Pagina 2 - Il Secolo XIX

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memorie e tradizioni liguri
Proverbi
e modi di dire
Curiosamente baxeicò è uno
dei tanti modi per indicare o
belin. Per il resto, fuori dalla
Liguria si trova: La scusa del
basilico è la rovina dell’orto.
“Quando con la scusa d’inezie
e a forza di puntigli si rovina
cose grandi e patrimoni, o con
scuse piccole, pretesti si danneggiano persone o grandi
interessi”. Così traduce un bel
dizionario del Petrocchi, edito
nel 1924.
L’aglio è ben più presente nei
proverbi e modi di dire.
O mortâ o sa sempre d’aggio:
il mortaio sa sempre d’aglio.
Chi ha un vizio non lo perde o,
similmente, prima o poi uno
rivela le proprie inclinazioni
od origini.
Pestâ comme l’aggio: picchiare come l’aglio e dunque
forte e sodo.
Fëo (o anche cattio) comme
l’aggio: fiero, forte (o cattivo)
come l’aglio.
Câo comme l’aggio: caro
come l’aglio.
Dal volume di Nelio e Ivana
Ferrando sui modi di dire dei
genovesi : Câo costa l’aggio:
caro costa l’aglio, dove, secondo gli autori, si giocherebbe
sul doppio significato del ter-
SERVITO IN TAVOLA
di skiaffino
mine: aglio e aggio.
Reixe do mae chêu, spighetto
d’aggio: radice del mio cuore,
spicchietto d’aglio. Uno dei
pochi modi di dire che parlano d’amore e affetti.
Spighetto d’aggio: spicchietto
d’aglio, detto di persona acre,
pungente.
Êse verde comme l’aggio: avere un aspetto malaticcio.
Fâ mangiâ l’aggio a ûn: far
mangiare l’aglio a uno. Farlo
rodere per la rabbia, l’invidia
o la gelosia.
Tûtto ven a taggio, finn-a
l’ungia do dïo grosso pe piâ
l’aggio: tutto viene a taglio (è
utile), persino l’unghia del
pollice per mondare l’aglio.
Uscendo dai nostri territori:
Per San Giovanni si svellono
le cipolle e gli agli: alla fine di
giugno cipolle e agli sono
pronti per essere raccolti.
Chi ‘n compra i ai al dè ‘d San
Zvan è puvratt tott l’an: chi
non compra gli agli il giorno
di San Giovanni è povero tutto
l’anno. Proverbio bolognese.
Nelle campagne, il 24 giugno
aveva luogo il mercato dell’aglio, simbolo di abbondanza e
collegato alla festività del
Santo anche per la proprietà
di allontanare le streghe.
Chi vuole un buon agliaio, lo
ponga di gennaio: “I manuali
Grandi poteri,
formidabili segreti
mente al fegato”. Per questo
anche le capre lo rifiutavano.
Successivamente il poeta ellenico Filistione lo rivalutò. “E’
salutifero” scrisse “affiutarlo
con l’aceto a chi fosse venuto
in stato angoscioso. Rinfresca
gli assonnati ed è buono ai
dolori di capo. E’ utilissimo con
grasso d’oca per le malattie
delle orecchie. Il suo seme
pesto, e messo nel naso, muove
gli starnuti; è buono per i lavaggi vaginali; mescolato con cera
da calzolai toglie i porri; risveglia notevolmente la lussuria, e
perciò si dà anche ai cavalli e
agli asini quando hanno da
montare”.
A tal proposito anche la cipolla e ancor più l’aglio venivano
considerati molto efficaci, ma
certo resta il problema dell’alito non proprio invitante. “Il
problema - scrive sempre la
Kolosimo - può essere risolto
usando aglio e cipolla come
ingredienti nei cibi e facendo
contemporaneamente ricorso
ad altre erbe aromatiche, come
la salvia, la menta, il rosmarino,
il basilico”.
E qui si sfiora - ma guarda un
po’ - il pesto!
Ma la nostra “erba dei re”
entra anche, e in buona compagnia, con il primo, completo
tonico cutaneo, la cosiddetta
“acqua celeste” compresa negli
Experimenti di Caterina Sforza,
signora di Forlì.
Oltre al basilico in questo
composto cosmetico trovano
posto il ginepro, la cannella, le
rose bianche e rosse, l’anice,
l’incenso, il sambuco, la noce
moscata, la salvia, la menta, il
rosmarino, il garofano.
Peraltro questa preziosa piantina era di certo adoperata dalle
fattucchiere ancora nell’800;
secondo il canonico Francesco
Strano: “La donna custodiva un
formidabile segreto, di cui non
ho potuto constatare che una
cosa: adoperava, per le sue arti,
le foglie di basilico”.
Dino Coltro, nel suo volume
Dalla magia alla medicina contadina e popolare, riporta la
seguente indicazione, relativa al
Veneto: “Il decotto è comunemente chiamato the di basilico
e si prepara con un pizzico
(circa 3 gr.) della pianta per una
tazzina di acqua bollente. El fa
ben par digerir, aiuta la digestione e toglie la debolezza de
stomego, combatte le stornisie,
le vertigini”.
M. Maroni Lumbroso ne El mal
del moc lo indica come efficace
rimedio -sempre in infuso- per
combattere l’insonnia.
mostra un alberello di un
metro, ricoperto di fogliame
scuro e sormontato da un pennacchio fiorito. Una pianta tropicale? Una palma nana meneghina?
No, basilico.
Siamo forzati alla liturgia dell’annusata “Senti, senti che profumo! (menta piperita) …
Guarda che belle foglie grosse!
(foglie di banano)… Ma sai
quanto pesto ci viene con una
sola pianta?”
Ne valutiamo i pregi ornamentali, umbratili, e finanche economici. Ma si fa strada l’angoscia dell’inevitabile annuncio:
“Ora vedi che pesto che ti preparo, che nemmeno a Genova
lo fate così buono!” (il milanese ti frequenta e poi ti migliora). Tentiamo di ironizzare
“Sono venuto a Milano apposta, pensa un po’…”. Lui ha già
decapitato una fronda. “Vuoi
una mano per tritare le foglie?
Ho le braccia buone…”
Le frulla. Nel vaso si forma un
composto nauseabondo. Con
ligure praticità prevediamo
vantaggiosi commerci con gli
uomini-medicina delle tribù
pellerossa.
Nel frullatore piovono disordinatamente ingredienti disparati: mezzo litro d’olio, un chilo di
pinoli (il milanese largheggia) e
un solo spicchio d’aglio (non gli
piace, trova che dia cattivo
sapore). Rifinisce con una vagonata di parmigiano che porta la
densità a livelli da cemento
armato.
Noi intanto sfrondiamo le
foglioline dei mazzetti di Pra'
che ci eravamo previdentemente portati da casa.
Legittima difesa.
Franco Savio
Nella cultura popolare le erbe
odorose, dai forti effluvi ora
gradevoli ora irritanti, sono
sempre state portatrici di
poteri magici. Erano dotate di
“un’anima vegetale”, come
osserva Gian Luigi Beccaria ne
I nomi del mondo. Santi, demoni,
folletti e le parole perdute. “Le
madri contro gli influssi maligni
innalzavano intorno alla culla
un protettivo cordone sanitario a base di erbe odorose,
perché gli effluvi neutralizzassero i malefici. Nel Dizionario
dei simboli Jean Chevalier e
Alain Gheerbrant, ricordano i
poteri magici del basilico e il
suo utilizzo nella preparazione
dell’acqua vulneraria. “Nel
Congo centrale le foglie di
basilico vengono adoperate
per fare gli scongiuri e tener
lontani gli spiriti maligni”.
Caterina Kolosimo fornisce
interessanti informazioni sulle
proprietà da attribuirsi al basilico ne Il libro delle piante magiche: “Il filosofo greco Crisippo
lo riteneva non solo dannoso
allo stomaco e alla “vista degli
occhi”, ma “capace di far
impazzire e di nuocere grande-
O baxaico di atri
Le voci del mercato
Dui citti a-o masso o baxaicò!: due soldi al mazzo, il basilico
Donne! Ghe l’aggio grosso! Ghe l’ò grosso, l’aggio!: dove è
ben evidente un doppio senso giocato tutto sulle assonanze. E
così qualcuno, ancor più salace, rispondeva: … anche mì ghe l’ò
grosso, ma n’o diggo a nisciûn (… anch’io ce l’ho grosso, ma non
lo dico a nessuno!)
Chi vêu aggio da sarvâ?!: chi vuole aglio da conservare?!
Reste, reste d’aggio! Chi vêu aggio da pestâ?!: chi vuole aglio
da pestare?!
A proposito di tali grida val la pena di ritrovarle in una strofa
della gustosissima poesia del settecentesco Steva De Franchi
(Ri sciaratti che sente Madonna Parissoea sciù ra ciaçça de
Pontexello):
Ghe l’ho grosso l’aggio, l’aggio:
Chi voeu l’aggio da sarvâ?
Pe oeutto sòdi çento teste,
Chi voeu l’aggio, vendo reste,
Chi voeu l’aggio da pestâ?
“Baxaicò s.m. Basilico e Bassilico, Termine
botanico Ocymum basilicum. - Pianta che
ha le foglie ovate, liscie, i calici gigliati. Ha
odore di garofano e di spezie, e ce n’ha di
più qualità e nomi. Si usa per la cucina”.
Così recita il Casaccia nel suo Dizionario
Genovese-Italiano. Ma anche baxeicò, a
Camogli e in altre località della riviera di
2
Per secoli il pesto è stata una
salsa tipicamente ligure, ma con
l’avvento della globalizzazione,
un po’ dappertutto si è tentata
l’imitazione dell’inimitabile.
In fondo che ci vuole? Olio,
aglio, pinoli e pecorino si trovano ovunque, e il basilico… chi
non ha un orto, un balcone, un
catino di latta dove coltivarlo?
Noi genovesi eccentrici ritenevamo che l’unico, originale basilico fosse quello di Pra', dalle
piccole, profumatissime foglioline. Al massimo concedevamo credito alle produzioni
rivierasche.
Ma un bel giorno, una scappata
a trovare un amico a Milano
e… “Vieni a vedere qua! Altro
che le vostre piantine… guarda
come butta bene da noi!”.
Trascinati sul terrazzo, ci
Levante o anche a Savona, ad Arenzano, a
Pietra, a Calasetta (nell’enclave ligure
della Sardegna). Mentre in certe zone si
rintracciano: Baxaricò e baxericò (nel
Ponente), baixaricò (fra Sanremo e
Ventimiglia), Baxarcò (a Campoligure) ed
altre ancora.
Ascendenze nobili per il resto.
Basilico deriva dal latino basilicum e questo dal greco basilikon con il significato di
regio, vale a dire erba regale. E quindi ha
a che fare con la basilica (il portico regio)
edificio religioso cristiano ma anche con il
basilisco che è sì un rettile tropicale o come si trova in vecchi dizionari - un cannone di grosso calibro ma soprattutto ci
di agricoltura consigliano la
semina dell’aglio verso febbraio-marzo; il proverbio
consiglia di anticipare di un
mese mostrando con ciò di
essere originario dell’Italia
centrale o meridionale”. Così
scrivono Anna Maria Antoni e
Carlo Lapucci nella loro raccolta “I proverbi dei mesi”.
Si trovano poi: L’aglio è la
medicina dei campagnoli (L’aj
a l’è spesiari d’i paisan), in
Piemonte; mentre in Abruzzo,
similmente: L’ajje spezze la
mmalarie.
E per finire: Mangiar l’aglio,
cioè ingoiare un rospo.
Walter Fochesato
ricorda un mostro fantastico (basiliskos,
reuccio) dalle molte trasformazioni.
Pare abbia soggiornato anche a Genova,
finché - narra l’agiografia - San Siro, vescovo, non lo cacciò dal pozzo dove dimorava. E il basilisco - simbolo evidente dell’eresia ariana diffusa a Genova, attorno al
330 - se ne ritornò in mare.
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