Roma nel secondo secolo a.C Il declino della

Roma nel secondo secolo a.C.
La società romana dopo le guerre puniche
Il mondo era governato da famiglie aristocratiche la cui mentalità stentava a
staccarsi dal “costume degli antenati”. Il II secolo a.C. vide lo scontro tra due
tendenze opposte della società romana:
I tradizionalisti guardavano con sospetto le novità introdotte a Roma
dall’Oriente e ostacolavano la diffusione della cultura greca.
Gli innovatori possedevano una mentalità nuova, aperta nei confronti
delle diverse culture e per i quali lo sviluppo delle arti, delle scienze e
della filosofia avrebbe permesso a Roma di governare un impero
vastissimo.
era possibile pensare che una classe dirigente arretrata e provinciale
come quella romana fosse in grado di governare il mondo solo con le
armi, senza invece impadronirsi di strumenti culturali e intellettuali, come
quelli che avevano favorito l’ascesa dei greci
La cultura greca a Roma
Gli aristocratici più illuminati erano tutti ammiratori della civiltà ellenica e
sostenevano la necessità di introdurre a Roma le conquiste culturali
greche. I primi contatti tra il mondo romano e la cultura greca
avvennero nel II secolo a.C.; mentre nel secolo successivo il processo di
ellenizzazione si accentuò, provocando fenomeni di cambiamento e di
violenta reazione.
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Immigrazione di medici, filosofi, filologi e drammatici. Molti di
questi vennero rimandati in Grecia, per via di funzionari di stato che
temevano che molti giovani romani si allontanassero dalle tradizioni
militari, altri invece diventarono insegnanti e aprirono scuole di
letteratura greca (la lingua greca era ormai diventata internazionale
e i romani dovevano conoscerla per poter governare meglio i nuovi
territori).
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Ad opporsi a Catone il Censore, e alla sua politica
tradizionalista e di allontanamento tra cultura greca e romana, fu il
“circolo degli Scipioni”: Scipione l’Africano, Lucio Emilio Paolo,
Scipione Emiliano, rappresentanti della cultura greca (come il filosofo
stoico Panezio) e latina (come Gaio Lelio, Publio Terenzio Afro e Gaio
Lucilio); con il loro carattere di filoellenismo esercitarono un forte
influsso sulle età successive.
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·
Il contatto di Roma con il mondo greco comportò un rapido
cambiamento nei costumi e un conflitto tra tradizionalisti e innovatori
anche in questo campo: l’antica e austera mentalità romana subì
profonde trasformazioni e iniziarono a diffondersi nuove forme di
divertimento (lotte fra gladiatori o con le belve).
Quando Roma venne a contatto con le società del
Mediterraneo orientale si verificò una penetrazione di nuove forme
culturali e religiose, infatti i romani non erano contrari
all’importazione di divinità straniere. Dopo la conclusione delle
guerre puniche cominciarono a diffondersi in Roma i riti dionisiaci,
celebrati in segreto, di notte, da gruppi di iniziati. Questi riti misteriosi
erano contrari alla tradizionale religione romana, considerata
“statale”.
La situazione sociale dopo le guerre puniche
Alla fine del II secolo a.C. Roma dominava incontrastata il Mediterraneo:
era insomma diventata una potenza “ecumenica”. Il mutamento della
situazione sociale alla fine delle guerre puniche non poneva soltanto
problemi di semplice coesistenza di differenti etnie, si trattava inoltre di
fronteggiare le forti tensioni sociali determinate dagli squilibri economici
dovuti alle guerre (se le nuove conquiste avevano fatto la fortuna di
alcune classi, ne avevano impoverito altre). Il ceto che più di tutti risentì
della crisi economica fu quello dei piccoli proprietari terrieri: gli obblighi
militari costringevano i contadini richiamati alle armi ad abbandonare le
campagne, trovando, al loro ritorno, grande povertà. Fu così che la
classe dei grandi proprietari terrieri si arricchì, comprando la terra dei
piccoli proprietari e utilizzando come manodopera gli schiavi. Si idearono
così diverse tecniche di coltivazione (estensiva e su vasta scala), poiché
ormai si coltivavano prodotti come l’olivo e la vite. A coltivare queste
terre vi erano tre tipi di lavoratori: i fattori, di condizione servile, che
dimoravano nelle campagne, dirigevano i braccianti e rendevano conto
ai loro proprietari; i servi “legati”, messi al lavoro nei campi e rinchiusi
affinché non fuggissero; i servi “liberi”, che godevano di un miglior
trattamento e di un regime di semilibertà.
Mentre nelle campagne si svolgeva questo tipo di trasformazione, in città
si assisté all’ascesa sociale del ceto dei cavalieri (coloro che potevano
permettersi l’armamento adeguato alla cavalleria), che aveva assunto il
compito
di
eseguire
le
opere
pubbliche,
provvedere
all’approvvigionamento delle armate e di riscuotere i tributi; si
arricchirono specialmente appaltatori, banchieri, commercianti, fornitori
dello stato, esattori delle tasse.
Un’altra categoria che aveva tratto beneficio dalle guerre era stata
l’aristocrazia senatoria, accrescendo il proprio potere politico: essendo
l’unica istituzione stabile, il senato fu l’organo che decise la politica
romana per tutto il II secolo a.C. (adottò una politica imperialista).
Gli schiavi e le prime rivolte servili
Nei primi secoli di vita della città gli schiavi erano perfettamente inseriti
nel sistema patriarcale. Le condizioni della produzione erano tali che, a
rendere diversa la posizione di figli e schiavi, era lo stato giuridico e
sociale: il lavoro nei campi era svolto dallo stesso pater, aiutato sia dai
figli che dagli schiavi. Gli schiavi erano considerati dunque persone di
famiglia.
Verso la fine del II secolo a.C. il numero della popolazione servile era
talmente aumentato da alterare i rapporti tra schiavo e padrone. Il
mercato degli schiavi era ormai divenuto una delle attività commerciali
più produttive del Mediterraneo (questo perché i ricchi proprietari terrieri
avevano continuamente bisogno di una crescente manodopera). Il più
grande mercato venne organizzato nell’isola di Delo. L’estendersi
dell’economia schiavistica ebbe conseguenze negative anche per la
popolazione italica. Esistevano due tipi di schiavitù:
Gli schiavi, diventati “strumenti di produzione”, venivano avviati al lavoro
fin dalla tenera età, per tutta la vita venivano sottoalimentati e sottoposti
a fatiche fisiche estenuanti; quando la vecchiaia, gli stenti, le malattie li
rendevano improduttivi, dato che difficilmente il padrone trovava un
compratore, venivano abbandonati a se stessi e lasciati lentamente
morire.
Esistevano inoltre categorie privilegiate di schiavi (quelli destinati al
servizio domestico, quelli che aiutavano il padrone nelle attività
commerciali, gli schiavi intellettuali quali pedagoghi e medici). Altre
categorie si trovavano, al contrario, in situazioni veramente difficili (gli
schiavi pubblici costretti a lavorare duramente nelle miniere, nelle cave e
alla costruzione di strade e opere pubbliche).
La presenza di grandi masse di schiavi poneva anche problemi come il
brigantaggio o il pericolo di fuga; vi furono rivolte di schiavi con le armi in
pugno, che dovettero essere affrontati dall’esercito per essere sconfitti.
Questi , essenzialmente, furono i problemi che causarono le sommosse
degli schiavi in quel periodo.
Le prime rivolte avvennero agli inizi nel II secolo a.C. in Etruria, in Puglia e
nel Bruzio, ma erano state represse facilmente. Nel 136 a.C., invece, in
Sicilia scoppiò una rivolta di ampie dimensioni (vi parteciparono, oltre
agli schiavi, i piccolo proprietari di poderi, pastori e braccianti).
Schiavitù rurale e schiavitù urbana
La schiavitù rurale era quella che comprendeva gli schiavi che lavoravano in
campagna, nei campi o nelle miniere, ed erano perlopiù braccianti, contadini,
allevatori. Questi schiavi godevano di condizioni di vita infime. Il loro lavoro era
molto faticoso e poco qualificato.
La schiavitù urbana era quella che comprendeva gli schiavi che
lavoravano in città. Questi erano impiegati per attività artigianali ed
erano perlopiù vasai, decoratori, carpentieri, muratori, lavoratori del
cuoio. Questi schiavi godevano di condizioni di vita migliori di quelle degli
altri schiavi, e il loro lavoro era più qualificato.
La fase tribunizia
Tiberio Gracco
Apparteneva ad una famiglia patrizia imparentata con quella degli
Scipioni, colta e aperta ai problemi sociali. Tiberio pensò che la soluzione
a queste tensioni fosse ricostruire la classe dei piccoli coltivatori; in effetti,
una volta scomparsa la classe dei cittadini divisi per censo, sulla quale si
basava l’organizzazione dell’esercito, non si sarebbe più goduto di
truppe militari potenti. Nel 133 a.C. si fece eleggere tribuno della plebe,
per proporre ai concili della plebe una legge agraria che avrebbe
vincolato tutta la popolazione. Questa legge vietava il possedimento di
terreni privati oltre ai 125 ettari, così non avrebbe ridotto in miseria i
senatori (impossessatisi dei terreni pubblici) e avrebbe consentito ai
contadini impoveriti di riappropriarsi di alcuni appezzamenti.
L’opposizione dei latifondisti fu tale che, nel 132 a.C., Tiberio decise di
presentare nuovamente la candidatura come tribuno; questo diede la
possibilità al senato di votare il senatoconsulto “ultimo”, che dava poteri
straordinari ai consoli (non potendo, per tradizione, ricoprire la carica di
tribuno più di una volta, dimostrarono che si voleva impadronire del
potere). Tiberio Gracco fu ucciso nei tumulti che seguirono. Comunque
la riforma ideata da Tiberio non avrebbe comunque risolto il problema
della piccola proprietà cittadina, infatti il divario fra gli appezzamenti dei
senatori e quello dei contadini sarebbe rimasto ugualmente enorme.
Caio Gracco
Circa dieci anni dopo la morte di Tiberio, la politica antisenatoria venne
ripresa dal fratello Caio, che nel 123 a.C. venne eletto tribuno della
plebe. Caio aveva capito che lo strapotere dell’aristocrazia non poteva
essere combattuto senza l’appoggio dei cavalieri. Per ottenerlo decise di
assegnare loro la riscossione dei tributi in Asia, e il giudizio delle
malversazioni commesse dai governatori delle province. L’obbiettivo di
Caio non era solo quello di ridimensionare il potere dei senatori, ma
anche opporre loro una nuova classe, dotata di nuovi poteri. Per
ottenere il massimo consenso, tale da portare a termine i suoi scopi,
introdusse distribuzioni gratuite di grano ai cittadini romani, ripropose la
legge agraria del fratello, ridusse i poteri punitivi dei capi militari e alleviò
il servizio militare, costruì strade nella penisola e fondò colonie nelle
province. Nel 122 a.C. venne rieletto tribuno e chiese, con una proposta
di legge, di attribuire la cittadinanza romana ai socii italici; adesso la
plebe era contro di lui (riteneva che la concessione di benefici ai non
cittadini mettesse in pericolo la lotta per conquistare migliori condizioni di
vita) e lo era anche l’aristocrazia. Nel 121 a.C. non venne rieletto, così
tentò una rivolta armata, soffocata nel sangue. Si fece uccidere da un
suo schiavo per non essere ucciso dai soldati nemici.
I capi militari
Il potere era tornato nelle mani della classe senatoria. I cavalieri, i plebei,
alcuni italici e qualche nobile illuminato, unito al proletariato urbano lottò
per tutto il I secolo a.C. contro lo strapotere del senato e dell’aristocrazia.
I tribuni della plebe cercarono aiuto dai capi militari. Così i tribuni
vennero a trovarsi in secondo piano, mentre i comandanti militari si
rivelarono personaggi importanti nella lotta e idonei a governare la
nuova fase della crisi.
Caio Mario
La guerra in Numidia
Giugurta, che aveva ereditato il trono di Numidia, fece uccidere i
commercianti italici che si erano schierati a difesa dei suoi nemici. I
senatori, accusati dai cavalieri di essersi fatti corrompere da Giugurta, nel
112 a.C. decisero di dichiarare guerra; questa, purtroppo, mise in
evidenza la drammatica situazione dell’esercito romano: generali corrotti
e soldati che vendevano armi al nemico. Nel 107 a.C. venne eletto
console Caio Mario (“uomo nuovo”), di famiglia non nobile. Mario attuò
la riforma dell’esercito e lo rese volontario. Nel 105 a.C. Giugurta venne
catturato con l’inganno e il regno di Numidia venne conquistato.
Lo scontro con i Cimbri e Teutoni
Un altro problema che doveva essere risolto era l’imminente pericolo
rappresentato dalle due popolazioni di stirpe germanica dei cimbri e dei
teutoni che avevano invaso la Gallia, e che potevano penetrare nella
penisola. Caio Mario fu rieletto console per cinque anni, riuscendo a
sconfiggere i teutoni ad Aquae Sextiae, nel 102 a.C., e i cimbri ai Campi
Raudii, persso Vercelli, nel 101 a.C.
La politica di Caio Mario
Caio Mario attuò una politica di concessioni e di benefici a favore delle
classi meno abbienti. Saturnino, un tribuno amico e alleato di Mario,
aveva proposto che ai veterani del generale, cittadini o non, venissero
assegnati appezzamenti di terreno nelle province. Si erano opposti i
senatori, molti cavalieri e parte della plebe, che non volevano
concedere privilegi ai non cittadini romani. Quindi Mario dovette
abbandonare Saturnino e accettò l’incarico di reprimere la rivolta che
intanto era scoppiata: perse l’appoggio dei ceti popolari e resto inviso al
senato.
La guerra sociale
I socii italici chiedevano la cittadinanza, ma la classe senatoria, avendo
riacquistato potere, ignorava le loro richieste. Nel 91 a.C. venne eletto
tribuno Marco Livio Druso, che, inizialmente, prese una serie di decisioni a
favore dei ceti meno abbienti, e chiese di ammettere i cavalieri in
senato; ma l’aristocrazia, contraria a questa politica, fece uccidere
Druso. Tra gli alleati italici e Roma si combatté una guerra sociale. La
prima battaglia fu nel 91 a.C., ad Ascoli Piceno, e si estese in tutta l’Italia
centro-meridionale. I marsi, i sanniti e le altre popolazioni (strette in uno
stato federale) si unirono contro l’esercito romano. Fu grazie a Lucio
Cornelio Silla (già in rilievo nella guerra giugurtina) che i romani riuscirono
a vincere. Di fronte al pericolo che la guerra si estendesse ad altre
popolazioni, il senato era costretto a concedere la cittadinanza ai soci
Le riforme costituzionali di Silla e la fase senatoria
Le liste di proscrizione
Silla legalizzò il potere che intendeva esercitare facendosi nominare
dittatore, con l’incarico di scrivere leggi e di costruire una nuova
repubblica. Uno dei suoi primi provvedimenti fu la redazione delle celebri
liste di proscrizione. Quest’ultime erano elenchi di persone che potevano
essere uccise da chiunque volesse farlo, e i cui beni dovevano essere
confiscati e venduti all’asta. I sanniti, sui quali si era abbattuta la
vendetta dei sillani, scomparvero dalla scena politica. Queste liste erano
il pretesto per compiere ingiustificati massacri: a Roma colpirono gli
esponenti del ceto dei cavalieri e alcuni senatori che si riteneva avessero
tradito gli interessi della loro classe. Questo rafforzò il potere della classe
aristocratica.
Le riforme costituzionali
La riforma segnò un momento fondamentale nella storia del diritto
criminale. Da un lato, infatti, ebbe come conseguenza la limitazione dei
diritti di difesa dei cittadini, in quanto non prevedeva la possibilità di
presentare appello contro l’eventuale condanna (non più la morte, ma
l’esilio). Dall’altro, introdusse la garanzia, rimasta la base dei sistemi
penalistici moderni, secondo la quale l’amministrazione della giustizia
penale veniva separata dal potere di polizia esercitato dai magistrati,
con ciò venne meno l’indeterminatezza dei fatti che potevano
considerarsi punibili come crimini.
Da allora potevano essere ritenuti reati solo i comportamenti che
ricadevano nelle sei categorie di reato.