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Carlo Minganti
Biotecnologie e sistema agroalimentare
Le piante che coltiviamo e gli animali che alleviamo
a fini alimentari sono molto diversi da quelli che conoscevano i nostri antenati neolitici. I miglioramenti
introdotti da allora sono serviti ad aumentare la resa
e a ridurre i tempi necessari a procurare gli alimenti,
rendendo così l’uomo libero di compiere le altre attività che hanno portato allo sviluppo della società come
la conosciamo oggi. I viaggi e le scoperte di nuove
terre hanno diffuso in tutto il mondo piante e animali
prima sconosciuti, come, per es., mais, patata, pomodoro, agrumi e tacchini in Europa; grano, erba medica
e cavalli nelle Americhe; palma da olio in Asia. L’uso
moderno di fertilizzanti e antiparassitari, associato a
nuove varietà di piante e agli ibridi, ha contribuito in
molti casi al raddoppio delle rese e ha permesso anche
usi del territorio diversi da quello agricolo.
Il grande sviluppo della biologia moderna, avvenuto
nella seconda metà del secolo scorso, ha fornito un’accelerazione a questo processo di miglioramento con
importanti risultati che hanno avuto un effetto sulle
produzioni agroalimentari e sulla cura della salute umana.
Successivamente è tuttavia sorto, e ha continuato a svilupparsi, un dibattito pubblico sulla sicurezza di queste tecnologie, in cui le parti in causa hanno cercato di
dare il massimo risalto al proprio punto di vista piuttosto che informare il pubblico e facilitarne le scelte.
L’agricoltura non è nuova a questo tipo di dibattito,
basti ricordare quello sugli antiparassitari. D’altra parte,
anche se la controversia interessa tutte le biotecnologie, essa è più vivace sui benefici e sui rischi delle sue
applicazioni alle produzioni agroalimentari. Il fattore
emotivo legato alla salute umana sembra infatti perdonare l’uso in medicina delle tecnologie genetiche più
avanzate, anche se rimangono ancora controversi alcuni
aspetti etici, sui quali, tuttavia, la discussione è più
informata rispetto quella che riguarda le applicazioni
in agricoltura. Da un lato, molti tecnici e ricercatori
vedono le biotecnologie e le tecniche della genetica
moderna come il naturale progresso della selezione
naturale di piante e animali, mentre dall’altro lato i
critici evidenziano i possibili rischi per l’ambiente e la
salute umana. Ciò nonostante i risultati delle nuove
tecniche della biologia sono realtà sia nel campo della
salute umana, con la produzione di diagnostici e di
insulina, sia in altri importanti settori: agricolo, con
piante resistenti agli insetti e con ormoni per aumentare la produzione del latte; alimentare, con enzimi per
la produzione del formaggio e di lievito per la panificazione; chimico, con la produzione di etanolo da fermentazione da usare come combustibile e come solvente; nel settore delle fonti rinnovabili, attraverso la
produzione di nuovi materiali. Oltre a questi esempi,
la biologia moderna è alla base di molti sistemi per
ridurre l’impatto dell’uomo sull’ambiente, come negli
impianti per la depurazione dell’acqua.
Secondo la definizione della Commissione intergovernativa (istituita nel 1963) per il Codex alimentarius, le biotecnologie moderne, o avanzate, sono l’applicazione di quelle tecniche che permettono la
modificazione in vitro degli acidi nucleici. Questa definizione include l’uso delle tecniche dell’ingegneria
genetica e della fusione tra cellule di specie diverse,
ma esclude l’uso di quelle impiegate nei processi tradizionali di incrocio e selezione. Nella loro accezione
più ampia, possiamo invece comprendere nelle biotecnologie tutte le tecniche che, in modo deliberato e
controllato, impiegano organismi viventi (per es., batteri), o loro componenti (per es., enzimi), per produrre o modificare sostanze, per migliorare piante e
animali che servono alla nostra alimentazione, o per
sviluppare microrganismi destinati a usi specifici,
come la produzione di antibiotici. Secondo entrambe
le definizioni, comunque, le biotecnologie non sono
una disciplina scientifica ma un insieme di tecniche
derivate dalle conoscenze in molte discipline come
biologia, chimica, ingegneria, fisica, agronomia, medicina. Agli organismi realizzati con l’uso dell’ingegneria
genetica si dà comunemente il nome di organismi geneticamente modificati (OGM), con i quali è possibile:
produrre direttamente gli alimenti (si pensi al mais
geneticamente modificato); derivare alimenti (tipo
farina e olio da soia geneticamente modificata); estrarre
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24 – XXI SECOLO – L’Universo fisico
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singoli ingredienti o additivi per l’alimentazione (come
vitamine e amminoacidi prodotti da microrganismi
geneticamente modificati); infine, avere alimenti che
contengono ingredienti trasformati con l’uso di enzimi
ottenuti da microrganismi geneticamente modificati
(per es., lo sciroppo ad alto contenuto di fruttosio,
ricavato dall’amido di mais usando l’enzima glucosio
isomerasi prodotto da un microrganismo geneticamente modificato).
La selezione delle piante più adatte per la coltivazione si basa sostanzialmente sulla variabilità genetica
naturale e procede attraverso la produzione artificiale
di incroci con il proposito di generare nuove piante
con i caratteri desiderati. Gli incroci sono realizzati
tramite l’impollinazione manuale e il processo di selezione si basa sull’osservazione del fenotipo, cioè dei
caratteri fisici e agronomici. Le risorse genetiche alla
base di questi processi sono le varietà selvatiche delle
specie coltivate, le specie selvatiche, le varietà tradizionalmente coltivate, le varietà commerciali, gli ibridi
e le linee pure. La possibilità di realizzare ibridi omozigoti in cui i caratteri desiderati dei due genitori sono
omogenei e si sommano solo negli ibridi di prima generazione (ibridi F1) ha favorito lo sviluppo di società
che producono e commercializzano le sementi. L’agricoltore è infatti obbligato ad acquistare nuove sementi
per ogni raccolto in quanto i caratteri dell’ibrido vengono persi per segregazione nelle generazioni successive. Questi metodi hanno tuttavia limiti perché molte
delle caratteristiche, quali, per es., le resistenze a malattie e parassiti, sono spesso presenti in varietà selvatiche non compatibili sessualmente con quelle coltivate.
A questi processi di selezione vegetale è stata aggiunta,
dagli anni Cinquanta del 20° sec., la possibilità di
indurre variabilità genetica con radiazioni o con sostanze
chimiche che provocano mutazioni genetiche. Le mutazioni così indotte sono casuali e le piante che presentano le caratteristiche desiderate vengono successivamente inserite nei processi convenzionali di incrocio
e selezione. I tempi di selezione sono comunque lunghi, sia perché è necessario lavorare su grandi numeri
sia perché spesso il carattere desiderato si ottiene stabilmente soltanto dopo molte generazioni.
La propagazione delle piante può essere fatta essenzialmente in due modi: per seme (via sessuale) o per
parti di pianta (via asessuale, o vegetativa). La coltura
di tessuti permette di riprodurre intere piante a partire da piccole quantità di tessuti vegetali come radici
o foglie. Tra le varie tecniche di coltura in vitro, per
specie come fragola e banana la micropropagazione è
diventata il sistema di moltiplicazione alternativo alle
tecniche tradizionali, come la propagazione per talea.
Questo metodo permette di ottenere in tempi brevi e
a costi contenuti un grande numero di piantine, identiche sia nel genotipo sia nel fenotipo a una pianta di
partenza selezionata per le sue caratteristiche economiche. Oggi le tecniche di propagazione nel loro
insieme forniscono ogni anno all’agricoltura centinaia
di milioni di nuove piante. Le tecniche di coltura in
vitro, in particolare, danno un importante contributo
al risanamento da virosi e offrono metodi complementari o alternativi per la conservazione del germoplasma, cioè per la conservazione di quelle risorse
genetiche fondamentali per mantenere il patrimonio
genetico e anche per la nostra alimentazione.
I metodi di conservazione di tessuti vengono similmente utilizzati per il trattamento dello sperma, nell’inseminazione artificiale degli animali di allevamento.
Anche in questo caso l’obiettivo è quello di trasferire
il carattere desiderato di un genitore nel più alto
numero possibile di discendenti. Nelle nazioni economicamente sviluppate attraverso l’inseminazione
artificiale vengono generati il 75% dei bovini e l’85%
dei suini. L’applicazione di queste tecniche di procreazione all’uomo fa parte del dibattito sugli aspetti
etici delle biotecnologie.
Come è avvenuto per la salute umana, anche per
le piante le biotecnologie hanno permesso di sviluppare sistemi diagnostici che assistono l’agricoltore
nella gestione di alcune malattie, causate, per es., da
funghi e batteri, non identificabili sino a quando il
danno è esteso o tale da richiedere lunghi esami di
laboratorio con costi non giustificabili a priori. I test
ELISA (Enzyme-Linked ImmunoSorbent Assay), per
es., che si basano sulla capacità di un anticorpo di
legarsi ad antigeni associati con la malattia della pianta,
hanno velocizzato e semplificato le analisi rendendo
così più economica la diagnosi precoce.
Biofertilizzanti e agenti biologici per la difesa da
malattie fungine e da insetti nocivi, infine, fanno parte
di numerosi preparati commerciali usati in agricoltura, come i rizobi, microrganismi che fissano l’azoto
atmosferico grazie a una simbiosi con le leguminose
(come la soia), sulle cui radici vivono; per questo
motivo tali microrganismi hanno una grande importanza economica ed ecologica.
Gli OGM in agricoltura
Lo studio dei codici genetici di differenti organismi ha rivelato quanto essi abbiano in comune tra loro.
Quando venne avviato il Progetto genoma umano, molti
laboratori di ricerca erano già impegnati nello studio
del genoma dell’Arabidopsis thaliana, una piccola pianta
comunemente usata a scopo di ricerca. Paragonando i
risultati ottenuti in questi due progetti è stato rilevato
che il genoma dell’Arabidopsis, contiene sia geni equivalenti a quelli umani sia geni che trovano il loro corrispettivo in altre specie vegetali come grano, mais,
riso, cotone e soia. Tutti gli organismi viventi condividono il medesimo codice genetico, i meccanismi di
sintesi delle proteine e le funzioni di base della vita.
A livello molecolare tutti gli esseri viventi sono più
simili che diversi e questa è una delle ragioni per cui
si possono trasferire i geni da una specie a un’altra.
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BIOTECNOLOGIE E SISTEMA AGROALIMENTARE
Rispetto ai metodi di miglioramento genetico
descritti in precedenza, le tecniche dell’ingegneria genetica permettono di inserire in un organismo le caratteristiche desiderate in maniera più mirata. Nella maggior parte dei casi, l’ingegneria genetica dei vegetali fa
uso di un batterio del suolo, l’Agrobacterium tumefaciens, un patogeno naturale che provoca, nelle piante
infettate, la malattia conosciuta come galla del colletto.
Durante il processo, questo batterio trasferisce nel
genoma della pianta anche un frammento di un plasmide. Con l’ingegneria genetica è possibile inserire
un gene all’interno di tale plasmide e, di conseguenza,
è possibile inserire nella pianta questo gene, per es. il
gene codificante un enzima che prima non era presente.
Uno dei principali argomenti di discussione sull’applicazione delle tecniche dell’ingegneria genetica
alla produzione di nuove piante è la possibilità di trasferire geni di una specie in un’altra. Per alcuni, questa possibilità costituisce una violazione dei confini
biologici; in aggiunta, sebbene trasferire un gene possa
costituire una forma molto precisa di incrocio, non vi
è alcuna certezza di dove il gene verrà collocato e di
come esso funzionerà nel nuovo organismo. Per questo motivo è poi necessario usare sia le tecniche delle
biotecnologie sia i metodi della selezione tradizionale
per determinare non solo dove il gene si sia inserito
nel genoma, ma anche come esso funzioni nella realtà.
Nel mondo, più di centoquaranta piante geneticamente modificate si trovano in diversi stadi del processo
di autorizzazione alla coltivazione. Tra esse, soltanto
una ventina sono varietà in commercio, mentre tutte le
altre sono ancora nelle diverse fasi della sperimentazione. Alla fine del 2009 erano ventitré gli OGM autorizzati a vario titolo alla commercializzazione in Europa,
dove solo negli ultimi cinque anni sono state presentate
quasi seicento notifiche per la sperimentazione in campo.
In vent’anni la superficie coltivata a OGM è cresciuta
di più di ottanta volte sfiorando l’8% della superficie
arabile mondiale. A consuntivo, nel 2009 oltre 134 milioni di ettari sono stati coltivati con OGM da più di
quattordici milioni di agricoltori in venticinque nazioni.
Mentre alla fine del 20° sec. la quasi totalità della
superficie coltivata a OGM era raccolta in solo quattro
nazioni (Stati Uniti, Argentina, Canada e Cina, rispettivamente con 30,3, 10,0, 3,0 e 0,5 milioni di ettari), nel
2003 la situazione è cambiata con l’ingresso del Brasile
che rapidamente ha superato Canada e Cina raggiungendo i 9,4 milioni di ettari coltivati a OGM nel 2005.
Alla fine del 2009 la superficie coltivata a OGM ha
superato il milione di ettari in ben otto nazioni: Stati
Uniti (64,0 milioni di ettari), Brasile (21,4), Argentina
(21,3), India (8,4), Canada (8,2), Cina (3,7), Paraguay
(2,2) e Repubblica Sudafricana (2,1).
Caratteri inseriti nelle piante GM
I caratteri più comuni attualmente inseriti nelle
piante GM sono la tolleranza agli erbicidi glufosinato
e glifosato, e la resistenza a insetti. Il glufosinato blocca
l’enzima glutammina sintasi e causa nella pianta accumulo di ammoniaca, che la uccide. La molecola del
glufosinato è biodegradabile, ha una persistenza nel
terreno che arriva al massimo a una ventina di giorni
e i prodotti con questo principio attivo sono in commercio dal 1984 come erbicidi ad ampio spettro, cioè
non selettivi: sono utilizzati nei vivai, sulla vite e sugli
alberi da frutto. Questo erbicida ha avuto quindi un
uso molto limitato sulle specie convenzionali coltivate
in campo, come mais e soia, pur essendo efficace anche
su di esse. Le piante geneticamente modificate per la
tolleranza al glufosinato contengono un gene batterico
che codifica un enzima in grado di rendere innocua la
molecola dell’erbicida. Nel caso del glifosato, invece,
la molecola dell’erbicida agisce bloccando un enzima
essenziale per la biosintesi degli amminoacidi per cui
la pianta trattata muore in genere in meno di una settimana. Anche il glifosato è una molecola biodegradabile che non è tossica per gli uomini, ma è altamente
tossica per quasi tutti i vegetali; il suo uso è stato pertanto limitato a poche applicazioni, come, per es., per
eliminare la crescita di infestanti attorno alle linee ferroviarie. Il carattere di tolleranza al glifosato viene
introdotto nella pianta con un gene che codifica l’enzima in una versione insensibile all’azione della molecola dell’erbicida. L’ingegneria genetica ha quindi permesso di trovare mercati più ampi per alcuni erbicidi
il cui uso era limitato dalla mancanza di selettività. Il
prodotto commercializzato in questi casi non è l’OGM
di per sé, ma l’OGM e il suo erbicida complementare.
Oltre agli erbicidi menzionati, sono state prodotte
piante geneticamente modificate contenenti i meccanismi di tolleranza ad altre molecole, come a quella di
bromoxinil, iodoxinil, imidazolinone e sulfonilurea.
Il Bacillus thuringiensis (Bt) è un microrganismo
che produce una tossina in grado di uccidere gli insetti,
è contenuto in prodotti usati in agricoltura da più di
cinquant’anni e il suo uso è tra i trattamenti consentiti da molti disciplinari di agricoltura biologica. La
tossina Bt viene prodotta dal microrganismo in una
forma inattiva (detta prototossina), poi trasformata,
direttamente nello stomaco dell’insetto, in una forma
chiamata delta-endotossina. Quest’ultima è la forma
attiva che si lega a recettori presenti sulle pareti dello
stomaco degli insetti uccidendoli. Esistono diverse
forme della tossina Bt che sono attive in maniera molto
specifica per determinati gruppi di insetti; in natura
sono state trovate circa 170 diverse tossine con differenti specificità. Siccome la tossina Bt è totalmente
innocua per l’uomo, tra i primi obiettivi dell’ingegneria genetica vegetale vi è stato il trasferimento dei
geni che la codificano dal batterio alle piante, per inserire in queste ultime il carattere di resistenza all’attacco di quegli insetti che possono causare gravi danni
economici alla coltura. Alcune varianti della tossina
(Cry1Ab, Cry1Ac, Cry9c ecc.) sono usate nelle piante
geneticamente modificate dove, in generale, i geni che
le codificano sono combinati con altri geni, promo-
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tori dell’espressione, in grado di specificare il tipo di
tessuto dove la tossina Bt deve essere prodotta (per
es., nel fusto o nelle radici del mais, secondo il tipo di
danno che si vuole evitare).
Le piante geneticamente modificate per la tolleranza a erbicidi sono coltivate sul 62% della superficie mondiale oggi dedicata a colture OGM, seguite
dalle piante modificate per la resistenza a insetti, che
ne occupano più del 13%; è da notare che le piante di
seconda generazione, quelle cioè con due o più nuovi
caratteri inseriti, hanno già superato il 18% del totale.
Il 46% del totale della superficie coltivata a piante
geneticamente modificate è ospitato nei Paesi in via
di sviluppo con una netta tendenza alla crescita. Le
principali specie geneticamente modificate sono la
soia (più del 50% della superficie coltivata a OGM,
pari al 77% della superficie mondiale coltivata a soia),
seguita da mais (più del 30% della superficie coltivata
a OGM, pari al 26% della superficie mondiale coltivata a mais), cotone (più dell’8% della superficie coltivata a OGM, pari al 49% della superficie mondiale
coltivata a cotone) e colza (vicina al 5% della superficie coltivata a OGM, pari al 21% della superficie mondiale coltivata a colza).
Riso, mais e grano sono le specie più importanti per
l’alimentazione umana, ma il riso da solo fornisce il
sostentamento per quasi la metà della popolazione mondiale. Nonostante l’interesse e la ricerca svolta, tuttavia, non vi è ancora alcuna produzione rilevante di riso
geneticamente modificato, anche se una varietà resistente a erbicidi è già stata approvata per la coltivazione
negli Stati Uniti e ne è in corso la valutazione per la
sicurezza da parte dell’Unione Europea. Una seconda
varietà di riso geneticamente modificato (Golden rice),
arricchito in vitamina A, potrebbe consentire in futuro
un netto miglioramento della nutrizione.
Anche altre piante sono state trasformate mediante
l’ingegneria genetica: patata, pomodoro, lino, barbabietola da zucchero e alcune piante ornamentali. Nuovi
caratteri, oltre a quelli di resistenza a insetti e di tolleranza a erbicidi, sono stati inseriti in varietà coltivate:
per es., un gene codificante per l’enzima dell’alloro
della California è stato trasferito dentro una varietà di
colza e ha permesso di ottenere una diversa composizione dell’olio, con concentrazioni di acido laurico e
miristico superiori a quelle di partenza; la resistenza a
virus specifici della papaia, delle zucchine e della prugna è stata ottenuta inserendo in queste piante la
sequenza del gene codificante per la proteina dell’involucro dello stesso virus; una varietà di tabacco è stata
modificata per ottenere la riduzione del contenuto di
nicotina; sono stati modificati pomodori e meloni per
diminuire la produzione di etilene, che nelle piante agisce come ormone della maturazione, allungando così
la loro conservazione; sono state realizzate patate resistenti alla dorifora e sono già commercialmente coltivati garofani con nuovi colori. Come abbiamo accennato, infine, si stanno diffondendo gli OGM di seconda
generazione in cui due o più caratteri sono inseriti nella
stessa pianta, per es., un ibrido F1 di mais realizzato
incrociando due OGM, ciascuno con un singolo carattere, la resistenza a insetti e la tolleranza a erbicidi.
Diffusione mondiale delle piante GM
Non è sorprendente che gli Stati Uniti siano il Paese
con la maggiore crescita della coltivazione di OGM
nel mondo, considerato che le principali produzioni
di sementi di specie coltivate geneticamente modificate e grande parte dell’attività di ricerca sono compiute da ditte statunitensi. La rapida crescita della coltivazione di OGM in Brasile, soprattutto soia e cotone
con tolleranza a erbicidi e resistenza a insetti, sta
destando tuttavia molto interesse negli osservatori.
In Cina, più dei due terzi dei campi di cotone viene
coltivato con piante geneticamente modificate, e il
governo ha anche dato il suo consenso alla coltivazione di petunia, pomodoro, peperone, papaia e
pioppo, mentre tuttora esita ad approvare la coltivazione di riso geneticamente modificato. Questa situazione potrebbe comunque cambiare a causa della tendenza all’aumento del prezzo dei generi alimentari nel
Paese, in conseguenza anche della forte crescita economica degli ultimi anni. La situazione della Cina è
inoltre abbastanza unica poiché circa un quarto della
popolazione mondiale ha a disposizione poco più del
7% delle aree coltivabili al mondo per produrre il proprio fabbisogno alimentare. L’India, invece, è emersa
progressivamente come Paese leader nella coltivazione
di OGM e dal 2006 ha superato la Cina, collocandosi
così oggi al quarto posto tra i Paesi produttori di raccolti da piante geneticamente modificate.
Nel continente africano, finora soltanto la Repubblica Sudafricana è impegnata nella coltivazione di
piante geneticamente modificate, principalmente con
varietà di mais bianco per alimentazione umana e di
mais giallo per alimentazione animale, entrambi con
la resistenza a insetti. Molte nazioni africane, tuttavia, stanno investendo nella ricerca e nello sviluppo
di sistemi di selezione assistiti da marcatori molecolari che, come vedremo, sono un aspetto molto promettente delle biotecnologie in agricoltura.
Per quanto riguarda l’Europa, la Spagna occupa il
primo posto nella coltivazione di piante geneticamente
modificate con 0,1 milioni di ettari nel 2009 e questo
sta creando interrogativi sulla possibilità di coesistenza
di tali colture con quelle tradizionali e con quelle biologiche. Altre tre nazioni (Repubblica Ceca, Polonia
e Slovacchia) sono coinvolte invece nella sperimentazione, con superfici inferiori a 50.000 ettari. All’inizio del 2008, mentre la Commissione europea stava
approvando la sperimentazione con nuovi OGM, la
Francia ha preso posizione vietando la continuazione
della sperimentazione in campo con mais geneticamente modificato richiamandosi alla cosiddetta clausola di salvaguardia, nome con cui è noto l’articolo 23
della direttiva 2001/18/CE. Quest’articolo prevede
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che uno Stato membro possa limitare o proibire l’uso
o la vendita sul proprio territorio di un OGM qualora esistano validi motivi di ritenere che questo costituisca un rischio per la salute umana o per l’ambiente.
Tale articolo si applica anche nel caso in cui l’OGM
in questione abbia avuto il consenso all’uso o alla vendita secondo le procedure previste dalla normativa
comunitaria. Il governo francese ha motivato questa
decisione adducendo nuovi elementi scientifici riguardanti la disseminazione attraverso il polline della tossina Bt e la sua persistenza nell’ambiente, l’apparizione di resistenza alla tossina negli insetti nocivi per
le colture e gli effetti della tossina sugli insetti che
invece non sono il bersaglio della resistenza in quanto
non nocivi per la coltura.
La selezione mediante marcatori molecolari
Per biotecnologie non s’intende soltanto ingegneria genetica e alcune loro applicazioni non hanno dato
origine a grandi controversie come quella sugli OGM.
Un discorso a parte merita quindi l’argomento dei
marcatori molecolari.
Il processo per la produzione di varietà migliorate,
cloni, incroci e linee di specie agronomicamente importanti è divenuto sempre più accurato, affidabile ed efficiente. Ciò nonostante uno dei limiti tecnici per una
selezione vegetale più efficace è che la scelta del materiale adatto, cioè quello con una o più delle caratteristiche volute, si basa sul fenotipo. Molte di queste
caratteristiche sono influenzate dall’ambiente per cui
non sono necessariamente una buona indicazione della
composizione genetica reale. Alcune di queste caratteristiche possono non essere visibili o rilevate soltanto
dopo la maturità della pianta o dell’animale. Altre caratteristiche, infine, possono risultare difficili da osservare o costose da rilevare, in quanto caratteri come
quello della tolleranza alla siccità o della composizione
del latte sono controllati da un grande numero di geni
il cui modo di azione e le interazioni reciproche e con
i fattori ambientali sono spesso sconosciuti. Un ulteriore sviluppo dei metodi di identificazione, selezione
e valutazione di caratteri specifici attraverso i programmi di selezione è quindi una necessità critica per
assicurare il miglioramento delle risorse genetiche che
serviranno per le future necessità di alimentazione.
I marcatori molecolari
Negli ultimi cinquant’anni la scienza ha fatto progressi notevoli nell’identificazione dei geni e della loro
funzione. La scoperta del polimorfismo del DNA (DeoxyriboNucleic Acid) ha reso possibile rilevare le differenze genetiche tra singoli individui, piante o animali,
in maniera più diretta rispetto all’analisi del fenotipo,
assistendone di conseguenza la selezione. Queste tecniche sono le stesse utilizzate dagli istituti di polizia di
tutto il mondo per determinare l’identità degli indivi-
dui. La tecnologia centrale coinvolta è quella della selezione assistita da marcatori (MAS, Markers Assisted
Selection) che possono sostanzialmente essere marcatori morfologici, marcatori biochimici (proteine) e marcatori molecolari (DNA). I primi due tipi esistono tuttavia in numero limitato e sono influenzati dall’ambiente.
I marcatori molecolari usano sequenze di DNA
presenti all’interno o nei pressi di geni che influenzano il fenotipo. Oggi esistono mappe che mostrano
i collegamenti statistici tra questi marcatori e molti
caratteri di un gran numero di specie di interesse agronomico. Queste mappe e questi marcatori possono
quindi essere utilizzati per assistere il processo di selezione rilevando se un gene specifico o uno specifico
segmento di cromosoma collegato con un dato fenotipo sia presente nella popolazione studiata. Quantunque l’obiettivo finale, quello cioè di identificare la
posizione e la funzione di ogni gene e di usare quindi
i marcatori per selezionare i geni economicamente più
importanti, sia ancora lontano, la selezione mediante
marcatori si è trasformata da teoria in pratica. Anche
durante questa evoluzione sono sorte nuove sfide, sia
tecniche sia legali, legate ai diritti sulla proprietà intellettuale, specie per quanto riguarda il loro impatto
sulle economie dei Paesi in via di sviluppo.
Esistono molti tipi diversi di marcatori molecolari
che differiscono in numerosi aspetti, quali i requisiti
tecnici (per es., alcune tecniche possono essere automatizzate mentre altre necessitano di nuclei radioattivi),
il tempo, il costo, il livello di preparazione degli operatori. I marcatori molecolari sono usati oggi in più di seicento progetti di ricerca articolati su numerose specie e
differenti tecniche (tab. 1). Tali marcatori differiscono
anche nel numero e per la quantità di variabilità genetica che possono rilevare in una popolazione, quindi le
informazioni necessarie al processo di selezione da essi
ottenibili variano in funzione del tipo di marcatore usato.
È inoltre indispensabile conoscere anche la loro posizione nel genoma per cui bisogna disporre di una mappa
adeguata. Nonostante alcune siano ancora incomplete,
esistono mappe genetiche di questo tipo per molte specie di interesse economico, tra cui avena, grano, mais,
orzo, pomodoro, riso e soia. Utilizzando queste mappe
i geni che con maggiore probabilità influenzano il fenotipo possono essere rilevati attraverso l’associazione tra
la presenza dei marcatori e dei caratteri. Tali caratteri
possono essere semplici, come molti di quelli che forniscono resistenza alle malattie, o quantitativi, geneticamente complessi in quanto coinvolgono molti geni.
Quasi tutti i caratteri economicamente importanti ricadono in quest’ultima categoria.
Le promesse della selezione assistita da marcatori
molecolari non si sono ancora realizzate, probabilmente anche a causa delle differenze nella struttura
della produzione delle sementi di diverse specie. Il
mercato delle sementi di mais, per es., è dominato da
un piccolo numero di grandi imprese private che producono e commercializzano ibridi; questo sistema
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Tab. 1 – Progetti di ricerca che utilizzano i principali marcatori
per specie vegetali
Marcatori
RFLP (Restriction Fragment
Length Polymorphism)
RAPD (Random Amplified
Polymorphyc DNA)
Microsatelliti
AFLP (Amplified Fragment
Length Polymorphism)
Isozimi
Marcatori del DNA dei cloroplasti
rDNA (sequenze
di DNA ribosomiale)
Non specificato
Totale
Specie
coltivate
Specie
forestali
Numero
totale
61
9
70
158
15
173
68
65
19
3
87
68
2
0
0
50
11
4
52
11
4
135
489
77
188
212
677
Fonte: FAO 2007
obbliga l’agricoltore ad acquistare le sementi per ogni
raccolto in quanto i semi conservati da un anno all’altro non mantengono le caratteristiche economiche desiderate. Il mais è probabilmente la specie d’importanza
economica in cui, prima di tutte le altre, si è trovata
applicazione della selezione mediante marcatori molecolari. Gli altri cereali sono invece gestiti principalmente da organizzazioni pubbliche e molte delle varietà
coltivate sono linee pure che vengono conservate di
anno in anno dall’agricoltore stesso. In questi casi non
è possibile la protezione intellettuale dei risultati e i
costi dell’uso della selezione con marcatori molecolari
non sono giustificabili per la ricerca privata. Anche
per le piante forestali è stato compiuto un notevole
sforzo teso a sviluppare mappe di marcatori per almeno
le principali specie commerciali, come eucalipto, pino
e acacia. Queste mappe sono state utilizzate con successo per localizzare i marcatori associati con caratteri
d’interesse economico quali la crescita, la resistenza
alle gelate, le proprietà intrinseche del legno, la capacità di propagazione vegetativa, il contenuto in oli
essenziali e la resistenza a malattie. La selezione assistita da marcatori, tuttavia, deve ancora essere inserita nei programmi di selezione delle specie da piantagione (per es., nella selezione dei vari tipi di palma).
Lo sviluppo di marcatori molecolari per gli animali da allevamento ha portato alla realizzazione di
mappe per alcuni di essi: pollo, bovino, maiale, pecora,
capra, cavallo, coniglio e tacchino. La maggiore rilevanza è stata ottenuta con i marcatori microsatelliti.
Esistono in commercio marcatori e test per specie animali diverse e per caratteri diversi, ma non è ancora
chiaro fino a che punto questi siano usati nei processi
di selezione. Per finire, sono state costruite mappe di
marcatori anche per alcune specie di pesci e crostacei
da acquacoltura, ma non esistono ancora programmi
di selezione di specie marine che li includano.
Nonostante l’impegno speso
finora, sono ancora poche le specie
per cui l’uso di marcatori molecolari è diventato commerciale, come
risulta evidente dai dati riportati
nella tabella 2. Nelle previsioni della
Commissione europea, tuttavia, le
tecniche della selezione assistita da
marcatori avranno con ogni probabilità un ruolo sempre crescente e
contribuiranno ad aumentare la
competitività dell’industria alimentare europea in genere.
Biotecnologie e produzioni
alimentari
I microrganismi sono certamente
ancora un elemento fondamentale
nella trasformazione del cibo e la
produzione di alimenti fermentati è stata basilare nell’intera storia dell’umanità. Molti di essi si trovano
comunemente sulle tavole di tutto il mondo, basti
ricordare la birra, il vino e il sidro, gli insaccati come
salami e salsicce, i formaggi e lo yogurt, l’aceto, il pane
e i prodotti da forno, la salsa di soia e il tofu, il cacao,
il caffè e il tè. Esiste di conseguenza una produzione
commerciale di questi microrganismi da usare come
inoculi nei processi di fermentazione dell’industria
alimentare. In questo modo è possibile garantire
costanti qualità e caratteristiche del prodotto finito.
Sul mercato non vi sono ancora microrganismi geneticamente modificati per queste applicazioni, ma l’importanza degli alimenti fermentati nella maggior parte
delle colture è tale che, comunque, esiste una ricerca
indirizzata al loro miglioramento. Per es., i batteri
responsabili della fermentazione di molti latticini,
come lo yogurt, sono molto suscettibili a infezioni
virali che causano importanti perdite economiche
all’industria. Batteri resistenti a tali infezioni sono
stati creati in laboratorio con le tecniche dell’ingegneria genetica, anche se la loro utilizzazione da parte
dell’industria dipenderà molto dall’atteggiamento dei
consumatori, dai quali lo yogurt è soprattutto percepito come un alimento naturale.
La situazione è diversa per i microrganismi che
servono alla produzione di additivi, enzimi e altre
sostanze utilizzate nella trasformazione degli alimenti.
Alcuni di questi componenti, infatti, sono oggi ottenuti da microrganismi geneticamente modificati, che
vengono poi inattivati o eliminati totalmente nel corso
del processo che porta al prodotto finale. Gli esempi
più comuni riguardano: l’α-amilasi, utilizzata come
coadiuvante per la panificazione e la produzione di
prodotti da forno; la glucosio isomerasi, per la produzione di fruttosio a partire da amido di mais; la chimosina o rennina, che serve a cagliare il latte e pro-
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parte convenzionale in tutti gli
aspetti nutrizionali e relativi alla
sicurezza. Talvolta, tuttavia, gli aliNumero
menti possono essere prodotti solo
totale
indirettamente con l’uso di OGM:
questo è il caso degli animali di alle523
vamento nutriti con mais oppure
115
soia geneticamente modificati.
5
Nonostante la normativa obblighi
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all’etichettatura e alla tracciabilità
677
anche dei mangimi animali prodotti
a partire da OGM, non è ancora previsto l’obbligo di etichettare il latte
e la carne prodotti da animali allevati con questi mangimi. In questo caso è emersa la
tendenza dei produttori a offrire una garanzia dal
campo alla tavola per valorizzare l’identità degli alimenti che più fortemente sono radicati sul territorio
nazionale e dare una possibilità di scelta al consumatore finale. Molti gruppi della grande distribuzione in
Europa hanno già pubblicamente espresso la loro posizione a favore di prodotti alimentari senza OGM nelle
loro campagne di informazione commerciale. In alternativa alle produzioni agricole convenzionali e agli
OGM si è inoltre sviluppato nel mondo il settore delle
produzioni da agricoltura biologica, che spesso permettono agli agricoltori di ottenere un valore aggiunto
economico. Queste produzioni sono oggi disciplinate
anche a livello internazionale e i relativi regolamenti
proibiscono espressamente l’uso degli OGM.
Tab. 2 – Stato di avanzamento dei progetti di ricerca che utilizzano
marcatori per specie vegetali
Fase
Sperimentazione
Prove in campo
Commercializzazione
Non specificata
Totale
Specie
coltivate
Specie
forestali
344
107
4
34
489
179
8
1
0
188
Fonte: FAO 2007
durre il formaggio; i carotenoidi, come additivi e coloranti alimentari o come complementi dietetici.
È infine importante ricordare come la sicurezza
sanitaria degli alimenti si sia notevolmente avvantaggiata degli strumenti analitici di origine biotecnologica
che permettono di riconoscere le eventuali contaminazioni microbiche e le tossine prodotte da microrganismi patogeni. I test con anticorpi monoclonali e con
marcatori molecolari permettono infatti di identificare
rapidamente la presenza di batteri che provocano l’avvelenamento del cibo, come, per es., Listeria monocytogenes e Clostridium botulinum; oggi è possibile rilevare in sole trentasei ore la contaminazione di un
patogeno come la Salmonella spp., rispetto ai tre-quattro giorni che sono necessari per crescere la coltura
secondo i metodi convenzionali della microbiologia.
Indiscutibilmente le biotecnologie rivestono un
ruolo rilevante nelle produzioni alimentari e, in prospettiva, permettono lo sviluppo di alimenti attraverso
una varietà di strumenti e tecniche. Questi alimenti
fanno parte dei nuovi alimenti che ricadono sotto la
normativa dell’Unione Europea e per i quali è necessaria una valutazione del rischio che riguarda sia gli
effetti diretti dovuti alle nuove proteine e al nuovo
DNA introdotti nell’organismo a seguito della modifica, sia gli effetti indiretti dovuti a modifiche, volute
o indesiderate, della composizione dell’alimento stesso.
Gli effetti da studiare, che includono la tossicità e la
possibilità di causare allergie, sono valutati caso per
caso. Senza queste informazioni non è possibile richiedere l’autorizzazione alla commercializzazione, per
ottenere la quale il richiedente deve anche prevedere
le misure più appropriate di etichettatura e di tracciabilità al fine di garantire la sorveglianza dell’alimento anche dopo la sua introduzione sul mercato.
Con queste premesse, nell’Unione Europea un
nuovo alimento viene approvato per la commercializzazione solo se risulta sostanzialmente equivalente a
quello naturale. È importante notare, per evitare confusioni, come il concetto di equivalenza sostanziale
non sia un’assunzione a priori, ma una conclusione
che può e deve essere tratta soltanto dopo aver ottenuto, tramite gli esperimenti, l’assicurazione che l’alimento derivato da OGM è equivalente alla contro-
I dubbi sugli OGM
L’introduzione degli OGM nel sistema agroalimentare è stata ed è tuttora fonte di controversie. Tra
gli argomenti più discussi menzioniamo l’impatto sull’ambiente delle piante geneticamente modificate. Si
consideri, quale esempio, la produzione di rapporti
scientifici riguardanti l’azione della tossina Bt sulla
farfalla monarca, un insetto non dannoso per le coltivazioni che, come sperimentalmente evidenziato, al
di fuori dei campi coltivati con OGM presenta esposizione minima delle larve a quella tossina con probabilità di intossicazione molto bassa. Un altro allarme
è stato destato dalla scoperta di piante di colza superinfestanti con la resistenza a erbicidi. Sebbene ciò sia
vero, il problema è documentato sin dagli anni Settanta del 20° sec. e quindi non è stato originato dagli
OGM, anche se rimane il dubbio che essi possano
peggiorare la situazione. Quello che forse è un punto
centrale nella discussione informata sulla coltivazione
di piante GM è se queste siano o meno necessarie per
risolvere la questione della fame nel mondo, imputabile principalmente a condizioni di povertà e disuguaglianza e di produzione insufficiente. In aggiunta,
le critiche evidenziano che le piante GM non hanno
finora dimostrato tutti i benefici promessi. Ogni varietà
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CARLO MINGANTI
GM commercializzata contiene infatti i caratteri di
resistenza a erbicidi o a parassiti e solo alcune varietà
sono state elaborate allo scopo di migliorare le proprie caratteristiche nutrizionali. Nessun OGM è stato
tuttavia realizzato espressamente per aumentare la
resa, anche se tale beneficio dovrebbe conseguire dalla
diminuzione delle perdite dovute a infestanti e parassiti. A sostegno delle critiche vi sono evidenze del
mancato raggiungimento di rese più elevate nonostante un miglior controllo dei parassiti e un minore
uso di antiparassitari, benché tali condizioni dovrebbero quantomeno comportare costi sociali inferiori da
un punto di vista sanitario e ambientale.
L’impatto economico degli OGM in agricoltura
dipende da un ampio spettro di fattori che includono,
tra gli altri, gli effetti della tecnologia sulle pratiche
agronomiche esistenti, le rese, la volontà delle popolazioni di consumare prodotti GM e infine la regolamentazione e i relativi costi. La valutazione economica
delle coltivazioni non è però semplice in quanto le conseguenze sull’ambiente hanno una enorme influenza
sui risultati. Per questo motivo sono necessari grandi
quantità di dati e sofisticati metodi di valutazione statistica. Soprattutto per quanto riguarda i Paesi in via
di sviluppo, gli effetti della valutazione delle coltivazioni di OGM si fondano su statistiche insufficienti a
isolare l’impatto di una pianta geneticamente modificata da tutte le altre variabili che influenzano le prestazioni della coltivazione, quali, per es., la qualità dei
semi e degli antiparassitari, la quantità delle infestazioni, le capacità tecniche dell’agricoltore, oltre ovviamente dal clima. Un esempio delle difficoltà di valutazione dei risultati è quello del cotone.
Il cotone è coltivato da oltre settemila anni ed è
usato per la realizzazione di materiali tessili e non solo.
Ogni anno vengono prodotti più di settecento milioni
di litri di olio di semi di cotone, che trova uso in molti
prodotti alimentari, come le margarine, nell’alimentazione animale, in alcuni tipi di carta e in prodotti
come la pasta dentifricia e i gelati. Nonostante il cotone
non sia l’OGM più coltivato, è tuttavia un buon esempio da considerare, in quanto è una coltura che necessita di un grande uso di insetticidi e antiparassitari, tra
cui sono incluse alcune molecole molto tossiche anche
per l’uomo. Nel caso della Cina, in cui il cotone coltivato è soprattutto GM, si è osservato che a fronte di
rese aumentate almeno del 10%, l’uso di antiparassitari è diminuito di oltre il 50%. In questo caso gli agricoltori hanno sicuramente avuto un profitto e, conseguenza altrettanto importante, hanno visto diminuire
significativamente il rischio professionale di avvelenamento da antiparassitari. Uno studio analogo compiuto sulle coltivazioni di cotone in India ha evidenziato che il costo della diminuzione dei trattamenti con
antiparassitari è oggi ampiamente azzerato dal prezzo
pagato per le sementi GM; tuttavia, le rese sono state
significativamente più elevate di quelle con piante tradizionali, per cui gli agricoltori hanno avuto un pro-
fitto. Il risultato economico può ovviamente cambiare,
a mano a mano che mutano i prezzi delle sementi e
degli antiparassitari e quelli di vendita del prodotto.
Bisogna tenere anche conto del fatto che in entrambi
i casi menzionati è stata verificata una significativa
diminuzione dell’uso di antiparassitari, fonte certa di
benefici dal punto di vista sia ambientale sia sociale.
Altri dubbi derivano infine dalla possibilità che gli
alimenti ottenuti da OGM o con OGM abbiano problemi di sicurezza imputabili, in particolare, a nuovi
allergeni prodotti dal carattere transgenico. Per questi dubbi esistono tuttavia evidenze che mostrano come
alcuni allarmi siano sorti da ricerche non del tutto
definitive o comunque parziali, le cui conclusioni
spesso rappresentano soltanto le opinioni degli autori.
Il risultato complessivo è che la superficie coltivata a OGM è in costante aumento. Sebbene ciò possa
essere dovuto a fattori diversi, tra cui non è da escludere la politica commerciale delle compagnie produttrici delle sementi, sicuramente gli agricoltori e il
mercato sembrano avere trovato dei vantaggi nelle
produzioni ottenute da queste colture.
Garanzie per la sicurezza dell’uomo
e dell’ambiente
Nell’Unione Europea ogni OGM per essere rilasciato nell’ambiente per scopi sia di ricerca sia di produzione commerciale deve essere preventivamente
autorizzato seguendo alcuni criteri fondamentali. Il
primo prevede la necessità di una valutazione del
rischio caso per caso, passo dopo passo e per ogni singolo utilizzo di un OGM (coltivazione e applicazione
industriale). L’approccio caso per caso significa che
devono essere prese attentamente in considerazione
tutte le specificità di ogni singolo OGM, con particolare attenzione alle possibili interazioni tra il nuovo
carattere e l’ambiente in cui è previsto il rilascio e
all’uso specifico (per es., se il prodotto è destinato
all’alimentazione umana o animale). L’approccio passo
dopo passo significa che l’OGM può essere immesso
sul mercato soltanto dopo che siano state compiute le
valutazioni in ambiente confinato e sufficienti sperimentazioni in campo. Il secondo criterio è che, dopo
essere stato rilasciato, l’OGM deve essere tenuto sotto
controllo e deve essere etichettato. Va seguito il principio di precauzione e i piani di controllo devono essere
approvati prima di poter effettuare il rilascio. La tracciabilità dell’OGM lungo la catena alimentare deve
essere garantita con l’etichettatura e la documentazione dei passaggi. Alla prima richiesta può essere
rilasciata un’autorizzazione alla commercializzazione
che ha una durata massima di dieci anni. Il terzo criterio è che durante il processo di approvazione il pubblico deve essere informato sia attraverso la sintesi
della documentazione tecnica presentata dal richiedente, sia attraverso rapporti specifici preparati dal-
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BIOTECNOLOGIE E SISTEMA AGROALIMENTARE
l’EFSA (European Food Safety Authority), con sede
a Parma, dalle autorità nazionali e dai laboratori del
JRC (Joint Research Centre) di Ispra (Varese), appartenente alla Commissione europea.
L’obiettivo dell’Unione Europea è di promuovere
il mercato con regole comuni a tutti gli Stati membri.
Ciò nonostante il quarto criterio per autorizzare il rilascio di OGM nell’ambiente riguarda la necessità, caso
per caso, di tenere anche in considerazione le peculiarità sia della gestione del territorio sia dell’agricoltura
di ogni Stato membro. Ogni Stato si trova quindi nella
posizione migliore per identificare le misure più efficaci, soprattutto giustificate, per garantire la coesistenza delle produzioni convenzionali, dell’agricoltura
biologica e degli OGM. Le linee guida della Commissione europea a tale riguardo (raccomandazione n.
556/2003) mirano infatti a garantire che gli agricoltori
possano avere gli strumenti pratici per scegliere cosa
piantare minimizzando eventuali effetti negativi.
La regolamentazione europea è allineata con i requisiti stabiliti dalla WTO (World Trade Organization) e
con le regole sui movimenti transfrontalieri stabiliti dal
Protocollo di Cartagena (2000). Tutti gli OGM sono
valutati caso per caso dalle agenzie preposte, in funzione dei rischi e dei benefici che possiamo trarre dal
loro uso. La valutazione è sempre compiuta paragonando rischi e benefici degli OGM con quelli di quanto
è prodotto con i metodi tradizionali. Per poter introdurre sul mercato mondiale un prodotto agroalimentare è quindi necessario valutare attentamente la sua
sicurezza alimentare e ambientale. Le agenzie internazionali che si occupano degli OGM sono, oltre alla
WTO, la WHO (World Health Organization), la FAO
(Food and Agriculture Organization), la Commissione
del Codex alimentarius e l’OECD (Organization for Economic Cooperation and Development). In Europa, molti
Stati membri, tra cui l’Italia (d. legisl. 24 apr. 2001 n.
212), hanno di fatto adottato una moratoria sulla base
del principio di precauzione, previsto nella Convenzione di Rio de Janeiro (1992) sulla diversità biologica.
Le disposizioni europee stabiliscono la valutazione
a priori degli OGM, fissano la loro tracciabilità ed etichettatura, impongono la sorveglianza biologica delle
colture e dei prodotti agricoli immessi sul mercato e
prevedono espressamente l’informazione del pubblico.
L’uso di microrganismi geneticamente modificati in
ambiente confinato, laboratorio e fermentatore, è previsto dalle direttive 1990/219/CEE e 1998/81/CE, integrate con la decisione 2000/608/CE relativa alla valutazione dei rischi, e con la direttiva 2000/54/CE e la
decisione 2001/204/CE, relative alla protezione dei
lavoratori. Il rilascio deliberato nell’ambiente di OGM
è previsto dalla direttiva 1990/220/CEE, sostituita dalla
direttiva 2001/18/CE, e completata dalla direttiva
2002/811/CE, che stabiliscono l’informazione del pubblico, i principi per la valutazione dei rischi per l’ambiente e le procedure di autorizzazione al rilascio. La
coesistenza di colture geneticamente modificate con le
altre colture è prevista dalla raccomandazione della
Commissione europea n. 556 del 23 luglio 2003. I nuovi
alimenti sono oggetto del regolamento n. 641/2004, che
riguarda l’applicazione del regolamento n. 1829/2003
sull’autorizzazione di nuove derrate alimentari e di
nuovi alimenti per animali, mentre il regolamento n.
65/2004 instaura un sistema per l’identificazione degli
OGM. La commercializzazione è prevista dalla direttiva 2002/57/CE, che riguarda le piante oleaginose e
da fibra, ma sono in fase di approvazione alcune proposte che riguardano la modifica degli allegati alle direttive sulle sementi e un regolamento sul campionamento
delle sementi. Il controllo della commercializzazione
è previsto, invece, nella raccomandazione della Commissione europea n. 66 del 25 gennaio 2002. I movimenti transfrontalieri degli OGM sono contemplati
nel regolamento n. 1946/2003, il quale traspone in
Europa il Protocollo di Cartagena e prevede, in particolare, gli obblighi di notifica e di informazione di tali
movimenti. La protezione giuridica delle innovazioni
biotecnologiche, infine, è prevista nella direttiva
1998/44/CE, che permette di brevettare nuovi prodotti
contenenti materiali biologici e nuovi processi per produrre, modificare o utilizzare materiali biologici.
Nell’Unione Europea gli investimenti sia pubblici
sia privati nelle biotecnologie, in generale, e in quelle
per l’agricoltura, in particolare, sono andati diminuendo
nel corso degli ultimi dieci anni. Tale fenomeno è in
parte dovuto alla delocalizzazione al di fuori dell’Unione
della ricerca e dello sviluppo del settore privato e ha
avuto come conseguenza l’erosione della base di conoscenze nel settore, soprattutto per quanto riguarda la
situazione italiana. Il fatto sta creando qualche allarme
in Europa, sia perché la richiesta mondiale di alimenti
è in crescita, con un impatto globale sui prezzi, sia perché gli sviluppi delle alternative rinnovabili di origine
agricola per l’energia e per i materiali diventano sempre più allettanti, spinti come sono da motivazioni economiche e dagli obiettivi di salvaguardia dell’ambiente.
Bibliografia
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experiences of GM crops, Bristol 2002.
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world, ed. M.-W. Ho, L.L. Ching London-Penang 2003 (trad.
it. Liberi da OGM. La sfida per un mondo sostenibile, Roma 2005).
FAO, The state of food and agriculture 2003-2004, Roma 2004.
FAO, Marker-assisted selection. Current status and future
perspectives in crops, livestock, forestry and fish, Roma 2007.
FAO, The state of food and agriculture 2009, Roma 2009.
Si veda inoltre:
European Commission, Enterprise and Industry DG,
Competitiveness of the European biotechnology industry, 2007,
http://ec.europa.eu/enterprise/sectors/biotechnology/files/docs/
biotech_analysis_competitiveness_en.pdf (1° luglio 2010).
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