memorie e tradizioni liguri Proverbi e modi di dire Curiosamente baxeicò è uno dei tanti modi per indicare o belin. Per il resto, fuori dalla Liguria si trova: La scusa del basilico è la rovina dell’orto. “Quando con la scusa d’inezie e a forza di puntigli si rovina cose grandi e patrimoni, o con scuse piccole, pretesti si danneggiano persone o grandi interessi”. Così traduce un bel dizionario del Petrocchi, edito nel 1924. L’aglio è ben più presente nei proverbi e modi di dire. O mortâ o sa sempre d’aggio: il mortaio sa sempre d’aglio. Chi ha un vizio non lo perde o, similmente, prima o poi uno rivela le proprie inclinazioni od origini. Pestâ comme l’aggio: picchiare come l’aglio e dunque forte e sodo. Fëo (o anche cattio) comme l’aggio: fiero, forte (o cattivo) come l’aglio. Câo comme l’aggio: caro come l’aglio. Dal volume di Nelio e Ivana Ferrando sui modi di dire dei genovesi : Câo costa l’aggio: caro costa l’aglio, dove, secondo gli autori, si giocherebbe sul doppio significato del ter- SERVITO IN TAVOLA di skiaffino mine: aglio e aggio. Reixe do mae chêu, spighetto d’aggio: radice del mio cuore, spicchietto d’aglio. Uno dei pochi modi di dire che parlano d’amore e affetti. Spighetto d’aggio: spicchietto d’aglio, detto di persona acre, pungente. Êse verde comme l’aggio: avere un aspetto malaticcio. Fâ mangiâ l’aggio a ûn: far mangiare l’aglio a uno. Farlo rodere per la rabbia, l’invidia o la gelosia. Tûtto ven a taggio, finn-a l’ungia do dïo grosso pe piâ l’aggio: tutto viene a taglio (è utile), persino l’unghia del pollice per mondare l’aglio. Uscendo dai nostri territori: Per San Giovanni si svellono le cipolle e gli agli: alla fine di giugno cipolle e agli sono pronti per essere raccolti. Chi ‘n compra i ai al dè ‘d San Zvan è puvratt tott l’an: chi non compra gli agli il giorno di San Giovanni è povero tutto l’anno. Proverbio bolognese. Nelle campagne, il 24 giugno aveva luogo il mercato dell’aglio, simbolo di abbondanza e collegato alla festività del Santo anche per la proprietà di allontanare le streghe. Chi vuole un buon agliaio, lo ponga di gennaio: “I manuali Grandi poteri, formidabili segreti mente al fegato”. Per questo anche le capre lo rifiutavano. Successivamente il poeta ellenico Filistione lo rivalutò. “E’ salutifero” scrisse “affiutarlo con l’aceto a chi fosse venuto in stato angoscioso. Rinfresca gli assonnati ed è buono ai dolori di capo. E’ utilissimo con grasso d’oca per le malattie delle orecchie. Il suo seme pesto, e messo nel naso, muove gli starnuti; è buono per i lavaggi vaginali; mescolato con cera da calzolai toglie i porri; risveglia notevolmente la lussuria, e perciò si dà anche ai cavalli e agli asini quando hanno da montare”. A tal proposito anche la cipolla e ancor più l’aglio venivano considerati molto efficaci, ma certo resta il problema dell’alito non proprio invitante. “Il problema - scrive sempre la Kolosimo - può essere risolto usando aglio e cipolla come ingredienti nei cibi e facendo contemporaneamente ricorso ad altre erbe aromatiche, come la salvia, la menta, il rosmarino, il basilico”. E qui si sfiora - ma guarda un po’ - il pesto! Ma la nostra “erba dei re” entra anche, e in buona compagnia, con il primo, completo tonico cutaneo, la cosiddetta “acqua celeste” compresa negli Experimenti di Caterina Sforza, signora di Forlì. Oltre al basilico in questo composto cosmetico trovano posto il ginepro, la cannella, le rose bianche e rosse, l’anice, l’incenso, il sambuco, la noce moscata, la salvia, la menta, il rosmarino, il garofano. Peraltro questa preziosa piantina era di certo adoperata dalle fattucchiere ancora nell’800; secondo il canonico Francesco Strano: “La donna custodiva un formidabile segreto, di cui non ho potuto constatare che una cosa: adoperava, per le sue arti, le foglie di basilico”. Dino Coltro, nel suo volume Dalla magia alla medicina contadina e popolare, riporta la seguente indicazione, relativa al Veneto: “Il decotto è comunemente chiamato the di basilico e si prepara con un pizzico (circa 3 gr.) della pianta per una tazzina di acqua bollente. El fa ben par digerir, aiuta la digestione e toglie la debolezza de stomego, combatte le stornisie, le vertigini”. M. Maroni Lumbroso ne El mal del moc lo indica come efficace rimedio -sempre in infuso- per combattere l’insonnia. mostra un alberello di un metro, ricoperto di fogliame scuro e sormontato da un pennacchio fiorito. Una pianta tropicale? Una palma nana meneghina? No, basilico. Siamo forzati alla liturgia dell’annusata “Senti, senti che profumo! (menta piperita) … Guarda che belle foglie grosse! (foglie di banano)… Ma sai quanto pesto ci viene con una sola pianta?” Ne valutiamo i pregi ornamentali, umbratili, e finanche economici. Ma si fa strada l’angoscia dell’inevitabile annuncio: “Ora vedi che pesto che ti preparo, che nemmeno a Genova lo fate così buono!” (il milanese ti frequenta e poi ti migliora). Tentiamo di ironizzare “Sono venuto a Milano apposta, pensa un po’…”. Lui ha già decapitato una fronda. “Vuoi una mano per tritare le foglie? Ho le braccia buone…” Le frulla. Nel vaso si forma un composto nauseabondo. Con ligure praticità prevediamo vantaggiosi commerci con gli uomini-medicina delle tribù pellerossa. Nel frullatore piovono disordinatamente ingredienti disparati: mezzo litro d’olio, un chilo di pinoli (il milanese largheggia) e un solo spicchio d’aglio (non gli piace, trova che dia cattivo sapore). Rifinisce con una vagonata di parmigiano che porta la densità a livelli da cemento armato. Noi intanto sfrondiamo le foglioline dei mazzetti di Pra' che ci eravamo previdentemente portati da casa. Legittima difesa. Franco Savio Nella cultura popolare le erbe odorose, dai forti effluvi ora gradevoli ora irritanti, sono sempre state portatrici di poteri magici. Erano dotate di “un’anima vegetale”, come osserva Gian Luigi Beccaria ne I nomi del mondo. Santi, demoni, folletti e le parole perdute. “Le madri contro gli influssi maligni innalzavano intorno alla culla un protettivo cordone sanitario a base di erbe odorose, perché gli effluvi neutralizzassero i malefici. Nel Dizionario dei simboli Jean Chevalier e Alain Gheerbrant, ricordano i poteri magici del basilico e il suo utilizzo nella preparazione dell’acqua vulneraria. “Nel Congo centrale le foglie di basilico vengono adoperate per fare gli scongiuri e tener lontani gli spiriti maligni”. Caterina Kolosimo fornisce interessanti informazioni sulle proprietà da attribuirsi al basilico ne Il libro delle piante magiche: “Il filosofo greco Crisippo lo riteneva non solo dannoso allo stomaco e alla “vista degli occhi”, ma “capace di far impazzire e di nuocere grande- O baxaico di atri Le voci del mercato Dui citti a-o masso o baxaicò!: due soldi al mazzo, il basilico Donne! Ghe l’aggio grosso! Ghe l’ò grosso, l’aggio!: dove è ben evidente un doppio senso giocato tutto sulle assonanze. E così qualcuno, ancor più salace, rispondeva: … anche mì ghe l’ò grosso, ma n’o diggo a nisciûn (… anch’io ce l’ho grosso, ma non lo dico a nessuno!) Chi vêu aggio da sarvâ?!: chi vuole aglio da conservare?! Reste, reste d’aggio! Chi vêu aggio da pestâ?!: chi vuole aglio da pestare?! A proposito di tali grida val la pena di ritrovarle in una strofa della gustosissima poesia del settecentesco Steva De Franchi (Ri sciaratti che sente Madonna Parissoea sciù ra ciaçça de Pontexello): Ghe l’ho grosso l’aggio, l’aggio: Chi voeu l’aggio da sarvâ? Pe oeutto sòdi çento teste, Chi voeu l’aggio, vendo reste, Chi voeu l’aggio da pestâ? “Baxaicò s.m. Basilico e Bassilico, Termine botanico Ocymum basilicum. - Pianta che ha le foglie ovate, liscie, i calici gigliati. Ha odore di garofano e di spezie, e ce n’ha di più qualità e nomi. Si usa per la cucina”. Così recita il Casaccia nel suo Dizionario Genovese-Italiano. Ma anche baxeicò, a Camogli e in altre località della riviera di 2 Per secoli il pesto è stata una salsa tipicamente ligure, ma con l’avvento della globalizzazione, un po’ dappertutto si è tentata l’imitazione dell’inimitabile. In fondo che ci vuole? Olio, aglio, pinoli e pecorino si trovano ovunque, e il basilico… chi non ha un orto, un balcone, un catino di latta dove coltivarlo? Noi genovesi eccentrici ritenevamo che l’unico, originale basilico fosse quello di Pra', dalle piccole, profumatissime foglioline. Al massimo concedevamo credito alle produzioni rivierasche. Ma un bel giorno, una scappata a trovare un amico a Milano e… “Vieni a vedere qua! Altro che le vostre piantine… guarda come butta bene da noi!”. Trascinati sul terrazzo, ci Levante o anche a Savona, ad Arenzano, a Pietra, a Calasetta (nell’enclave ligure della Sardegna). Mentre in certe zone si rintracciano: Baxaricò e baxericò (nel Ponente), baixaricò (fra Sanremo e Ventimiglia), Baxarcò (a Campoligure) ed altre ancora. Ascendenze nobili per il resto. Basilico deriva dal latino basilicum e questo dal greco basilikon con il significato di regio, vale a dire erba regale. E quindi ha a che fare con la basilica (il portico regio) edificio religioso cristiano ma anche con il basilisco che è sì un rettile tropicale o come si trova in vecchi dizionari - un cannone di grosso calibro ma soprattutto ci di agricoltura consigliano la semina dell’aglio verso febbraio-marzo; il proverbio consiglia di anticipare di un mese mostrando con ciò di essere originario dell’Italia centrale o meridionale”. Così scrivono Anna Maria Antoni e Carlo Lapucci nella loro raccolta “I proverbi dei mesi”. Si trovano poi: L’aglio è la medicina dei campagnoli (L’aj a l’è spesiari d’i paisan), in Piemonte; mentre in Abruzzo, similmente: L’ajje spezze la mmalarie. E per finire: Mangiar l’aglio, cioè ingoiare un rospo. Walter Fochesato ricorda un mostro fantastico (basiliskos, reuccio) dalle molte trasformazioni. Pare abbia soggiornato anche a Genova, finché - narra l’agiografia - San Siro, vescovo, non lo cacciò dal pozzo dove dimorava. E il basilisco - simbolo evidente dell’eresia ariana diffusa a Genova, attorno al 330 - se ne ritornò in mare.