su R, la moltiplicazione per uno scalare è una operazione R × V → V . Definizione 1.1.7 Si dice struttura algebrica il dato di un insieme A e di una o più operazioni su A. Esercizio 1.1.8 Sia X = {a, b, c, d} un insieme. Definire su X, scrivendone la tabellina: i) una operazione che ammette c come elemento neutro, ii) una operazione in cui a sia l’inverso di b, iii) una operazione commutativa, iv) una operazione commutativa che ammette un elemento neutro e tale che ogni elemento possieda un inverso, v) una operazione non commutativa che ammette un elemento neutro e tale che ogni elemento possieda un inverso Come si riconoscono dalla tabellina le proprietà richieste? Esercizio 1.1.9 Elencare le proprietà delle seguenti strutture: i) N, + N, · Z, + Z, · Q, + Q − {0}, · Z, +, · Q, +, · ii) Z5 , +, · Z6 , +, ·, iii) X X , ◦, iv) P(I), ∪, ∩. Rn , + Definizione 1.1.10 Date due strutture X, ∗ e X 0 , ∗0 , una funzione f : X → X 0 è detta morfismo (rispetto a ∗ e a ∗0 ), se ∀x, y ∈ X f (x ∗ y) = f (x) ∗0 f (y) . (1.2) 1.1. STRUTTURE ALGEBRICHE E MORFISMI 7 In altre parole f è un morfismo se il seguente diagramma è commutativo: X ×X f ×f ↓ X0 × X0 ∗ −→ −→ ∗0 X ↓f X0 Esempio 1.1.11 La funzione f : R, · → R, · definita da x 7→ x2 è un morfismo. La stessa funzione non è invece un morfismo rispetto alla somma. Esempio 1.1.12 log : R>0 , · → R, + è un morfismo. Esempio 1.1.13 La proiezione p : Z, +, · → Zn , +, · è un morfismo (rispetto ad entrambe le operazioni). Infatti p(h + k) = h + k = h + k = p(h) + p(k), p(h · k) = h · k = h · k = p(h) · p(k) Proposizione 1.1.14 Il composto di due morfismi è un morfismo Dimostrazione. Siano f : X, ∗ → X 0 , ∗0 e g : X 0 , ∗0 → X 00 , ∗00 due morfismi, allora ∀x, y ∈ X: (g ◦ f )(x ∗ y) = g(f (x ∗ y)) = g(f (x) ∗0 f (y)) = g(f (x)) ∗00 g(f (y)) = (g ◦ f )(x) ∗00 (g ◦ f )(y). Definizione 1.1.15 Un morfismo f : X, ∗ → X 0 , ∗0 e detto • monomorfismo se è iniettivo, • epimorfismo se è suriettivo, • isomorfismo se è biettivo. Proposizione 1.1.16 L’inverso di un isomorfismo è un isomorfismo. Dimostrazione. Sia f : X, ∗ → X 0 , ∗0 un isomorfismo. Per definizione esiste la funzione inversa f −1 : X 0 → X; occorre provare che ∀x0 , y 0 ∈ X 0 , f −1 (x0 ∗0 y 0 ) = f −1 (x0 ) ∗ f −1 (y 0 ) Poichè f è biettiva, è sufficiente provare che i due membri hanno la stessa immagine mediante f . Si ha immediatamente f (f −1 (x0 ∗0 y 0 )) = x0 ∗0 y 0 ma anche, poichè f è un morfismo, f (f −1 (x0 ) ∗ f −1 (y 0 )) = f (f −1 (x0 )) ∗0 f (f −1 (y 0 )) = x0 ∗0 y 0 . 8 CAPITOLO 1. GRUPPI Esercizio 1.1.17 Dire quali delle seguenti funzioni sono morfismi rispetto alle operazioni indicate: f : R, + x f1 : R, · x 2 g : R ,+ (x, y) g1 : R2 , + (x, y) 1.2 → 7 → → 7→ → 7→ → 7→ R, + 2x R, · 2x R2 , + (y, x + y) R2 , + (x + 3, 2y) Gruppi: definizione e prime proprietà Definizione 1.2.1 Un gruppo è una struttura algebrica G, ∗ dotata di una sola operazione che gode delle seguenti proprietà: • associativa, cioè ∀x, y, z ∈ G x ∗ (y ∗ z) = (x ∗ y) ∗ z • esiste un elemento neutro u, cioè tale che ∀x ∈ G u ∗ x = x ∗ u = x • ogni elemento x possiede un inverso, cioè ∀x∃x0 tale che x∗x0 = x0 ∗x = u. Osservazione 1.2.2 Si osservi che la proprietà associativa permette di comporre più elementi di G e di scrivere senza ambiguità x1 ∗ . . . . ∗ xn . Proposizione 1.2.3 In un gruppo l’elemento neutro è unico. Dimostrazione. Siano u e u0 due elementi neutri, allora si ha: u perchè u0 è neutro u ∗ u0 = u0 perchè u è neutro Proposizione 1.2.4 In un gruppo l’inverso di ogni elemento è unico. Dimostrazione Siano x0 e x00 due inversi di x. Allora, usando la definizione di inverso e la proprietà associativa, si ha x0 = x0 ∗ u = x0 ∗ (x ∗ x00 ) = (x0 ∗ x) ∗ x00 = u ∗ x00 = x00 . Definizione 1.2.5 Un gruppo G, ∗ è detto abeliano se l’operazione gode della proprietà commutativa, cioè ∀x, y ∈ G x ∗ y = y ∗ x. 1.2. GRUPPI: DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETÀ 9 In un gruppo si usa generalmente la notazione moltiplicativa, cioè l’operazione è indicata con ·, l’elemento neutro con 1 e l’inverso di x con x−1 . Di solito si omette il segno · e si scrive semplicemente xy. In un gruppo abeliano si usa generalmente la notazione additiva, cioè l’operazione è denotata con +, l’elemento neutro con 0, l’inverso di x con −x ed è detto opposto di x. Tuttavia, nel caso di gruppi noti si mantiene la notazione tradizionale. Esempio 1.2.6 Si verifica facilmente che sono gruppi abeliani: Z, + Q, + R, + C, + Q∗ , · = Q − {0}, · R∗ , · = R − {0}, · C∗ , · = C − {0}, · R>0 , · µn , ·, dove µn è l’insieme delle radici complesse n-me dell’unità. Zn , + (per ogni naturale n), Z∗p , · = Zp − {0}, · dove p è un numero primo. Esempio 1.2.7 Dato un insieme X, l’insieme B(X) delle biiezioni di X in sè è un gruppo non abeliano rispetto all’operazione di composizione ◦. Esempio 1.2.8 L’insieme GL(n, R) delle matrici invertibili n × n a elementi in R è un gruppo rispetto alla moltiplicazione riga per colonna. Esempio 1.2.9 L’insieme K[X] dei polinomi a coefficienti in K = Z, Q, R, C è un gruppo abeliano rispetto alla somma. Proposizione 1.2.10 In un gruppo G, · valgono le leggi di semplificazione, cioè ∀a, b, c ∈ G (1) ab = ac ⇒ b = c , (2) ba = ca ⇒ b = c Dimostrazione. Proviamo ad esempio la (1) (la (2) è analoga). ab = ac ⇒ (moltiplicando a sinistra per a−1 ) a−1 (ab) = a−1 (ac) ⇒ (usando la proprietà associativa) (a−1 a)b = (a−1 a)c ⇒ (per definizione di inverso) 1 · b = 1 · c ⇒ (per definizione di elemento neutro) b = c. Proposizione 1.2.11 In un gruppo G, ·, ∀a, b ∈ G, valgono le seguenti proprietà: i) 1−1 = 1 ii) (a−1 )−1 = a iii) (ab)−1 = b−1 a−1 Dimostrazione. i) ovvia: 1 · 1 = 1. ii) Le uguaglianze aa−1 = a−1 a = 1 indicano contemporaneamente che a−1 è l’inverso di a e che a è l’inverso di a−1 . iii) Usando le proprietà dei gruppi si ottengono le uguaglianze: (ab)(b−1 a−1 ) = a(bb−1 )a−1 = a1a−1 = aa−1 = 1, (b−1 a−1 )(ab) = b−1 (a−1 a)b = b−1 1b = b−1 b = 1, dalle quali discende che b−1 a−1 è l’inverso di ab. 10 CAPITOLO 1. GRUPPI Proposizione 1.2.12 In un gruppo G, ·, per ogni a, b ∈ G, le seguenti equazioni hanno ciascuna un’unica soluzione: (1) Xa = b ha come soluzione X = ba−1 , (2) aY = b ha come soluzione Y = a−1 b. Dimostrazione. Esaminiamo la (1). ba−1 è una soluzione, infatti sostituendo tale valore al posto della incognita X e utilizzando le proprietà dei gruppi, si ottiene: (ba−1 )a = b(a−1 a) = b1 = b. Inoltre la soluzione è unica. Infatti, se x1 e x2 sono due elementi di G che soddisfano l’equazione (1), x1 a = b ⇒ x1 a = x2 a ⇒ x1 = x2 (per la legge di semplificazione). x2 a = b Osservazione 1.2.13 Si noti che, se il gruppo non è abeliano, le due soluzioni delle equazioni (1) e (2) possono essere diverse tra loro. Esercizio 1.2.14 Nel gruppo B(R), ◦ delle biezioni di R in sè, si considerino le biiezioni f e g definite rispettivamente da f (x) = x3 e g(x) = x + 1. Trovare due elementi h e k di B(R) che soddisfino le uguaglianze h◦f =g f ◦ k = g. Definizione 1.2.15 Sia G, · un gruppo e sia a ∈ G un elemento. Per ogni intero n ∈ Z si dice potenza n-ma di a l’elemento a · . . . · a se n > 0 | {z } an = 1 n se n = 0 −n −1 (a ) se n < 0 Se si usa la notazione additiva per l’operazione del gruppo, invece di potenza n-ma si parla di multiplo n-mo di a. a + . . . + a se n > 0 | {z } n na = 0 se n = 0 −(−n)a se n < 0 Si noti che potenze e multipli sono gli stessi oggetti scritti in notazioni diverse. Proposizione 1.2.16 Valgono le seguenti proprietà delle potenze: i) an+m = an am , ii) (an )m = anm , iii) se G è abeliano (ab)n = an bn . In notazioni additive si traducono nelle seguenti proprietà dei multipli: i’) (n + m)a = na + ma, ii’) m(na) = (mn)a, iii’) n(a + b) = na + nb. Attenzione: non confondere il simbolo di multiplo con una operazione interna di prodotto: si parla di multipli quando l’operazione di G è denotata con la 1.3. SOTTOGRUPPI 11 somma. In particolare n, m sono numeri interi, a, b sono elementi del gruppo, quindi la i’) e la iii’) non sono proprietà distributive e la ii’) non è una proprietà associativa. Dimostrazione. i) e ii) (risp. i’) e ii’)) seguono immediatamente dalla definizione e dalla proprietà associativa del prodotto (risp. dell somma). Per quanto riguarda iii) (e iii’)), nel caso n > 0 si usano la proprietà associativa e la proprietà commutativa: . . . a})(bb . . . }b) = an bn . (ab)n = (ab)(ab) . . . (ab) = (aa | {z | {z {z } | n n n Nel caso n = 0, la proprietà è ovvia. Infine se n < 0 si ha: (ab)n = ((ab)−n )−1 = (a−n b−n )−1 = (b−n )−1 (a−n )−1 = bn an = an bn 1.3 Sottogruppi Definizione 1.3.1 Sia G, · un gruppo. Un sottoinsieme T ⊂ G è detto stabile o chiuso se ∀x, y ∈ T xy ∈ T . Esempio 1.3.2 In Z, + il sottoinsieme dei numeri pari è stabile, quello dei numeri dispari no. Se T è stabile possiamo considerare la restrizione a T del prodotto in G. è una struttura algebrica associativa (e commutativa se G è abeliano). T, · Definizione 1.3.3 Sia G, · un gruppo. Un sottoinsieme S ⊂ G è detto sottogruppo se è un gruppo per la restrizione ad S dell’operazione di G. In simboli si scrive S < G. {1} e G sono sottogruppi di G detti sottogruppi impropri. Proposizione 1.3.4 1) ogni sottogruppo è stabile, 2) ogni sottogruppo di un gruppo abeliano è abeliano, 3) l’elemento neutro di un sottogruppo S coincide con l’elemento neutro di G ( e quindi S deve contenere l’elemento neutro di G), 4) l’inverso in S di un elemento di S coincide con il suo inverso in G e quindi l’inverso (in G) di un elemento di S deve appartenere ad S. Dimostrazione. 1) e 2) sono ovvie 3) 1S · 1S = 1S ⇒ 1S · 1S = 1S · 1G ⇒ 1S = 1G (semplificando per 1S ). 4) Siano x ∈ S, x0 il suo inverso in S, x−1 il suo inverso in G. Le uguaglianze x0 x = 1S = 1G xx0 = 1S = 1G implicano che x0 = x−1 , per l’unicità dell’inverso in G. Esercizio 1.3.5 Verificare la validità delle seguenti asserzioni: 1) l’insieme dei numeri pari è un sottogruppo di Z, 2) l’insieme dei polinomi aventi termine noto nullo è un sottogruppo del gruppo Q[X], + dei polinomi a coefficienti razionali, 12 CAPITOLO 1. GRUPPI 3) in R2 , + il sottoinsieme S = {(x, y) | 2x − y = 0} è un sottogruppo, (Si può dire lo stesso del sottoinsieme S 0 = {(x, y) | 2x − y = 1} ?) 4) in Z12 i seguenti sottoinsiemi sono sottogruppi? A = {0, 4, 8} B = {0, 3, 9} Teorema 1.3.6 Sia G, · un gruppo. Un sottoinsieme S 6= ∅ di G è un sottogruppo se e solo se soddisfa la seguente condizione: ∀x, y ∈ S, xy −1 ∈ S (1.3) Dimostrazione, a) Se S è un sottogruppo e x, y ∈ S, l’inverso y −1 di y deve appartenere a S, inoltre S è stabile, quindi xy −1 ∈ S. b) Viceversa, se vale ?? per ogni scelta di x, y ∈ S, - assumendo x = y otteniamo xx−1 = 1 ∈ S, cioè S contiene l’elemento neutro; - assumendo x = 1 e y elemento qualunque di S otteniamo 1y −1 = y −1 ∈ S, cioè S contiene l’inverso di ogni suo elemento; - infine, presi due elementi x, y ∈ S, per quanto visto y −1 ∈ S, quindi applicando la ?? alla coppia x, y −1 otteniamo x(y −1 )−1 = xy ∈ S, cioè S è stabile e pertanto eredita la proprietà associativa. Se ne conclude che S è un sottogruppo di G. Osservazione 1.3.7 Nel caso in cui l’operazione sia denotata con la somma la condizione ?? si scrive: ∀x, y ∈ S, x − y ∈ S. Esercizio 1.3.8 Provare che in Z, + il sottoinsieme dei multipli di un numero fissato n è un sottogruppo. Tale sottogruppo viene di solito indicato con (n). Definizione 1.3.9 Sia G, · un gruppo. Si dice centro di G l’insieme Z(G) = { x ∈ G | ax = xa ∀a ∈ G } Si osservi che se G è abeliano Z(G) = G. Proposizione 1.3.10 Z(G) è un sottogruppo di G. Dimostrazione Per il criterio precedente, occorre provare che, dati x, y ∈ Z(G), xy −1 ∈ Z(G), cioè che a(xy −1 ) = (xy −1 )a ∀a ∈ G Usando la proprietà associativa e la iii) di ?? si ottiene: a(xy −1 ) = (ax)y −1 = (xa)y −1 = x(ay −1 ) = x(ya−1 )−1 = x(a−1 y)−1 = xy −1 (a−1 )−1 = (xy −1 )a. Definizione 1.3.11 Siano G, · un gruppo e sia x ∈ G un suo elemento. Si dice sottogruppo ciclico generato da x, e lo si indica con < x >, il minimo sottogruppo di G che lo contiene. 1.3. SOTTOGRUPPI 13 Proposizione 1.3.12 Sia G, · un gruppo e sia x un suo elemento. Il sottogruppo ciclico generato da x è costituito da tutte le potenze intere di x, cioè: < x >= { xn | n ∈ Z } Se l’operazione di G è denotata con +, il sottogruppo ciclico generato da x è < x >= { nx | n ∈ Z }. Dimostrazione. i) per verificare che < x > è un sottogruppo usiamo il criterio. Siano xn , xm ∈< x >: xn (xm )−1 = xn x−m = xn−m ∈< x >. ii) x = x1 ∈< x >. iii) Sia S un sottogruppo, x ∈ S. Poichè S è stabile, contiene tutte le potenze positive di x; inoltre deve contenere i loro inversi, cioè le potenze negative di x. Infine contiene 1 = x0 . Perciò < x >⊂ S e quindi < x > è il più piccolo sottogruppo contenente x. Definizione 1.3.13 Un gruppo G è detto ciclico se esiste un x tale che G =< x >. Tale x è detto generatore di G. Esempio 1.3.14 Z, + è un gruppo ciclico, suoi generatori sono 1 e -1. I suoi sottogruppi ciclici sono costituiti dai multipli di un intero fissato n, cioè < n >= (n) Esempio 1.3.15 Zn , + è ciclico. Sono generatori le classi k tali che (k, n) = 1. Definizione 1.3.16 In un gruppo G, · si dice ordine o periodo di un elemento a, e lo si indica con o(a), il minimo intero positivo n, se esiste, tale che an = 1. Se non esiste si dice che a ha ordine infinito. Esercizio 1.3.17 Tradurre in notazione additiva la definizione di ordine. Osservazione 1.3.18 Si noti che le potenze di un elemento sono infinite, ma possono non essere tutte distinte. Vedremo che se due potenze diverse xn e xm con n 6= m coincidono, allora x ha solo un numero finito di potenze distinte. Precisamente vedremo che in tal caso x ha periodo finito e che il numero di potenze distinte è esattamente uguale al periodo di x. Proposizione 1.3.19 L’intersezione insiemistica di due sottogruppi di un gruppo è un sottogruppo. Dimostrazione. Siano H e K due sottogruppi di un gruppo G, · e siano x, y ∈ H ∩ K, per il criterio è sufficiente provare che xy −1 ∈ H ∩ K. x, y ∈ H ⇒ xy −1 ∈ H x, y ∈ H ∩ K ⇒ ⇒ xy −1 ∈ H ∩ K x, y ∈ K ⇒ xy −1 ∈ K Osservazione 1.3.20 Si dimostra in modo analogo che l’intersezione di una famiglia qualsiasi di sottogruppi è ancora un sottogruppo. 14 CAPITOLO 1. GRUPPI Osservazione 1.3.21 L’unione insiemistica di due sottogruppi non è necessariamente un sottogruppo. Si considerino ad esempio in Z, + i sottogruppi H = (3) e K = (4) . H ∪ K non è stabile, in quanto non contiene 4 + 3. Definizione 1.3.22 Siano H e K due sottogruppi di un gruppo G, ·. Si dice sottogruppo unione di H e K e lo si indica con H ∨ K il minimo sottogruppo di G che li contiene entrambi. Proposizione 1.3.23 Nelle notazioni delle definizione precedente H ∨ K coincide con l’insieme U = {h1 k1 . . . hn kn | hi ∈ H, ki ∈ K }. Dimostrazione. i) U è un sottogruppo. Infatti se x = h1 k1 . . . hn kn e y = 0 h01 k10 . . . h0m km sono due elementi di U , ricordando la iii) di ?? e la ?? −1 −1 0 −1 0 −1 −1 h . . . k10 h01 |{z} 1 ∈ U. xy = h1 k1 . . . hn kn km | {z } m ∈K ∈K ii) U contiene sia H che K. Infatti dati h ∈ H e k ∈ K si può scrivere h = h |{z} 1 ∈K k = |{z} 1 k ∈H e quindi entrambi sono elementi di U . iii) Ogni sottogruppo che contiene sia H che K deve contenere tutti i prodotti finiti alternati di un elemento di H e di un elemento di K e quindi contiene U . Corollario 1.3.24 Se G, + è abeliano e H, K sono sottogruppi, allora H ∨K = H + K = { h + k | h ∈ H, k ∈ K }. Osservazione 1.3.25 Sia A un sottoinsieme qualunque di un gruppo G, ·. Indichiamo con < A > l’intersezione di tutti i sottogruppi di G che contengono A. Allora - si prova, usando il criterio, che < A > è un sottogruppo di G, - A ⊂< A >, - se H è un sottogruppo che contiene A, per definizione contiene anche < A >. Quindi < A > è il più piccolo sottogruppo contenente A e viene detto sottogruppo generato da A. L’elemento generico di < A > è del tipo an1 1 · · · ank k , con ai ∈ A, non necessariamente distinti. Nel caso in cui A = {a}, si ritrova la definizione precedente. Proposizione 1.3.26 Siano T1 e T2 due sottoinsiemi di un gruppo . < T1 >=< T2 >⇔ T1 ⊂< T2 > e T2 ⊂< T1 > Dimostrazione L’implicazione ⇒ è ovvia. Viceversa proviamo ⇐. Se T1 ⊂< T2 >, Poichè < T2 > è un sottogruppo, deve contenere il sottogruppo generato da T1 , cioè < T1 >⊂< T2 >. Dall’ipotesi T2 ⊂< T1 > segue l’inclusione contraria. 1.4. OMOMORFISMI DI GRUPPI 1.4 15 Omomorfismi di gruppi Definizione 1.4.1 Siano G, · e G0 , · due gruppi. Una funzione f : G → G0 è detta omomorfismo ( o morfismo) se ∀x, y ∈ G f (xy) = f (x)f (y). f è detto monomorfismo (risp. epimorfismo, risp. isomorfismo se è iniettivo (risp. suriettivo, risp. biiettivo). Osservazione 1.4.2 In notazione additiva la condizione di morfismo si scrive: ∀x, y ∈ G f (x + y) = f (x) + f (y). e si modifica in modo opportuno, nel caso in cui uno dei gruppi sia moltiplicativo e l’altro additivo. Esempio 1.4.3 Sono omomorfismi di gruppo: i) le applicazioni lineari Rn , + → Rm , +, ii) f : R − {0}, · → R − {0}, · definita da f (x) = x2 , iii) g : Z, + → R − {0}, · definita da g(n) = 2n , iv) log : R>0 , · → R, + v) det: GL(n, R), · → R − {0}, · (per il teorema di Binet). Proposizione 1.4.4 Sia f : G, · → G0 , · un omomorfismo di gruppi. 1) f (1) = 10 , dove 10 è l’elemento neutro di G0 , 2) f (a−1 ) = (f (a))−1 ∀a ∈ G, 3) f (an ) = (f (a))n ∀a ∈ G ∀n ∈ Z. Dimostrazione. 1) 1 · 1 = 1 ⇒ f (1 · 1) = f (1) ⇒ f (1) · f (1) = f (1) · 10 ⇒ f (1) = 10 (per la legge di semplificazione in G0 ). 2) Si hanno le seguenti implicazioni: aa−1 = 1 ⇒ f (aa−1 ) = f (1) = 10 ⇒ f (a)f (a−1 ) = 10 a−1 a = 1 ⇒ f (a−1 a) = f (1) = 10 ⇒ f (a−1 )f (a) = 10 da cui segue che f (a−1 ) è l’inverso di f (a) . 3) n ≥ 0 si dimostra per induzione su n. Se n = 0 segue dalla 1). Supponiamo la proprietà vera per un dato k e proviamola per k + 1: f (ak+1 ) = f (ak a) = f (ak )f (a) (per definizione di morfismo) = (f (a))k f (a) (per ipotesi induttiva) = (f (a))k+1 . Se n < 0 f (an ) = f ((a−n )−1 ) = [f (a−n )]−1 (per la 2)) = [(f (a))−n ]−1 (perchè −n > 0 ) = (f (a))n . Proposizione 1.4.5 Sia f : G, · → G0 · un omomorfismo di gruppi. L’immagine di un sottogruppo di G è un sottogruppo di G0 . Dimostrazione. Sia H < G , per provare che f (H) < G0 utilizziamo il criterio. Dati x0 , y 0 ∈ f (H) , esistono x, y ∈ H tali che f (x) = x0 e f (y) = y 0 . Ma, per Poichè H è un sottogruppo, xy −1 ∈ H , quindi f (xy −1 ) ∈ f (H) . −1 le proprietà ?? , f (xy −1 ) = f (x)f (y −1 ) = f (x)(f (y))−1 = x0 y 0 e quindi −1 x0 y 0 ∈ f (H). 16 CAPITOLO 1. GRUPPI Corollario 1.4.6 Im(f ) = f (G) è un sottogruppo di G0 . Proposizione 1.4.7 Sia f : G.· → G0 , · un omomorfismo di gruppi: la controimmagine di un sottogruppo di G0 è un sottogruppo di G. Dimostrazione. Sia H 0 < G0 . Occorre provare che, dati x, y ∈ f −1 (H 0 ) , xy −1 ∈ f −1 (H 0 ) . Per ipotesi f (x), f (y) ∈ H 0 e quindi, essendo H 0 un sottogruppo, f (x)(f (y))−1 ∈ H 0 . Ma, per le proprietà ?? , f (x)(f (y))−1 = f (x)f (y −1 ) = f (xy −1 ) e quindi xy −1 ∈ f −1 (H 0 ) . Definizione 1.4.8 Dato un omomorfismo f : G, · → G0 , · , si dice nucleo di f e lo si indica con Ker(f ) l’insieme delle controimmagini dell’elemento neutro 10 ∈ G 0 : Ker(f ) = { x ∈ G | f (x) = 10 }. Corollario 1.4.9 ker(f ) è un sottogruppo di G. Dimostrazione. E’ la controimmagine del sottogruppo improprio {10 } di G0 . Proposizione 1.4.10 1) f è un epimorfismo se e solo se Im(f ) = G0 . 2) f è un momomorfismo se e solo se Ker(f ) = {1}. Dimostrazione. 1) ovvia 2) i) Se f è iniettiva . 10 ha una sola controimmagine, che necessariamente è 1. ii) Viceversa supponiamo Ker(f ) = {1} e siano x, y ∈ G tali che f (x) = f (y) . Proviamo che x = y. Applicando le proprietà ?? si ottiene: f (x) = f (y) ⇒ f (x)(f (y))−1 = 10 ⇒ f (x)f (y −1 ) = 10 ⇒ f (xy −1 ) = 10 ⇒ xy −1 ∈ Ker(f ). Poichè per ipotesi Ker(f ) = {1} ne segue che xy −1 = 1 , cioè che x = y. Esercizio 1.4.11 Per ciascuna delle seguenti corrispondenze, stabilire se si tratta di omomorfismi e, in caso affermativo, trovarne immagine e nucleo. f : Z12 , + x f1 : Z5 , + x g : R2 , + (x, y) h : Z, + x → 7 → → 7 → → 7→ → 7→ Z4 , + 2x Z4 , + 2x R, + (x − y) Zn , + x 1.5. GRUPPI CICLICI 1.5 17 Gruppi ciclici Abbiamo visto che un gruppo G, · è detto ciclico se esiste un elemento a ∈ G tale che G coincide con il sottogruppo generato da a, cioè G è costituito dalle potenze di a ed a è detto suo generatore. Sono esempi di gruppi ciclici Z, + e Zn , +. Proposizione 1.5.1 Ogni gruppo ciclico è abeliano. Dimostrazione. Segue immediatamente dalle proprietà delle potenze: an am = an+m = am an . Osservazione 1.5.2 Non ogni gruppo abeliano è ciclico: ad esempio il gruppo trirettangolo. Proposizione 1.5.3 Siano G, · un gruppo e a ∈ G. Supponiamo che esistano due interi diversi r e s tali che ar = as . Allora i) esiste un minimo intero positivo n tale che an = 1; ii) se t è un intero, at = 1 ⇔ n|t; iii) gli elementi a0 = 1, a1 = a, . . . , an−1 sono tutti distinti e < a >= {1, a, a2 , . . . , an−1 }. Dimostrazione. i) Poichè nell’insieme dei numeri naturali ogni sottoinsieme non vuoto ha un primo elemento, è sufficiente provare che at = 1 per qualche t > 0. Supponiamo per esempio che r > s. ar = as ⇒ ar (as )−1 = as (as )−1 ⇒ ar−s = 1 con r − s > 0. Allora l’insieme S = { t ∈ Z | at = 1, t > 0 } = 6 ∅ ed ha un minimo n. t nv ii) Se n|t, cioè t = nv, allora a = a = (an )v = 1v = 1. Viceversa, sia at = 1. Esistono due interi q, r con 0 ≤ r < n tali che t = qn + r. Quindi ar = at−qn = at (an )−q = at · 1−q = at = 1. Poichè n è il più piccolo intero positivo che soddisfa questa relazione, r = 0 e quindi n|t. iii) Supponiamo che au = av con 0 ≤ u < n e 0 ≤ v < n. Proviamo che u = v. Supponiamo per esempio u ≥ v, allora au = av ⇒ au−v = 1 con 0 ≤ u − v < n. D’altra parte per ii) n|(u − v), quindi necessariamente u − v = 0n = 0, cioè u = v. Il sottogruppo < a > contiene almeno gli elementi distinti 1, a, . . . , an−1 (*) . Sia ora am una qualunque potenza di a. Dividendo m per n, si ottengono due interi q e 0 ≤ r < n tali che m = qn + r e am = aqn+r = (an )q ar = 1 · ar = ar . Quindi ogni potenza di a concide con una delle (*). Ne segue come si voleva che < a >= {1, a, . . . , an−1 }. Corollario 1.5.4 o(a) concide con la cardinalità del sottogruppo ciclico generato da a. 18 CAPITOLO 1. GRUPPI Teorema 1.5.5 Ogni sottogruppo di un gruppo ciclico G, · è ciclico. Dimostrazione. Sia H un sottogruppo di G =< a >. Se H = {1} è ciclico. Se H 6= {1}, osserviamo che H contiene potenze positive di a, in quanto se ak ∈ H, anche il suo inverso a−k ∈ H e uno dei due esponenti è positivo. Sia dunque m il minimo intero positivo tale che am ∈ H . Proviamo che H =< am >. Sia at ∈ H. Esistono interi q, r tali che t = mq + r con 0 ≤ r < m . Poichè at e (am )q appartengono ad H, si ha che ar = at (am )−q ∈ H, in quanto prodotto di due elementi di H. Ma m è stato scelto come la più piccola potenza positiva di a che appartiene ad H, quindi r = 0 e at = (am )q . Si conclude che H =< am >. Corollario 1.5.6 Tutti i sottogruppi di Z sono del tipo (n) per qualche n. Esercizio 1.5.7 Sia G, · un gruppo ciclico di ordine n generato da a. Se 1 ≤ n . k < n, provare che l’ordine del sottogruppo generato da ak è (k,n) Teorema 1.5.8 Ogni gruppo ciclico è isomorfo a Z o a Zn per qualche n. Dimostrazione. Sia G, · un gruppo ciclico infinito generato da a. Definiamo f : Z → G ponendo f (n) = an e proviamo che è un isomorfismo: - è un omomorfismo poichè f (n + m) = an+m = an am = f (n)f (m), per le proprietà delle potenze, - è suriettivo per definizione di gruppo ciclico, - è iniettivo, in quanto Ker(f ) = { n | an = 1 } = {0}, perchè G è infinito, quindi tutte le potenze di a sono distinte. Supponiamo che G sia finito. Per la prop. ?? G = {1, a, . . . , an−1 }. Definiamo come sopra f : Zn → G ponendo f (k) = ak : - la definizione è ben posta in quanto, preso k + qn ≡ k mod n, ak+qn = k n q a (a ) = ak , - f è un omomorfismo poichè f (n + m) = f (n + m) = an+m = an am = f (n)f (m), per le proprietà delle potenze, - è suriettivo per definizione di gruppo ciclico, - è iniettivo in quanto Ker(f ) = {0}, perchè tutte le potenze di a minori di n sono distinte. Esempio 1.5.9 G = {1, −1}, · è ciclico di ordine 2, generato da −1. Quindi è isomorfo a Z2 . 1.6. ESEMPI DI GRUPPI 1.6 19 Esempi di gruppi A) Gruppi simmetrici Sn Definizione 1.6.1 Sia X un insieme qualsiasi. Si dice permutazione o tra sformazione una biezione di X in sè. L’insieme di tutte le permutazioni di X è un gruppo rispetto alla composizione di funzioni. Nel caso in cui X = In = {1, 2, . . . , n}, il gruppo delle permutazioni è detto gruppo simmetrico di ordine n e viene indicato con Sn . Sappiamo che Sn ha n! elementi. Per rappresentare una permutazione σ si usa una matrice di 2 righe e n colonne: nella prima riga si scrivono gli elementi di In nell’ordine naturale, nella seconda riga si scrivono ordinatamente le loro immagini mediante σ: 1 2 ... n σ= σ(1) σ(2) . . . σ(n) Poichè σ è una biiezione, nella seconda riga compaiono una ed una sola volta i numeri da 1 a n, in un altro ordine. Il prodotto in Sn viene indicato con · e di solito è omesso tra due elementi; osserviamo però che, trattandosi di composizione di funzioni, con il simbolo στ si intende la permutazione ottenuta applicando prima τ e poi σ. Se n ≥ 3, Sn non è abeliano, ad esempio 1 2 3 4 1 2 3 4 1 2 3 4 = 2 1 3 4 3 4 2 1 3 4 1 2 1 3 2 4 3 2 4 1 1 2 2 1 3 3 4 4 = 1 4 2 3 3 2 4 1 L’elemento neutro è la permutazione identica 1 2 ... n i= 1 2 ... n L’inversa di una permutazione si ottiene scambiando le due righe e poi riordinando le colonne in modo che la prima riga abbia l’ordine naturale. Ad esempio 1 2 3 4 1 2 3 4 −1 α= ⇒α = 3 4 2 1 4 3 1 2 Definizione 1.6.2 Dati a1 , . . . , ak ∈ In si indica con (a1 , a2 , . . . , ak ) ( o con (a1 a2 ...ak ) quando non sono possibili ambiguità) la permutazione che manda ai in ai+1 , ak in a1 e lascia invariati tutti gli altri elementi di In . Tale permutazione viene detta ciclo di lunghezza k. Si osservi che il ciclo non cambia se si permutano circolarmente i suoi elementi, cioè 20 CAPITOLO 1. GRUPPI (a1 , a2 , . . . , ak ) = (a2 , . . . , ak , a1 ) = . . . (ak , a1 . . . , ak−1 ). Un ciclo di lunghezza 2 è detto trasposizione o scambio. Due cicli sono detti disgiunti se sono disgiunti gli insiemi degli elementi da essi permutati. Ad esempio, in S5 1 2 2 4 3 3 4 5 5 1 1 4 2 5 3 3 4 2 5 1 (1 2 4 5) = (1 4 2 5) = Data una permutazione σ e dato un a ∈ In , le potenze di σ applicate ad a danno luogo ad un insieme finito di elementi distinti: {a, σ(a), σ 2 (a), . . . , σ k−1 (a)} dove k è il primo intero positivo tale che σ k (a) coincide con una delle potenze precedenti. Osserviamo che necessariamente σ k (a) = a, in quanto se fosse σ k (a) = σ i (a) con 1 ≤ i < k, l’elemento σ i (a) sarebbe immagine mediante σ di due elementi distinti σ i−1 (a) e σ k−1 (a), contro l’ipotesi che σ sia una biiezione. Il ciclo (a, σ(a), σ 2 (a), . . . , σ k−1 (a)) è detto ciclo di σ generato da a. Proposizione 1.6.3 Ogni permutazione può essere decomposta nel prodotto di un numero finito di cicli disgiunti. Dimostrazione. Sia σ una permutazione di In . Scelto a ∈ In , si ottiene una successione finita di elementi distinti ai = σ i (a), i = 1, . . . , k − 1 e σ k (a) = a. Se k = n, allora {a, a1 , . . . , an−1 } = In e σ = (a, a1 , . . . , an−1 ). Se k < n, possiamo scegliere un elemento b ∈ In non compreso fra gli ai e costruire un ciclo (b, b1 , . . . , bh−1 ), necessariamente disgiunto dal precedente (come prima, se fosse ai = bj tale elemento sarebbe immagine mediante σ di due elementi distinti di In ). Ripetendo il procedimento un numero finito di volte otteniamo la decomposizione cercata. Osservazione 1.6.4 La decomposizione precedente è unica, a meno dell’ordine. Inoltre cicli disgiunti commutano fra loro. Corollario 1.6.5 Se σ = γ1 . . . γr è la decomposizione di σ in cicli di lunghezza l1 , . . . , lr , il periodo di σ è il minimo comune multiplo di l1 , . . . , lr . Dimostrazione. Si osservi che la lunghezza l di un ciclo γ coincide con il suo periodo: γ l = id e γ i 6= id se i < l. Proposizione 1.6.6 Ogni permutazione può essere decomposta in un prodotto di scambi. Dimostrazione. E’ sufficiente provare tale fatto per i cicli. Ma in questo caso basta osservare che (a1 , . . . , ak ) = (a1 , ak )(a1 , ak−1 ) . . . (a1 a2 ) Si noti che tale decomposizione non è unica, ma vale il seguente 1.6. ESEMPI DI GRUPPI 21 Teorema 1.6.7 Il numero di scambi in cui si può decomporre una permutazione o è sempre pari o è sempre dispari. Dimostrazione. Sia In = {1, 2, . . . , n} e sia m il numero intero non nullo valore del seguente prodotto: P = (1 − 2)(1 − 3) · . . . · (1 − n) (2 − 3) · . . . · (2 − n) ... (n − 1) − n Operando su In con una permutazione σ il prodotto P o si muta in se stesso mantenendo il valore m, o si muta in un prodotto analogo il cui valore è −m, in quanto le differenze sopra scritte si scambiano eventualmente tra loro e possono mutare di segno. Esaminiamo ora l’effetto che ha su P una trasposizione (hk) con h < k (osserviamo che questa ipotesi non è restrittiva in quanto (hk) = (kh)). Consideriamo a tal fine i vari fattori di P , esaminando separatamente l’effetto che su di essi ha lo scambio (hk). 1. I fattori che non contengono nè h nè k non cambiano. 2. Il fattore (h − k)diventa (k − h). 3. Se j < h il fattore (j − h) si cambia in (j − k) e viceversa, si ha cioè solo uno scambio di posto. 4. Se h < j < k il fattore (h − j) diventa (k − j) = −(j − k) e (j − k) si muta in (j − h) = −(h − j); le due differenze cambiano di posto e cambiano di segno entrambe. 5. Se k < j il fattore(h − j) diventa (k − j) e (k−)j si muta in (h − j), ovvero si ha solo uno scambio dei due termini fra loro. Quindi una trasposizione muta il prodotto P di valore m in un prodotto di valore −m. Allora se σ è tale da lasciare inalterato il valore di P , essa può essere decomposta solo in un numero pari di trasposizioni, se invece σ muta il prodotto P in uno analogo di valore −m essa può essere decomposta solo in un numero dispari di trasposizioni. Definizione 1.6.8 Una permutazione è detta pari (risp. dispari) se il numero di trasposizioni in cui si decompone è pari (risp. dispari). Si verifica immediatamente che l’insieme An delle permutazioni pari è un sottogruppo di Sn . Infatti l’identità è pari e il prodotto di due permutazioni pari è pari. Inoltre, data una permutazione pari τ = (h1 , k1 ) . . . (h2r , k2r ) ⇒ τ −1 = (h2r , k2r )−1 . . . (h1 , k1 )−1 = (h2r , k2r ) . . . (h1 , k1 ) e quindi anche τ −1 è pari. Invece l’insieme delle permutazioni dispari non è stabile. 22 CAPITOLO 1. GRUPPI Definizione 1.6.9 Il gruppo An delle permutazioni pari di n elementi è detto gruppo alterno. Osservazione 1.6.10 E’ immediato verificare che la funzione f : An → Sn − An definita da σ 7→ σ(1, 2) è una biiezione, quindi An ha n! 2 elementi. Esercizio 1.6.11 Scrivere la tabellina di moltiplicazione di S3 e trovare gli elementi di A3 . Esercizio 1.6.12 In S4 trovare, se esistono, elementi di periodo 3, 4, 5, 6, 8. Esercizio 1.6.13 In S8 , trovare il periodo della permutazione 1 2 3 4 5 6 7 8 α= . 3 8 4 6 2 1 5 7 Esercizio 1.6.14 In S4 trovare il sottogruppo ciclico H generato da : 1 2 3 4 α= . 3 2 4 1 Esercizio 1.6.15 Date le permutazioni 1 2 3 4 5 1 α= , β= 2 3 5 1 4 4 2 1 3 3 4 5 5 2 determinare una permutazione γ tale che (αβ)γ = 1 2 2 4 3 5 4 1 5 3 . Esercizio 1.6.16 Decomporre in un prodotto di cicli disgiunti e calcolare il periodo delle seguenti permutazioni 1 2 3 4 5 6 7 8 1 2 3 4 5 6 7 8 σ= , τ= 3 5 4 1 7 8 6 2 8 3 4 2 7 5 6 1 Stabilire inoltre se σ e τ sono pari o dispari. Determinare una permutazione x tale che: σ 2 x = τ . B) Gruppi di matrici. Sia K = R, Q, C (o più in generale un campo). Ricordiamo che nell’insieme M (n, K) delle matrici n × n a elementi in K sono definite una operazione di somma elemento per elemento e un prodotto righe per colonne. M (n, K), + è un gruppo abeliano, avente come elemento neutro la matrice nulla. L’opposta della matrice A = (aij ) è la matrice −A = (−aij ). 1.6. ESEMPI DI GRUPPI 23 Ricordiamo inoltre che la matrice I avente tutti 1 nella diagonale proncipale e tutti 0 altrove è neutra rispetto al prodotto e che sono invertibili rispetto al prodotto le matrici di determinante diverso da 0. Quindi abbiamo alcuni gruppi classici non abeliani GL(n, K), · = { matrici invertibili n × n a elementi in K }, gruppo lineare. è un gruppo detto SL(n, K), · = { matrici n × n a elementi in K con determinante = 1 } suo sottogruppo detto gruppo lineare speciale. è un Assumiamo K = R e ricordiamo che una matrice A è detta ortogonale se la sua inversa coincide con la trasposta, cioè se At A = I. In particolare le matrici ortogonali hanno determinante ±1, in quanto, per il teorema di Binet det(At A) = detAt detA = (detA)2 = 1. Osserviamo che l’inversa di una matrice ortogonale è ancora ortogonale in quanto la condizione At A = I dice anche che A è l’inversa di At , ma d’altra parte A = (At )t , quindi l’inversa di At coincide con la sua trasposta. Inoltre, se A, B sono matrici ortogonali anche AB è ortogonale in quanto (AB)t (AB) = B t At AB = B t B = I. Si hanno allora i gruppi O(n), · = { matrici n × n a elementi in R ortogonali} = gruppo ortogonale. SO(n) = { matrici n × n a elementi in R ortogonali di determinante 1 } = gruppo ortogonale speciale. Assumiamo infine K = C e ricordiamo che una matrice A è detta unitaria t se la sua inversa coincide con la coniugata della trasposta, cioè A A = I. Il determinante è un numero complesso di modulo 1. Si hanno quindi i due gruppi U (n), · = { matrici unitarie n × n } = gruppo unitario SU (n), · = { matrici unitarie n × n di determinante 1 } = gruppo unitario speciale. I gruppi precedenti hanno un preciso significato geometrico e si possono pensare come particolari gruppi di trasformazione di certi spazi vettoriali. A tal fine ricordiamo alcuni risultati di algebra lineare. Consideriamo lo spazio vettoriale K n con la base standard (fissata un base, ogni spazio vettoriale su K di dimensione n è isomorfo a K n ). Ricordiamo che: ogni endomorfismo di K n è individuato da una matrice n × n, il composto di due endomorfismi è associato al prodotto righe per colonne delle due matrici associate, e un endomorfismo è un isomorfismo se e solo se la matrice associata è invertibile. Quindi GL(n, K) è il gruppo degli automorfismi di uno spazio vettoriale di dimensione n con base fissata. 24 CAPITOLO 1. GRUPPI Assumiamo K = R e sullo spazio vettoriale Rn consideriamo il prodotto scalare euclideo: se u = (u1 , . . . , un ) e v = (v1 , . . . , vn ), u · v = u1 v1 + . . . + un vn . Ricordiamo che un automorfismo è detto isometria se conserva il prodotto scalare, cioè, detta A la matrice associata, se Au · Av = u · v , per ogni coppia di vettori u, v. Si dimostra che tale condizione è equivalente al fatto che A mandi una base ortonormale in una base ortonormale, quindi che le colonne della matrice A siano un sistema ortonormale di vettori e quindi che At A = I . Pertanto O(n) è il gruppo delle isometrie dello spazio vettoriale euclideo Rn . Esaminiamo ad esempio il caso n = 2 e proviamo che SO(2) è il sottogruppo delle rotazioni. Sia a11 a12 A= a21 a22 una matrice tale che At A = I e det(A) = 1. Tali condizioni danno il sistema di equazioni a211 + a221 = 1 a212 + a222 = 1 a11 a12 + a21 a22 = 0 a11 a22 − a12 a21 = 1 Le prime due equazioni implicano che esistano θ e φ tali che cos θ cos φ A= sin θ sin φ Dalle ultime due equazioni segue che θ e φ sono legati dalle relazioni: cos θ cos φ + sin θ sin φ = 0 cos(φ − θ) = 0 ⇒ cos θ sin φ − sin θ cos φ = 1 sin(φ − θ) = 1 Quindi possiamo assumere che φ = θ + π2 e quindi cos θ − sin θ A= sin θ cos θ è la matrice della rotazione di un angolo θ intorno all’origine. Viceversa è immediato osservare che ogni rotazione ha una matrice di questo tipo. In modo analogo si prova che ogni matrice A ∈ SO(3) è la matrice di una rotazione intorno ad un asse. Infatti det(A − I) = det(At − I) = det(A−1 (I − A)) = detA−1 det(I − A) = - detA−1 det(A − I) = - det(A − I). Quindi det(A − I) = 0 e cioè 1 è un autovalore di A. Pertanto esiste un autovettore associato ad 1 e quindi una retta fissa. A si restringe ad un automorfismo 1.6. ESEMPI DI GRUPPI 25 ortogonale di determinante 1 del piano ortogonale a tale retta, cioè ad una una rotazione. Assumendo e3 come tale autovettore, A ha la forma: cos θ − sin θ 0 cos θ 0 A = sin θ 0 0 1 Si osservi che il sottoinsieme di O(n) delle matrici ortogonali di determinante −1 non è un sottogruppo: non è nemmeno stabile, poichè il prodotto di due matrici di determinante −1 ha determinante 1. Contiene ad esempio le simmetrie (o riflessioni) rispetto agli iperpiani coordinati, che hanno una matrice diagonale con un solo −1. Ad esempio, −1 0 0 ... 0 1 0 ... X= 0 0 1 ... ... ... ... ... è la matrice della riflessione rispetto all’iperpiano x1 = 0. Tutte le matrici ortogonali di derminante −1 si ottengono da questa moltiplicandola per le matrici ortogonali di determinante 1. In effetti la moltiplicazione a destra per tale matrice X determina una biiezione φ : SO(N ) → O(n) − SO(n) : φ è iniettiva in quanto AX = BX ⇒ A = B per la legge di semplificazione, inoltre è suriettiva poichè Y ∈ O(n) − SO(n) ha come controimmagine la matrice di determinante 1 Y X −1 . Nel caso di O(2), ogni matrice A di determinante −1 corrisponde alla riflessione rispetto ad una retta passante per l’origine. Infatti A può quindi essere scritta come il prodotto di una rotazione di una angolo θ e della riflessione X rispetto all’asse y:, cos θ − sin θ −1 0 − cos θ − sin θ A= = sin θ cos θ 0 1 − sin θ cos θ E’ immediato verificare che 1 è un autovalore di A e che l’autospazio corrispondente è la retta di equazione x(− sin θ) + y(cos θ − 1) = 0. Perciò A è la riflessione rispetto a tale retta (vettoriale). In modo analogo, considerando lo spazio vettoriale complesso Cn con il prodotto hermitiano standard definito da u · v = u1 v1 + . . . + un vn , si dimostra che le matrici unitarie sono le matrici associate agli automorfismi che conservano tale prodotto hermitiano. C) Gruppi di isometrie Sia An lo spazio affine reale di dimensione n, con la usuale metrica euclidea. Si dice moto rigido o isometria ogni biiezione di di An in sè che conserva le distanze. Sappiamo che l’insieme di tutte le biiezioni dello spazio in sè è un gruppo: si prova che le isometrie formano un sottogruppo. 26 CAPITOLO 1. GRUPPI Teorema 1.6.17 L’insieme M di tutte le isometrie dello spazio è un gruppo rispetto alla usuale composizione di funzioni. Dimostrazione. 1) Id ∈ M . 2) Siano α, β ∈ M , indicata con d la distanza, per ogni coppia di punti p, q si ha: d((α ◦ β)(p), (α ◦ β)(q)) = d(α(β(p)), α(β(q))) = d(β(p), β(q)) = d(p, q) quindi α ◦ β ∈ M . 3) Se α ∈ M , α−1 ∈ M . Infatti d(p, q) = d(α(α−1 (p)), α(α−1 (q))) = d(α−1 (p), α−1 (q)). Osservazione 1.6.18 Sia T un sottoinsieme dello spazio e sia M (T ) l’insieme delle isometrie che mandano T in se stesso. Si prova in modo analogo che M (T ) è un sottogruppo di M . Esaminiamo il caso del piano (n = 2). Tra le isometrie del piano distinguiamo 1) moti che conservano l’orientamento: • traslazione di un vettore a, • rotazione di un angolo θ intorno ad un punto p, 2) moti che invertono l’orientamento: • riflessione o ribaltamento intorno ad una retta l, • glissoriflessione, cioè il movimento ottenuto componendo una riflessione intorno ad una retta l e una traslazione mediante un vettore parallelo ad l. Vale il seguente teorema (per la dimostrazione, vedere ad esempio Artin: Algebra , ed. Boringhieri) Teorema 1.6.19 Ogni moto rigido del piano affine è una traslazione o una rotazione o una riflessione o una glissoriflessione. Osservazione 1.6.20 Osserviamo che O(n) è un sottogruppo del gruppo delle isometrie affini, precisamente è il sottogruppo dei movimenti che fissano l’origine. Calcoliamo i gruppi di isometrie di alcune figure piane. Tutte le figure considerate hanno un centro di simmetria O, che assumiamo come origine del sistema di coordinate. Pertanto i gruppi che studiamo sono di fatto sottogruppi di O(2). Esempio 1.6.21 Gruppo delle isometrie del rettangolo. E’ detto anche gruppo trirettangolo o gruppo di Klein ed è denotato di solito con T . Siano A, B, C, D i vertici di un rettangolo disposti in modo che AB e e DC siano i lati maggiori e AD e BC i lati minori. Il rettangolo ha due assi di 1.6. ESEMPI DI GRUPPI 27 simmetria r (ortogonale ai lati maggiori) e s (ortogonale ai lati minori). Il punto di intersezione O dei due assi è il centro del rettangolo. Le isometrie del rettangolo sono quindi quattro: - l’identità 1, - la rotazione a di π intorno ad O, - la riflessione b rispetto all’asse r, - la riflessione c rispetto all’ asse s. La tabella di moltiplicazione risulta la seguente: 1 a b c 1 1 a b c a a 1 c b b b c 1 a c c b a 1 Si osservi che tutti gli elementi diversi da 1 hanno periodo 2, quindi T non è ciclico. Per quanto la legge di composizione di biiezioni non sia commutativa, T è abeliano. Esempio 1.6.22 Gruppo delle isometrie del poligono regolare di n lati. E’ detto anche gruppo diedrale di ordine n ed è denotato con ∆n . Esaminiamo il caso del triangolo equilatero (n = 3). Siano P1 , P2 , P3 i vertici: il triangolo ha tre assi di simmetria si uscenti dal vertice Pi e perpendicolari al lato opposto, che si intersecano nel centro O. Le isometrie del triangolo equilatero sono quindi 6: - l’identità 1, - la rotazione R di 2π 3 in senso antiorario intorno ad O, - la rotazione R2 di 4π 3 in senso antiorario intorno ad O, - le riflessioni Di i = 1, 2, 3 rispetto ai rispettivi assi. La tabella di moltiplicazione risulta la seguente 1 R R2 D1 D2 D3 1 1 R R2 D1 D2 D3 R R R2 1 D2 D3 D1 R2 R2 1 R D3 D1 D2 D1 D1 D3 D2 1 R2 R D2 D2 D1 D3 R 1 R2 D3 D3 D2 D1 R2 R 1 Le rotazioni hanno periodo 3 e le riflessioni periodo 2, quindi anche ∆3 non è ciclico. Inoltre non è abeliano. Le rotazioni formano un sottogruppo di 3 elementi Nel caso generale, poichè il poligono regolare di n lati ha n assi di simmetria che si intersecano in un punto O, ∆n ha 2n elementi: 28 CAPITOLO 1. GRUPPI - le n rotazioni Ri di un angolo di 2iπ n in senso antiorario intorno ad O per i = 0, . . . , n − 1, - le n riflessioni Di rispetto agli assi di simmetria. Anche in questo caso ∆n è un gruppo non abeliano. Le rotazioni formano un sottogruppo con n elementi e ciascuna ha come periodo un divisore di n. Le riflessioni hanno periodo 2. Osservazione 1.6.23 Ogni isometria induce una permutazione sui vertici, quindi, numerando i vertici da 1 a n, ∆n può essere pensato come un sottogruppo di Sn . Nel caso n = 3, ∆3 coincide con S3 . Esercizio 1.6.24 Provare che Z4 e il gruppo trirettangolo non sono isomorfi. Vale il seguente teorema, per la cui dimostrazione si rimanda al libro di Artin Teorema 1.6.25 Ogni sottogruppo finito del gruppo O(2) dei moti rigidi che fissano l’origine è di uno dei seguenti tipi: • G = Cn = gruppo ciclico di ordine n generato dalla rotazione intorno all’origine di un angolo θ = 2π n , • G = ∆n = gruppo diedrale di ordine n. Osservazione 1.6.26 I gruppi diedrali D1 e D2 sono troppo piccoli per essere i gruppi di simmetria di un poligono regolare di n lati nel senso usuale. D1 è il gruppo {1, r} di due elementi, dove r è una riflessione (quindi ciclico come C2 ). Il gruppo D2 contiene 4 elementi {1, ρ, , r, ρr}, dove ρ è la rotazione di π, quindi è isomorfo al gruppo trirettangolo. Osservazione 1.6.27 In questo paragrafo abbiamo studiato alcuni gruppi di trasformazioni. Il seguente teorema afferma che in realtà, a meno di isomorfismi, tutti i gruppi sono di questo tipo. Teorema 1.6.28 Teorema di Cayley Ogni gruppo è isomorfo a un gruppo di permutazioni sull’insieme dei suoi elementi. Dimostrazione. Siano G, · un gruppo e Sym(G) il gruppo delle biiezioni di G in sè. ∀a ∈ G sia λa : G → G definita da λa (x) = ax, ∀x ∈ G. Tale λa è biiettiva, perchè l’equazione ax = b ha una ed una sola soluzione in G, quindi λa ∈ Sym(G). Definiamo quindi θ : G → Sym(G) ponendo θ(a) = λa . - θ è iniettiva in quanto θ(a) = θ(b) ⇒ λa = λb ⇒ λa (1) = λb (1) ⇒ a1 = b1 ⇒ a = b. - θ è un omomorfismo θ(ab)(x) = λab (x) = (ab)x = a(bx) = λa (bx) = λa (λb (x)) = (λa ◦ λb )(x) = (θ(a) ◦ θ(b))(x). Corollario 1.6.29 Ogni gruppo finito di ordine n è isomorfo a un sottogruppo di Sn . Corollario 1.6.30 Per ogni n ci sono solo un numero finito di classi di isomorfismo di gruppi di ordine n. Dimostrazione. Sn ha solo un numero finito di sottogruppi. 1.7. LATERALI DI UN SOTTOGRUPPO 1.7 29 Laterali di un sottogruppo Siano G· un gruppo e S un suo sottogruppo. Definiamo su G una relazione σ ponendo, dati a, b ∈ G aσb ⇔ ba−1 ∈ S ⇔ ∃s ∈ S, b = sa σ è una relazione di equivalenza. i) E’ riflessiva, cioè ∀a ∈ G aσa, in quanto 1 ∈ S e a = 1 · a. ii) E’ simmetrica, cioè aσb ⇒ bσa. Infatti, se aσb , esiste s ∈ S tale che b = sa. Allora a = s−1 b, ma s−1 ∈ S, poichè S e un sottogruppo, quindi bσa. iii) E’ transitiva, cioè aσb, bσc ⇒ aσc. Infatti, se aσb e bσc esistono s1 , s2 ∈ S tali che b = s1 a e c = s2 b. Allora, sostituendo e applicando la proprietà associativa, c = s2 b = s2 (s1 a) = (s2 s1 )a. Poichè S stabile, s2 s1 ∈ S, quindi aσc. Definizione 1.7.1 Le classi di equivalenza della relazione σ sono detti laterali destri di S e sono denotati Sa = {a}σ = { sa | s ∈ S }. Si hanno quindi un insieme quoziente G/σ e una proiezione canonica π : G → G/σ. Osservazione 1.7.2 Per le proprieà note delle relazioni di equivalenza, i laterali destri formano una partizione di G, cioè: i) sono a due a due disgiunti, ii) ogni elemento di G appartiene ad un (unico) laterale, iii) ogni laterale può essere individuato da un suo elemento qualsiasi, cioè se a0 ∈ Sa, allora Sa0 = Sa. Osservazione 1.7.3 Se G è abeliano e l’operazione è denotata +, la relazione σ si scrive aσb ⇔ b − a ∈ S e il laterale destro individuato da a sarà denotato con S + a. Ad esempio, se G = Z e S è il sottogruppo ciclico generato da n , la relazione si scrive aσb ⇔ b − a ∈ (n) ⇔ ∃k ∈ Z, b − a = kn ⇔ a ≡ b mod n. Si hanno quindi n laterali destri: (n) + 0 = (n) = { kn | k ∈ Z }, (n) + 1 = { kn + 1 | k ∈ Z }, ... (n) + n − 1 = { kn + n − 1 | k ∈ Z }. che coincidono esattamente con le classi di resto modulo n. In modo analogo si definisce la relazione aσ 0 b ⇔ a−1 b ∈ S ⇔ ∃s ∈ S b = as che risulta essere di equivalenza. 30 CAPITOLO 1. GRUPPI Definizione 1.7.4 Le classi di equivalenza della relazione σ 0 sono detti laterali sinistri di S e sono denotati aS = {a}σ = { as | s ∈ S }. Osservazione 1.7.5 Se G non è abeliano i laterali destri e i laterali sinistri possono non coincidere. Ad esempio si consideri G = ∆3 , S =< D1 > e a = R: il laterale destro è SR = { 1R = R, D1 R = D2 }, invece il laterale sinistro è RS = { R1 = R, RD1 = D3 }. Proposizione 1.7.6 Nelle notazioni precedenti esiste una biiezione f : G/σ 0 aS → G/σ 7 → Sa−1 Dimostrazione. f è ben definita: se b ∈ aS, sappiamo che bS = aS e quindi occorre provare che Sb−1 = Sa−1 . Per ipotesi esiste s ∈ S tale che b = as, quindi b−1 = s−1 a−1 . Poichè S è un sottogruppo s−1 ∈ S e quindi b−1 ∈ Sa−1 e Sb−1 = Sa−1 . f è iniettiva: se Sa−1 = Sc−1 , allora c−1 ∈ Sa−1 , cioè esiste s ∈ S tale che c−1 = sa−1 , quindi c = as−1 ∈ aS e quindi cS = aS. f è suriettiva: la controimmagine del laterale Sd è d−1 S. Definizione 1.7.7 Siano G, · un gruppo finito e S un suo sottogruppo. Si dice ordine di S il numero di elementi di S. Si dice indice di S, e lo si indica con i(S) o con [G : S], il numero dei suoi laterali (destri o sinistri). Teorema 1.7.8 (Teorema di Lagrange). Sia G, · un gruppo finito di ordine n e sia S un suo sottogruppo di ordine m. Allora n = i(S)m , in particolare m|n. Dimostrazione. Sappiamo che i laterali (ad esempio destri) di S formano una partizione di G. Inoltre tutti i laterali hanno m elmenti. Infatti, sia g : S → Sa la moltiplicazione per a. - g è iniettiva in quanto, dati x, y ∈ S, se xa = ya, allora, per la legge di semplificazione, x = y, - g è suriettiva per definizione di Sa. quindi n = i(s)m. Corollario 1.7.9 Il periodo di ogni elemento di un gruppo finito G divide l’ordine di G. Corollario 1.7.10 (Teorema astratto di Fermat) Se G, · è un gruppo di ordine n, per ogni x ∈ G xn = 1. Dimostrazione. Se k è l’ordine di x, esiste un naturale h tale che n = hk, quindi xn = xkh = (xk )h = 1h = 1. 1.7. LATERALI DI UN SOTTOGRUPPO 31 Osservazione 1.7.11 Se p è un numero primo, Z∗p , · è un gruppo di ordine p − 1, quindi xp−1 = 1 , ∀x 6= 0, cioè per ogni intero x non divisibile per p, xp−1 ≡ 1 mod p e quindi xp ≡ x mod p, come asserisce il teorema piccolo di Fermat. Più in generale, se m > 0 è un numero intero qualsiasi e G = { x ∈ Zm | x è invertibile } = { x | (x, m) = 1 }, sappiamo che G, · è un gruppo di ordine φ(m), dove φ è la funzione di Eulero. Applicando a G il teorema astratto di Fermat otteniamo il teorema di Eulero-Fermat: ∀x ∈ G, xφ(m) = 1, cioè per ogni x coprimo con m, xφ(m) ≡ 1 mod m. Teorema 1.7.12 Se G, · ha ordine un numero primo p, G, · è isomorfo a Zp , +. Dimostrazione. Sia a 6= 1 un elemento di G. Poichè il periodo di a deve dividere p, necessariamente tale periodo coincide con p e quindi < a >= G, cioè G è ciclico generato a . Abbiamo già dimostrato che ogni gruppo ciclico con p elementi è isomorfo a Zp . Osservazione 1.7.13 Il Teorema di Lagrange afferma che, dato un gruppo finito G di ordine n, ogni suo sottogruppo ha come ordine un divisore di n. Non è necessariamente vera l’asserzione contraria, che fissato un divisore d di n esista un sottogruppo di ordine d. Ciò vale per i gruppi ciclici. Precisamente si ha il seguente Teorema 1.7.14 Sia G, · un gruppo ciclico di ordine n generato da a. Allora per ogni divisore positivo d di n, G ha esattamente un sottogruppo di ordine d. Dimostrazione. Sia d > 0, d|n. Allora esiste un intero u tale che n = du . Allora au genera un sottogruppo di ordine nu = d in quanto (au )d = an = 1 e inoltre, se (au )t = 1, n = du divide tu e quindi d|t. Pertanto G ha almeno un sottogruppo di ordine d. Siano H1 e H2 due sottogruppi dello stesso ordine d. Per il teorema ?? H1 =< am1 > e H2 =< am2 > dove mi è il minimo intero positivo tale che ami ∈ Hi , i = 1, 2. Osserviamo che mi |n in quanto 1 = an ∈< ami > e il resto r della divisione di n per mi è un intero minore di mi tale che ar ∈ Hi , quindi r = 0. Inoltre ami d = 1, in quanto < ami > ha ordine d, e mi d è il più piccolo intero positivo per cui questo avviene, quindi mi d = n. Ne segue m1 = m2 e di conseguenza H1 = H2 . 32 1.8 CAPITOLO 1. GRUPPI Sottogruppi normali e gruppo quoziente Definizione 1.8.1 Un sottogruppo N di un gruppo G, · è detto normale se i suoi laterali destri coincidono con i laterali sinistri, cioè se vale una delle seguenti condizioni equivalenti ∀a ∈ G aN = N a ∀a ∈ G ∀n ∈ N ∃n0 ∈ N an = n0 a ∀a ∈ G ∀n ∈ N ana−1 ∈ N ⇔ ⇔ In tal caso i due quozienti coincidono e vengono indicati con G/N . In simboli si scrive N G. Esempio 1.8.2 Se G è abeliano ogni sottogruppo è normale. Esempio 1.8.3 In ∆3 Il sottogruppo delle rotazioni S = { 1, R, R2 } è normale ed ha come unico laterale proprio (destro e sinistro) il suo complementare { D1 , D2 , D3 }. Invece i sottogruppi ciclici generati da una riflessione non sono normali. Esempio 1.8.4 An è un sottogruppo normale di Sn : infatti, avendo indice 2, ha un solo laterale proprio sia destro che sinistro che coincide necessariamente con il complementare di An . Definizione 1.8.5 Un gruppo è detto semplice se non ha sottogruppi normali propri. Teorema 1.8.6 Siano G, · un gruppo e N un suo sottogruppo normale: E’ possibile definire una operazione su G/N rispetto alla quale G/N è un gruppo e la proiezione π : G → G/N è un omomorfismo avente come nucleo N . Dimostrazione. Siano N c e N d due laterali. Definiamo: (N c)(N d) = N (cd) (1.4) 0 1) La definizione non dipende dai rappresentanti scelti. Infatti se c ∈ N c e d0 ∈ N d esistono m, n ∈ N tali che c0 = nc e d0 = md . Quindi c0 d0 = (nc)(md) = (per la proprietà associativa) n(cm)d . Poichè N è un sottogruppo normale esiste m0 ∈ N tale che cm = m0 c e inoltre nm0 ∈ N . Quindi c0 d0 = nm0 cd ∈ N (cd). 2) G/N è un gruppo rispetto a tale prodotto: - vale la proprietà associativa: (N a)(N bN c)) = (N a)(N (bc)) = N (a(bc)) = N ((ab)c) = N (ab)N c = (N aN b)N c; N 1 = N è elemento neutro: N 1N c = N (1c) = N c e N cN 1 = N (c1) = N c; - L’inverso di N c è N c−1 : N cN C −1 = N (cc−1 ) = N 1 = N (analoga per l’inverso a sinistra). 3) π è un omomorfismo, infatti π(cd) = N (cd) = (N c)(N d) = π(c)π(d). 4) Ker(π) = {a|π(a) = N 1} = {a|N a = N 1 = N } = {a|a ∈ N } = N . 1.9. TEOREMI DI ISOMORFISMO 33 Definizione 1.8.7 Se N G, G/N, · è detto gruppo quoziente di G modulo N . Esempio 1.8.8 In Z, +, ogni sottogruppo (n) è normale e il quoziente Z/(n) coincide con il gruppo delle classi di resto modulo n Zn . 1.9 Teoremi di isomorfismo Teorema 1.9.1 Se f : G, · → G0 , · è un omomorfismo di gruppi, Ker(f ) è un sottogruppo normale di G. Dimostrazione. Ker(f ) = f −1 ({10 }) è un sottogruppo, perchè controimmagine di un sottogruppo di G0 . Siano x ∈ G e k ∈ Ker(f ) dobbiamo verificare che xkx−1 ∈ Ker(f ), cioè che f (xkx−1 ) = 10 . Ma questo segue immediatamente dalle proprietà degli omomorfismi: f (xkx−1 ) = f (x)f (k)f (x−1 ) = f (x)10 (f (x))−1 = 10 . Teorema 1.9.2 Teorema fondamentale degli omomorfismi di gruppi o Primo teorema di isomorfismo Sia f : G, · → G0 , · un omomorfismo. Esiste un isomorfismo φ : G/ker(f ) → Im(f ) (1.5) tale da rendere commutativo il seguente diagramma G π −→ G/Ker(f ) f& ↓φ Im(f ) Dimostrazione. Poniamo per comodità K = Ker(f ). ∀k ∈ K e ∀c ∈ G si ha f (kc) = f (k)f (c) = 10 f (c) = f (c) e quindi tutti gli elementi del laterale Kc hanno la stessa immagine mendiante f . Perciò si può correttamente definire una funzione φ : G/K → Im(f ) ⊂ G0 ponendo φ(Kc) = f (c) . Per definizione φ ◦ π = f . φ è un omomorfismo, perchè φ(KcKd) = φ(K(cd)) = f (cd) = f (c)f (d) = φ(Kc)φ(Kd) φ è suriettiva: un elemento f (a) ∈ Im(f ) ha come controimmagine Ka. Ker(φ) = { Ka | φ(Ka) = 10 } = { Ka | f (a) = 10 } = { Ka | a ∈ K} = { K } = { 1G/K }. Quindi φ è iniettiva. Esempio 1.9.3 Sia d : GL(n, R), · → R−{0}, · la funzione che ad ogni matrice associa il suo determinante. d è un omomorfismo per il teorema di Binet. d è suriettiva perchè, fissato r ∈ R − {0}, la matrice diagonale avente r nel posto 34 CAPITOLO 1. GRUPPI (1,1) e 1 altrove ha determinante r. Ker(d) = { A | d(A) = 1 } = SL(n, R), quindi il gruppo lineare speciale e un sottogruppo normale del gruppo lineare e si ha un isomorfismo GL(n, R)/SL(n, R), · ' R − {0}, · (1.6) In modo analogo, il morfismo determinante d : O(n), · → {1, −1}, · ha come nucleo SO(n), che quindi è normale e si ha un isomorfismo O(n)/SO(n), · ' {1, −1}, · (1.7) Teorema 1.9.4 Sia f : G· → G0 · un omomorfismo suriettivo. i) se H G allora f (H) G0 , ii) se H 0 G0 allora f −1 (H 0 ) G. Dimostrazione. i) Prendiamo due elementi a0 ∈ G0 e f (h) ∈ f (H), con h ∈ H. −1 Occorre provare che a0 f (h)a0 ∈ f (H) . Poichè f è suriettivo, esiste a ∈ G 0 tale che f (a) = a , quindi, per le proprietà degli omomorfismi, −1 a0 f (h)a0 = f (a)f (h)(f (a))−1 = f (a)f (h)f (a−1 ) = f (aha−1 ) ∈ f (H) in quanto aha−1 ∈ H, poichè H è normale. ii) siano a ∈ G e h ∈ f −1 (H 0 ). Occorre provare che aha−1 ∈ f −1 (H 0 ) o equivalentemente che f (aha−1 ) ∈ H 0 . In effetti, usando le proprietà degli omomorfismi, si ha f (aha−1 ) = f (a)f (h)f (a−1 ) = f (a)f (h)(f (a))−1 ∈ H 0 poichè f (h) ∈ H 0 e H 0 è normale. Teorema 1.9.5 Sia H G. C’è una biezione tra i sottogruppi di G che contengono H e i sottogruppi di G/H e in tale corrispondenza a sottogruppi normali corrispondono sottogruppi normali. Dimostrazione. Sia π : G → G/H la proiezione canonica. Siano X = { sottogruppi di G che contengono H } e Y = { sottogruppi di G/H }. Definiamo φ : X → Y ponendo, per ogni S < G, H ⊂ S, φ(S) = π(S). Sappiamo che π(S) è un sottogruppo di G/H, normale quando S lo è. Viceversa definiamo ψ : Y → X ponendo, per ogni S < G/H, ψ(S) = π −1 (S). Anche in questo caso ψ(S) è un sottogruppo (normale se S lo è) inoltre contiene ker(π) = Si tratta soltanto di verificare che φ e ψ sono H, in quanto S contiene 10 . funzioni inverse l’una dell’altra. i) φ(ψ(S)) = π(π −1 (S)) = S ii) S ⊂ π −1 (π(S)) = ψ(φ(S)) x ∈ π −1 (π(S)) ⇒ π(x) ∈ π(S) ⇒ ∃s ∈ S, π(x) = π(s) ⇒ xs−1 ∈ Ker(π) = H ⇒ ∃h ∈ H ⊂ S, x = hs ⇒ x ∈ S. Teorema 1.9.6 Secondo teorema di isomorfismo Siano K G e H < G Allora: 1) HK = { hk | h ∈ H, k ∈ K } è un sottogruppo di G 2) K HK 3) H/H ∩ K ' HK/K. 1.9. TEOREMI DI ISOMORFISMO 35 Dimostrazione. 1) Usiamo il criterio. Siano h1 k1 e h2 k2 due elementi di HK. h1 k1 (h2 k2 )−1 = h1 k1 k2−1 h−1 e, poichè K è normale, esiste k3 ∈ K tale che 2 −1 h1 k1 k2−1 h−1 = h h k ∈ HK . Quindi HK è un sottogruppo di G e contiene 1 3 2 2 sia H che K, in quanto H = H1 ⊂ HK e K = 1K ⊂ HK. 2) K è un sottogruppo normale in G, quindi in particolare aK = Ka per ogni a ∈ HK. 3) Sia f : H → HK/K il morfismo composto dall’inclusione H ,→ HK e dalla proiezione canonica HK → HK/K, quindi f (h) = Kh. f è suriettivo, in quanto, essendo K normale, per ogni hk ∈ HK esiste k 0 ∈ K tale che hk = k 0 h e quindi si ha Khk = Kk 0 h = Kh = f (h). Ker(f ) = { h ∈ H | f (h) = K } = { h ∈ H | hK = K } = H ∩ K. Quindi la tesi segue dal teorema fondamentale. Teorema 1.9.7 Terzo teorema di isomorfismo Siano KHG sottogruppi normali di G. Allora H/KG/K ed esiste un isomorfismo naturale (G/K)/(H/K)) ' G/H . Dimostrazione. Definiamo f : G/K → G/H ponendo f (Ka) = Ha . E’ una buona definizione perchè K ⊂ H e quindi per ogni elemento ka del laterale Ka, ka ∈ Ha e quindi H(ka) = Ha. E’ e un omomorfismo in quanto: f (KaKb) = f (K(ab)) = H(ab) = HaHb = f (Ka)f (Kb), Ker(f ) = { Ka | f (Ka) = H } = { Ka | Ha = H } = { Ka | a ∈ H } = H/K. Quindi H/K è un sottogruppo normale di G/K e, poichè f è evidentemente suriettiva, per il teorema fondamentale degli omomorfismi (G/K)/(H/K)) ' G/H . 36 1.10 CAPITOLO 1. GRUPPI Somma diretta e prodotto diretto Proposizione 1.10.1 Siano A, · e B, · due gruppi. Il prodotto cartesiano A×B con l’operazione definita da (a1 , b1 ) · (a2 , b2 ) = (a1 · a2 , b1 · b2 ) dove a1 , a2 ∈ A e b1 , b2 ∈ B, è un gruppo detto prodotto diretto di A e di B. Nel caso di gruppi abeliani il gruppo definito in tale modo viene detto somma diretta. Dimostrazione. L’elemento neutro è 1 = (1A , 1B ), l’inverso di (a, b) è (a−1 , b−1 ). E’ immediato verificare la validità della proprietà associativa. Osservazione 1.10.2 Si può definire il prodotto diretto (o la somma diretta in caso di notazione additiva) di un numero finito di gruppi. Più in generale si pone la seguente definizione: Definizione 1.10.3 Sia {Gi , ·}i∈I una famiglia di gruppi. Si dice prodotto Q diretto della famiglia e lo si indica con i∈I Gi il prodotto cartesiano dotato della seguente operazione: dati due elementi a = (ai ), b = (bi ) si pone ab = (ai · bi ) (il prodotto in parentesi è l’operazioneP in Gi ). L Si dice somma diretta, e lo si indica con i∈I Gi oppure con i∈I Gi , il sottogruppo costituito dagli elementi a = (ai ) tali che ak = 1Gk per tutti i k ∈ I tranne un numero finito. Osservazione 1.10.4 Tale definizione viene tradotta in modo ovvio in notazioni additive quando i gruppi Gi sono abeliani. Osservazione 1.10.5 Se I è finito le definizioni di somma e di prodotto diretto coincidono; si preferisce usare il termine di somma diretta nel caso di gruppi abeliani. Esempio 1.10.6 L’esempio più importante è la somma diretta di una famiglia di gruppi tutti uguali a Z. Sia X un insieme, per ogni P x ∈ X indichiamo con lo stesso simbolo x l’elemento della somma diretta x∈X Z avente tutti zeri tranne un 1 nel posto corrispondente all’indicePx. Con l’operazione di somma sopra definita , l’elemento generico del gruppo x∈X Z può essere scritto come Pk somma formale finita i=1 ni xi dove ni ∈ Z e xi ∈ X. Tale gruppo viene detto gruppo abeliano libero generato da X; viene detto finitamente generato se X è finito e la cardinalità di X d̀etta rango del gruppo. Vale in generale il seguente importante teorema di classificazione (che non dimostriamo): Teorema 1.10.7 i) Ogni gruppo abeliano finito è la somma diretta di gruppi ciclici aventi come ordine una potenza di un numero primo. ii) Ogni gruppo abeliano finitamente generato (cioè avente un insieme finito di generatori) è isomorfo ad una somma diretta finita di gruppi ciclici, ciascuno dei quali è o infinito o ha ordine una potenza di un numero primo. 1.11. AZIONE DI UN GRUPPO SU DI UN INSIEME 1.11 37 Azione di un gruppo su di un insieme Definizione 1.11.1 Siano G, · un gruppo e S un insieme. Si dice azione (a sinistra) di G su S una funzione G × S → S che alla coppia (g, x) ∈ G × S associa un elemento di S denotato con g · x soddisfacente alle seguenti condizioni: i) 1G · x = x, ∀x ∈ S, ii) ∀g, h ∈ G, ∀x ∈ S, g · (h · x) = (gh) ·x. |{z} ∈G Proposizione 1.11.2 Nelle condizioni della definizione precedente, fissato g ∈ G la funzione τg : S → S x 7→ g · x è una biiezione ed ha come inversa τg−1 . Dimostrazione. Infatti: (τg−1 ◦τg )(x) = (τg−1 (τg (x)) = g −1 ·(g ·x) = (per la ii)) (g −1 g)·x = 1G ·x = x (per la i)) ; (τg ◦ τg−1 )(x) = x , in modo analogo. Osservazione 1.11.3 Nelle notazioni precedenti, indicato con Sym(S) il gruppo delle permutazioni di S, la funzione: π:G g → Sym(S) 7 → τg è un omomorfismo, cioè τgh = τg ◦ τh . Infatti: τgh (x) = (gh) · x = (per ii)) g · (h · x) = (τg (τh (x)) = (τg ◦ τh )(x). Viceversa ogni omomorfismo π : G → Sym(S) dà luogo ad una azione, ponendo ∀x ∈ S, ∀g ∈ Gm g · x = π(g)(x). In effetti: i) 1G · x = π(1G )(x) = id(x) = x, ∀x ∈ S ii) ∀g, h ∈ G, ∀x ∈ S, g · (h · x) = π(g)(π(h)(x)) = (π(g) ◦ π(h))(x) = π(gh)(x) = gh · x. Omomorfismi diversi corrispondono ad azioni diverse dello stesso gruppo G sull’insieme S, L’omomorfismo π può essere assunto come definizione alternativa di azione del gruppo G sull’insieme S. Definizione 1.11.4 Un’azione è detta: • fedele se tale omomorfismo è iniettivo, 38 CAPITOLO 1. GRUPPI • transitiva se per ogni coppia di elementi x, y ∈ S esiste g ∈ G tale che y = g · x, Un elemento x ∈ S viene detto punto fisso dell’azione se ∀g ∈ G, g · x = x. Esempio 1.11.5 Z agisce su R mediante: Z×R → R (n, x) 7→ n · x = n + x Infatti: i) o + x = 0 e ii) n + (m + x) = (n + m) + x. Tale azione è transitiva? E’ fedele? Ha punti fissi? Esempio 1.11.6 Si ha un’azione: GL(n, R) × Rn → Rn (A, v) 7→ A · v = Av dove v indica il vettore colonna delle componenti. E’ transitiva? E’ fedele? Ha punti fissi? Esempio 1.11.7 Si ha un’azione: O(n) × Rn → Rn (A, v) 7→ A · v = Av dove v indica il vettore colonna delle componenti. E’ transitiva? E’ fedele? Esempio 1.11.8 Sia S = In = {1, 2, . . . , n} e sia G =< (1, 3, 4) >< Sn . Si ha un’azione G × In → In (σ, k) 7→ σ · k = σ(k) Esempio 1.11.9 Più in generale, se G è un sottogruppo del gruppo Sym(S), l’inclusione di G in Sym(S) definisce un’azione naturale G×S → S (σ, x) 7→ σ · x = σ(x) Teorema 1.11.10 Sia G × S → S un’azione di un gruppo G su S. La relazione su S, x ∼ y ⇔ ∃g ∈ G, y = g · x è una relazione di equivalenza. Dimostrazione. 1) E’ riflessiva, cioè x ∼ x, perchè 1 · x = x. 2) E’ simmetrica, cioè x ∼ y ⇒ y ∼ x. Infatti per ipotesi ∃g ∈ G, y = g · x. Allora g −1 · y = g −1 · (g · x) = 1 · x = x con g −1 ∈ G e quindi y ∼ x. 3) E’ transitiva. Siano infatti x ∼ y e y ∼ z, allora esistono g, h ∈ G tali che y = g · x e z = h · y, allora z = h · (g · x) = (gh) · x con gh ∈ G e quindi x ∼ z. 1.11. AZIONE DI UN GRUPPO SU DI UN INSIEME 39 Definizione 1.11.11 Le classi di equivalenza di questa relazione sono dette orbite. Per ogni x ∈ S si ha quindi Orb(x) = {g · x | g ∈ G }. L’insieme quoziente (o insieme delle orbite) viene indicato con S/G. Esercizio 1.11.12 Trovare l’ orbita di un generico elemento di R nell’azione descritta nell’ esempio ?? e dell’elemento e1 = (1, 0 . . . , 0) di Rn nelle azioni descritte negli esempi ??, ??: Trovare tutte le orbite dell’esempio ??. Determinare i rispettivi insiemi quoziente. Definizione 1.11.13 Nelle condizioni precedenti si dice stabilizzatore di un elemento x ∈ S, e lo si indica con Hx , l’insieme: Hx = { g ∈ G | g · x = x } Proposizione 1.11.14 Hx è un sottogruppo di G. Dimostrazione, Siano g, h ∈ Hx , per il criterio è sufficiente provare che gh−1 ∈ Hx . Osserviamo intanto che se h · x = x, agendo su entrambi i membri dell’uguaglianza con h−1 si ottiene h−1 · x = h−1 · (h · x) = (h−1 h) · x) = 1G · x = x, cioè anche h−1 ∈ Hx . Ma allora (gh−1 ) · x = g · (h−1 · x) = g · x = x e quindi gh−1 ∈ Hx . Esercizio 1.11.15 Trovare lo stabilizzatore di un generico elemento di R nell’azione descritta nell’ esempio ?? e dell’elemento e1 = (1, 0 . . . , 0) di Rn nelle azioni descritte negli esempi ??, ??. Teorema 1.11.16 Siano dati un gruppo finito G, · e un’azione G × S → S su un insieme S. Per ogni x ∈ S, |Orb(x)| = [G : Hx ]. Dimostrazione. Osserviamo che Hx non è necessariamente un sottogruppo normale di G e quindi non si può parlare di gruppo quoziente, tuttavia sappiamo che il numero dei laterali destri coincide con quello dei laterali sinistri. Sia dunque G/σ 0 l’insieme dei laterali sinistri di Hx e definiamo φ : Orb(x) → G/σ 0 y 7→ gHx dove g è un elemento del gruppo che manda x in y. 1) φ è ben definita perchè, se g, h sono due elementi tali che g · x = h · x = y, allora (h−1 g) · x = x e quindi h−1 g ∈ Hx , perciò h e g individuano lo stesso laterale sinistro di Hx . 2) φ è suriettiva, infatti gHx ha come controimmagine l’elemento g · x ∈ Orb(x). 3) φ è iniettiva. Siano infatti y = g · x e z = h · x due elementi di Orb(x) aventi la stessa immagine, allora φ(y) = φ(z) ⇒ gHx = hHx ⇒ h−1 g ∈ Hx ⇒ (h−1 g) · x = x ⇒ h−1 · (g · x) = x⇒g·x=h·x⇒y =z Corollario 1.11.17 Nelle stesse ipotesi del teorema |Orb(x)| = |G| |Hx | 40 1.12 CAPITOLO 1. GRUPPI Azione di un gruppo su se stesso Definizione 1.12.1 Sia G, · un gruppo. Si può definire un’azione di G su se stesso, detta azione di coniugio, ponendo G×G → G (a, x) 7→ a · x =def axa−1 E’ un’azione, infatti i) 1 · x = 1x1−1 = x ii) (ab) · x = (ab)x(ab)−1 = abxb−1 a−1 = a · (bxb−1 ) = a · (b · x) Inoltre, per ogni a la traslazione τa non è e soltanto una biiezione, ma è anche un omomorfismo (quindi un automorfismo del gruppo G ). Infatti τa (xy) = a(xy)a−1 = a(xa−1 ay)a−1 = (axa−1 )(aya−1 ) = τa (x)τa (y) Definizione 1.12.2 Le traslazioni τa : G → G x 7→ axa−1 sono dette automorfismi interni del gruppo G. La traslazione τa manda ogni sottogruppo H nel sottogruppo aHa−1 , che è detto suo coniugato. Definizione 1.12.3 Due elementi x, y ∈ G tali che y = axa−1 per un qualche a ∈ G sono detti coniugati. Le orbite di questa azione sono dette classi di coniugio Osservazione 1.12.4 1) Osserviamo che Orb(x) = {x} se e solo se axa−1 = x ∀a ∈ G cioè se e solo se x ∈ Z(G). Quindi il centro contiene esattamente tutti i punti fissi di questa azione. 2) Lo stabilizzatore di un elemento x è detto centralizzatore ed è denotato con Cx : Cx = { a ∈ G | axa−1 = x } Quindi, se G è finito, per ogni x si ha |Orb(x)| = |G| |Cx | 3) Cx = G se e solo se x ∈ Z(G). In particolare, G è abeliano se e solo se Cx = G per ogni x ∈ G. Osservazione 1.12.5 L’azione di coniugio si estende ad una azione sull’insieme dei sottogruppi di G. Sia dunque H < G, Orb(H) = { aHa−1 | a ∈ G } H è normale se e solo se H = aHa−1 , ∀a cioè se e solo se Orb(H) = {H}. Lo stabilizzatore di H è detto normalizzatore di H in G e viene denotato: N (H) = { a ∈ G | aHa−1 = H } H è un sottogruppo normale di N (H). 1.13. IL TEOREMA DI BURNSIDE 41 Proposizione 1.12.6 Classi di coniugio in Sn . Sia σ una permutazione scritta come prodotto di cicli disgiunti. i) Ogni permutazione coniugata σ 0 = τ στ −1 di σ ha la stessa struttura ciclica di σ. Inoltre gli interi che compaiono nei cicli di σ 0 si ottengono applicando la permutazione τ agli interi che compaiono nei cicli di σ. ii) Se σ e σ 0 sono permutazioni di σ che hanno la stessa struttura ciclica, allora sono coniugate. Dimostrazione. i) Siano a e b due interi consecutivi nella scrittura di uno qualunque dei cicli di σ (considerando consecutivi anche l’ultimo e il primo del ciclo), cioè sia b = σ(a). Supponiamo inoltre che τ (a) = s e τ (b) = t. Allora σ 0 (s) = τ στ −1 (s) = τ σ(a) = τ (b) = t cioè t è il successivo di s nella scrittura ciclica di σ 0 . ii) Supponiamo che σ e σ 0 abbiano la stessa struttura ciclica. Per semplicità di notazioni supponiamoli composti di due soli cicli σ = (a1 , . . . , ak )(ak+1 , . . . , ah ) σ 0 = (b1 , . . . , bk )(bk+1 , . . . , bh ) E’ immediato verificare che, detta τ una permutazione che manda ai in = bi e si comporta in modo qualsiasi sugli altri elementi, si ha τ στ −1 = σ 0 . Osservazione 1.12.7 Ne consegue che le orbite dell’azione di coniugio in Sn sono tante quante le diverse strutture cicliche. Dato un intero n si dice che la successione di interi positivi n1 ≥ n2 ≥ . . . ≥ nt è una partizione di n se n = n1 + n2 + . . . + nt . Pertanto le orbite dell’azione di coniugio in Sn sono tante quante le partizioni di n. Ad esempio in S7 siano σ = (1, 5)(2, 3, 4) e τ = (1, 4, 3)(2, 6, 7, 5). Allora il risultato precedente dice che τ στ −1 = (4, 2)(6, 1, 3). 1.13 Il teorema di Burnside Sia G, · un gruppo finito e sia G × S → S una azione di G su un insieme finito S. Abbiamo provato che il numero di elementi dell’orbita di un elemento di S è uguale all’indice del suo stabilizzatore. Inoltre le orbite formano una partizione di S, ma non tutte le orbite hanno lo stesso numero di elementi. Il Teorema di Burnside fornisce un metodo per calcolare il numero delle orbite. Per ogni g ∈ G indichiamo con ψ(g) il numero di elementi di S fissati da g. ψ(g) = |{s ∈ S | g · s = s }| Teorema 1.13.1 Teorema di Burnside Il numero O delle orbite dell’azione di G è 1 X ψ(g) (1.8) O= |G| g∈G 42 CAPITOLO 1. GRUPPI Lemma 1.13.2 Nelle condizioni precedenti, se s, t stanno nella stessa orbita, allora lo stabilizzatore di t e lo stabilizzatore di s sono sottogruppi coniugati di G. In particolare hanno lo stesso numero di elementi (in simboli |Hs | = |Ht |). Dimostrazione. Se s e t appartengono alla stessa orbita, esiste un g ∈ G tale che t = g · s. Proviamo che θ : Hs → H t a 7→ gag −1 è un isomorfismo. θ è la restrizione ad Hs dell’automorfismo interno τg di G: è quindi sufficiente provare che la sua immagine è Ht . 1) Se a ∈ Hs , gag −1 ∈ Ht . Infatti: (gag −1 ) · t = g · (a · (g −1 · t))) = g · (a · s) = g · s = t. 2) Viceversa, dato b ∈ Ht la sua controimmagine è g −1 bg, che appartiene ad Hs in quanto: (g −1 bg) · s = g −1 · (b · (g · s))) = g −1 · (b · t) = g −1 · t = s. Si conclude che |Hs | = |Ht |. Dimostrazione di ?? Sia n il numero delle coppie (g, s) ∈ G × S tali che g · s = s. calcoliamo tale numero in due modi diversi. a) Fissato g il numero delle coppie (g, s) tali che g · s = s è ψ(g), quindi n= X ψ(g) (1.9) g∈G b) Fissato s il numero delle coppie (g, s) tali che g · s = S è la cardinalità dello stabilizzatore Hs di s, quindi n= X |Hs | (1.10) s∈S Suddividiamo S nelle sue orbite e fissiamone una Orb1 P s∈Orb1 |Hs | = (per il lemma) |Hs | · |Orb1 | = (per il teorema ??) |Hs | · [G : Hs ] = |Hs | · |G| |Hs | = |G| Allora dalla ?? O O X X X n= ( |Hs |) = |G| = |G| · O i=1 s∈Orbi (1.11) i=1 e quindi, confrontando con la ??, O= 1 X ψ(g) |G| g∈G (1.12) 1.13. IL TEOREMA DI BURNSIDE 43 Esempio 1.13.3 Disponendo a distanza regolare tre pietre nere e sei pietre bianche in un cerchietto di metallo si ottiene una collana. Tenedo conto del fatto che tale collana può essere ruotata e capovolta, quante collane diverse si possono ottenere ? Disponiamo le 9 pietre nei 9 vertici dell’ 9-gono regolare inscritto nel cerchietto. Sappiamo che si ottiene in questo modo un insieme S di 93 = 84 configurazioni diverse. Il gruppo diedrale ∆9 agisce su S (permutando le pietre nei vertici) e due configurazioni che si ottengono una dall’altra mediante un elemento di ∆9 danno luogo alla stessa collana . Quindi il numero di collane cercato è il numero delle orbite di tale azione. Sappiamo che |∆9 | = 18 ( 9 rotazioni Ri e 9 ribaltamenti Di ), per poter utilizzare il torema di Burnside occorre calcolare ψ(g) per ogni elemento g ∈ ∆9 . Costruiamo una tabella degli elementi di ∆9 elencati secondo il periodo o(g) e per ciascuno di essi calcoliamo ψ(g). ( k(o) indica il numero degli elementi g ∈ ∆9 di periodo o.) Ci sono: - un elemento di periodo 1, id , che fissa tutti gli 84 elementi di S, - 9 elementi di periodo 2, i ribaltamenti Di , ciascuno dei quali fissa 4 elementi. Consideriamo ad esempio il ribaltamento D1 rispetto all’asse di simmetria che passa per il vertice 1 e per il punto medio del lato oppsto. Affinchè una configurazione sia fissata da D1 occorre che le tre pietre nere siano disposte in modo simmetrico rispetto all’asse, quindi una deve necessariamente stare nel vertice 1 e le altre due nelle coppie di vertici (2,9) o (3,8) o (4,7) o (5,6). In totale abbiamo 4 configurazioni possibili. 12π - 2 elementi di periodo 3, le rotazioni R3 e R6 di angoli 6π 9 e 9 . Affinchè 3 6 una configurazione sia fissata da R o da R occorre che le pietre nere siano a distanza di tre posti l’una dall’altra, cioè in (1,4.7) o (2,5,8) o (3,6,9). In totale abbiamo 3 configurazioni possibili. - 6 elementi di periodo 9, che non fissano alcuna configurazione. g ∈ ∆9 id Di R3 , R6 i R , i 6= 3, 6 o(g) 1 2 3 9 k 1 9 2 6 ψ(g) 84 4 3 0 kψ(g) 84 36 6 0 P ψ(g) = 126 g∈∆9 Quindi il teorema di Burnside assicura che il numero delle orbite ( e quindi delle collane) è O = 126 18 = 7. Esempio 1.13.4 Usando il teorema di Burnside si può trovare il numero di composti chimici ottenibili disponendo molecole o atomi di una certa sostanza secondo una prefissata struttura. Ad esempio, nel caso del benzene, si dispongono radicali CH3 o H nei sei vertici di un esagono regolare. Numeriamo i vertici dell’esagono e indichiamo con S l’insieme di tutte le possibili configurazioni che si ottengono diponendo radicali CH3 o H nei vertici. S ha 26 elementi, il gruppo diedrale ∆6 agisce su S e il numero cercato dei composti è 44 CAPITOLO 1. GRUPPI il numero delle orbite di tale azione. Per poter applicare il teorema di Burnside dobbiamo calcolare il numero degli elementi fissati da ciascun elemento di ∆6 . Come nell’esempio precedente, costruiamo una tabella degli elementi di ∆6 elencati secondo il periodo o(g) e per ciascuno di essi calcoliamo ψ(g). ( k(o) indica il numero degli elementi g ∈ ∆6 di periodo o.) Ci sono: - 1 elemento di periodo 1, id , che fissa tutti i 64 elementi di S, - 3 riflessioni Di rispetto a rette congiungenti vertici opposti: ciascuna ha periodo 2 e fissa 24 elementi di S. Consideriamo ad esempio la riflessione D1 rispetto all’asse di simmetria che passa per i vertice 1 e 4. Affinchè una configurazione sia fissata da D1 occorre che nei vertici 2 e 6 (risp. 3 e 5) si trovi lo stesso radicale. Quindi si hanno 24 configurazioni possibili. - 3 riflessioni Li rispetto agli assi di coppie di lati opposti: ciascuna ha periodo 2 e fissa 23 elementi di S. Consideriamo ad esempio la riflessione L1 rispetto all’asse di simmetria dei lati 5-6 e 3-2. Affinchè una configurazione sia fissata da L1 occorre che nelle coppie di vertici (5,6), (2,3) e (1,4) compaiano gli stessi radicali. In totale abbiamo 23 configurazioni possibili. - 2 rotazioni R2 e R4 di periodo 3, che fissano 22 configurazioni. - 1 rotazione R3 di periodo 2, che fissa 23 configurazioni. - 2 rotazioni R e R5 di periodo 6, che fissano 2 configurazioni (tutti i vertici devono contenere lo stesso radicale) g ∈ ∆6 id Di Li R2 , R4 R3 R, R5 o(g) 1 2 2 3 2 6 k 1 3 3 2 1 2 ψ(g) 64 16 8 4 8 2 kψ(g) 64 48 24 8 8 4 P ψ(g) = 156 g∈∆6 Quindi per il teorema di Burnside il numero delle orbite (e quindi dei composti) è O = 156 12 = 13. Capitolo 2 Anelli e Campi 2.1 Definizione e prime proprietà Definizione 2.1.1 Si dice anello un insieme A dotato di due operazioni indicate con + e · che godono delle seguenti proprietà: i) A, + è un gruppo abeliano, ii) · è associativa, iii) valgono le proprietà distributive a destra e a sinistra del prodotto rispetto alla somma. A è detto anello con unità se esiste l’elemento neutro 1 rispetto a ·. Gli elementi di A che possiedono inverso moltiplicativo sono detti invertibili o unitari. A è detto commutativo se · è commutativo. Un anello con unità è detto corpo se ogni elemento diverso da 0 possiede un inverso moltiplicativo. Un anello commutativo con unità è detto campo se ogni elemento diverso da 0 possiede inverso moltiplicativo. Esempio 2.1.2 Sono esempi di anelli commutativi Z, +, ·, Zn , +, ·, sono esempi di campi Q, +, ·, R, +, ·, C, +, ·, Zp , +.·, dove p è un numero primo. Esempio 2.1.3 Indicati con Z[X], Q[X], R[X], C[X], Zn [X] gli insiemi dei polinomi a coefficienti nei rispettivi anelli, questi risultano anelli commutativi con unità rispetto alle usuali operazioni di somma e di prodotto. L’unità è il polinomio costante 1. Esempio 2.1.4 L’insieme M (n, A) delle matrici n × n a elementi in un anello A è un anello non commutativo rispetto alle usuali operazioni di somma e di prodotto righe per colonne. Esempio 2.1.5 L’esempio più importante di corpo che non è un campo è il corpo dei quaternioni H. E’ definito come lo spazio vettoriale reale di dimensione 45 46 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI 4 e base 1, i, j, k, dove l’operazione di prodotto è definita dalle relazioni i2 = j 2 = k 2 = ijk = −1, ij = −ji = k, jk = −kj = i, ki = −ik = j. Si lasciano per esercizio le verifiche. Una definizione equivalente del corpo dei quaternioni si ottiene considerando le seguenti matrici ad elementi complessi: 1 0 i 0 0 1 0 i 1= , i= , j= , k= 0 1 0 −i −1 0 i 0 H puó allora essere definito come l’insieme delle matrici combinazioni lineari a coefficienti reali di 1, i, j, k, con le usuali operazioni di somma e di prodotto di matrici. Una tale matrice ha la forma z w α = a1 + bi + cj + dk = −w z dove si è posto z = a + ib e w = c + id. E’ immediato verificare che H è un sottogruppo additivo di M (2, C), che è stabile rispetto al prodotto e che contiene l’inverso di ogni suo elemento non nullo. Osservazione 2.1.6 Salvo avviso contrario considereremo anelli con unità. Proposizione 2.1.7 Seguono immediatamente dalla definizione di anello le seguenti proprietà: ∀a, b, c ∈ A a+b a + (b + c) a+0 (−a) + a a(bc) a(b + c) (b + c)a = = = = = = = b+a (a + b) + c a 0 (ab)c ab + ac ba + ca Se A è un anello con unità a · 1 = 1 · a = a Se A è commutativo ab = ba. Osservazione 2.1.8 In un anello la proprietà distributiva si generalizza nel modo seguente: m n m n X X X X ai bj ai )( bj ) = ( i=1 j=1 (2.1) i=1 j=1 Proposizione 2.1.9 Seguono dalle proprietà viste per i gruppi: 1) 0 e −a (per ogni a) sono unici. In modo analogo si prova che 1 e a−1 , se esistono, sono unici, 2) −(−a) = a, −(a + b) = −a − b, 3) vale la legge di semplificazione rispetto alla somma a + b = a + c ⇒ b = c, 4) l’equazione a + x = b ha sempre un’unica soluzione. 2.1. DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETÀ 47 Osservazione 2.1.10 La legge di semplificazione non vale necessariamente per il prodotto: ad esempio in Z6 , 3 · 4 = 3 · 2, ma 4 6= 2. Analogamente, un’ equazione del tipo ax = b non ha sempre soluzione in un anello: ad esempio 3x = 5 non ha soluzione in Z. Per contro potrebbe avere più soluzioni: ad esempio in Z6 , l’equazione 3x = 0, ha come soluzioni 4, 2, 0. Proposizione 2.1.11 In un anello esistono i multipli interi di ciascun elemento a, che godono delle seguenti proprietà: ∀n, m ∈ Z, ∀a, b ∈ A n(ma) = (nm)a (n + m)a = na + ma n(b + a) = nb + na In un anello con unità esistono le potenze naturali di ciascun elemento a, che godono delle seguenti proprietà, ∀n, m ∈ N, ∀a, b ∈ A: (an )m an · am = anm = an+m Se A è commutativo si ha anche (ab)n = an bn . Proposizione 2.1.12 Sia A un anello, ∀a ∈ A, a · 0 = 0 · a = 0. Dimostrazione. a + 0 = a ⇒ a(a + 0) = aa ⇒ aa + a0 = aa ⇒ aa + a0 = aa + 0 ⇒ a0 = 0 (per la legge di semplificazione). Proposizione 2.1.13 Sia A un anello con unità. Se non è ridotto al solo 0, e, salvo avviso contrario, faremo sempre questa ipotesi, 0 6= 1. Dimostrazione. 0 = 1 ⇒ ∀a, a = a · 1 = a · 0 = 0. Proposizione 2.1.14 Vale la seguente regola dei segni, ∀a, b ∈ A: (−a)b a(−b) (−a)(−b) (−1)a = = = = −(ab) −(ab) ab −a Dimostrazione. 0 = 0b = (a + (−a))b = ab + (−a)b ⇒ (−a)b = −(ab). Analogamente si prova che a(−b) = −(ab). Infine (−a)(−b) = −(−a)b = −[−(ab)] = ab. Proposizione 2.1.15 ∀n ∈ Z, ∀a, b ∈ A si ha n(ab) = (na)b = a(nb) 48 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Dimostrazione. Se n = 0, tutti gli elementi considerati sono 0. Se n > 0, si calcola: a(b + . . . + b) = a(nb) n(ab) = ab + . . . + ab = (a + . . . + a)b = (na)b Se n < 0, dimostriamo ad esempio la prima uguaglianza, utilizzando la regola dei segni: n(ab) = −[(−n)ab] = −[((−n)a)b] = [−((−n)a)]b = (na)b Proposizione 2.1.16 In ogni anello vale la regola del binomio: Pn ∀n ∈ N, ∀a, b ∈ A (a + b)n = i=0 ni ai bn−i . Dimostrazione. Si prova per induzione. Se n = 1 la proprietà k SuppoPn−1è ovvia. n−1−k niamola vera per n−1, cioè supponiamo che (a+b)n−1 = k=0 n−1 . k a b Calcoliamo: k n−1−k Pn−1 (a + b)n = (a + b)n−1 (a + b) = ( k=0 n−1 a b )(a + b) = Pn−1 n−1 k+1 n−1−k Pn−1 n−1 k kn−k a b + a b k=0 k=0 k k Raccogliendo dalle due sommatorie i termini dello stesso grado in a e b, otteniamo i n−i Pn−1 (a + b)n = i=0 ( n−1 + ( n−1 i i−1 )a b con la convenzione hk = 0 se k < 0 o k > h. D’altra parte si calcola immediatamente: (n−1)! (n−1)!(i+n−i) (n−1)! n n−1 n! + n−1 i!(n−i)! i!(n−i)! = i . i−1 = i!(n−1−i)! + (i−1)!(n−i)! = i Osservazione 2.1.17 Le proposizioni fin qui dimostrate estendono agli anelli con unità molte proprietà dell’anello Z. Non tutte le proprietà dei numeri interi sono però generalizzabili. Ad esempio sappiamo che se il prodotto di due numeri interi è nullo, uno dei due numeri deve essere nullo. Inoltre in Z si può semplificare (rispetto al prodotto) per un numero diverso da 0. Abbiamo già osservato che Z6 non gode di queste due proprità. Definizione 2.1.18 In un anello A un elemento a è detto divisore dello zero se a 6= 0 ed esiste b ∈ A, b 6= 0, tale che ab = 0 oppure ba = 0, Un anello commutativo con unità privo di divisori dello zero viene detto dominio d’integrità. Osservazione 2.1.19 In un anello non commutativo può accadere che ab = 0, ma ba 6= 0: ad esempio in M (2, R) 0 1 a 0 0 0 · = 0 0 0 0 0 0 a 0 0 0 0 · 0 1 0 = 0 a 0 0 2.1. DEFINIZIONE E PRIME PROPRIETÀ 49 Esempio 2.1.20 Z è un dominio d’integrità, Zn non lo è se n non è un numero primo. Infatti, se n = hk con h, k > 1, h e k sono due divisori dello zero in Zn . Proposizione 2.1.21 Un anello commutativo con unità A è un dominio d’integrità se e solo se vale la legge di semplificazione per il prodotto, cioè a 6= 0 ab = ac ⇒ b = c Dimostrazione. 1) Sia A un dominio d’integrità e siano a, b, c ∈ A tali che a 6= 0 e ab = ac. Allora ab − ac = 0 e quindi a(b − c) = 0 da cui segue per definizione di dominio d’integrità., poichè a 6= 0, che b − c = 0, cioè b = c. 2) Supponiamo che valga la legge di semplificazione e proviamo che non esistono divisori dello zero. Siano a 6= 0 e b ∈ A tali che ab = 0. Allora ab = a0 e quindi, semplificando, b = 0. Proposizione 2.1.22 Sia A un anello con unità. Gli elementi invertibili di A formano un gruppo rispetto al prodotto. Dimostrazione. Sia G l’insieme degli elementi invertibili di A. Allora: i) 1 ∈ G; ii) se x ∈ G, anche x−1 ∈ G, in quanto l’inverso di x−1 esiste ed è x; iii) se x, y ∈ G, esistono in A gli inversi x−1 e y −1 . Ma il loro prodotto −1 −1 y x è l’inverso di xy e quindi xy ∈ G. Pertanto G è stabile ed eredita la proprietà associativa del prodotto. Corollario 2.1.23 Ogni campo è un dominio d’integrità. Dimostrazione. Infatti gli elementi non nulli di un campo formano un gruppo rispetto al prodotto, quindi vale la legge di semplificazione. Definizione 2.1.24 Si dice caratteristica di un anello A (se esiste) il minimo intero positivo n tale che na = 0A per ogni a ∈ A. In caso contrario si dice che A ha caratteristica 0. Osservazione 2.1.25 Se A possiede 1A , la caratteristica di A è il periodo additivo di 1A . Infatti, se k1A = 0A , allora ∀a ka = k(1A ·a) = (k1A )·a = 0A ·a = 0A . Quindi se k è il periodo additivo di 1A , k è la caratteristica di A. Il periodo additivo di ciascun elemento a è un divisore della caratteristica. Esempio 2.1.26 Z, Q, R, C hanno caratteristica 0, Zp ha caratteristica p. Proposizione 2.1.27 La caratteristica di un dominio d’integrità o è zero o è un numero primo. Dimostrazione. Sia D un dominio d’integrità con caratteristica m 6= 0. Supponiamo per assurdo che m non sia un numero primo, allora esistono due interi b, k > 1 tali che m = bk. Allora, indicati con 0D e con 1D i due elementi neutri di D, si ha 0D = m1D = (bk)1D = (b1D )(k1D ), per la proprietà distributiva generalizzata. Ma b1D 6= 0D e k1D 6= 0D , perchè b e k sono più piccoli della caratteristica. Questo è assurdo, avendo supposto che D sia un dominio d’integrità. 50 2.2 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Omomorfismi Definizione 2.2.1 Siano A e A0 due anelli. Un omomorfismo o morfismo di anelli è una funzione φ : A → A0 tale che ∀a, b ∈ A φ(a + b) = φ(a) + φ(b) , φ(ab) = φ(a)φ(b) (2.2) φ è detto monomorfismo se è iniettivo, epimorfismo se è suriettivo, isomorfismo se è biiettivo. Osservazione 2.2.2 Anche se A e A0 possiedono unità, non si ha automaticamente che φ(1A ) = 1A0 . Si consideri ad esempio φ : Z → M (2, Z) definita da n 0 n 7→ : φ(1) 6= I. 0 0 Pertanto, nel caso di anelli con unità (e in particolare di campi) si richiede esplicitamente che un omomorfismo soddisfi l’ulteriore condizione φ(1A ) = 1A0 . (2.3) Proposizione 2.2.3 1) id : A → A è un omomorfismo. 2) Il prodotto di due omomorfismi è un omomorfismo. 3) Sia φ : A → A0 un omomorfismo, allora per ogni a ∈ A, per ogni n ∈ Z, per ogni k ∈ N si ha: φ(0A ) = 0A0 φ(−a) = −φ(a) φ(na) = nφ(a) φ(ak ) = (φ(a))k Dimostrazione. Segue dalle proprietà degli omomorfismi di gruppo e dall’induzione su k. Definizione 2.2.4 Sia φ : A → A0 un omomorfismo di anelli. Si dice nucleo di φ il nucleo di φ come omomorfismo di gruppi addititvi, cioè Ker(φ) = { a ∈ A | φ(a) = 0A0 }. Osservazione 2.2.5 Ne consegue che un omomorfismo di anelli è iniettivo se e solo se il suo nucleo è {0}. Esempio 2.2.6 Se A è un anello con unità esiste un omomorfismo (detto unitario) cosı̀ definito: µ:Z → A n 7→ n1A Si noti che è l’unico omomorfismo possibile di Z in A, in quanto se f : Z → A è un omomorfismo, poichè f (1) = 1A , per la proposizione precedente f (n) = f (n1) = nf (1) = n1A = µ(n). 2.3. SOTTOANELLI E IDEALI 51 Proposizione 2.2.7 i) Se A ha caratteristica 0, µ è iniettivo. ii) Se A ha caratteristica m, ker(µ) = (m) e inoltre µ induce un omomorfismo iniettivo µ0 : Zm → A. Dimostrazione. K = Ker(µ) = {n | µ(n) = 0A } = {n | n1A = 0A }. Quindi se A ha caratteristica 0, n1A 6= 0, ∀n 6= 0 e quindi K = {0}, cioè µ è iniettiva. Se invece A ha caratteristica m, m1A = 0 e m è il più piccolo intero che gode di questa proprietà, quindi, se n1A = 0 e n = qm + r con 0 ≤ r < m, 0 = n1A = qm1A + r1A = q0A + r1A = r1A e quindi necessariamente r = 0. Perciò K = {n | n1A = 0} = (m). Per il teorema fondamentale dei gruppi si ha allora un monomomorfismo di gruppi µ0 : Z/(m) ' Zm k → A 7→ k1A Bisogna verificare che sono soddisfatte anche le condizioni relative al prodotto e all’unità. In effetti si ha: µ0 (1) = 1 · 1A = 1A µ (k · h) = µ (kh) = kh1A = (k1A )(h1A ) = µ0 (k)µ0 (h). 0 0 Esercizio 2.2.8 Sia K un campo di caratteristica p. Si verifichi che la funzione Fp : K → K definita da Fp (x) = xp è un omomorfismo (detto omomorfismo di Frobenius). 2.3 Sottoanelli e ideali Definizione 2.3.1 Un sottoinsieme non vuoto S di un anello A è detto sottoanello di A se è un anello rispetto alla restrizione ad S delle operazioni di A. Proposizione 2.3.2 (Criterio per i sottoanelli) Un sottoinsieme non vuoto S di un anello A è un suo sottoanello se e solo se valgono le seguenti condizioni: i) ∀x, y ∈ S x − y ∈ S ii) ∀x, y ∈ S xy ∈ S. Dimostrazione La i) assicura che S è un sottogruppo additivo di A, la ii) garantisce la stabilità rispetto al prodotto, quini S eredita le proprietà associativa e distributive. Esempio 2.3.3 Z[i] = {a + ib ∈ C | a, b ∈ Z } è un sottoanello di C, detto anello degli interi di Gauss. √ √ Esempio 2.3.4 Z[ 2] = {a + 2b ∈ R | a, b ∈ Z } è un sottoanello di R. 52 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI √ √ Esempio 2.3.5 Q[ 2] = {a + 2b ∈ R | a, b ∈ Q } è un sottocampo di R. Proposizione 2.3.6 Se φ : A → A0 è un omomorfismo di anelli, Im(φ) è un sottoanello di A0 . Dimostrazione. Sappiamo che Im(φ) è un sottogruppo di A0 . Presi poi due elementi x0 = φ(x) e y 0 = φ(y) in Im(φ), per definizione di morfismo, x0 y 0 = φ(x)φ(y) = φ(xy), quindi x0 y 0 ∈ Im(φ). Si conclude che Im(φ) è un sottoanello di A0 . Osservazione 2.3.7 Per la proposizione ?? ogni anello con unità di caratteristica zero contiene un sottoanello isomorfo a Z e ogni campo di caratteristica zero contiene un sottocampo isomorfo a Q. Ogni campo di caratteristica p contiene un sottocampo isomorfo a Zp . Osservazione 2.3.8 Dato un anello A e un suo sottoanello S, poichè S è in particolare un sottogruppo normale di A, l’insieme dei laterali {S + a | a ∈ A} è dotato di una struttura di gruppo abeliano additivo, ma in generale non di una struttura di anello rispetto alla quale la proiezione sia un omomorfismo. Per ottenere questo occorre considerare una particolare tipo di sottoanelli, detti ideali. Definizione 2.3.9 Un sottoinsieme non vuoto I di un anello A è detto ideale (o ideale bilatero) di A (in simboli I A), se: i) ∀x, y ∈ I, x − y ∈ I, ii) ∀x ∈ I, ∀a ∈ A, ax ∈ I e xa ∈ I. Osservazione 2.3.10 1) Un ideale è in particolare un sottoanello. 2) A e {0} sono ideali detti impropri. 3) Z è un sottoanello di Q, ma non un suo ideale. 4) Per ogni intero n, i multipli di n formano un ideale (n) di Z. Proposizione 2.3.11 Se I è un ideale e 1A ∈ I, allora I = A. Dimostrazione. Infatti ∀a ∈ A, a = a · 1A ∈ I. Proposizione 2.3.12 Un campo non possiede ideali propri. Dimostrazione. Siano K un campo e I 6= {0} un suo ideale. Sia x ∈ I, x 6= 0. Poichè in K esiste x−1 , per definizione di ideale x−1 x = 1 ∈ I, quindi K = I. Proposizione 2.3.13 Sia φ : A → A0 un omomorfismo di anelli. Il suo nucleo Ker(φ) = {x ∈ A | φ(x) = 0A0 } è un ideale di A. Dimostrazione. Sappiamo dalla teoria dei gruppi che Ker(φ) è un sottogruppo (normale) di A. Siano ora x ∈ Ker(φ) e a ∈ A: φ(ax) = φ(a) · φ(x) = φ(a) · 0A0 = 0A0 ⇒ ax ∈ Ker(φ). In modo analgo si prova che xa ∈ Ker(φ). 2.3. SOTTOANELLI E IDEALI 53 Corollario 2.3.14 Ogni omomorfismo di campi è iniettivo. Dimostrazione. Sia φ : K → K 0 un omomorfismo di campi. Poichè in particolare φ è un omomorfismo di gruppi, è sufficiente provare che Ker(φ) = {0}. Ma Ker(φ) è un ideale di K, quindi o è {0} o è K. Se fosse Ker(φ) = K avremmo in particolare φ(1K ) = 0K 0 , ma per definizione deve essere φ(1K ) = 1K 0 , quindi 1K 0 = 0K 0 . Poichè questo è impossibile, Ker(φ) = {0}. Osservazione 2.3.15 Si osservi che l’immagine di φ non è necessariamente un ideale di A0 : Si consideri ad esempio l’inclusione i : Z ,→ Q. L’immagine è Z stesso, che non è un ideale di Q. Proposizione 2.3.16 Sia φ : A → A0 un omomorfismo di anelli. i) L’immagine e la controimmagine di un sottoanello è un sottoanello; ii) la controimmagine di un ideale di A0 è un ideale di A; iii) se φ è suriettivo, l’immagine di un ideale di A è un ideale di A0 . Dimostrazione. i) Esercizio. ii) Sia I 0 un ideale di A0 . Sappiamo che φ−1 (I 0 ) è un sottogruppo di A. Siano x ∈ φ−1 (I 0 ), e a ∈ A, allora φ(ax) = φ(a)φ(x) ∈ I 0 in quanto φ(x) ∈ I 0 e φ(a) ∈ A0 . Quindi ax ∈ φ−1 (I 0 ). In modo analogo si prova che xa ∈ φ−1 (I 0 ), che quindi è un ideale di A. iii) Sia I un ideale di A. Sappiamo che φ(I) è un sottogruppo di A0 . Occorre provare che, per ogni x0 ∈ φ(I) e a0 ∈ A0 , a0 x0 ∈ φ(I). Per definizione esiste x ∈ I tale che φ(x) = x0 e poichè φ è suriettiva esiste a ∈ A tale che φ(a) = a0 . Allora ax ∈ I, perchè I è un ideale, e quindi φ(ax) = φ(a)φ(x) = a0 x0 ∈ φ(I) . In modo analogo si prova che x0 a0 ∈ φ(I), che quindi è un ideale di A0 . Osservazione 2.3.17 Si osservi che l’immagine di un ideale non è necessariamente un ideale se l’omomorfismo non è suriettivo. Ad esempio si consideri n 0 l’omomorfismo unitario µ : Z → M (2, Z) definita da n 7→ , allora 0 n 2 0 0 1 0 2 µ((2)) non è un ideale in quanto = 6∈ µ((2)). 0 2 1 1 2 2 Più semplicemente si consideri l’inclusione Z ,→ R. L’immagine dell’ideale (2) non è un ideale in R. Definizione 2.3.18 Siano A un anello e x ∈ A. Si dice ideale principale generato da x e lo si indica con il simbolo (x), il più piccolo ideale di A contenente x. Proposizione 2.3.19 Se A è un anello commutativo con unità e x ∈ A, (x) = {ax |a ∈ A}. Dimostrazione. Si ragiona come nel caso dei sottogruppi ciclici generati da un elemento, cioè si prova: i) {ax|a ∈ A} è un ideale di A; infatti ∀b, c ∈ A bx − cx = (b − c)x ∈ {ax|a ∈ A}, e c(bx) = (bx)c = (bc)x ∈ {ax|a ∈ A}. 54 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI ii) x = 1x ∈ {ax|a ∈ A}. iii) Ogni ideale I contenente x deve contenere tutti gli elementi del tipo ax, con a ∈ A, per definizione di ideale. Esempio 2.3.20 Nell’anello R[X] l’ideale principale generato da un poliomio α(X) è costituito da tutti i polinomi del tipo α(X)β(X). Ad esempio l’ideale generato dal polinomio X è costituito da tutti i polinomi divisibili per X, cioè aventi termine noto nullo. Definizione 2.3.21 Un anello è detto a ideali principali se ogni suo ideale è principale. Con la sigla PID viene indicato un dominio a ideali principali. Definizione 2.3.22 Un anello è detto noetheriano se ogni suo ideale è finitamente generato. Esempio 2.3.23 Z è un PID. Infatti ogni sottogruppo di Z è del tipo (n) ed è anche un ideale. Poichè ogni ideale è in particolare un sottogruppo, tutti gli ideali di Z sono di questo tipo. Esempio 2.3.24 Sia Z[X] l’anello dei polinomi a coefficienti in Z e sia I l’insieme dei polinomi con termine noto pari. E’ immediato verificare che I è un ideale: la differenza di due polinomi con termine noto pari ha termine noto pari e il prodotto di un polinomio qualsiasi per un polinomio con termine noto pari ha termine noto pari. Tuttavia non è principale: infatti X e 2 appartengono ad I, ma non sono multipli di uno stesso polinomio. Z[X] è un anello noetheriano: questo fatto è una conseguenza di un famoso teorema ( il Teorema della base di Hilbert) che afferma che, dato A anello commutativo con unità, se A è noetheriano, tale è anche l’anello dei polinomi A[X1 , . . . , Xn ]. Proposizione 2.3.25 Siano I e J due ideali di in anello A. Allora I ∩ J è un ideale di A. In generale l’intersezione di una famiglia qualsiasi di ideali è un ideale. Dimostrazione. Esercizio. Osservazione 2.3.26 Come nel caso dei sottoanelli l’unione insiemistica di due ideali I e J non è di solito un ideale. Si verifica facilmente che il più piccolo ideale che li contiene entrambi ( detto somma di i e di J ) ha la seguente struttura: I + J = {i + j | i ∈ I, j ∈ J }. Sappiamo che è il più piccolo sottogruppo che contiene I e J, è quindi sufficiente provare che è un ideale. Infatti, dati i + j ∈ I + J, e a ∈ A, si ha a(i + j) = ai + aj ∈ I +J, in quanto I e J sono ideali, e analogamente (i+j)a = ia+ja ∈ I +J. Ad esempio in Z, (4) + (6) = {4n + 6m} = (2), in generale (h) + (k) = (d), dove d è il massimo comun divisore di h e k. Definizione 2.3.27 Siano A un anello e S un suo sottoinsieme. Si dice ideale generato da S il più piccolo ideale di A contenente S. Coincide con l’intersezione di tutti gli ideali contenenti Se viene indicato con (S). 2.4. ANELLO QUOZIENTE E TEOREMA FONDAMENTALE 2.4 55 Anello quoziente e teorema fondamentale Dato un anello A e un suo ideale I, poichè I è in particolare un sottogruppo normale di A, +, possiamo considerarne i laterali I + a = {i + a | i ∈ I} i quali formano una partizione di A. Sappiamo inoltre che l’insieme A/I di tali laterali è un gruppo rispetto alla somma cosı̀ definita: (I + a) + (I + b) = I + a + b e la proiezione p : A → A/I è un omomorfismo di gruppi di nucleo I. Proviamo che su A/I si può definire un prodotto tale da renderlo un anello. Poniamo (I + a)(I + b) = I + ab Verifichiamo che la definizione è ben posta, cioè non dipende dal rappresentante scelto per i due laterali. Siano a0 = i + a ∈ I + a e b0 = j + b ∈ I + b occorre provare che I + ab = I + a0 b0 , cioè che ab e a0 b0 appartengono allo stesso laterale. Infatti: a0 b0 = (i + a)(j + b) = ij + ib + aj + ab ∈ I + ab in quanto ij + ib + aj ∈ I per definizione di ideale bilatero. Proposizione 2.4.1 Nelle condizioni precedenti A/I, rispetto alle operazioni di somma e di prodotto sopra definite è un anello, detto anello quoziente di A modulo l’ideale I. Inoltre la proiezione p : A → A/I è un omomorfismo di anelli. Dimostrazione. i) proprietà associativa del prodotto: ∀a, b, c ∈ A: ((I+a)(I+b))(I+c) = (I+ab)(I+c) = I+(ab)c = I+a(bc) = (I+a)(I+bc) = (I + a)((I + b)(I + c)) ii) proprietà distributive: ∀a, b, c ∈ A ((I + a) + (I + b))(I + c) = (I + a + b)(I + c) = I + (a + b)c = I + (ac + bc) = (I + ac)(I + bc) = ((I + a)(I + c)) + ((I + b)(I + c)) L’altra si prova in modo analogo. iii) p(ab) = I + ab = (I + a)(I + b) = p(a)p(b). Osservazione 2.4.2 Se A possiede unità 1A , il laterale I +1A è l’unità di A/I. Infatti (I + 1A )(I + a) = I + 1A a = I + a. Se A è commutativo anche A/I lo è. Esempio 2.4.3 L’anello quoziente Z/(n) è l’anello delle classi di resto modulo n. Esercizio 2.4.4 In R[X], si consideri l’ideale (X) dei polinomi con termine noto nullo. Verificare che la funzione φ : R[X]/(X) → R (X) + a 7→ a è un isomorfismo. 56 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Teorema 2.4.5 (Teorema fondamentale degli anelli) Sia f : A → A0 un omomorfismo di anelli di nucleo K e immagine Im(f ). Esiste un isomorfismo di anelli φ : A/K → Im(f ) tale che φ ◦ p = f . Dimostrazione. Sappiamo che esiste un isomorfismo di gruppi con tale proprietà, dafinito da φ(K + a) = f (a). E’ sufficiente verificare che φ è anche un morfismo di anelli. Infatti: φ[(K + a)(K + b)] = φ(K + ab) = f (ab) = f (a)f (b) = φ(K + a)φ(K + b) Inoltre, se A e A0 sono unitari, φ(1A/K ) = f (1A ) = 1A0 . Esempio 2.4.6 La funzione f : R[X] → R che ad ogni polinomio associa il termine noto è un omomorfismo suriettivo, che ha come nucleo l’ideale (X). Quindi ritroviamo l’isomorfismo φ : R[X]/(X) ' R. 2.5 Ideali primi e ideali massimali In questo paragrafo A indica un anello commutativo con unità. Definizione 2.5.1 Un ideale M di A è detto massimale se non è contenuto propriamente in nessun ideale proprio di A. Un ideale P è detto primo se ∀a, b ∈ A, ab ∈ P ⇒ a ∈ P oppure b ∈ P Esempio 2.5.2 Studiamo il caso di Z. Sappiamo che è un anello a ideali principali. Poichè −1 è invertibile, (n) = (−n), quindi ci si può limitare a considerare il caso n ≥ 0. Osserviamo inoltre che (h) ⊂ (k) se e solo se k è un divisore di h. Si ha che (0) è un ideale primo in quanto in Z, hk = 0 ⇔ o h = 0 o k = 0. Questo fatto vale in ogni dominio d’integrità. Fissato un numero primo p, l’ ideale (p) è primo. Infatti ab ∈ (p) ⇒ p|ab ⇒ (poichè p è primo), o p|a o p|b ⇒ o a ∈ (p) o b ∈ (p). Viceversa, fissato n 6= 0, se (n) è un ideale primo, allora n è un numero primo. Infatti, sia n = hk con h, k ≤ n, allora hk ∈ (n) ⇒ (poichè (n) ‘e primo, o h ∈ (n) o k ∈ (n)) ⇒ (o n|h, o n|k ) ⇒ (o h = n, o k = n, cioè n è un numero primo. In Z, dato p 6= 0, (p) è primo se e solo se (p) è massimale. Se (p) è primo, p è un numero primo, quindi, se (p) ⊂ (a), a|p e quindi o a = p o a = 1. Nel primo caso i due ideali coincidono, nel secondo (a) = Z, quindi (p) è massimale. Viceversa, sia (k) un ideale massimale, proviamo che k è un numero primo. Infatti, se a|k, con a 6= k, (k) è contenuto propriamente in (a) e quindi, poichè (k) è un ideale massimale, (a) = (1) = Z, cioè a = ±1. Proposizione 2.5.3 M è massimale ⇒ M è primo. 2.5. IDEALI PRIMI E IDEALI MASSIMALI 57 Dimostrazione. Siano a, b elementi di A tali che ab ∈ M e supponiamo che a 6∈ M . Allora I = (a) + M è un ideale che contiene propriamente M , quindi I = A, poichè M è massimale. Allora 1 ∈ I ed esistono x ∈ A e m ∈ M tali che 1 = xa + m. Moltiplicando per b si ottiene b = xab + mb , con xab ∈ M e mb ∈ M , quindi b ∈ M . Osservazione 2.5.4 L’implicazione inversa non vale in generale. Ad esempio si consideri A = R[X, Y ], l’anello dei polinomi in due variabili. I = (X) è un ideale primo (se X divide il prodotto di due polinomi, X divide almeno uno dei due), ma non è massimale, in quanto è contenuto propriamente ad esempio nell’ideale (X) + (Y ) 6= A. Proposizione 2.5.5 Siano A un anello commutativo con unità e I un suo ideale proprio. i) I è primo ⇔ A/I è un dominio d’integrità. ii) I è massimale ⇔ A/I è un campo. Dimostrazione. Sappiamo che A/I è commutativo e che I + 1 ne è l’unità. i) A/I è un dominio ⇔ (∀a, b ∈ A, se (I + a)(I + b) = I allora o I + a = I o I + b = I) ⇔ (∀a, b ∈ A, se I + ab = I allora o I + a = I o I + b = I) ⇔ (∀a, b ∈ A, se ab ∈ I o a ∈ I o b ∈ I) ⇔ I è un ideale primo. ii) Supponiamo che A/I sia un campo e proviamo che I non è contenuto propriamente in alcun ideale proprio. Sia I ⊂ M , I 6= M . Allora esiste un x ∈ M , x 6∈ I. Quindi I + (x) contiene propriamente I e il laterale I + x è diverso da I = 0A/I . Poichè per ipotesi A/I è un campo, il laterale non nullo I + x ha un inverso I + y e qindi (I + x)(I + y) = I + xy = I + 1. Ne segue che esiste i ∈ I tale che 1 = xy + i. Ma xy ∈ M perchè x ∈ M e i ∈ I ⊂ M , quindi 1 ∈ M , cioè M = A. Viceversa, supponiamo che I sia massimale: è sufficiente provare che ogni elemento non nullo di A/I possiede l’inverso. Sia quindi I + x 6= I un elemento non nullo di A/I. I + x 6= I ⇒ x 6∈ I ⇒ (x) + I ⊃ I, (x) + I 6= I ⇒ (x) + I = A ⇒ 1 ∈ (x)+I ⇒ ∃i ∈ I, ∃y ∈ A, 1 = xy+i ⇒ I +1 = I +xy = (I +x)(I +y) ⇒ I +y è l’inverso di I + x in A/I. Corollario 2.5.6 A è un dominio d’integrità se e solo se (0) è primo. Esempio 2.5.7 In Z[X], l’ideale (X) è primo, ma non massimale, in quanto Z[X]/(X) ' Z è un dominio, ma non un campo. In R[X] l’ideale (X) è massimale, in quanto R[X]/(X) ' R è un campo. Osservazione 2.5.8 Poichè ogni campo è un dominio d’integrità, la proposizione precedente fornisce un’altra dimostrazione del fatto che ogni ideale massimale è primo. Osservazione 2.5.9 In un anello ogni ideale è contenuto in un ideale massimale, ma la dimostrazione di questo fatto richiede l’applicazione del Lemma di 58 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Zorn. Sia infatti I un ideale di A e sia S l’insieme degli ideali propri che lo contengono. S non è vuoto in quanto contiene almeno I. Inoltre ogni catena ascendente diSideali di S, sia C1 ⊂ . . . ⊂ Cn . . ., è stazionaria in quanto si verifica che C = Ci è un ideale (esercizio). Il lemma di Zorn assicura allora che S contiene un elemento massimale. 2.6 Anelli di polinomi a coefficienti in un campo. Definizione 2.6.1 Sia A un anello commutativo con unità. Un polinomio a coefficienti in A in una indeterminata X è una scrittura formale p(X) = a0 + a1 X + a2 X 2 + . . . + ai X i + . . . , (2.4) con ai ∈ A e ai tutti nulli tranne un numero finito. Il massimo intero n tale che an 6= 0 è detto grado di p(X) e viene indicato con deg(p(X)) o con ∂p(X); an viene detto coefficiente direttivo. Usualmente si scrive p(X) = a0 + a1 X + a2 X 2 + . . . + an X n , omettendo i termini successivi. Un polinomio è detto monico se il suo coefficiente direttivo è 1. I polinomi costanti, cioè del tipo p(X) = a0 , hanno grado zero se a0 6= 0. Per convenzione il polinomio = 0 ha P grado −∞. Pnnullo p(X) m i Due polinomi p(X) = i=0 ai X e q(X) = i=0 bi X i sono uguali se hanno gli stessi coefficienti, cioè ai = bi , ∀i. L’insieme di tutti i polinomi a coefficienti in A è denotato con A[X]. In A[X] si possono definire Pn operazioni di somma Pm e di prodotto, ponendo, dati due polinomi p(X) = i=0 ai X i e q(X) = i=0 bi X i di gradi n e m rispettivamente, con m ≥ n, p(X) + q(X) = m X (ai + bi )X i (2.5) X (2.6) i=0 p(X) · q(X) = n+m X ( ai bj )X h h=0 i+j=h Si osservi che per i gradi valgono le relazioni: ∂(p(X) + q(X)) ≤ max(∂p(X), ∂q(X)), ∂(p(X)q(X)) ≤ ∂p(X) + ∂q(X) (2.7) Esercizio 2.6.2 Verificare che rispetto a tali operazioni A[X] è un anello commutativo con unità. Esercizio 2.6.3 Verificare che, se A è privo di divisori dello zero, vale l’uguaglianza ∂(p(X)q(X)) = ∂p(X) + ∂q(X). Proposizione 2.6.4 Se A è un dominio d’integrità, anche l’anello A[X] lo è. 2.6. ANELLI DI POLINOMI A COEFFICIENTI IN UN CAMPO. 59 Dimostrazione. E’ sufficiente provare che è privo di divisori dello zero. Siano Pn Pm p(X) = i=0 ai X i e q(X) = i=0 bi X i polinomi non nulli. Supponiamo che siano di gradi effettivamente n e m, cioè che an 6= 0 e bm 6= 0. Il coefficiente direttore del prodotto p(X)q(X) è dunque an bm , che è diverso da zero perchè in A non esistono divisori dello zero. Quindi p(X)q(X) non è il polinomio nullo. D’ora in poi studieremo polinomi a coefficienti in un campo K e vedremo che K[X] gode di proprietà simili a quelle dell’anello Z. Corollario 2.6.5 Se K è un campo, K[X] è un dominio d’integrità. Proposizione 2.6.6 Gli elementi invertibili in K[X] sono le costanti non nulle. Pn Pm Dimostrazione. Siano p(X) = i=0 ai X i un polinomio e q(X) = i=0 bi X i il suo inverso. Supponiamo che siano di gradi effettivamente n e m, cioè che an 6= 0 e bm 6= 0. Allora si ha l’uguaglianza di polinomi 1 = p(X)q(X), da cui seguono le uguaglianze in K dei coefficienti: a0 b0 = 1 a0 b1 + a1 b0 = 0 ... an bm = 0 Poichè an e bm sono elementi non nulli di un campo, il loro prodotto non può essere 0, quindi necessariamente, n = m = 0 e a0 b0 = 1, cioè il polinomio p(X) è costante non nullo. Riportiamo alcune proprietà la cui dimostrazione è già stata vista nel corso di Matematica Discreta. Teorema 2.6.7 Siano f (X), g(X) ∈ K[X] due polinomi, g(X) 6= 0. Allora esistono, e sono univocamente determinati, due polinomi q(X) e r(X) in K[X] tali che f (X) = q(X)g(X) + r(X), ∂r(X) < ∂g(X), oppure r(X) = 0 (2.8) Definizione 2.6.8 Si dice che un polinomio g(X) divide un polinimio f (X) ( e si scrive g(X)|f (X) ) se esiste un polinomio q(X) tale che f (X) = q(X)g(X). Definizione 2.6.9 Siano f (X), g(X) ∈ K[X] due polinomi non nulli. Si definisce massimo comun divisore di f (X) e g(X) un polinomio d(X) tale che (a) d(X)|f (X), d(X)|g(X), (b) se d0 (X)|f (X) e d0 (X)|g(X), allora d0 (X)|d(X). Procedendo come nel caso dei numeri interi, mediante l’algoritmo di Euclide delle divisioni successive, si trova un massimo comun divisore di due polinomi. Esiste un unico massimo comun divisore monico, che viene indicato con 60 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI MCD(f (X), g(X)) o con (f (X), g(X)), gli altri si trovano da questo moltiplicandolo per una costante non nulla. Due polinomi si dicono coprimi se il loro MCD monico è 1. Anche in questo caso si può scrivere l’identità di Bézout: dati f (X) e g(X), esistono due polinomi h(X) e k(X) tali che (f (X), g(X)) = h(X)f (X) + k(X)g(X). Esempio 2.6.10 In R[X] si considerino i polinomi f (X) = X 4 + X 3 + 2X 2 + X + 1 e g(X) = X 3 − 1. Applichiamo l’algoritmo di Euclide: f (X) g(X) (X + 1)g(X) + (2X 2 + 2X + 2) 1 1 = ( X − )(2X 2 + 2X + 2) 2 2 = quindi un massimo comun divisore è 2X 2 + 2X + 2 oppure X 2 + X + 1. L’identità di Bézout si scrive allora 1 1 f (X) − (X + 1)g(X). 2 2 Definizione 2.6.11 Due polinomi f (X), g(X) ∈ K[X[ sono detti associati se esiste una costante a 6= 0 in K tale che f (X) = g(X) · a. X2 + X + 1 = Definizione 2.6.12 Un polinomio non costante si dice irriducibile se ha come unici divisori le costanti non nulle e i suoi associati (che sono detti divisori impropri del polinomio dato) . Osservazione 2.6.13 Le definizioni precedenti possono essere generalizzate al caso di polinomi a coefficienti in un anello qualsiasi A: due polinomi saranno detti associati se differiscono per un elemento invertibile di A. Ne segue che ad esempio in Z[X] i polinomi f (X) = X − 1 e g(X) = 2X − 2 non sono associati e g(X) è riducibile, avendo come fattori propri 2 e X − 1. Proposizione 2.6.14 Sia f (X) ∈ K[X] un polinomio irriducibile. Se f (X) divide un prodotto di polinomi, divide uno dei fattori. Dimostrazione. Supponiamo che f (X)|a(X)b(X) e che f (X) 6 |a(X). Allora necessariamente f (X) e a(X) sono coprimi, quindi esistono due polinomi r(X) e s(X) tale che valga l’identità di Bézout 1 = r(X)f (X) + s(X)a(X), da cui, moltiplicando entrambi i membri per b(X), si ottiene b(X) = b(X)r(X)f (X) + a(X)b(X)s(X). Poichè f (X) divide entrambi gli addendi del secondo membro, deve dividere anche b(X). Teorema 2.6.15 (Teorema di fattorizzazione unica) Ogni polinomio f (X) di grado ≥ 1 in K[X] si fattorizza in un prodotto di polinomi irriducibili. tale fattorizzazione è unica nel senso che se f (X) = p1 (X) . . . ps (X) = q1 (X) . . . qt (X) sono due diverse fattorizzazioni in fattori irriducibili, allora s = t ed esiste una corrispondenza biunivoca tra gli insiemi {pi (X)} e {qj (X)} tale che polinomi corrispondenti sono associati. 2.6. ANELLI DI POLINOMI A COEFFICIENTI IN UN CAMPO. 61 Definizione 2.6.16 Sia f (X) ∈ K[X]. Un elemento a ∈ K tale che f (a) = 0 si dice radice o zero di f (X). Teorema 2.6.17 (Teorema di Ruffini) Se f (X) ∈ K[X] e a è una sua radice, allora (X − a)|f (X). Definizione 2.6.18 Una radice a di un polinomio f (X) è detta semplice se (X − a)|f (X), ma (X − a)2 non divide f (X). Si dice molteplicità della radice a il massimo intero m tale che (X − a)m |f (X). Proposizione 2.6.19 Un polinomio non nullo f (X) ∈ K[X] di grado n ha al più n radici in K, contate con la loro molteplicità. Per quanto riguarda il problema di stabilire la riducibilità o la irriducibilità di un polinomio a coefficienti in uno dei campi numerici noti, ricordiamo i seguenti risultati. A) In C vale il famoso teorema: Teorema 2.6.20 (Teorema fondamentale dell’algebra) Ogni polinomio in una indeterminata a coefficienti in C di grado ≥ 1 ha una radice in C. Osservazione 2.6.21 Il teorema fondamentale potrebbe essere formulato in modo equivalente asserendo che i soli polinomi irriducibili di C[X] sono i polinomi di grado 1, e quindi che ogni polinomio a coefficienti in C si spezza nel prodotto di fattori lineari. Tuttavia il teorema non fornisce alcun metodo per effettuare esplicitamente tale spezzamento. Per i polinomi di grado d = 2, 3, 4 esistono formule esplicite per il calcolo delle radici, invece non ne esiste alcuna per d ≥ 5: esiste un polinomio di grado 5 le cui radici non possono essere descritte prendendo i coefficienti ed operando su di essi con somma, prodotto ed estrazione di radice (questo famoso teorema è dovuto ad Abel e Ruffini). B) Anche in R vale un risultato teorico che fornisce una limitazione per il grado dei polinomi irriducibili: Teorema 2.6.22 Sono irriducibili in R[X] tutti e soli i polinomi dei seguenti tipi: 1) polinomi di primo grado, 2) aX 2 + bX + c con b2 − 4ac < 0. La dimostrazione di questo fatto è conseguenza del Teorema fonadamentale dell’algebra. C) Per quanto riguarda il campo dei numeri razionali, ci si pu limitare a considerare polinomi a coefficienti in Z in quanto vale il seguente 62 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Teorema 2.6.23 (Lemma di Gauss) Se il polinomio f (X) ∈ Z[X] si può fattorizzare in Q[X] nel prodotto di due polinomi, allora tali polinomi possono essere scelti a coefficienti interi. Teorema 2.6.24 Sia f (X) = a0 +a1 X+a2 X 2 +. . .+an X n ∈ Z[X], con an 6= 0. Se f (X) ha una radice razionale, ne ha una della forma rs , dove r|a0 , s|an . Teorema 2.6.25 (Criterio di irriducibilità di Eisenstein) Sia f (X) = a0 + a1 X + a2 X 2 + . . . + an X n ∈ Z[X] un polinomio monico. Se esiste un numero primo p tale che p|a0 , . . . , p|an−1 , ma p 6 |an e p2 6 |a0 , allora f (X) è irriducibile in Q[X] (o, equivalentemente, in Z[X]. Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che f (X) sia riducibile; per il lemma di Gauss i polinomi che lo fattorizzano possono essere scelti a coefficienti interi e quindi della forma: b0 + b1 X + b2 X 2 + . . . + bm X m c0 + c1 X + c2 X 2 + . . . + ck X k con bi , ci ∈ Z e m, k < n. L’uguaglianza di polinomi a0 + a1 X + a2 X 2 + . . . + an X n = (b0 + b1 X + b2 X 2 + . . . + bm X m )(c0 + c1 X + c2 X 2 + . . . + ck X k ) induce le uguaglianze tra i coefficienti: ao a1 ... ak ... an = b0 c0 = b0 c1 + b1 c0 ... = bk c0 + . . . + b1 ck−1 + b0 ck ... = bm ck Poichè p|a0 , ma p2 6 |a0 , si avrà che p divide uno solo fra b0 e c0 , per esempio p|c0 , ma p 6 |b0 . Dalla seconda uguglianza, poichè p|c0 e p|a1 segue che p|c1 b0 e quindi che p|c1 , in quanto p 6 |b0 . Procedendo in questo modo si ottiene che p|c0 , . . . , p|ck−1 . Per quanto riguarda il k-mo termine, abbiamo che p|ak , p|c1 , . . . , p|ck−1 ma p 6 |ck in quanto p 6 |an e an = bm ck . Quindi p dovrebbe dividere anche b0 , contro l’ipotesi fatta. Esempio 2.6.26 X n ± p è irriducibile in Q[X], se p è un numero primo. 2.7. ESTENSIONI DI CAMPI 2.7 63 Estensioni di campi Definizione 2.7.1 Sia K un campo. Si dice sua estensione ogni campo F che lo contiene. Esaminiamo una costruzione che consente di ottenere estensioni in cui polinomi a coefficienti in K e irriducibili in K[X] ammettono radici. Proposizione 2.7.2 K[X] è un anello a ideali principali. Dimostrazione. Sia I 6= (0) un ideale di K[X] e sia b(X) un polinomio non nullo di grado minimo contenuto in I. Proviamo che I è l’ideale principale generato da b(X). Ovviamente (b(X)) ⊆ I. Sia a(X) ∈ I. Effettuando la divisione si trovano due polinomi q(X) e r(X) con ∂r(X) < ∂b(X) tali che a(X) = q(X)b(X) + r(X). Poihè a(X) ∈ I e q(x)b(X) ∈ (b(X)) ⊆ I, se ne deduce che r(X) ∈ I. Poichè il grado di b(X) è il minimo per i polinomi di I, necessariamente r(X) = 0 e quindi a(X) ∈ (b(X)). Proposizione 2.7.3 Se p(X) ∈ K[X] è un polinomio irriducibile, allora F = K[X]/(p(X)) è un campo. Dimostrazione. Poniamo per brevità (p(X)) = I. Sappiamo che K[X] è un anello commutativo con unità. Si tratta quindi di provare l’esistenza degli inversi. A tale scopo, sia I + a(X) 6= I un elemento non nullo di K[X]. Allora a(X) 6∈ I e quindi p(X) non divide a(X). Poichè p(X) è irriducibile per ipotesi, ne segue che 1 è massimo comun divisore di a(X) e di p(X) e quindi, ricordando l’identità di Bézout, esistono due polinomi s(X) e t(X) tali che 1 = s(X)a(X) + t(X)p(X). Poichè t(X)p(X) ∈ I, ne deriva I + 1 = I + s(X)a(X) = (I + s(X))(I + a(X)). Si conclude che I + s(X) è l’inverso di I + a(X) in K[X]/I. Osservazione 2.7.4 Osserviamo che si ha un’immersione ovvia K → F definita da a 7→ I + a. Identificando K con la sua immagine, F diventa un’estensione di K. Analogamente si ha un’inclusione naturale di anelli K[X] → F[X]. Proposizione 2.7.5 Nelle notazioni precedenti il polinomio p(X), pensato come elemento di F[X], ha una radice in F, precisamente il laterale (p(X)) + X. Pn Dimostrazione. Sia p(X) = i=0 bi X i ∈ K[X] e poniamo come prima (p(X)) = I. Denotata ancora con p(X) la sua immagine in F[X], con l’identificazione a 7→ I + a sopra indicata, valutiamolo assegnado alla variabile il valore I + X: Pn Pn Pn p(I + X) = i=0 (I + bi )(I + X)i = i=0 (I + bi )(I + X i ) = I + i=0 bi X i = I + p(X) = I in quanto p(X) ∈ I = (p(X)). 64 CAPITOLO 2. ANELLI E CAMPI Osservazione 2.7.6 Abbiamo cosı̀ costruito un’estensione di K in cui il polinomio p(X) ammette una radice. Si dimostra (ma questo argomento sarà trattato nei successivi corsi di Algebra), che è possibile costruire un campo in cui p(X) ha n radici (campo di spezzamento di p(X)). Osserviamo inoltre che ogni elemento di F ha un rappresentante del tipo I + α(X), dove α(X) è un polinomio di grado minore di p(X). Infatti, se β(X) è un qualsiasi rappresentante di tale laterale, dividendo β(X) per p(X) si ottiene β(X) = q(X)p(X) + α(X) con ∂α(X) < ∂p(X). D’altra parte I + β(X) = I + q(X)p(X) + α(X) = I + α(X). Quindi, se ∂p(X) = n, ogni elemento di F può essere scritto nella forma I + a0 + a1 X + . . . + an−1 X n−1 e quindi F è uno spazio vettoriale di dimensione n su K. Tale n viene anche detto grado dell’estensione. Esempio 2.7.7 Assumiamo K = Q e p(X) = X 2 − 2. sappiamo che X 2 − 2 è irriducibile in Q[X]. Allora F = Q[X]/(X 2 − 2) è un’estensione di grado 2 di Q, il cui elemento generico è del tipo I + a + bX (avendo come al solito posto (X 2 − 2) = I). √ √ Abbiamo visto che Q[ 2] = {a + 2b | a, b ∈ Q} è un campo. Si verifichi che la funzione √ Q[X]/(X 2 − 2) → Q[ 2] √ I + a + bX 7→ a + 2b è un isomorfismo di campi. Esempio 2.7.8 Analogamente si prova che, assumendo K = R e p(X) = X 2 + 1, il campo F = R[X]/(X 2 + 1) è un’estensione di grado 2 di R, il cui elemento generico è del tipo I +√a + bX (avendo come al solito posto (X 2 + 1) = I). In questo caso, ponendo −1 = i, e ricordando che C = {a + ib | a, b ∈ R}, si ha l’ isomorfismo R[X]/(X 2 + 1) → C I + a + bX 7→ a + ib Capitolo 3 Appendici 3.1 Gruppi abeliani liberi Sia G, + un gruppo abeliano. Se X ⊂ G, il sottogruppo < X > generato da X è l’insieme di tutte le combinazioni lineari n1 x1 + . . . + nk xk , ni ∈ Z, xi ∈ X . Infatti tali combinazioni lineari formano un sottogruppo di G che contiene X e ogni altro sottogruppo contenente X deve contenere tutte le combinazioni lineari dei suoi elementi. Si dice base di G un sottoinsieme X tale che: i) G =< X >, P ii) se x1 , . . . , xn sono elementi distinti di X e nixi = 0, allora ni = 0, ∀i. Come per gli spazi vettoriali, se esiste una base, la scrittura di ogni elemento come combinazione lineare di elementi Pk della base è unica. Infatti se n1 x1 + . . . + nk xk = m1 x1 + . . . + mk xk allora i=1 (ni − mi )xi = 0 e quindi ni = mi , ∀i. Un insieme di elementi di G per cui valga la ii) è detto lineramente indipendente. Teorema 3.1.1 Sia F, + un gruppo abeliano. Le seguenti condizioni sono equivalenti: 1) F ha una base non vuota, 2) F è somma diretta di una famiglia di gruppi ciclici infiniti, 3) F è isomorfo a una somma diretta di copie di Z, Definizione 3.1.2 Un gruppo abeliano F soddisfacente le condizioni del teorema ?? è detto gruppo abeliano libero (sull’insieme X). Premettiamo il seguente lemma Lemma 3.1.3 Siano G, + un gruppo abeliano, {Ni }i∈I una famiglia di sottogruppi tali S che: i) G =< Ni >, S ii) per ogni P k ∈ I, Nk ∩ < i6=k Ni >= {0}. Allora G ' i∈I Ni . 65 66 CAPITOLO 3. APPENDICI P Dimostrazione del lemma. P Definiamo un omomorfismo f : i∈I Ni → G ponendo f (n) = f ((ni )i∈I ) = ni (si tratta di una somma finita per definizione di somma diretta di gruppi). E’immediato verificare che f è un omomorfismo suriettivo. E’ anche iniettivo in quanto se f (n) = ni1 + . . . + nik = 0, S nik = −(n1 + . . . + nk−1 ) ∈ Nik ∩ < j6=ik Nj > dunque nik = 0. In modo analogo si prova che anche le altre componenti devono essere nulle. Dimostrazione del teorema.1) ⇒ 2) Se X è una base di F , per ogni x ∈ X, nx = 0S ⇔ n = 0. Perciò il sottogruppo < x > è ciclico S infinito. Inoltre F =< x∈X < x >>. Se per qualche z ∈ X, < z > ∩ < x6=z < x >>6= {0}, allora per qualche n ∈ Z, nz = n1 x1 + . . . + nk xk con z, x1 , . . . , xk distinti: questo contraddice la definizione di base. Quindi P i gruppi ciclici < x > si intersecano soltanto nello 0 e quindi, per ??, F = x∈X < x >. 2) ⇒ 3) Immediato poichè ogni gruppo ciclico infinito è isomorfo a Z. P 3) ⇒ 1) Sia F ' x∈X Z. Per ogni x ∈ X sia θx l’elemento della somma diretta composto da tutti zeri tranne un 1 al posto x, Allora {θx | x ∈ X } è una base P di x∈x Z e mediante l’isomorfismo si ottiene una base di F . Teorema 3.1.4 Sia F un gruppo abeliano libero e Xuna sua base. Allora, dati un gruppo abeliano G e una funzione f : X → G, esiste un unico omomorfismo di gruppi f : F → G tale che f i = f . Dimostrazione. Sia i : X → F l’inclusione. Dati ora una gruppo abeliano G e una funzione f : X → G, poichè ogni elemento u ∈PF si scrive in modo unico come u = n1 x1 + . . . + nk xk , basta porre f (u) = ni f (xi ). Si verifica immediatamente che è un omomorfismo e che f i = f . Se ora g : F → G è un altro omomorfismo tale che gi = F , allora ∀x ∈ X g(x) = f (x) e quindi, per linearità, f = g. Osservazione 3.1.5 Si prova, come nel caso degli spazi vettoriali, che due basi di un gruppo abeliano libero F hanno la stessa cardinalità. Se è finita viene detta rango di F . Tuttavia, a differenza di quanto succede negli spazi vettoriali, se il rango è k non necessariamente un insieme di k elementi linearmente indipendenti forma una base di F : ad esempio in Z, gruppo libero di rango 1, ogni intero non nullo n è linearmente indipendente, in quanto sn = 0 ⇒ s = 0, ma soltanto 1 o −1 sono generatori. Teorema 3.1.6 Ogni gruppo abeliano G è immagine omomorfa di un gruppo abeliano libero. P Dimostrazione. Sia X un insieme di generatori di G e sia F = x∈X Z. L’inclusione i : X ,→ G induce un omomorfismo j : F → G che è suriettivo perchè X genera G. K = ker(j) è un sottogruppo normale di F e G ' F/K. Vale il seguente teorema di classificazione (che non dimostriamo). Teorema 3.1.7 Ogni gruppo abeliano finitamente generato G è isomorfo ad una somma diretta finita di gruppi ciclici, ciascuno dei quali è o infinito o ha ordine una potenza di un numero primo, cioè 3.2. GRUPPI LIBERI 67 L L L G ' Zp1 s1 . . . Zpk sk F dove i pi sono numeri primi non necessariamente distinti e F è un gruppo abeliano libero. 3.2 Gruppi liberi Dato un gruppo G, · e un suo sottoinsieme X, abbiamo indicato con < X > il più piccolo sottogruppo di G che contiene X e abbiamo visto che coincide con l’intersezione di tutti i sottogruppi di G che contengono X. Se < X >= G diciamo che X è un insieme di generatori per G. Si può sempre trovare un insieme di generatori per un gruppo, al più assumendo X = G. Un gruppo G è detto finitamente generato se ha un insieme finito di generatori. Nel caso speciale in cui X sia costituito da un solo elemento a, G è ciclico e quindi, per quanto visto, è isomorfo o a Z o a Zn per qualche n. In particolare è abeliano. Vorremmo studiare il caso non ciclico. Sia X un insieme. Vogliamo definire un gruppo F , che sarà detto gruppo libero sull’insieme X. Se X = ∅ si pone F = {1}. Se X 6= ∅, per ogni x ∈ X consideriamo un simbolo x−1 e sia X −1 il loro insieme. Consideriamo poi un altro elemento che indicheremo con 1: Definizione 3.2.1 Una parola su X è una successione (a1 , a2 , . . .) dove ai ∈ X ∪ X −1 ∪ {1}, tale che per qualche n > 0 sia ak = 1, ∀k ≥ n. La successione (1, 1, . . .) è detta parola vuota ed è denotata con 1. Una parola è detta ridotta se i) ∀x ∈ X, x e x−1 non sono adiacenti, ii) ak = 1 implica che ai = 1 ∀i ≥ k. Una parola ridotta è quindi della forma (xλ1 1 , . . . , xλnn , 1, 1, . . .) con λi = ±1, xi ∈ X . Indicheremo tale parola con xλ1 1 . . . xλnn . Da una parola qualsiasi se ne può ottenere una ridotta, cancellando dalla successione tutti gli 1 interni, le coppie consecutive x, x−1 o x−1 , x e reiterando il procedimento finchè è possibile. Sia F l’insieme di tutte le parole ridotte. definiamo su F un’operazione ponendo: 1w = w1 = w ∀w ∈ F , (xλ1 1 . . . xλnn )(y1δ1 . . . ynδn ) = xλ1 1 . . . xλnn y1δ1 . . . ynδn (modulo riduzione) cioè si giustappongono le parole e si riduce la parola risultante. Si prova il seguente Teorema 3.2.2 F è un gruppo rispetto all’operazione sopra definita e F =< X >. 68 CAPITOLO 3. APPENDICI Osservazione 3.2.3 1) Se |X| ≥ 2 il gruppo libero non è abeliano. 2) Se X = {a}, allora F è il gruppo ciclico infinito generato da a. 3) Ogni elemento di F , tranne 1, ha ordine infinito. Osservazione 3.2.4 Se G =< g > è un gruppo ciclico e H è un gruppo qualsiasi, un omomorfismo f : G → H è completamente determinato assegnando l’immagine del generatore: infatti f (g n ) = (f (g))n per ogni n ∈ Z. Per i gruppi liberi vale una proprietà analoga. Teorema 3.2.5 Sia F il gruppo libero su un insieme X e sia i : X → F l’inclusione. Se G è un gruppo e f : X → G una funzione, esiste un unico omomorfismo di gruppi f : F → G tale che f i = f . Dimostrazione. Poniamo f (xλ1 1 . . . xλnn ) = f (x1 )λ1 f (xn )λn . Si verifica immediatamente che è l’omomorfismo richiesto e che è unico. Corollario 3.2.6 Ogni gruppo G è l’immagine omomorfa di un gruppo libero. Dimostrazione. Sia X un insieme di generatori di G e sia F il gruppo libero su X. Allora l’inclusione X ,→ G induce un omomorfismo f : F → G, che è suriettivo perchè X genera G. Quindi, detto N il nucleo, G ' F/N . Osservazione 3.2.7 Nelle notazioni precedenti, gli elementi di N sono detti relazioni tra i generatori di G. Quindi per descrivere un gruppo G occorre conoscere X = insieme di generatori di G e Y = insieme di relazioni che generano il nucleo N . Si scrive allora G =< X|Y > e si dice che questa è una presentazione di G. Esempio 3.2.8 Sia X = {a, b}, allora il gruppo libero generato da X è F =< a, b >= {an1 bk1 . . . anr bkr | ni , ki ∈ Z}, non abeliano. Imponendo la relazione aba−1 b−1 si ottiene il gruppo abeliano libero generato da a, b, cioè < a, b| aba−1 b−1 > ' Z × Z. Infatti ba = (aba−1 b−1 )ba = aba−1 b−1 ba = aba−1 a = ab. 3.3. ANELLI SPECIALI 3.3 69 Anelli Speciali In questo paragrafo, salvo avviso contrario, si considerano domini d’integrità. Vi si possono definire concetti simili a quelli visti per gli interi e i polinomi Definizione 3.3.1 Sia A un dominio d’integrità e siano a, b, c suoi elementi. Ricordiamo le seguenti definizioni: • a è invertibile ( o unità) se esiste b tale che ab = 1; • a divide b (a|b) se ∃c ∈ A tale che b = ac; • a è associato a b (a ∼ b) se a|b e b|a o equivalentemente se differiscono per un fattore invertibile; • a 6= 0 e non invertibile è irriducibile se [a = bc ⇒ b o c è invertibile]; • a è primo se [a|bc ⇒ a|b o a|c] o equivalentemente se l’ideale (a) è primo. • un M.C.D. di due elementi a e b, se esiste, è un elemento d tale che i) d|a e d|b, ii) se c|a e c|b allora c|d. Vogliamo vedere se e come le proprietà valide in Z e in K[X] si conservano anche nel caso generale, Ad esempio i concetti di elemento primo e di elemento irriducibile in Z e in K[X] coincidono, ma questo non ‘e sempre vero in un dominio qualsiasi. Proposizione 3.3.2 Ogni elemento primo è irriducibile. Dimostrazione. Se a è primo e a = bc, allora a divide uno dei due fattori, per esempio a|b. D’altra parte b|a, quindi a e b sono associati e quindi necessariamente c è invertibile. Esempio 3.3.3 L’implicazione precedente non si inverte sempre. Si consideri √ √ = {a + b −3 | a, b ∈ Z} ⊂ C. √ ad esempio l’anello Z[ −3] √ √ Si verifica che α = 1 − −3 è irriducibile. Se α = (a + b −3)(c + d −3), si consideri la norma di entrambi i membri (ricordiamo che la norma di un numero complesso z è per definizione N (z) = zz). Si ottiene 4 = (a2 + 3b2 )(c2 + 3d2 ), da cui si ricava, poichè l’equazione a2 + 3b2 = 2 non ha soluzioni intere, che (ad esempio) a2 + 3b2 = 1 e c2 + 3d2 = 4. Ma la prima di queste due equazioni ha come sole soluzioni a = ±1, b = 0 e quindi uno dei due fattori è invertibile. D’altra parte dalla relazione √ √ (1 + −3)(1 − −3) = 2 · 2 √ si√deduce che α non è primo, in quanto α non divide 2 (se fosse 2 = (1− −3)(a+ si avrebbe 4 = 4(a2 + 3b2 ), da b −3) per qualche a, b ∈ Z, passando alle norme √ cui a2 + 3b2 = 1, cioè necessariamente a + b −3 = ±1 e quindi invertibile). Si deduce inoltre che 4 non ammette una fattorizzazione unica in fattori irriducibili. 70 CAPITOLO 3. APPENDICI Definizione 3.3.4 Un dominio d’integrità è detto dominio a fattorizzazione unica (U.F.D.) se ogni elemento non nullo e non invertibile può essere scritto come prodotto di fattori irriducibili e inoltre tale fattorizzazione è unica a meno dell’ordine dei fattori e a meno di fattori invertibili. Proposizione 3.3.5 In un U.F.D. ogni elemento irriducibile è primo. Dimostrazione. Sia a un elemento irriducibile tale che a|bc, cioè sia bc = ad. Decomponendo in fattori irriducibili entrambi i membri otteniamo: b1 . . . bh c1 . . . ck = ad1 . . . dl . Per l’unicità della decomposizione a è associato a un bi oppure a un ci e quindi a divide b oppure divide c. Proposizione 3.3.6 In un P.I.D. ogni elemento irriducibile è primo. Dimostrazione. Sia a un elemento irriducibile. L’ideale (a) è massimale, in quanto, se fosse contenuto propriamente in un altro ideale (c), c sarebbe un fattore proprio di a. Ma ogni ideale massimale è primo, quindi (a) è primo. Esercizio 3.3.7 Si provi che in un U.F.D. esiste un M.C.D. di ogni coppia di elementi non nulli e non invertibili. Vale la seguente proprietà, di cui non diamo la dimostrazione: Proposizione 3.3.8 Se A è un U.F.D., anche l’anello dei polinomi A[X1 , . . . , Xn ] lo è. Teorema 3.3.9 Ogni dominio a ideali principali (P.I.D.) è un U.F.D. Dimostrazione . Si prova dapprima il seguente Lemma 3.3.10 Se A è un P.I.D. e (a1 ) ⊂ (a2 ) ⊂ . . . è una catena ascendente di ideali, allora è stazionaria, cioè esiste un n tale che (ai ) = (an ) per ogni i ≥ n. S Dimostrazione del lemma. Sia I = i≥1 (ai ). Verificare che I è un ideale (esercizio). Per ipotesi I deve essere principale, cioè I = (a). Poichè a ∈ I, a ∈ (an ) per qualche n, quindi (a) ⊂ (an ) ⊂ (aj ) ⊂ I = (a), quindi (aj ) = (an ) per j ≥ n. Torniamo alla dimostrazione del teorema. Sia A un P.I.D. e sia S l’insieme degli elementi non nulli e non unitari che non possono essere fattorizzati in un prodotto finito di elementi irriducibili. Si prova che S è vuoto. Supponiamo che S contenga un elemento a, detto (c) un ideale massimale che contiene (a), c è necessariamente irriducibile e c|a. Quindi per ogni elemento a ∈ S possiamo scegliere un suo divisore irriducibile ca e un elemento (univocamente determinato) xa ∈ A tale che ca xa = a. Osserviamo che xa deve appartenere ad S: infatti non può essere invertibile, altrimenti a sarebbe irriducibile, nè 3.3. ANELLI SPECIALI 71 appartenere al complementare di S, perchè allora avrebbe una fattorizzazione in elementi irriducibili e quindi anche a ne avrebbe una. Quindi xa ∈ S. Inoltre L’inclusione (a) ⊂ (xa ) è propria: infatti se fosse (a) = (xa ) avremmo che xa = ay per qualche y ∈ A e quindi a = xa ca = ayca , da cui segue 1 = yca e questo contraddice il fatto che ca è irriducibile. Per quanto visto possiamo allora definire una funzione f : S → S data da f (a) = xa . Per ricorsione possiamo definire una funzione φ : N → S ponendo: φ(0) = a, φ(n + 1) = f (φ(n)) = xφ(n) , n ≥ 0. Se indichiamo φ(n) con an , abbiamo una successione di elementi di S tale che ciascuno è un fattore proprio del precedente a1 = xa , a2 = xa1 , . . . , an+1 = xan , . . . e quindi si ha una catena ascendente di ideali non stazionaria (a) ⊂ (a1 ) ⊂ (a2 ) ⊂ . . . ma questo contraddice il lemma precedente. Pertanto S deve essere vuoto e quindi ogni elemento non nullo e non invertibile ha una fattorizzazione in un prodotto finito di elementi irriducibili. Infine, se a = c1 c2 · · · cn = d1 d2 · · · dm sono due diverse fattorizzazioni con ci , dj irriducibili e quindi primi, ogni ci deve essere associato a qualche dj . L’unicità segue allora come nel caso di Z. Osservazione 3.3.11 Segue dal teorema precedente che anche in un P.I.D. esiste un M.C.D. per ogni coppia di elementi non nulli e non invertibili. Inoltre in questo caso si ha una generalizzazione dell’identità di Bèzout. Infatti un M.C.D. di a e di b è un generatore d dell’ideale (a) + (b) e quindi si ha una relazione del tipo d = ax + by con a, b ∈ A. Osserviamo tuttavia che in generale in un P.I.D. non esiste un algoritmo di calcolo che consenta di trovare un M.C.D.: bisogna passare ad una categoria più ristretta di anelli. Definizione 3.3.12 Un dominio d’integrità D è detto dominio euclideo se esiste una funzione v : D − {0} → N (detta valutazione), tale che a) v(a) ≤ v(ab) ∀a, b ∈ D − {0}, b) dati comunque due elementi a, b ∈ D, b 6= 0, esistono q, r ∈ D tali che a = qb + r, con r = 0 oppure v(r) < v(b). Esempio 3.3.13 L’anello degli interi di Gauss Z[i] è un dominio euclideo rispetto alla valutazione cosı̀ definita: v(a + ib) = a2 + b2 . Si lascia per esercizio la verifica che si tratta di una valutazione (cioè vale a)). Siano z1 = a + ib, z2 = c + id 6= 0 due elementi di Z[i]. Pensandoli in Q[i] possiamo scrivere: (c + id)−1 = c − id c2 + d2 72 CAPITOLO 3. APPENDICI Allora z1 z2−1 = (a + ib) · ac + bd bc − ad c − id = 2 +i 2 . c2 + d2 c + d2 c + d2 Ogni numero razionale si può scrivere come un intero più una frazione di valore assoluto minore o uguale ad 1/2, quindi z1 z2−1 = α + r2 r1 r2 r1 + i(β + 2 ) = α + iβ + ( 2 +i 2 ), c2 + d2 c + d2 c + d2 c + d2 r2 1 dove α + iβ ∈ Z[i] e c2r+d 2 e c2 +d2 hanno modulo ≤ 1/2. Moltiplicando per z2 si ottiene r1 r2 z1 = (α + iβ)z2 + ( 2 +i 2 )z2 2 c +d c + d2 Questa è una relazione del tipo z1 = z2 q + r, con r2 r1 +i 2 )z2 . r=( 2 2 c +d c + d2 r ∈ Z[i], in quanto differenza di due elementi di Z[i]. Resta da provare che v(r) = 0 oppure v(r) < v(z2 ). Infatti v(r) r2 1 = v( c2r+d 2 + i c2 +d2 )v(z2 ) r1 2 2 2 = [( c2 +d2 ) + ( c2r+d 2 ) ]v(z2 ) 1 ≤ 2 v(z2 ) < v(z2 ) Osservazione 3.3.14 Si prova, come nel caso di Z e di K[X], che ogni dominio euclideo è un anello a ideali principali: un ideale I è generato da un suo elemento di valutazione minima. Inoltre esiste sempre un M.C.D. di due elementi non nulli: è un generatore dell’ideale somma degli ideali generati dai due elementi considerati. Esercizio 3.3.15 In Z[i] l’elemento 2 è primo? L’ideale (13) è massimale? Si trovi un M.C.D. di 5 e 3 − i. √ Esercizio 3.3.16 Si provi che i soli elementi invertibili di Z[ −3] sono 1, −1. Osservazione 3.3.17 Si ha la seguente catena di inclusioni proprie di insiemi di anelli: {campi} ⊂ {domini euclidei} ⊂ {P.I.D.} ⊂ {U.F.D.} ⊂ {domini d0 integrita0 } Tali inclusioni sono proprie: • Z è un dominio euclideo, ma non un campo; • Z[ 1+ √ −19 ] 2 è P.I.D., ma non euclideo (verifica non banale); • Z[X] è U.F.D., ma non P.I.D. (l’ideale (2, X) non è principale); √ • Z[ −3] è un dominio non a fattorizzazione unica (vedere esempio ??). 3.4. ESTENSIONI DI CAMPI 3.4 73 Estensioni di campi Definizione 3.4.1 Sia K un campo. Si dice sua estensione ogni campo F che lo contiene. Osserviamo che, se F è un’estensione di K, F diventa uno spazio vettoriale su K definendo la moltiplicazione esterna K × F → F come la moltiplicazione in F. La dimensione di F come spazio vettoriale sui K, se è finita, è detta grado dell’estensione e viene denotata con [F : K]. Esempio 3.4.2 [C : R] = 2. Definizione 3.4.3 Siano K ⊂ F due campi e sia s ∈ F. Diciamo estensione semplice di K mediante s e lo denotiamo con K(s), il più piccolo sottocampo di F che contiene K ed s. Per determinare la struttura di K(s) introduciamo le seguenti notazioni: • Indichiamo l’elemento xy −1 (y 6= 0) con la notazione frazionaria x y. • Diciamo espressione razionale intera o polinomio in s a coefficienti in K ogni elemento di F della forma α(s) = a0 + a1 s + . . . + an sn , con ai ∈ K. Indichiamo con K[s] l’insieme dei polinomi in s a coefficienti in K. E’ immediato verificare che è un sottoanello di F. • Diciamo espressione razionale fratta in s a coefficienti in K ogni elemento di F del tipo α(s) β(s) , con β(s) 6= 0. Proposizione 3.4.4 Nelle ipotesi precedenti, l’estensione semplice K(s) di K mediante s è data dall’insieme delle espressioni razionali fratte in s a coefficienti in K. Dimostrazione (traccia). Si verifica dapprima che l’insieme delle espressioni razionale fratte in s a coefficienti in K è un sottocampo di F e che contiene K ed s. Si verifica poi che ogni sottocampo di F che contiene K ed s deve contenere tutte le espressioni razionali fratte in s a coefficienti in K. Esempio 3.4.5 Q(π) ⊂ R è costituito dai numeri reali che si possono scrivere come quozienti di due polinomi in π a coefficienti razionali: a0 +a1 π+...+an π n a , b ∈ Q m i i b0 +b1 +...+bm π √ Esempio 3.4.6 Q( 3) ⊂ R è costituito √ dai numeri reali che si possono scri3 a coefficienti razionali. Osserviamo vere come quozienti di due polinomi in √ √ tuttavia che ( 3)2 = 3 ∈ Q, cioè 3 è radice del polinomio X 2 − 3 ∈ Q[X]. Questo fatto ci permette di limitarci a considerare i quozienti del tipo: √ a+b√3 a, b, c, d ∈ Q c+d 3 Inoltre è noto che tale espressione √ può essere razionalizzata moltiplicando √ numeratore e denominatore per c − d 3, e quindi si può scrivere come r + s 3. 74 CAPITOLO 3. APPENDICI √ √ Perciò √ ogni espressione razionale fratta √ nel caso in esame Q( 3) = Q[ 3], cioè in 3 si può esprimere come polinomio in 3, di fatto come un polinomio di grado ≤ 1. Definizione 3.4.7 Siano K ⊂ F due campi e sia s ∈ F. Si dice che s è algebrico su K se s è radice di un polinomio non nullo a coefficienti in K. In caso contrario si dice che s è trascendente su K . Supponiamo che s sia algebrico su K. E’ immediato verificare che l’insieme I dei polinomi che ammettono s come radice è un ideale di K[X]. Poichè K[X] è un P.I.D., I = (p(X)) dove p(X) è un polinomio di grado minimo tra i polinomi di I, che si può supporre monico. p(X) è detto polinomio minimo di s su K. Proposizione 3.4.8 Nelle notazioni precedenti il polinomio minimo p(X) di s su K è irriducibile in K[X]. Dimostrazione. Se fosse p(X) = r(X)t(X), con r(X), t(X) di grado minore del grado di p(X), avremmo in F 0 = p(s) = r(s)t(s) con r(s) 6= 0 e t(s) 6= 0. Ciò è impossibile in quanto F è un campo. Teorema 3.4.9 Siano K ⊂ F due campi e sia s ∈ F. 1. K[s] = K(s) se e solo se s è algebrico su K. 2. Se s è algebrico su K, ogni elemento di K(s) può essere scritto in modo unico come polinomio in s a coefficienti in K di grado inferiore al grado del polinomio minimo di s in K. Dimostrazione. Se s = 0, K(0) = K[0] = K e quindi il teorema è vero. Assumiamo s 6= 0. 1) Supponiamo che sia K(s) = K[s]. Allora 1s ∈ K[s] e quindi esistono a0 , . . . , an ∈ K tali che Pn 1 i i=0 ai s , s = cioè Pn i+1 − 1 = 0. i=0 ai s Pn Quindi s è radice del polinomio non nullo i=0 ai X i+1 − 1 ∈ K[X]. Viceversa, sia s algebrico su K e sia p(x) il suo polinomio minimo. Dobbiamo provare che ogni elemento della forma P i g(s) ai s P = (3.1) h(s) bj sj appartiene a K[s], cioè si può razionalizzare, esprimendolo come polinomio in s a coefficienti in K. Poichè h(s) 6= 0, il polinomio h(X) non è multiplo di p(X). Ne segue, poichè p(X) è irriducibile, che 1 è il M.C.D. di h(X) e di p(X) e quindi che esistono due polinomi r(X), t(X) ∈ K[X] tali che 1 = r(X)p(X) + t(X)h(X). 3.4. ESTENSIONI DI CAMPI 75 Calcolando tale espressione in s, poichè p(s) = 0, si ha 1 quindi h(s) = t(s) , da cui, sostituendo in ??, si ottiene g(s) h(s) 1 = t(s)h(s) e = t(s)g(s) ∈ K[s]. 2) Sia p(X) il polinomio minimo di s di grado n. Abbiamo visto che ogni elemento di K(s) si può scrivere come polinomio in s. Proviamo che si può scegliere tale polinomio di grado < n e in modo unico. Siano u(X) ∈ K[X] e u(s) ∈ K[s] l’elemento corrispondente. Eseguendo la divisione possiamo scrivere u(X) = q(X)p(X) + r(X) con deg(r(X)) < n. Sostituendo otteniamo u(s) = 0 + r(s) = r(s): si è quindi trovato un polinomio di grado < n che esprime l’elemento u(s). Questa espressione è unica perchè se u(s) = v(s) con u(X) e v(X) polinomi di gradi < n, u(s)−v(s) = 0 e quindi u(X)−v(X) ∈ (p(X)). Poichè u(X)−v(X) ha grado minore del grado del generatore, deve essere il polinomio nullo, cioè u(X) = v(X). Corollario 3.4.10 Sia K ⊂ K(s) un’estensione algebrica semplice. Se il polinomio minimo di s ha grado n, [K(s) : K] = n. Dimostrazione. Infatti ogni elemento di K(s) può essere scritto come combinazione lineare a coefficienti in K di 1, s, s2 , . . . , sn−1 . √ Esempio 3.4.11 Posti K = Q, F = C, α = radice di X 2 − 2X − 1 (= 1 ± 2), 1 vogliamo razionalizzare l’espressione α3 +α−1 . 2 Il polinomio minimo di α è p(X) = X − 2X − 1. Poniamo h(X) = X 3 + X − 1. Usando l’algoritmo di Euclide calcoliamo il M.C.D. di questi due polinomi (che deve essere una costante affinchè il problema abbia soluzione) e l’identità di Bèzout. Otteniamo: h(X) = p(X)(X + 2) + (6X + 1) 1 13 23 p(X) = (6X + 1)( X − ) − 6 36 36 da cui si ricava 1 = − 1 = 36 1 p(X) + (6X − 13)[h(X) − p(X)(X + 2)] 23 23 1 (6α − 13)h(α) 23 e quindi il numero cercato è 1 h(α) = 1 23 (6α − 13). Esercizio 3.4.12 Posti K = Q, F = C, s = 1√ √ . 3 9+2 3 3−1 √ 3 3, razionalizzare l’espressione 76 CAPITOLO 3. APPENDICI Osservazione 3.4.13 Abbiamo fin qui studiato le estensioni di un campo K all’interno di un campo ambiente F. Vorremmo ora vedere come si può estendere un campo in astratto, senza presupporre l’esistenza del campo F. A tale scopo osserviamo che, nella situazione precedente, si ha un morfismo di anelli φ : K[X] → F f (X) 7→ f (s) la cui immagine è K[s] e il cui nucleo è costituito dai polinomi che si annullano per X = s. Pertanto, se s è algebrico e p(X) è il suo polinomio minimo, Ker φ = (p(X)) e segue dal teorema fondamentale degli anelli che esiste un isomorfismo K[X]/(p(X)) ' K[s] in cui il laterale (p(X)) + f (X) corrisponde all’elemento f(s) , e quindi in particolare ad s corrisponde il laterale individuaro da X. Il fatto che K[s] sia un campo può essere dedotto dal fatto che l’ideale (p(X)) è massimale, in quanto p(X) è irriducibile. Ciò suggerisce che l’estensione algebrica semplice K(s) = K[s] dipende in sostanza soltanto dal polinomio irriducibile p(X) ∈ K[X] e quindi potrebbe essere definita in astratto come il campo K[X]/(p(X)). Tale definizione non fa intervenire il campo F. Poniamo quindi Definizione 3.4.14 Siano K un campo e p(X) ∈ K[X] un polinomio irriducibile, diciamo estensione algebrica semplice di K mediante p(X) il campo E = K[X]/(p(X)). Osservazione 3.4.15 Si ha un’immersione ovvia K → E definita da a 7→ (p(X)) + a e K può essere identificato con la sua immagine. Analogamente si ha un’inclusione naturale di anelli K[X] → E[X]. Proposizione 3.4.16 Siano K un campo e p(X) un polinomio irriducibile di K[X] di grado n. L’estensione K[X]/(p(X)) ha grado n. Dimostrazione. E’ immediato verificare che una base di E = K[X]/(p(X)) su K è costituita dai laterali (p(X)) + 1, (p(X)) + X, . . . , (pX)) + X n−1 . Proposizione 3.4.17 Nelle notazioni precedenti il polinomio p(X), pensato come elemento di E[X], ha una radice in E, precisamente il laterale (p(X))+X. Pn i Dimostrazione. Sia p(X) = i=0 bi X ∈ K[X] e poniamo per semplicità (p(X)) = I. Denotata ancora con p(X) la sua immagine in E[X], con l’identificazione a 7→ I + a sopra indicata, valutiamolo assegnado alla variabile il valore I + X: Pn Pn Pn p(I + X) = i=0 (I + bi )(I + X)i = i=0 (I + bi )(I + X i ) = I + i=0 bi X i = I + p(X) = I in quanto p(X) ∈ I = (p(X)). 3.4. ESTENSIONI DI CAMPI 77 Osservazione 3.4.18 Abbiamo cosı̀ costruito un’estensione di K in cui il polinomio p(X) ammette una radice. Si dimostra (ma questo argomento sarà trattato nei successivi corsi di Algebra), che è possibile costruire un campo in cui p(X) ha n radici (campo di spezzamento di p(X)). Esempio 3.4.19 Assumiamo K = Q e p(X) = X 2 − 2. sappiamo che X 2 − 2 è irriducibile in Q[X]. Allora E = Q[X]/(X 2 − 2) è un’estensione di grado 2 di Q, il cui elemento generico è del tipo I + a + bX (avendo come al solito posto (X 2 − 2) = I). Si verifica che la funzione √ Q[X]/(X 2 − 2) → Q[ 2] √ I + a + bX 7→ a + 2b è un isomorfismo di campi. Inoltre E è il campo di spezzamento del polinomio X 2 − 2, in quanto contiene anche I − X, che è l’altra radice di p(X). Infatti p(I − X) = (I − X)2 − 2 = I + X 2 − 2 = I. Esempio 3.4.20 Analogamente si prova che, assumendo K = R e p(X) = X 2 + 1, il campo E = R[X]/(X 2 + 1) è un’estensione di grado 2 di R, il cui elemento generico è del tipo I+a+bX (avendo come al solito posto (X 2 +1) = I). In questo caso, si ha l’ isomorfismo R[X]/(X 2 + 1) → C I + a + bX 7→ a + ib C è il campo di spezzamento di X 2 + 1. Esempio 3.4.21 p(X) = X 2 + X + 1 è un polinomio irriducibile in Z2 [X]. L’estensione algebrica semplice K = Z2 [X]/(X 2 + X + 1) è un campo con 4 elementi I +0, I +1, I +X, I +X +1 (avendo come al solito posto (X 2 +X +1) = I). Sappiamo che in K il polinomio p(X) ha come radice I + X e si verifica immediatamente che l’altra radice è I + X + 1, quindi K è campo di spezzamento di p(X).