Esperienze di Musicoterapia con malati terminali

UNIVERSITE EUROPEENNE JEAN MONNET
ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF
BRUXELLES - BELGIQUE
THESE FINALE EN
“Musicothérapie”
FRAMMENTI DI VITA
Esperienze di musicoterapia con malati terminali
Relatore: Dott.ssa Daniela Vecchi
Co-Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Specializzando: Monica Patricio Pinto Matr. 2950
Bruxelles, Octobre 2012
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
PATRICIO PINTO MONICA – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2011 – 2012
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Indice dei Contenuti
1. Introduzione .................................................................................................................... 6
2. Le prime esperienze..........................................................................................................8
3. Il Centro di Cure Palliative “Hospice Piccole Figlie “ di
Parma.................................................................................................................................. 12
3.1.
Che cose sono le Cure Palliative.......................................................................... 13
3.2.
L'equipe di cure palliative............. ……………………………………............. 14
3.3.
Il ruolo dell'Operatore Socio Sanitario (OSS) nella struttura Hospice................ 15
3.3.1. Bisogni ed emozioni dell'Operatore Socio Sanitario.......................................... 17
3.3.2. Riflessioni personali sull'operato dell'Operatore Socio Sanitario in Hospice.....18
3.4.
Associazione di volontariato presso l'Hospice Piccole Figlie di Parma............. 19
3.4.1. Il cammino dei volontari in Hospice................................................................... 20
3.5.
Perché la Musicoterapia in Hospice?................................................................... 21
3.6.
Esperienza musicoterapica con A.,..................................................................... 23
4. Le cinque fasi della Dott.ssa Elisabeth Kubler Ross................................................. 31
4.1.
Prima fase: Rifiuto e isolamento........................................................................ 31
4.2.
Seconda fase: La collera..................................................................................... 32
4.3.
Terza fase: Venire a patti................................................................................... 33
4.4.
Quarta fase: La depressione............................................................................... 34
4.5.
Quinta fase: L'accettazione................................................................................ 34
4.6.
Caso del signor I., ............................................................................................. 36
5. Modello Musicoterapico usato in Hospice................................................................
38
5.1.
Definizione del Metodo di Helen Bonny (Guided Imagery in Musica)...........
5.2.
L'incontro: procedure e tecniche........................................................................ 39
5.3.
Prima Fase: Preludio.......................................................................................... 39
5.4.
Seconda Fase: Induzione, rilassamento e messa a fuoco.................................... 40
3
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5.5.
Terza Fase: Viaggio musicale.......................................................................... 40
5.6.
Quarta Fase: Prologo........................................................................................ 41
6. La scelta della musica................................................................................................ 42
7. Esperienza recettiva dell'ascolto in musicoterapia................................................. 44
7.1.
Caso della signora P.,........................................................................................ 44
8. Definizione di Musicoterapia secondo Kenneth E. Bruscia................................... 48
9. Il dolore…………………………………………………………………………….. 49
9.1.
Offrire musica a sostegno della terapia del dolore..........................................
50
9.2.
Caso signora O................................................................................................
50
10. Il silenzio.................................................................................................................
52
10.1.
Caso della signora C………………………………………………………….
54
11. Musicoterapia e coma.............................................................................................
56
12. La Musicoterapia negli altri Hospice del Territorio Nazionale..........................
57
12.1.
Una mattina in Hospice di Casalpusterlengo (LO) con la Dott.ssa Laura
Gamba.............................................................................................................
57
12.2.
L'uso della Musicoterapia alla fine della vita...............................................
61
12.3.
Musicoterapia nell'Hospice di Albinea (RE)................................................
62
12.3.1. Esperienze di Musicoterapia presso l'Hospice di Albinea...........................
64
13. Conclusione………………………………………………………………………..
67
14. Bibliografia………………………………………………………………………..
68
15. Sitografia…………………………………………………………………………..
68
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“La vita scorre via per ognuno di noi,
non importa se uno muore giovane o
vecchio, bisogna sforzarsi di fare della
vita un capolavoro attingendo gioia dalle
piccole cose di ogni giorno.”1
1 Bambarén Sergio; “Il guardiano del faro. Nel mare della vita segui la luce della felicità.” Sperling e Kupler editori,
2002, p.124.
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INTRODUZIONE
Il project work presentato in questa tesi si è svolto nel Centro di Cure Palliative, Hospice Piccole
Figlie di Parma. L'esperienza descrive un percorso di interventi di musicoterapia con i malati
terminali.
Riepilogherò in breve i contenuti e l'organizzazione della tesi.
Nella prima parte, ho raccontato come in un contesto come l'Hospice ogni giorno mi confronto con
il dolore, in ogni suo aspetto, corpo, mente, anima e come è nata in me l'idea di iniziare questo
percorso che mi sta portando a raggiungere gli obiettivi che ho capito essere importanti nella mia
vita: usare la musica per aiutare gli altri, coinvolgendo i malati terminali e le loro famiglie in un
nuovo modo di vivere le proprie emozioni attraverso la percezione musicale, le vibrazioni, ed il
corpo.
Successivamente il testo propone un viaggio nel mondo delle Cure Palliative, fondamentale per
orientarsi nel tragitto e per costruire una mappa chiara del perché la musicoterapia in Hospice.
Si entra nel territorio magico delle emozioni, laddove mi ha condotto questa strada, diventata
finalmente chiara, per riflettere e condividere come la musica può accompagnare i malati in una
atmosfera di serenità e tranquillità.
Racconterò diverse esperienze vissute nell'Hospice di Parma, ma anche in altri due Hospice del
territorio nazionale, con la lente focalizzata sull’utilizzo della musicoterapia alla fine della vita.
Tema principale della mia narrazione sono alcuni frammenti di vita, sovrastati dalla malattia, in cui
risuonano, principalmente attraverso la musica, voci e pensieri che mettono a nudo tutta la fragilità
umana. Spezzoni di vita in cui, grazie alla musica, sono entrata in punta di piedi per cogliere,
attraverso vari eventi come può essere una festa per salutare la vita, un battesimo, un anniversario
di matrimonio, l’atmosfera sacrale in cui la vita e la morte si prendono per mano
Nella quarta parte ho illustrato le varie fasi attraverso cui si passa nel momento in cui ci si trova di
fronte a situazioni di malattia grave e come ci si deve comportare. Chiunque parli del rapporto col
malato, in particolare il malato terminale, non può fare a meno di parlare della Dottoressa Kubler
Ross, che con la sua esperienza ha posto le basi delle necessarie conoscenze per stare vicino e
accompagnare i malati terminali.
Nel quinto capitolo di questo lavoro ho analizzato il modello di musicoterapia proposta da Helen
Bonny “Guided Imaginary in Music” cui mi sono ispirata in alcune delle esperienze proposte e che
mi ha fornito spunti di lavoro molto interessanti ed efficaci.
Con la musica ho trovato un binario che può dare la forza necessaria per calibrare, nei momenti più
critici della vita, il riemergere di ricordi positivi, offrendo la voce al groviglio di vissuti, di
esperienze, storie di vita e di sofferenza ma anche di momenti vissuti all’insegna dell’amore e della
dolcezza, che quotidianamente si respirano in Hospice.
Un mondo che improvvisamente si rivela, prezioso e sorprendente ma altrettanto fragile e delicato
come un soffitto di cristallo.
In questo universo umano le esperienze e le emozioni spesso si fondono tra di loro creando una
tavolozza di sentimenti dalle infinite sfumature che accomuna malati, familiari e operatori
dell’Hospice.
I familiari più stretti sono i primi ad affrontare queste difficili situazioni nella vicinanza al loro caro
ammalato.
Ed è proprio qui, in quei momenti, che la musica rappresenta una via preferenziale per esprimere
sensazioni ed emozioni, facilitando le diverse modalità di un addio.
La musica riempie questi istanti con la bellezza e dà loro significato, trasformando i momenti di
silenzio, difficili da sopportare quando si accompagna un proprio caro alla morte, creando un
ambiente più confortevole e accogliente.
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In questo percorso di musicoterapia ho cercato di cogliere al meglio negli sguardi e negli
atteggiamenti, sia del paziente che dei suoi familiari, i colori, le ombre, i ricordi, gli odori, i sorrisi,
le lacrime, le emozioni che in questo contesto straordinario sono diventati momenti indimenticabili.
Quando le persone arrivano in Hospice vengono accolte con amore; poco o nulla si sa del loro
vissuto se non quello relativo alla malattia, tuttavia esse ci fanno dono di un’esperienza
straordinaria: quella di vivere con loro gli ultimi sogni di una vita ormai sfiancata e impoverita dalla
malattia, piccoli frammenti che cercano di ricomporsi, frammenti di Vita lanciati nell’universo a
formare un colorato caleidoscopio.
Vite vissute e raccontate in cui rispecchiarsi e interrogarsi nel nostro io più profondo e segreto.
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CAPITOLO 2.
LE PRIME ESPERIENZE
Quando accettai di lavorare in Hospice, pensai che avrei avuto l’opportunità di offrire agli altri
molto di ciò che mi apparteneva, ma durante il percorso mi sono dovuta ricredere. Ho appreso che
per dare qualcosa in più agli altri, bisogna essenzialmente partire da loro, facendosi guidare dai loro
bisogni, dai loro desideri, dai loro ritmi, dalla loro cultura dai loro vissuti personali.
É un’impresa difficile perché ti carica di grande responsabilità emotiva, anche se le persone di cui ti
occupi non sono tuoi familiari; accompagnare alla fine della vita una persona che sta per concludere
un passaggio importante ed accompagnare anche i suoi cari, rende forti e consapevoli che la vita,
fino all'ultimo respiro, è preziosa ed unica.
Pertanto si inizia a valorizzare enormemente la semplicità delle cose comuni che ci circondano,
come può essere una frase espressa con dolcezza, scostare la tenda della camera per far entrare un
raggio di sole che scalda, donare un sorriso o fare una carezza con naturalezza e sentimento
amorevole.
In Hospice si aiuta il malato e i suoi familiari ad affrontare l’ultimo viaggio nel miglior modo
possibile, rispettando le sue necessità primordiali, rendendo il cammino più sereno e meno doloroso
per lui e per i suoi cari.
Per intraprendere il mio percorso in questa struttura, circa quattro anni fa è stato necessario seguire
vari corsi di formazione, poiché lavorare con chi non è semplicemente un ospite di passaggio ma un
paziente che ogni probabilità terminerà proprio qui il suo cammino di vita, necessita di costante
aggiornamento e approfondimento della materia per poter seguire meglio e con più efficacia i
percorsi personali degli ospiti.
Corsi con psicologi, medici palliativisti, aggiornamenti presso strutture qualificate, questo è e sarà il
percorso quotidiano per acquisire le conoscenze indispensabili non solo nell'aspetto clinico del
tumore, ma anche e soprattutto sui modi relazionali e comportamentali che devono intercorrere tra
l'ospite, i parenti, gli operatori sanitari ed i volontari. Tutte le nozioni teoriche acquisite durante i
corsi di formazione sono state rese efficaci dall’esperienza diretta in reparto. Infatti è solo con il
contatto umano che si riesce a cogliere la diversità di ogni singolo paziente; si impara ad ascoltare
senza giudicare, a riconoscere il segnale di aiuto di chi è in difficoltà, a volte anche attraverso il
silenzio. Si impara a condividere i momenti di sofferenza con il malato con sincero rispetto,
mettendo da parte angosce e pietismi.
Lavorando in Hospice, si apprende il sacrificio che talvolta i familiari degli ospiti devono mettere in
atto per mantenere il più possibile inalterate le abitudini familiari, per ricreare intorno ai loro cari
malati un ambiente domestico e familiare e questo stimola noi operatori a fare altrettanto, uniti nel
comune intento di cercare di allontanare la paura che il contatto con la malattia può far scaturire.
In Hospice i pazienti non hanno bisogno solo delle cure mediche, ma di tutto ciò che favorisce
l’emergere delle loro risorse e potenzialità personali per aumentare la qualità degli ultimi giorni di
vita.
Stimolare la loro creatività, continuando a dedicarsi ai propri hobby: la musica, la pittura, la poesia,
o qualsiasi altra cosa che li distragga dalla situazione in cui si trovano, utilizzati come strumenti di
cura.
Gli operatori devono essere perspicaci ad intuire non solo le sofferenze del paziente ma anche le
necessità o i desideri che essi esprimono. Essere creativi vicino al malato vuol dire essere presenti
in modo efficace. Osservare, saper ascoltare e intuire i bisogni più profondi dello spirito, trovare
sempre delle risorse con cui alimentare la creatività è di grande utilità per trovare nuove dimensioni
alla propria esistenza.
L'operatore deve attuare tutto ciò con umiltà e discrezione, rispettando il limite confidenziale sia
con il paziente che con i familiari dello stesso, senza creare disagi.
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Ogni giorno ci confrontiamo con il dolore in ogni suo aspetto, corpo, mente, anima, lavorando in
sinergia, non per guarire chi ormai non ha più nessuna speranza di guarigione, ma per ascoltare,
consolare, curare o semplicemente per essere vicino a chi ha scelto l’Hospice come ultima casa.
In tali frangenti soltanto l'affetto e la sicurezza di un nido che protegge possono essere d'aiuto per
allontanare le situazioni di pericolo, le incertezze, le paure.
E’ in questo contesto che si è radicato in me il desiderio di intraprendere un percorso di
musicoterapia da utilizzare nella pratica quotidiana del mio lavoro, che mi ha dato la possibilità di
individuare dove c'era più bisogno di intervenire.
Ogni fiume nasce da una sorgente e come ogni fiume, per raggiungere la sua meta, il mare, segue
un percorso segnato dalla natura.
La mia passione per la musicoterapia nasce appunto in Hospice, la sorgente ispiratrice di questo
percorso che mi sta portando a realizzare ciò che in passato non avevo considerato tra le mie
potenzialità, e cioè usare la musica per aiutare gli altri.
Il primo passo in questa direzione l’ho fatto grazie all'aiuto di una persona, a me divenuta in seguito
molto cara, che un giorno, conoscendo la mia passione per la musica, mi chiese di alleviare con il
suono del pianoforte le pene del suo congiunto da tempo ospite della struttura.
La signora Mimma, questo il nome della signora, mi raccontò che Claudio, il marito, da giovane
aveva preso delle lezioni di tastiera tanto era grande la sua passione per la musica. Mi raccontò del
loro incontro e di come la loro unione fosse stata felice, allietata dalla nascita di una figlia
meravigliosa e ora da due splendidi nipotini.
Suo marito era stato per lei prima un fidanzato affettuoso e poi un marito e padre sempre presente e
rispettoso del suo ruolo di donna, di moglie, di madre. Quest'uomo le aveva insegnato a conoscere
se stessa, l'aveva valorizzata nei suoi talenti, le aveva insegnato la libertà di pensiero, intesa non
come arbitrarietà di opinione ma come attenta accoglienza dell'altro. Mimma parlava di Claudio
sempre con molto amore e rispetto anche ora che quest’uomo così amorevole era in procinto di
abbandonarla, prostrato da un tumore. Per questo il suo cammino di preparazione al distacco si
prospettava molto difficile, sentiva che era ancora troppo presto e non riusciva ad accettare che tutto
ormai stava per finire.
Lei spesso mi raccontava di sé e della sua esperienza; io stavo in ascolto attento e mi venne
l’intuizione di prendere nota dei vari titoli di canzoni che ad entrambi piacevano perché legati a
ricordi degli anni passati, per cercare di ricostruire un po' la loro storia d'amore da quando si erano
conosciuti, sfiorando con la musica gli episodi più significativi della loro vita insieme, una sorta di
colonna sonora del loro vissuto comune.
Il giorno successivo sono riuscita a sistemare la camera di Claudio organizzando un setting minimo
per realizzare un breve laboratorio musicoterapico; l'ambiente era stato preparato al meglio per
renderlo accogliente e familiare: una bella luce naturale, essenze per stimolare anche l'olfatto, un
vaso con delle rose rosse portate da Mimma. Infine abbiamo messo Claudio in poltrona per
sollecitare la sua attenzione e favorire l'ascolto.
Seguendo la scaletta dei brani che mi ero preparata, ho iniziato a suonare. All'inizio la mia
attenzione era rivolta soprattutto a Mimma, pensando che questo momento potesse giovare
soprattutto a lei, ma dopo pochi brani, seguendo con lo sguardo Claudio, ho notato che qualcosa nel
suo viso stava cambiando, notavo un'espressione più serena, più allegra, si era come ravvivato.
Ascoltava ogni nota, ogni brano con la massima attenzione, esprimendo un cenno di gradimento
con l'inchino del suo capo.
E' stata una grande emozione per me aver colto questo piccolo segnale, mi ha dato la
consapevolezza che attraverso la musica si poteva stabilire un dialogo con Claudio offrendogli
l’opportunità di poter godere ancora per un po’ della bellezza che la vita può offrire.
E' stata altresì per me la prova che tutti i miei anni passati a studiare la musica trovavano ora un
significato molto importante, quello di far rivivere nel contesto dell'Hospice sensazioni di felicità ed
amore agendo sulle emozioni e sui ricordi delle persone ospitate presso il centro. Attraverso il
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linguaggio musicale si poteva realizzare un percorso di accompagnamento attivo delle persone
verso una morte dignitosa attuando le indicazioni delle Cure Palliative
Da quel giorno altri laboratori si sono susseguiti con Claudio per tutto il periodo che è rimasto in
Hospice; ogni volta piccoli segnali si registravano nel comportamento di Claudio che così ha
raggiunto il termine della sua vita accompagnato quotidianamente dai suoni e dalle melodie
preferite.
Nelle sedute che sono seguite, mi sono comportata con Claudio come se lui fosse in grado di
sentire, comprendere e interagire, cercando di entrare in comunicazione con lui e gettare un ponte
utilizzando la musica come un oggetto intermediario.
I segnali che Claudio emetteva durante l'ascolto dei suoi brani preferiti erano evidenti: la variazione
della frequenza cardiaca e della respirazione che, in accordo con il brano ascoltato in quel
momento, diventava più veloce, intensa, qualche volta anche ansiosa o eccitata.
Il signor Claudio dava anche altri segnali attraverso movimenti involontari muscolari, ad esempio il
movimento delle mani e delle gambe contestualmente al cambio di tonalità o intensità del suono.
Si notavano in quei momenti anche sudorazione, singhiozzi, cambiamento del colore del viso dal
pallore ad un colore roseo.
Dopo la scomparsa di Claudio la musica ha continuato ad essere presente in Hospice e ad essere la
testimonianza più tangibile del suo passaggio nella struttura. Infatti la moglie, toccata in prima
persona da questa esperienza, ha promosso molte iniziative musicali e ha dato vita anche ad un
Comitato “Amici di Claudio Bonazzi” che attraverso l’organizzazione di eventi musicali nella città,
ha l’obiettivo di sostenere progetti importanti, ad esempio l'inserimento della fisioterapia in Hospice
e molti altri.
La musica diventa così elemento metaforico di continuità tra la Vita e la Morte, sensibilizzando e
contribuendo a diffondere fra le persone il concetto dell’Hospice e delle Cure Palliative dove poter
ricevere i necessari conforti per intraprendere un percorso di preparazione alla morte in modo
dignitoso e rispettoso dei valori della persona. Il motto che contraddistingue l’operato del Comitato
è per l’appunto: “Non dare più giorni alla vita ma dare più vita ai giorni”2, così come era avvenuto
per Claudio.
Durante questi laboratori, spesso capitava che anche altri ospiti del Centro di Cure Palliative si
presentassero e condividessero questi momenti musicali che offrivo a Claudio e ai suoi cari
facendomi capire come la musica avesse la capacità di coinvolgere le persone presenti nella
condivisione e nell’ascolto, allontanando anche se per poco l'idea di trovarsi in un ospedale.
Prendeva forza in me l’idea che potevo utilizzare la musica in maniera più strutturata per dare
sollievo a queste persone, facilitando così il loro viaggio verso la meta finale.
L’esperienza successiva, che ha rafforzato questa mia convinzione, è giunta con il Sig. Concetto,
panettiere di professione ma attore di teatro per vocazione.
Concetto, saputo della mia disponibilità ad organizzare momenti musicali nel corso della giornata in
Hospice con pezzi suonati al pianoforte, mi chiese di organizzare un evento in cui lui avrebbe
recitato dei brani con il mio accompagnamento musicale, in quanto voleva salutare amici e familiari
lasciando loro questo ricordo.
Le sue condizioni di salute erano oramai allo stadio finale, tuttavia Concetto ha dato segno di
volontà e forza nell'organizzare con il mio aiuto la sua esibizione.
In una settimana si è organizzato il tutto, compresa la stesura del copione che ha recitato alla
presenza dei suoi amici, parenti, medici ed operatori sanitari.
Ricordo che Concetto durante la settimana di prove per il suo gran finale, spesso dichiarava che
questa eccitazione nell'approntare la sua esibizione gli dava una grande carica interiore, tanto da
non sentire più i dolori che lo perseguitavano: questo era un vero e proprio intervento di Cura
Palliativa.
2 Cicely Saunders,” Vegliate con me”, edizione dehoniane, Bologna, 2008, p. 70.
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E' stato un grande successo. Durante la sua performance i familiari, ma in particolare i suoi amici
giunti da lontano, non riuscivano ad accettare che forse quella era l'ultima prova del loro grande
amico, tanta era la forza e la gioia che Concetto manifestava, più forte della sofferenza che minava
il suo fisico ormai provato.
L’esperienza di Concetto ha voluto dimostrare che la musica unita alla forza di volontà talvolta può
fare miracoli, sconfiggendo, anche se per poco, il male più terribile.
Attraverso la sua performance egli è riuscito a trasmettere la sua estrema testimonianza di uomo.
Nell’espressione artistica ha accompagnato se stesso e i suoi familiari in modo sereno, gioioso,
come il suo animo sentiva di voler fare.
Queste esperienze hanno rafforzato in me la volontà di iniziare a conoscere ancora di più la
possibilità di usare la musica come Cura Palliativa nei confronti delle persone sofferenti, in
particolare nel momento di fine vita. L’incontro con la scuola e la formazione come
musicoterapeuta è avvenuto grazie a queste premesse che mi hanno aperto la possibilità di
trasformare in incontri strutturati e organizzati ciò che avevo vissuto su un piano prettamente
esperienziale, consentendomi così di avvicinarmi sempre di più al malato, di comprenderne le sue
istanze e riuscendo a dare voce ad esse attraverso l’uso della musica.
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CAPITOLO 3
IL CENTRO DI CURE PALLIATIVE “HOSPICE PICCOLE FIGLIE” DI
PARMA.
“L'Hospice non è un luogo dove si muore, ma è un luogo dove si vive con dignità e in pienezza
perchè si è riconosciuti come persone uniche e irripetibili. Così si può essere aiutati a vivere,
anziché vegetare in modo inumano, come qualche volta nell'anonimato o peggio nella solitudine.”3
Le parole della Kubler-Ross rispecchiano pienamente la vita dell’Hospice “Piccole Figlie” di Parma
in cui lavoro, sia per quanto riguarda la relazione con i pazienti che con i loro familiari, mettendo in
atto quotidianamente comportamenti volti ad aiutare queste persone a giungere alla fine della vita in
modo dignitoso e soprattutto non in solitudine.
E’ importante mettere a loro agio, pur nella sofferenza, i pazienti, ossia, cercare di facilitare la
convivenza con la malattia senza annullare in loro la speranza, perché anche in un solo attimo di
vita può esserci un’infinità di gioia e felicità.
Noi operatori in Hospice siamo consapevoli che anche quando guarire la patologia non è più
possibile vi è sempre la possibilità di una guarigione su un altro piano attraverso la riconciliazione
con se stesso, con i familiari, con Dio, con la vita e con il passato; per questo fatto è molto
importante dare un volto umano alla cura della persona malata.
“Operare in Hospice è lavorare al confine della vita che resta sempre e comunque vita, è
condividere momenti emotivamente intensi e difficili, dare speranza quando tutto gioca contro.
Avere come orizzonte la totalità della dimensione umana significa operare ponendo attenzione:
ai bisogni clinici dove è fondamentale ridurre il dolore e ogni tipo di sofferenza fisica; ai bisogni
fisiologici e spirituali che condizionano la vita di relazione del paziente e della sua famiglia,
ai bisogni sociali per quei pazienti che vivono la malattia nella disperazione della solitudine.”4
Con la Musicoterapia cerco di umanizzare la cura da sottoporre al paziente, ossia con melodia e
suoni, cerco di rasserenare il suo stato d'animo distogliendolo, anche se per brevi momenti, da
quella sofferenza che molto spesso lo turba, di fare evadere con la musica la mente, la psiche,
l'anima dal corpo oramai devastato dalla sofferenza.
Ogni giorno vivo esperienze diverse che cambiano forma e significato e talvolta anche valore al
senso della vita.
Con la musicoterapia si riesce a far costruire nell’animo del paziente un rifugio dove, in qualsiasi
momento, poter trovare protezione, aiuto, coraggio per affrontare quotidianamente la battaglia
contro il dolore, la solitudine, la paura di essere oramai giunti alla fine.
Il mio compito, quindi, non è quello di guarire le malattie, ma di accompagnare il paziente in un
viaggio, in cui poter offrire un beneficio psico- fisico e umano, anche se momentaneo, poiché si
vanno a toccare con mano le reali difficoltà in cui si trovano in quel momento della loro vita e,
tuttavia, si può offrire una speranza di apertura alla vita, per aiutarli a non chiudersi e rassegnarsi
alla logica della sofferenza e della morte.
Ai familiari che stanno loro accanto si offre aiuto morale e sostegno per affrontare questi momenti,
conducendoli ad accettare la fine del viaggio del loro caro.
Con la musica, sempre nel rispetto sia dell'ospite che dei suoi cari, si crea un’atmosfera di unione
fra tutti i presenti in quei momenti, si cerca di coinvolgere tutti nell'ascolto delle note musicali dei
vari brani suonati o semplicemente nell'uso dello strumentario ORFF (strumentario a percussione
ritmico e melodico) o della musica registrata.
3 Kubler-Ross Elisabeth, “La morte e il morire”, cittadella editrice- Assisi, 2005, pagina 7
4 Marco Botturi e Luciano Riboldi- “ Le malattie inguaribili - Curare? Sempre”; società editrice Fiorentina, 2006,
pagina 66.
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Con la musicoterapia, si riesce a volte a costruire, una biografia affettiva della persona malata,
legata ai sentimenti, agli amori, alle sue passioni.
Questo accade, perché un suono, una melodia, una canzone un ritmo, possono far ricordare dei
momenti vissuti, felici o anche tristi, ma soprattutto possono rianimare quello spirito di volontà
necessario per affrontare con forza e coraggio i momenti difficili che lo stanno turbando, la maggior
parte delle volte con la consapevolezza che non faranno più ritorno alla loro case, altre volte per
affrontare i giorni nell'attesa di ritornare fra le proprie mura domestiche.
3.1. Che cose sono le Cure Palliative
“'Hospice è un luogo di cura destinato ad accogliere il malato affetto da patologia cronica e
inguaribile.
Le cure palliative sono il contesto nel quale l'Hospice è inserito, sono le cure attive e globali, che
hanno per obbiettivo il miglioramento della qualità della vita, quando aumentare o salvaguardare
la quantità della vita non è più possibile o attuabile e si propongono di intervenire sulle dimensioni
fisiche, psicologiche, sociali e spirituali della sofferenza.”5
Cicely Saunders, Dottoressa ma ancor prima infermiera ed assistente sociale in Inghilterra, è
considerata fondatrice internazionale dell'Hospice Movement.
Cicely Saunders, di solito parlava di un approccio positivo alla fase terminale della malattia.
Non considerava la fine della vita come una sconfitta, ma come un'occasione di compimento,
riconoscendo che molte erano le strade che portavano al termine della vita.
La terapia del dolore e l'assistenza divennero per la Saunders gli obbiettivi principali da
raggiungere, a metà strada tra l'accanimento e l'abbandono terapeutico, dove per il paziente la
comprensione e la compassione erano di importanza vitale.
La Dottoressa Saunders dette una svolta farmacologica che permise di cambiare di netto l'assistenza
ai malati terminali.
5 Cicely Saunders; vegliate con me, edizione dehoniane, Bologna, 2003, p.7.
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Introdusse l'uso della morfina, somministrandola oralmente ogni quattro ore per il trattamento del
dolore, esperienza fatta su più di mille casi di pazienti terminali, che ha portato a dare le basi della
moderna terapia del dolore e delle Cure Palliative.
L'Hospice non è solo un luogo di cura ma rappresenta anche una filosofia di Cura Palliativa.
A questo proposito, vorrei definire l'attività svolta in un Hospice e lo faccio spiegando il significato
della parola Palliativo, normalmente utilizzata per definire il tipo di cure in esso praticate.
Di solito si attribuisce al termine palliativo una valenza negativa, quale – provvisorio – non
efficace- non in grado di risolvere- , senza sapere invece che il termine deriva dal latino pallium,
che significa mantello. Letto in questo senso l'aggettivo si carica di connotazione positive.
Palliative sono tutte le cure che coprono, che abbracciano e avvolgono come un mantello il malato,
cercando di proteggerlo in ogni aspetto del suo sentire fisico, mentale, psicologico, spirituale.
Al malato, infatti, vengono offerti molti supporti: la medicina tradizionale, che mira al controllo
delle sintomatologie legate alle varie patologie tumorali; una efficace terapia contro il dolore, che
tanto spesso affligge i malati di cancro; il sollievo offerto da vari tipi di massaggio e fisioterapia,
l'assistenza esperta del personale infermieristico e sanitario per le terapie, per la cura e l'igiene della
persona. Infine, ma non ultimo come importanza, il supporto di un dialogo aperto con medici e
psicologo, ma anche con i volontari che scelgono di dedicare un po' del loro tempo a chi sta
soffrendo; il conforto di un assistente spirituale, indispensabile per chi vuole curare oltre al proprio
corpo anche il proprio spirito.
Tutto questo serve per creare attorno al malato un clima di solidarietà attiva che gli consenta di non
sentirsi solo nell'affrontare il suo personale cammino finale.
Uno degli scopi per cui è nata la struttura dell'Hospice è di fare in modo che il malato terminale di
tumore o di altre gravi patologie, possa trovare un luogo in cui ricevere le giuste cure in un clima di
serenità e di accoglienza, in un ambiente rispettoso sia della dignità della vita fino all'ultimo suo
istante, sia della sacralità della morte.
3.2. L'equipe di Cure Palliative
Il cammino che deve percorrere l'equipe medico sanitaria è quello dell'assistenza globale e ha in sé
qualcosa di creativo non solo e non tanto nel senso che richiede continuamente qualcosa di nuovo.
Il paziente è al centro di un sistema e tutte le figure professionali, ognuna con le proprie competenze
gli ruotano attorno. Nel senso che là dove c'è impegno diretto e intenso c'è anche l'esigenza di dare
un significato più specifico e autonomo a quello che si fa e a come lo si fa.
Da qui nasce il lavoro d'equipe, essa costituisce lo strumento attraverso il quale si utilizza un
complesso di conoscenza e di interventi coordinati, allo scopo di rilevare e rispondere ai bisogni del
paziente e dei loro familiari.
Creatività è allora riuscire a dare la propria impronta, a trovare, a ricercare e a far emergere il senso
irripetibile e unico di una azione, di una iniziativa, di un incontro, di uno scritto, o di un discorso.
L'equipe di cure palliative è generalmente composta da:
·
medico;
·
psicologo;
·
infermieri;
·
operatori socio sanitari (oss);
·
assistente spirituale;
e se possibile da altre figure in relazione a specifiche problematiche (fisioterapista, dietista,
assistente sociale, volontari, musicoterapista, ecc...)
L'organizzazione del lavoro consiste in riunioni di tutti i membri dell'equipe con cadenze
quindicinali:
·
per valutare il paziente;
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·
·
·
·
per formulare un piano assistenziale personalizzato;
per l'adozione di protocolli di cura dei sintomi ed assistenziali;
per la verifica dei risultati;
per un aiuto reciproco tra i vari professionisti (per evitare un eccessivo
coinvolgimento psicologico, sindrome di burn-out).
Il lavoro d'equipe è un modo di essere, di diventare, di crescere nel rispetto di se stessi e degli altri;
è un cammino di autonomia nella condivisione di un progetto comune al servizio del paziente.
L'equipe è fondamentale per conoscere le aspettative che consente a tutti di:
·
lavorare nel modo più sereno possibile;
·
condividere esperienza e progetti;
·
sentirsi appoggiati nei momenti di difficoltà;
·
essere apprezzati.
La consapevolezza di tutti i componenti l'équipe di essere dentro a un gruppo di lavoro è l'elemento
base per la costruzione di rapporti plurali e funzionali, supportati da una corretta e condivisa
metodologia di lavoro, congruente al compito assunto dall'équipe stessa. Leggiamo in De Robertis
(1986, p.185):
“ E' in questi gruppi di lavoro, a struttura istituzionalizzata, che si giocano le contraddizioni e i
conflitti più rilevanti: il problema degli status professionali e la gerarchia, ma anche la rivalità tra
professionisti e tra persone, i meccanismi di potere informali, e le paure nei rapporti tra persone
(paura di essere giudicato, paura di non essere riconosciuti, paura di essere offesi o attaccati
dall'opinione degli altri ecc.). Il rispetto di ciascuno, il posto che ognuno occupa nel gruppo, la
tolleranza e il riconoscimento del valore dell'altro, sono indispensabili per un funzionamento
soddisfacente dell'équipe.”6
3.3. Il ruolo dell'operatore socio sanitario (OSS) nella struttura Hospice
L'operatore socio sanitario, meglio definito e indicato con la sigla OSS, nelle strutture dove questa
figura è presente rappresenta un punto di riferimento per il degente ma principalmente per le
persone afflitte da malattie terminali che affrontano una fase delicatissima della loro vita e cioè
l'avvicinarsi alla fine della vita stessa.
L' operatore socio sanitario è la persona che accede al corpo della persona malata che sta a letto, o
meglio è l'operatore che interagisce con l'ammalato, con i suoi bisogni fisiologici, e con le sue
esigenze posturali.
L'OSS è la persona che quindi tocca con le proprie mani l'ammalato; è colei/ui che lo aiuta a
muoversi per stare più comodo nelle posizioni, effettua delle manovre, esegue l'igiene intima, lo
aiuta a vestirsi, a mangiare ed altro .
Il contatto tra l'operatore e il malato è sempre ravvicinato, ci sono due corpi che si toccano
prendendosi cura l’uno dell'altro; l'operatore socio sanitario, aiuta, sostiene il malato in movimenti e
manovre molto delicate.
L'operatore socio sanitario, vive sulla sua pelle giornalmente gli effetti di un contatto ravvicinato
con una persona affetta da un male incurabile che lo portano quindi a conoscere, indagare, prendere
in considerazione le reazioni, le emozioni, le esigenze che un malato può avere mentre si sta con lui,
magari durante un cambio di posizione per stare più comodo nel letto.
Si instaura una forma di contatto molto profonda tra il paziente e l'OSS che va sempre rispettata e
mai data per scontata. Egli, soprattutto nei primi incontri con un nuovo paziente del reparto, non sa
chi ha di fronte, quale rapporto ha con il suo corpo, quali sono le sue esigenze, come vive il suo
6 Patricio Pinto Monica, “Curare se stessi per curare gli altri”, Tesi 2° anno SST in Musicoterapia, A.A. 2009-2010,
Istituto Meme, Modena, pp. 9, 10.
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corpo trasformato dalla malattia, dalle cure o da interventi chirurgici. Si cerca necessariamente di
approfondire questi aspetti, effettuando un dialogo preliminare con il nuovo ospite in Hospice.
Innanzitutto ci si presenta, sedendosi magari accanto al paziente, verificando le esigenze, i bisogni
più urgenti, le abitudini, le esperienze di eventuali altri ricoveri in ospedale.
Da considerare che molti pazienti maturano diffidenze, piuttosto che terribili traumi, causati dal
trattamento maldestro e poco rispettoso della propria persona, in molte situazioni trattata come un
oggetto e non come una persona umana ed ancora viva.
Di seguito alla presentazione reciproca, l'operatore socio sanitario, deve valutare il compimento di
alcune manovre, ossia l’esecuzione di quelle richieste sulla base di dati clinici e delle indicazioni
del medico, essere sempre molto vigile e attento a quello che il paziente fa, muoversi con calma,
con grande rispetto e cordialità, con amorevole interesse verso la persona, interessarsi interamente
del paziente, riuscendo ad aiutarlo, conoscendone eventuali difficoltà, imbarazzi e fastidi.
Fondamentale è fare sempre domande e dare spiegazioni quando si opera sul corpo del malato per
eseguire le varie prestazioni, perché in quel corpo vi è una persona e per tale motivo occorre
trattarlo sempre con rispetto, soprattutto perché per una persona è sempre difficile accettare di farsi
curare fisicamente da qualcuno che non si conosce.
Per molti pazienti è difficile accettare questa realtà, ossia farsi aiutare per ottenere comodità e
serenità; per altri può essere piacevole farsi coccolare, essere accuditi, ed accompagnati anche in
senso prettamente fisico nell'ottemperare alle esigenze quotidiane di base, come aiutare nel
mangiare, il dormire, riuscire ad espletare i propri bisogni fisiologici.
L'operatore socio sanitario deve sviluppare la massima sensibilità nella sua funzione lavorativa e
verso gli effetti che provoca nel paziente oltre che in se stesso.
Non bisogna mai forzare l'ammalato terminale in qualche cosa che non vuole, a meno di situazioni
estreme o di emergenza, cercando di capire se necessita di aiuto di qualsiasi genere.
Dedicando un po' di tempo si deve indagare sui vissuti dell'ammalato, magari mentre si effettuano
le manovre si può chiedere se il tocco è adeguato alla sua fragilità, se si sente rispettato, se vorrebbe
che fosse un altro ad avere cura di lui.
Si può parlare anche di altre cose o di quello che il paziente preferisce affrontare, intavolando un
discorso, talvolta un modo per distrarsi dall'imbarazzo, parlando di un argomento di reale interesse
per il paziente.
L'operatore socio sanitario, deve provare a muoversi su vari livelli di conversazione e di aiuto,
quindi parlare di più cose e cercare di notare se nel frattempo le espressioni del viso del paziente
che si accudisce in quel momento, sono di dolore, di imbarazzo, di incertezza, di spavento, oppure
di piacere, di rilassamento. E’ importante cercare di renderlo partecipe delle manovre che si
praticano senza dare la sensazione di qualcosa di meccanico.
Per evitare questa situazione di operazione meccanica l'operatore deve essere consapevole della
grande potenza curativa e lenitiva che hanno i suoi gesti sull'ammalato.
Il contatto delle sue mani sul corpo del paziente, che in quel momento si può sentire diverso e
isolato dalle persone sane, può essere un gesto che accompagna e non spinge, che accoglie e non fa
resistenza, un gesto inclusivo e non di esclusione, un gesto che rispetta e non invade, un gesto che
sostiene e non uno che toglie la terra sotto i piedi.
L'operatore socio sanitario, come tutti gli altri operatori che si occupano di quel paziente, deve
prendere il tempo necessario per essere con lui, facendolo sentire al centro dell'attenzione in quel
momento totalmente dedicato a lui che, come paziente e prima ancora persona, ne ha diritto.
Trovare il tempo significa riuscire ad organizzarsi il lavoro in modo da garantirsi una quantità di
minuti capaci di dare la possibilità di effettuare l'operazione che si vuole fare.
Cercare necessariamente un ritmo giusto per il paziente da accudire, cercare di accordarsi come uno
strumento unico creando un’ unica melodia tra operatore e paziente.
La ricerca del ritmo è importante, principalmente per l'OSS, poiché egli compie più gesti ripetitivi
con più pazienti durante la stessa giornata, quindi se non ci si immagina di costruire un ritmo
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diverso ogni volta con il paziente, nella ripetizione non si troverà mai sollievo, ma la fatica e lo
sgretolamento psicologico.
3.3.1. Bisogni ed emozioni dell'Operatore Socio Sanitario
Quali sono le sensazioni o cosa prova un operatore socio sanitario quando entra in contatto con un
paziente affetto da una malattia terminale?
Con questa persona- paziente che cosa sente?
Sono momenti in cui il pensiero va tutto rivolto a questi pazienti che, a fine del giro di corsia,
ritornano alla mente, alla riflessione su cosa si è provato nell’entrare in contatto con le personepazienti appena viste, incontrate, toccate, posizionate, aiutate nei loro bisogni, massaggiate, lavate.
Bisogna ascoltare le sensazioni che restano sulle mani, riconoscere i momenti di gioia e di fastidio,
condividere con gli altri operatori sanitari non ciò che si pensa del paziente ma quello che si è
sentito standoci vicino e toccandolo; una condivisione che potrebbe essere di grande aiuto per
evitare l'indifferenza, la noia, ma ancor peggio per evitare di tralasciare se stessi.
L'Operatore socio sanitario, fonda buona parte del suo lavoro sulla relazione, sulle capacità che sa
sviluppare nell'ascoltare, nell'accogliere, nell'empatia.
Non resterebbe niente del proprio lavoro di OSS, se al termine della giornata non si ricordasse ciò
che si è fatto per queste persone, rivivendo per qualche attimo i momenti di soddisfazione per le
cose fatte, ma ricordando anche gli attimi di emozione come la rabbia, il fastidio, la paura.
Noi in effetti non siamo solo un corpo ma abbiamo comunque un corpo e dobbiamo essere
consapevoli di ciò per poter affrontare ed aiutare il paziente nella sua situazione fisica e psicologica.
L'intento dell'operatore deve essere quello di aiutare il paziente terminale ad integrare ciò che la
malattia sta disgregando.
Intendiamo per integrare, comprendere, aiutare a stare insieme una persona malata che si sta
disgregando in pezzi, cercare di collocare questi pezzi, senza pretendere di dividere le parti malate
da quelle sane.
Seguendo questa direzione l'operatore socio sanitario può assolvere un importante ruolo che è
quello di aiutare queste persone ad avere un rapporto con il proprio corpo oramai emaciato,
martoriato dalla malattia; renderlo il più possibile piacevole, cercando di riuscire a far vincere al
paziente quell'imbarazzo della propria identità che è cambiata, ormai diversa da come era e da come
la voleva, quindi di accettarsi e di vivere con il suo corpo attuale.
Prendersi cura di queste persone, del loro corpo, mostrando attenzione, delicatezza, cura, premura,
rispetto, riattiva la capacità di sopportazione che il paziente sta vivendo sul suo corpo, alleviando al
contempo i sensi di inadeguatezza o di rifiuto che spesso questi malati vivono.
L'operatore socio sanitario OSS, deve pertanto avere rispetto anche per se stesso, per il proprio
corpo, per aver modo di entrare in contatto con le persone-pazienti terminali, sia in modo fisico che
relazionale.
L'OSS, per affrontare le situazioni dei pazienti, deve essere consapevole dei propri mezzi, dei propri
vissuti e dei propri modi, altrimenti non si sarà in grado di entrare in contatto intimo e
personalizzato con i singoli malati.
Gli OSS comunicano le loro emozioni di solito quando hanno contatti molto vicini con il paziente
in particolare quando eseguono le manovre.
Da considerare i vissuti di grande tristezza, di paura, di rabbia, magari per una brutta risposta
ricevuta dall'ammalato o per chi non rispetta la dignità di certe persone.
In Hospice l'operatore socio sanitario, più di altre figure professionali, condivide molti momenti con
l'ammalato, nella stessa giornata lavorativa o nella settimana, pertanto ha la possibilità di
emozionarsi in vari modi, di poter esprimere il suo sentire all'ammalato, di condividere i momenti di
gioia dello stesso come l'arrivo di un parente in visita.
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Per gli operatori OSS le caratteristiche dei vissuti di paura, rabbia, ansia, senso di impotenza,
tristezza sono per struttura identici a quelli che provano i familiari del paziente, ma naturalmente
con origini diverse per forma, colore e consistenza.
La paura di un operatore OSS è diversa da quella di un familiare, anche se entrambi possono
risultare spaventati per ciò che può accadere al malato e per la sua sorte.
Lo stato emozionale della paura in un operatore OSS può suscitare nell'ammalato terminale in
Hospice una sensazione confluente nell'ammalato stesso ma può anche tradursi in un atteggiamento
molto freddo e distaccato.
A differenza degli infermieri e dei dottori gli operatori socio sanitari hanno un percorso formativo
più corto, ma non per questo meno importante professionalmente poiché vivono con grande
intensità le giornate con l’ammalato.
Gli operatori OSS che quotidianamente compiono gesti come imboccare un malato per aiutarlo a
mangiare o aiutare il paziente nei suoi bisogni fisici, stabiliscono un contatto molto forte con il
paziente.
Un ottimo percorso di consapevolezza e di elaborazione dei vissuti potrebbe aiutare gli operatori
OSS a vivere e a dare forma a quello che con le proprie mani registrano durante il giorno nelle
corsie dell'Hospice.
Nella comunicazione con gli altri addetti sanitari, infermieri, medici e psicologi, vengono riferite
notizie riguardanti i pazienti quali, ad esempio, la movimentazione e di come è avvenuta
consentendo così all’equipe di venire a conoscenza di informazioni altrimenti non accessibili.
Gli operatori OSS, in merito ai loro bisogni, necessitano anch’essi di quel contatto che a volte
somministrano soltanto.
Condividere per spartire, per scambiare, per ricaricarsi e necessariamente per riposare fisicamente
ma in egual modo psicologicamente.
Un altro compito che l'operatore OSS assolve nelle strutture Hospice è quello delicato della cura
della salma del paziente terminale giunto alla fine dei suoi giorni.
Negli Hospice, anche dopo la morte del paziente, si cerca di garantire alla famiglia la cura della
persona così come era quando la persona-paziente era ancora in vita.
Ai familiari si dà la possibilità di stare con la salma e di vivere con l'intimità che essi desiderano
questa parte così importante e delicata dell'ultimo saluto.
Successivamente il corpo della persona deceduta, viene presa in carico da almeno un paio di
operatori OSS, che portano la salma in un ambiente comunemente chiamato obitorio o sala
mortuaria, dove altro personale specializzato, prende in consegna la salma e la prepara.
In questa ultima situazione l'operatore offre il massimo rispetto alla persona deceduta, cercando di
ricordare a se stesso e ai familiari la sacralità di quel momento.
In questi momenti, che sono un insieme di gesti che accompagnano la persona deceduta, c'è
silenzio, c'è cura e rispetto per questa persona che non è più tra noi.
Questo è un momento in cui l'operatore OSS, sostenuto dagli infermieri, medici, psicologi o di una
guida spirituale, dimostra rispetto e amore nei confronti della salma, della sua famiglia, della vita in
tutta la sua bellezza e tragicità.
3.3.2. Riflessioni personali sull'operato dell'operatore socio sanitario in Hospice
Posso dire che lavorare in Hospice, mi ha cambiato totalmente il modo di vedere la vita.
Devo ammettere però che mi ha sicuramente reso più sensibile dal punto di vista emotivo, ad
esempio mi commuovo anche solo guardando e quindi vivendo da lontano la sofferenza degli altri.
Vado più in profondità rispetto a prima.
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Avendo conosciuto la parte difficile della vita di queste persone e avendo vissuto, condiviso e
ascoltato il loro grido di aiuto, le confidenze, i silenzi, senza perdere i momenti magici, quelli che
possono dare un ultimo senso alla loro vita, posso dire oggi di avere fatto un percorso di crescita.
Credo sia importante avvicinarsi alla sofferenza, perché questo in qualche modo ci fa apprezzare le
cose semplici della vita e la vita stessa.
Per riuscire ad accompagnare i malati alla fine della vita, dobbiamo principalmente conoscerci,
accettarci, e amarci.
Dobbiamo prima prenderci cura di noi stessi, trovando uno spazio nella giornata per prendere cura
del nostro corpo, spirito e mente, per poi dedicarci agli altri.
Abbiamo dei filtri, sensazioni, comportamenti che dipendono dalla nostra educazione, dai nostri
valori, dalle esperienze vissute, dalle credenze, dai condizionamenti, dalla nostra storia.
Quando entro ed esco dalla stanza della persona malata, devo sapere come sto, come mi sento,
altrimenti rischio di portare di camera in camera i miei stati d'animo incontrollati.
Parlare di morte in un Paese di cultura occidentale come il nostro è estremamente difficile.
A differenza di altre culture in cui la morte è considerata una fase diversa del ciclo della Vita, in
Occidente la morte è considerata un tabù. Essa è temibile e minacciosa, si cerca sempre di fuggirla,
non potendo controllare quando e come arriverà. È più facile pensare alla morte degli altri che alla
propria; la malattia e la morte sembrano problemi che non ci riguardano. In realtà la morte fa parte
della vita e non fa alcuna distinzione, ricchi o poveri, bianchi o neri. La morte non è un fatto
individuale ma è qualcosa che riguarda tutti.
La sofferenza umana implica tutta una serie di fattori non sempre controllabili e definibili a priori;
non può esistere, pertanto, una tecnica di comportamento uguale per tutti. L’approccio con la
persona che soffre va cercato indagando anche le nostre emozioni, quelle che proviamo nel qui e
ora; si tratta di incontrarsi empaticamente, mostrando la propria autenticità.
Curare il malato incurabile, allora significa entrare piano piano nel gioco sottile, ma inevitabile
dell'essere oggetto e soggetto di cura, non sentirsi estraneo a chi incontriamo, ma al contrario
incontrarlo veramente, incontrando noi stessi, profondamente grazie a lui.
Così faremo l'esperienza e saremo un’esperienza per l'altro.
3.4. Associazione di volontariato presso l' Hospice Piccole Figlie di Parma
Nell'anno 2004 nasceva all'interno dei rapporti originali con la Congregazione delle Piccole Figlie
di Parma, l'Associazione “Amici delle Piccole Figlie”, che ha come scopo “finalità culturali, di
solidarietà sociale ed i promozione umana, con particolare riferimento alla presa in cura di
persone affette da malattie croniche non suscettibili di guarigione, fino al termine naturale di vita
e all'assistenza alle loro famiglie. Questa attività trova la sua massima espressione nell'Hospice del
Centro Cure Palliative inaugurato nell'aprile del 2007.
L'associazione Amici delle Piccole Figlie, persegue esclusivamente finalità di solidarietà sociale e
di impegno civile, nell'ambito delle strutture della Congregazione delle Piccole Figlie dei SS. Cuori
di Gesù e Maria.”7
La peculiarità dell'associazione sta nella formazione e nell'inserimento dei volontari nel Centro, a
sostenere le cure dei pazienti e delle loro famiglie.
L'esperienza del volontariato sociale costituisce una risorsa fondamentale ed un fattore di
arricchimento attraverso la condivisione degli scopi, l'integrazione con le finalità e la collaborazione
con le attività del Centro.
La sua azione si rivolge prettamente a favore dei pazienti ricoverati. Questo aspetto porta alla
partecipazione attiva e responsabile a iniziative tese a diffondere la cultura delle Cure Palliative, a
7 Carta dei servizi Centro di Cure Palliative Piccole Figlie, Parma, marzo 2007, pp. 20,21.
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offrire momenti ricreativi ai pazienti e ai loro familiari, a sostenere i bisogni formativi del
personale, a reperire fondi aggiuntivi per sostenere le molte azioni che il Centro intende realizzare.
3.4.1. Il cammino dei Volontari in Hospice.
Il volontario in Hospice è colui che dona volontariamente, spontaneamente, in modo gratuito ad
altri la sua cultura, la sua intelligenza, il suo tempo e la sua amicizia, in modo continuativo, non con
l'atteggiamento di un benefattore ma di colui che condivide una situazione disagiata.
La figura del volontario in Hospice costituisce un valore aggiunto, si ha più attenzione umana, più
rapporti personali, più solidarietà.
Il volontario svolge degli specifici compiti socio – assistenziali, in modo differente ma ben integrati
con quelli che competono ai componenti dell' èquipe. Svolgono infatti mansioni legate alla terapia
occupazionale, all’animazione, ma anche semplicemente la disponibilità della presenza, dello
stabilire una relazione.
Il volontario non si può definire un tecnico, un professionista dell'accompagnamento, ma nello
stesso tempo deve avere una preparazione nella relazione di aiuto perché a volte l'essere spontanei o
dilettanti può nuocere al proprio equilibrio ed la propria serenità.
Quindi si deve prevedere un programma di sostegno e di aiuto anche per il volontario affinchè
possa svolgere in modo proficuo la propria attività a favore della persona malata dando un beneficio
a questa persona sofferente e ai suoi familiari.
Elemento importante dell'attività svolta dai volontari in Hospice è quella di far parte di una equipe
che abbia la stessa finalità con cui confrontarsi quotidianamente, in modo aperto, sugli obbiettivi da
raggiungere, cioè cercare di migliorare la vita del paziente e dei suoi cari.
I volontari costituiscono per l'equipe in Hospice una risorsa fondamentale in quanto sono
componenti sempre presenti durante le ore del giorno, riescono a calibrare il loro intervento in
modo istantaneo sui bisogni emergenti del paziente, comunicano con il paziente e la sua famiglia,
fanno da cerniera fra il paziente, la famiglia e l'equipe.
Il volontario non è una figura che quantitativamente o qualitativamente possa sostituire nei compiti
il personale dell'equipe medica, ma offre un aiuto concreto psicologicamente per l'equipe e per il
paziente in particolare.
Un compito importante del volontario in Hospice è quello di svolgere la funzione di ambasciatore e
veicolo di sentimenti di solidarietà umana e partecipazione sincera a tutte le attività che si svolgono
in Hospice e che caratterizzano l'ambiente e le persone che vi operano.
Per il volontario stare a fianco di una paziente in fase terminale e accompagnarlo in questo ultimo
percorso rappresenta una impresa piena di significati, complessa, umanamente difficile, in modo
particolare quando si deve comunicare su temi esistenziali o su richieste dei pazienti a cui è difficile
dare una risposta. Infatti accompagnare una persona negli ultimi giorni della sua vita impone un
confronto con la morte e con il proprio senso di impotenza; occorre, quindi, che ci sia un supporto
psicologico per effettuare l'elaborazione dei vissuti e dei sentimenti poichè nella maggior parte dei
casi che incontra e che incontrerà, si dovrà confrontare con situazioni di grande dolore, ansia, paura,
rabbia e tensione.
L’azione del volontario si esplica a partire dalla situazione che trova, senza pretese di cambiare i
vecchi equilibri, con il rispetto totale dei vissuti della famiglia del malato, la sua cultura, le sue
tradizioni, senza alcun pregiudizio.
Egli dovrà avere un atteggiamento di apertura mentale ed emotiva, libero da preconcetti ed aperto
alla più grande disponibilità.
Il volontario, quindi, si mette al servizio del prossimo, del malato con tutte le proprie energie, mette
a disposizione il suo tempo e la ricchezza delle proprie esperienze ed interiorità.
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La scelta di fare volontariato nasce da varie motivazioni di diversa natura, quale il sociale, dove la
persona sente di impegnarsi civilmente a fare qualcosa per gli altri, che è stato meno fortunato di
lui, in modo da contribuire a migliorare la società.
Può essere di natura religiosa, dove il cittadino avverte che la propria fede ha bisogno di essere
rappresentata in modo pratico, concretizzando una opportunità nella vita.
Di natura personale, dove il fare il volontario nasce dalla radicata esperienza personale o familiare
con la malattia o la perdita di un proprio caro. Dalla sofferenza le persone escono più mature
impostando la loro vita dando priorità ad alcuni valori.
Fare il volontario in questa situazione, diventa il modo per mettere il proprio dolore al servizio della
solidarietà o meglio far uscire dal dolore la gioia.
Il volontario deve essere anche capace di osservare l'ambiente del malato, le sue espressioni e
atteggiamenti verbali e non verbali, raccogliere più dettagli possibili per conoscerlo meglio.
In alcune situazioni non serve usare le parole, occorre saper ascoltare, saper accogliere i vissuti
dell'altro, dare lo spazio individuale e alla storia personale del malato.
Ascoltare è molto difficile, spesso si è portati a valutare e a giudicare gli atteggiamenti e stati
d'animo degli altri piuttosto che accettarli e offrire aiuto e ospitalità.
Ascoltare porta a conoscere la parte interiore del paziente, la comprensione è la chiave che permette
di accedervi mettendosi in contatto con i vissuti del soffrente, le sue pene, le sue attese , i suoi
sentimenti e le sue ricchezze interiori.
La comprensione empatica è legata alla capacità di vedere la vita dalla prospettiva dell'altro e di
entrare nella sua ottica.
Attraverso il linguaggio verbale e non verbale si è in grado di trasmettere e rispecchiare i messaggi
e di accompagnare in modo attento il malato verso la fine dei suoi giorni in modo che si senta
capito.
3.5. Perché la Musicoterapia in Hospice?
La finalità della Musicoterapia in Hospice, va di pari passo con quella del Centro di Cure Palliative.
La loro missione è di svolgere le proprie attività con un unico obiettivo finale da raggiungere:
1) Migliorare la qualità della vita residua attraverso una risposta globale ed efficace ai bisogni del
paziente affetto da una malattia inguaribile e in stadio terminale.8
Infatti, con l'avvicinarsi della morte, la sintomatologia manifestata cambia in modo repentino, come
pure il modo di comunicazione con i familiari e il personale sanitario.
Completare il proprio percorso di vita è un evento intensamente personale, che può essere
impegnativo sia fisicamente che emotivamente.
I pazienti e le loro famiglie spesso hanno bisogno di tipologie di aiuto particolarmente flessibili
durante questa fase e l'assistenza sanitaria deve essere personalizzata in modo da permettere una
risposta pronta e adeguata ai bisogni del paziente.
In tal modo si può garantire un adeguato controllo del dolore e dei sintomi, conforto,
comunicazione empatica, informazione chiara ed una offerta assistenziale, coordinata e appropriata.
Queste misure possono aiutare le persone a vivere appieno la loro vita fino al suo termine e a
sostenere i familiari nelle fasi successive.
La musicoterapia si inserisce in questo contesto, trovando un’ampia diffusione nei centri di cure
palliative.
2) Realizzare una valida alternativa alla casa, quando questa non è, temporaneamente o
definitivamente , idonea ad accogliere il malato;9
8 Carta dei servizi Centro di Cure Palliative Piccole Figlie; Parma, marzo 2007, pagina 8.
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Ogni ospite dell'Hospice, ha la possibilità di personalizzare la propria stanza con fotografie, un
quadro, oggetti che lo portano ad essere più vicino all'ambiente familiare, per sentirsi nella propria
casa. Che il periodo di ricovero sia definitivo o temporaneo, la persona deve sentirsi in un contesto
familiare. Infatti, oltre a familiari ed amici che sono sempre presenti, anche altri elementi sono
importanti: gli odori, i libri, i colori, la quantità di luce che filtra da una finestra, l'ordine ed anche il
disordine, tutto quanto deve essere per il paziente una esperienza da vivere oltre che di preparazione
per il grande viaggio che andrà ad affrontare, ossia il termine della sua vita allo scopo di allontanare
la paura che il contatto con la malattia può far scaturire.
Ogni persona, in situazioni di pericolo, di dolore, di incertezza manifesta paura: in questi casi con
l'affetto e la sicurezza di un nido protettivo ci si sente sostenuti per affrontare ogni situazione.
In Hospice vi è anche la possibilità di usufruire di una cucina attrezzata per soddisfare, quando
possibile, eventuali desideri dei pazienti.
Anche i bambini che vengono in visita sono ben accolti; a loro è offerta la possibilità di una zona
dove dedicarsi ad alcune attività ricreative per alleggerire il carico emotivo che la visita al
congiunto può determinare.
Infine, è stata allestita anche una biblioteca che dà possibilità a tutti di trovare un testo da leggere
nella calma e nel silenzio.
La musica come terapia si inserisce in questo clima; in ogni casa, ma sicuramente in ogni persona,
vi è una canzone, un ritmo musicale che, ascoltandolo, ricorda momenti di gioia. Il musicoterapeuta
può aiutare ad utilizzare questa sorta di colonna sonora sia con un ascolto guidato che con l’utilizzo
di alcuni strumenti musicali a disposizione.
L'Hospice delle Piccole Figlie di Parma ha creato una struttura appositamente, con lo scopo di
offrire ai malati terminali, tutte le cure necessarie, un ambiente rispettoso, sia della dignità della vita
fino all'ultimo suo istante, sia della sacralità della morte
3) Accompagnare alla morte e preparare/supportare al lutto i familiari. Impegno costante è stato e
continuerà ad essere la messa a punto di attività di promozione attraverso percorsi ed eventi
formativi:
▪ rivolti al personale interno al Centro di Cure Palliative e diretti anche ad altro personale
sanitario e alla popolazione stessa
▪ tesi al reclutamento e formazione dei volontari.10
Questi sono i punti importanti e fondamentali del Centro di Cure Palliative e della musicoterapia in
Hospice per accompagnare alla fine il paziente nel modo più umano possibile considerando le gravi
sofferenze che egli patisce quotidianamente a causa della sua malattia; si prefiggono, inoltre, di
accompagnare i parenti dell'ospite che a volte non accettano con facilità il destino del loro caro.
L'accompagnamento del morente è un compito delicato ed impegnativo, dipende quindi molto
dall'intelligenza e dal cuore, si esige una preparazione a livello di essere, di sapere e anche di saper
fare.
La musicoterapia accompagna queste persone, utilizzando il grande potere che la musica ha al fine
della liberazione e dello sviluppo dell'individuo.
Con la musica riemergono i valori più significativi della vita del paziente. Il musicoterapeuta cerca
di condividere con lui le sensazioni che la musica dona cercando di stabilire una relazione di
empatia, raggiungendo una reciproca fiducia, usando quindi la musica come risorsa principale di
conforto nella loro vita.
La domanda che mi sono posta all'inizio dell'esperienza realizzata con alcuni pazienti in fase
terminale è stata: “ come può essere utilizzata la musicoterapia in questo contesto e quali obiettivi si
possono raggiungere?
9 ibidem
10 Ibidem.
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•
La musicoterapia può essere impiegata principalmente nel gestire il sollievo
dal dolore per mezzo della distrazione e del rilassamento, distogliendo la tensione del dolore
per focalizzarla sul piacere.
•
La musicoterapia usata come mezzo di comunicazione per stimolare
l’interazione del paziente nella terapia psicologica in quanto il paziente si trova ad affrontare
una malattia che lo porta ad allontanarsi da tutto e da tutti.
•
Aiutarlo quindi nel superare le sue ansie, le sue paure, offrendo l'arte della
musica come mezzo di espressione comunicativa.
•
La musicoterapia usata per accompagnare negli ultimi istanti di vita, per
facilitare il distacco
3.6. ESPERIENZA MUSICOTERAPICA CON A.
A. di 67 anni giunge presso l'Hospice delle “Piccole Figlie di Parma” con un tumore polmonare; è
stata ospite presso la struttura dal 03.11.2001 al 05.01.2012.
A. cosciente delle proprie azioni fino alla fine, era una persona vivace, allegra, di cultura, amava
leggere tanto e di tutto e principalmente appassionata della musica, in particolare del FADO la
tipica musica portoghese.
Conoscere la passione per la musica di A. ha dato la possibilità di intraprendere un cammino
musicoterapico con la stessa.
Conoscere oltretutto, la passione per un genere musicale preferito ossia il Fado, mi ha aiutato, in
veste di musicoterapeuta, a relazionarmi con A. creando tra di noi una complicità nata appunto dalla
passione per questo tipo di genere musicale, non molto conosciuto in Italia.
Il lavoro si è sviluppato in questo modo:
Prima seduta
Ho compilato una scheda preliminare con l'aiuto di A. dove ho raccolto le informazioni necessarie,
per approfondire un po’ la conoscenza e avere gli elementi per iniziare il percorso di musicoterapia:
i suoi dati anagrafici, gli studi svolti e la professione, la sua situazione familiare; la musica ascoltata
nell'ambiente familiare, da bambina e adolescente (brani cantati dai genitori, ninne nanne); le sue
preferenze musicali in genere (brani, generi, artisti, strumenti musicali); le modalità di ascolto
prevalenti (radio, televisione, lettore CD); rumori generalmente presenti nel luogo di abitazione,
rumori non graditi.
Questa scheda mi ha fornito un sostanziale aiuto al fine della conoscenza dell'identità sonora, ISO,
di A.
“ISO sintetizza la nozione di esistenza di un suono o di un insieme di suoni o di fenomeni sonori
interni che ci caratterizzano e ci individualizzano. Si tratta di un fenomeno sonoro e di movimento
interno che riassume i nostri archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intra-uterino e il nostro
vissuto sonoro della nascita, dell'infanzia fino alla nostra età attuale. E' un suono strutturato
all'interno di un mosaico sonoro il quale a sua volta si struttura col tempo e fondamentalmente è in
perpetuo movimento”.11
Di seguito ho elaborato un progetto centrato su A. osservando il suo comportamento, il suo modo di
relazionarsi con gli altri nella vita quotidiana; inoltre, conoscere il suo ISO, mi ha fornito
informazioni utili per mettere a punto tecniche e strategie per un trattamento adeguato.
11 Rolando O. Benenzon; “Manuale di Musicoterapia”, Roma, edizione Borla, 1983, p.46
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“Le esperienze in cui viene proposto l'ascolto di norma sono quelle con utenti che necessitano di
essere attivati o rilassati dal punto di vista fisico, emozionale, cognitivo o spirituale, dal momento
che queste sono i tipi di risposte che l'ascolto musicale elicita. Per esempio gli utenti ospedalizzati
trovano che l'ascolto della musica sia d'aiuto per rilassarsi, ridurre lo stress, gestire il dolore e
regolarizzare le funzioni fisiologiche quali il ritmo cardio-circolatorio e quello respiratorio.
L'ascolto può anche essere attivante ed energizzante. Con le persone anziane l'ascolto di musica
può facilitare il ricordo strutturato e la revisione della loro vita.
Infine con tutti gli utenti l'ascolto di musica offre un ausilio inimitabile per facilitare esperienze a
livello spirituale. Tali esperienze infondono speranza e coraggio mentre riconfermano la bellezza
della vita” 12
Prima di iniziare il percorso musicoterapeutico con A. mi sono documentata sull'origine del Fado.
Seconda seduta
La seconda seduta con A. ha avuto inizio con la conversazione in merito alle origini e al significato
di questa musica. A. ha risposto subito con interesse alla conversazione, perchè conoscere meglio il
significato di una musica che ha sempre amato ma mai approfondito essendo una musica cantata in
portoghese, ha rivitalizzato la sua persona distogliendola per tutto il momento di conversazione
dalla sua sofferenza.
Essere venuta a conoscenza del significato delle frasi della sua canzone preferita “Ai Mouraria, di
Amalia Rodrigues” ha costituito per lei una scoperta molto importante. L’ascolto di quel brano le
suscitava istintivamente un sentimento di tristezza e malinconia. Conoscere anche le parole del testo
che parla principalmente di Saudade, ossia della nostalgia, un sentimento che esiste per tutti gli
uomini, che ci coglie quando meno lo si aspetta, perché è qualcosa che nasce dall'anima e che
nessuna cura può guarire, per A. ha rappresentato non un momento triste ma di felicità interiore per
aver trovato risonanza con la sua saudade, averla accolta, averne compreso il significato.
Testo canzone “A Mouraria” con traduzione:
“Ai Mouraria
Da velha rua da Palma
Onde eu um dia
Deixei presa a minha alma
Por ter passado mesmo ao meu lado certo fadista
De cor morena, boca pequena, olhar trocista
Ai Mouraria
Do homem do meu encanto
Que mentia
Mas que eu adorava tanto
Amor que o vento
como um lamento
levou consigo
mas que ainda agora
E a toda hora
Trago comigo
Ai Mouraria
12 Http://musicoterap.blogspot.com/2006/01/quando-e-perch-si-usa-questa-tecnica.html; 25/11/2011.
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Dos rouxinois nos beirais
Dos vestidos cor-de-rosa
Dos pregoes tradicionais
Ai Mouraria
Das procissoes a passar
Da severa em voz saudosa
Da guitarra a soluçar
Ai Mouraria
Das procissoes a passar
Da Severa em voz saudosa
da guitarra a soluçar”
Traduzione:
“Ai Mouraria
vecchia strada a Palma
dove una volta
ho lasciato la mia anima intrappolata
dopo aver trascorso accanto a me un cantante fadista
moro, bocca piccola, sguardo finto
Ai Mouraria
L'uomo di mio fascino
ha mentito
ma che ho amato tanto
ma ho amato molto
amore che il vento
come un lamento
prese
ma ancora oggi
e per tutto il tempo
porto con me
Ai Mouraria
dei rouxinoes di gronda ( nome di un uccello)
abiti di colore rosa
delle preghiere tradizionali
Ai Mouraria
le processione a passare
grave la voce malinconica
la chitarra singhiozzando
Ai Mouraria
le processione a passare
grave la voce malinconica
la chitarra singhiozzando.”
Terza seduta
La terza seduta si è svolta con l'ascolto di un CD musicale che conteneva questo brano oltre a
“Tudo isso è Fado", un'altra canzone che narra di tutto ciò che accade in questo quartiere di Lisbona
e parla di amore, di passione, di tristezza e di nostalgia.
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A. riconosceva, nell'ascoltare la sua musica preferita, nel conoscere il significato delle parole e
discutere con me del significato che questa musica ha nel suo contesto di origine, che questa musica
può riempire il cuore di gioia pur essendo una musica che esprime dolore. In questo caso la musica
ha attivato le aree del piacere del suo sistema nervoso.
A. che ha provato a cantare parte della sua canzone preferita accompagnata dalla musica emessa dal
CD musicale, ha provato piacere e senso di gratificazione, si è sentita sostenuta ed incoraggiata e
tutto ciò ha fatto crescere più fiducia in se stessa ed autostima.
Ha compreso, pur consapevole della sua reale situazione, che poteva ancora trovare qualche piccolo
momento di serenità nella vita, anche con il solo ascolto di un brano, di una musica amata che
poteva arrecarle sollievo per tutta la lunga giornata da affrontare nel suo letto di ospedale.
Cominciò così a raccontarmi della sua casa, ristrutturata ed arredata come lei aveva desiderato, a
parlarmi delle sue nipotine e della gioia che le davano, i suoi figli, così diversi tra loro, ma
ugualmente tanto amati. La cosa importante che teneva a sottolineare nel suo racconto è che tutto
questo era frutto dell'impegno di suo marito e di lei stessa.
Quarta seduta
Nella quarta seduta erano presenti anche i familiari della paziente, curiosi di questo percorso che si
stava affrontando e che già in poche sedute aveva dato buoni risultati, avendo loro notato che A. era
più serena e sopportava meglio i sempre più frequenti momenti di crisi.
Sono convinta che la musicoterapia è una disciplina efficace per costruire una relazione di profonda
fiducia con il terapeuta anche nei momenti di estrema disperazione; la relazione e la comunicazione
sono agevolati dall'espressione musicale e questo incide positivamente sulla qualità della vita del
malato e su quella dei suoi familiari.
I familiari di A. infatti, si sentivano schiacciati dal peso della malattia e faticavano a fronteggiare la
situazione.
Il marito in particolare non è riuscito ad elaborare ed accettare la malattia della moglie; questo ha
innescato in lui un comportamento di fuga che gli rendeva difficile rimanere a lungo nella stanza
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della moglie per non far notare la sua sofferenza e magari aumentare, a suo sentire, il dolore
interiore della consorte.
La musicoterapia, in questo caso, si pone come obiettivo prioritario l'intervento per favorire una
relazione più intima e serena tra il paziente e i suoi familiari.
Per i familiari di un paziente terminale scivolare in uno stato di frustrazione dovuto al senso di
impotenza di fronte alla malattia della persona cara è molto facile.
Per questo motivo ho cercato la collaborazione della famiglia al fine di creare, durante la seduta,
senso di unità e di complicità tra tutti distogliendo almeno per poco il pensiero sulla malattia. Anche
in questo caso la magia è avvenuta.
Condividendo le espressioni musicali si è riattivata la comunicazione empatica che li ha fatti sentire
più vicini e partecipi, li ha posti in ascolto della sofferenza della madre ma anche della loro,
riscoprendo cose importanti della vita familiare quali gli affetti, le relazioni, ma anche gli aspetti
spirituali dell'esistenza.
Il suono e la musica hanno un incredibile potere, aiutare le persone a ricostruire rapporti
significativi e a ritrovare o costruire un modo più intimo di relazionarsi.
Sono convinta che tutto questo, possa aiutare i familiari a riscoprirsi non solo ancora utili ma
addirittura insostituibili per la persona cara.
In questa seduta ho accompagnato l'ascolto della musica, facendo utilizzare alla paziente ed anche
ai familiari degli strumenti musicali di tipo ORFF, creando una atmosfera di complicità e di gioia.
Ognuno di loro ha riconosciuto che questo percorso dava una carica di vitalità alla loro cara.
Al termine ho chiesto a ciascuno di loro di scrivere su un foglio di carta una parola che
rappresentasse l'emozione provata in quel momento e poi di scegliere uno strumento per
rappresentarla con un suono.
Di seguito quello che è emerso:
Strumenti scelti
Modo in cui furono
suonati
Membri della famiglia
Emozione
Bastone della pioggia
Tranquillo, scorrevoli
A.
Nostalgia
Tamburi
Lentamente, ad alto
volume
Marito
Arrabbiato
Bastone della pioggia
Un po' caotico
Figlio
Felice
Triangolo, bastone
della pioggia
Con precisione e
concentrazione
Figlia con nipotina
piccola in braccia
Triste
Legnetti, sonagli
Con un po' di
agitazione
Nipote
Paura
A turno ognuno dei presenti ha suonato l'emozione con gli strumenti scelti precedentemente mentre
i restanti cercavano di indovinare quale emozione veniva suonata. La parte importante di questa
attività musicale consisteva nell'offrire alla famiglia di A. la condivisione di uno spazio sonoro,
musicale in cui si sono espressi stati d'animo, emozioni, sensazioni e sentimenti a volte molto forti.
Ho notato che sia la felicità che la tristezza venivano suonate sullo stesso strumento con ritmi ed
espressioni simili dalle diverse persone.
E' stato interessante vedere come questa esperienza ha fatto capire ad A. e ai suoi familiari che non
c'è un muro invalicabile tra quello che si poteva fare prima e quello che si può fare ora, con le
dovute precauzioni e attenzioni, anche in quella situazione, in una stanza di ospedale. Molte cose,
piccoli progetti rimasti incompiuti dalla scoperta della malattia potevano essere ripresi; fra questi un
desiderio grande di A. era di partecipare al battesimo della nipotina. Così nei familiari di A. è nata
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l'idea di organizzare il battesimo all'interno della stanza della nonna e consentire anche a lei di
vivere questo importante evento in prima persona.
Per concludere questo laboratorio, posso affermare che questa esperienza mi ha fatto capire come
l'istinto alla vita sia una luce sempre accesa, a prescindere dalla malattia.
Nel frattempo la condizione di A. si stava aggravando: iniziava a sentirsi più stanca del solito,
principalmente al mattino quando dovevano prepararla, lavarla, cambiarle il letto. L'assenza di
autonomia, che gli toglieva tutta la speranza di rientrare a casa, le portava una grandissima angoscia
ed ansia e un mattino si verificò la prima di una lunga serie di crisi respiratorie, indicatori
inequivocabili di un inevitabile periodo di discesa.
Ho pensato allora di preparare una seduta di rilassamento. Ho capito che A. quando ascolta la
musica si lascia andare ad un profondo rilassamento e da ciò ne trae un grande beneficio.
Quinta seduta
La quinta seduta, quindi, è stata strutturata per offrire uno spazio tranquillo, in modo che A. potesse
restare in pace con se stessa e con i suoi pensieri, un'opportunità per essere accarezzata e coccolata
soltanto dai suoni che le garantivano un momento di pace.
I cambiamenti repentini dello stato di salute, rendono la programmazione molto difficile, tutto ciò
significa che ciascuna seduta di musicoterapia deve essere progettata come un evento in sè
concluso, dando ampio spazio all'ascolto e spesso anche al silenzio.
A. sentendo perdere le forze ogni giorno di più, mi disse di avere paura, che a volte la sua mente
sembrava impazzire, affollata da pensieri di morte, una morte che lei non temeva ma che odiava
perché le avrebbe impedito di veder crescere le sue nipotine, di condividere la gioia di invecchiare
accanto al marito, che le avrebbe impedito di gustare ancora i piaceri della vita di cui lei si sentiva
ancora assetata.
La ascoltai in silenzio, poi le praticai una tecnica di rilassamento che avevo imparato in passato.
Senza entrare nello specifico del valore e del significato delle meditazione, tenendole la mano sul
diaframma, per farle comprendere come doveva respirare, cominciai a guidarla con esercizi che
avevano lo scopo di allontanare i cattivi pensieri e di acquietare la mente. Ci esercitammo un po'
insieme e la cosa le piacque perché subito le fece provare un piacevole senso di tranquillità
interiore. Lasciandola mi raccomandai di mettere in pratica quello che aveva imparato e di farlo
quando sentiva arrivare una crisi respiratoria o anche soltanto un pensiero doloroso.
Durante la seduta ho usato la musica registrata di Yiruma.13
Sesta seduta
Nella sesta seduta mi disse che aveva provato da sola a fare l'esercizio della seduta precedente, ma
che in mia compagnia le riusciva meglio. Ci raccogliemmo quindi in silenzio, cercando di giungere
in meditazione, lei sempre seguendo le mie indicazioni, io accompagnandola a volte con la voce o
con il tocco della mia mano sul suo diaframma, per guidare il respiro. Con la musica registrata di
Yirumi la cosa riusciva a procurarle un po' di serenità. Dopo un po' di tempo trascorso così, con un
sorriso mi chiese se per caso io avessi dei “poteri” di guarigione nelle mani dal momento che aveva
sentito un bel calore mentre le toccavo la pancia.
Sorrisi per ciò che mi aveva detto A. tranquillizzandola che tutto questo era avvenuto per merito
della musica e soprattutto del suo farsi "prendere per mano", cosa che fece sorridere anche lei. In
13 Yiruma; “River flows in you”; Maybe; album First love; 1/12/2001
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questo clima che si era creato, sia per la meditazione, sia per il ridere di questa cosa curiosa
accaduta, l'atmosfera di quell'incontro fu più disteso del solito.
Molto spesso i primi segni di insufficienza respiratoria (incapacità di inspirare ed espirare) passano
inosservati perché il processo è lento e di difficile individuazione.
A. aveva spesso mancanza di fiato, il sintomo classico di mancanza di ossigeno; mostrava segni di
affaticamento, sonno disturbato, incubi notturni e mal di testa, in special modo appena dopo il
risveglio. Infatti, l'ipoventilazione notturna è spesso il primo sintomo che si rivela, sia perché
durante il sonno la respirazione è rallentata, sia perché l'addome spinge in alto il diaframma nella
posizione distesa.
Ansietà, stato confusionale, perdita di peso, sono altri possibili segni di ipoventilazione.
La voce fioca di A. e la difficoltà nel tossire ed espellere le secrezioni bronchiali indicavano che i
muscoli respiratori stavano perdendo la loro forza.
Settima seduta
Nella settima seduta, visto l'avvicinarsi delle festività natalizie, ho organizzato nella sua stanza, con
l'uso di una tastiera elettronica, un concerto di musiche appropriate alle festività in arrivo.
Nell'organizzare questo momento, ho riflettuto su questa esperienza personale, molto forte dal
punto di vista emotivo e relazionale perché in quella situazione il confronto con la sofferenza e con
la morte era molto intenso; indispensabile una grande disponibilità all’ascolto per condividere con
A. i momenti di tristezza e di dolore ma anche i momenti di allegria e di leggerezza che
inaspettatamente si presentavano.
La musica mai come in questo caso mi ha aiutato a creare dei momenti di serenità e condivisione.
In quell'occasione vi era la presenza di una volontaria, figure molto importanti per questi pazienti
perché con la loro presenza e impegno restano accanto a chi soffre in un cammino di condivisione,
di solidarietà e di ascolto.
Vi era la presenza anche di altre Operatrici Sanitarie, che hanno contribuito a rendere speciale
questo momento, cantando tutti insieme, creando una atmosfera natalizia gioiosa, facendo
dimenticare, anche per un attimo che si era in un ambiente ospedaliero.
La musicoterapia ha riconfermato il suo valore di Cura Palliativa, supportando il programma di
presa in carico della persona la cui patologia non risponde più ai trattamenti medici-farmacologici.
Altre sedute di musicoterapia sono seguite con A. anche se meno strutturate perché il decorso della
malattia era ormai rapido; lei ha sempre gradito questi momenti, fino alla fine, anzi le recavano
conforto poiché per un attimo la distoglievano dal suo peggiorare ormai riscontrabile
quotidianamente. Durante queste ultime sedute A. cercava di assimilare la gioia, che l’impegno a
partecipare le dava anche quando riusciva a seguire la musica solo con gli occhi.
Io mi sono immedesimata in un ruolo di prossimità e di vicinanza ad A. cercando nel possibile di
interpretare le sue esigenze e di dar voce alle sue paure sulla malattia che la opprimeva.
In uno degli ultimi incontri A. mi ha fatto capire che era ormai giunta nella fase di accettazione
della sua malattia, che non ci sarebbe stato un ritorno a casa, tra le sue mura domestiche, che non
sarebbe mai guarita.
A. fino alla sua fine ha atteso sempre con entusiasmo i momenti di terapia musicale che si sono
succeduti nel suo periodo di dimora presso l'Hospice.
Nel giorno del suo saluto ho capito che tutto ciò che avevo potuto offrire ad A. con la musicoterapia
lei lo aveva accolto con gioia e con riconoscenza, facendomi capire che il nostro percorso aveva,
anche solo un poco, alleviato il dolore fisico offrendo un sollievo psichico.
A. si è infine aggravata andando in coma. Ho continuato le nostre sedute usando le registrazioni
musicali inerenti al percorso effettuato fino agli ultimi momenti di vita.
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Il percorso di musicoterapia con A. mi ha portato a capire che attraverso la musica è possibile
sintonizzarsi profondamente con la persona ammalata, riuscendo a cogliere i suoi bisogni più intimi
anche quando la relazione è resa difficile dalle gravi condizioni cliniche.
Cogliere, attraverso le metafore musicali, il suo linguaggio e le sue frasi non chiare relative al suo
stato d'animo inquieto e intricato dato dalla malattia che avanzava e che non gli dava tempo di
pensare a lei.
A. con la musica ha vissuto tutto questo periodo fino ad arrivare alla fine, sfruttando ogni istante
cosciente della sua vita, per immagazzinare dentro di se attimi di felicità e di gioia, sapendo tutto
questo al più presto avrebbe avuto un termine.
Con il percorso di musicoterapia che ha affrontato ha voluto riconquistare, cose, traguardi desideri
che durante la vita normale non ha o non ha potuto avere perché distratta da altri doveri e obiettivi
importanti della vita.
Questa esperienza di legame profondo con A. mi ha anche portato a fare riflessioni molto personali,
a chiedermi come potrei reagire io stessa di fronte a situazioni di sofferenza come quella vissuta da
A. e dai suoi familiari. La vita degli altri, in particolare quando si creano risonanze d’animo e si
condividono frammenti di vita così intensi, fa da specchio alla nostra offrendoci l’opportunità di
crescere e di prepararci meglio ad affrontare il nostro destino, qualunque esso sia. La sofferenza
diventa una luce che mette in evidenza verità nascoste; una di queste è la consapevolezza della
fragilità del nostro corpo.
Ci confrontiamo con la realtà che ci dice che siamo fragili, che spesso non siamo padroni del nostro
corpo; possiamo combattere una malattia, ma poi dobbiamo sempre riconciliarci anche con le leggi
della fragilità.
Vorremmo tutti vivere in eterno e allora ci punge la nostalgia di vedere che il nostro corpo
invecchia, cambia, non abbiamo più le stesse necessità di un tempo, ci stanchiamo prima, abbiamo
qualche acciacco in più, ci pesa di più lo sforzo, ora i capelli diventano bianchi, aumentano le rughe
sul volto…ma questa è la transitorietà della vita e accettarla ci aiuta a rasserenarci di fronte agli
imprevisti che spesso si presentano.
Ma di fronte ad un malato cosiddetto incurabile, quale comportamento può assumere la valenza di
cura?
Credo che le esperienze che si vivono in Hospice, non solo dal punto di vista musicoterapico,
offrano spunti di riflessione aperte verso nuovi progetti esperienziali; non esistono modelli o
tecniche di comportamento prefissati.
La prima domanda che mi sono posta all'inizio del mio percorso è stata: “Come sto con me stessa
prima di cominciare a stare con l'altro?”
Quando si inizia a lavorare con dei pazienti è necessario esaminare attentamente le nostre reazioni
personali poiché si rifletteranno sempre nella relazione con il paziente sia in senso positivo o in
senso negativo.
Un onesto esame di noi stessi è senz'altro di grande aiuto per la nostra crescita e maturità.
A questo scopo non c'è lavoro più adatto di quello che si fa trattando con persone malate, che siano
vecchie o giovani o in fin di vita.
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CAPITOLO 4
Le Cinque Fasi della D.ssa Elisabeth Kubler Ross
“L’ Hospice non rappresenta solo un luogo fisico dove svolgere le proprie mansioni di operatore
sanitario, ma è una comunità di professionisti che condividono l’obiettivo di migliorare la qualità
di vita che resta ad un malato alla fine della vita stessa, ognuno con le proprie competenze e
capacità.”14
Un riferimento letterario e operativo importante è quello della Dottoressa Elisabeth Kubler Ross che
ha individuato le varie fasi attraverso cui passa una persona dal momento in cui riceve una diagnosi
infausta fino alla fine e come di seguito ci si deve comportare.
Il modello diviso in cinque fasi ideato nel 1970 dalla Kubler Ross è per gli operatori che operano
nel settore Hospice, uno strumento utile per capire le dinamiche psicologiche più frequenti nella
persona a cui è stata diagnosticata una grave malattia.
Le fasi si possono alternare, ossia si possono presentare più volte nel corso del tempo, con intensità
diversa e senza un preciso ordine, questo dovuto al fatto che le emozioni non seguono delle regole
particolari, anzi queste si possono manifestare, svanire, mischiarsi o sovrapporre.
4.1.1. “Prima Fase: Rifiuto e Isolamento
Il rifiuto ansioso che segue la presentazione di una diagnosi è più tipico del paziente che viene
informato prematuramente o all'improvviso da qualcuno che non conosce bene il malato o che lo fa
in fretta perché li pesa farlo, senza prendere in considerazione se il malato è pronto o no a
sentirselo dire. Il rifiuto, per lo meno parziale, di solito c'è in quasi tutti i malati, non solo durante
la prima fase della malattia o quando poi la devono affrontare in pieno, ma ogni tanto anche
successivamente.
Chi è stato a dire: ”Non possiamo guardare il sole continuamente, non possiamo affrontare la
morte continuamente ?”.
Questi malati possono considerare la possibilità della morte per un po' di tempo, ma poi devono
accantonare questa considerazione per poter continuare a vivere.
Sottolineo questo con forza poiché lo considero un modo salutare di trattare la situazione
disagevole e penosa nella quale devono vivere per lungo tempo alcuni di questi malati.
Il rifiuto dopo una inattesa notizia scioccante ha la funzione di paracolpi, permette al malato di
ritrovare il coraggio e, con il tempo, mobilizza altre difese, meno radicali.
Ciò non significa tuttavia che più tardi lo stesso malato non sia disposto o anche felice e sollevato
di potersi sedere a parlare con qualcuno della morte per lui vicina.
Un dialogo del genere avrà luogo e deve aver luogo quando il malato si sente disposto, quando lui
( e non chi lo ascolta!) è pronto ad affrontarlo. Il dialogo deve terminare quando il malato non può
più affrontare i fatti e riassume il suo precedente rifiuto.
E' irrilevante quando questo dialogo abbia luogo. Noi siamo spesso accusati di parlare della morte
con pazienti molto malati quando il dottore sente, e giustamente, che non sono prossimi alla morte.
Preferisco parlare della morte e del morire con i malati molto prima che la cosa stia realmente
avvenendo, se il malato dimostra di desiderarlo.
Un individuo più sano è più forte può affrontarla meglio ed è meno spaventato dal sopraggiungere
della morte quando ne è ancora “ lontano mille miglia”, di quando c'è l'ha “proprio davanti alla
porta”, come giustamente disse uno dei nostri malati.
14 Kubler – Ross Elisabeth; “La morte e il morire”, cittadella editrice, Assisi, 13°edizione, 2005, p.5
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Anche per la famiglia è più facile discutere questi argomenti in tempi di relativa salute e benessere,
è trovare una sistemazione per i figli e gli altri, mentre il capofamiglia è ancora nella capacità di
adempiere alle sue funzioni. Rimandare tali conversazioni spesso non va a beneficio del malato, ma
serve ai nostri organismi di difesa.
Di solito il rifiuto è una difesa temporanea e sarà presto sostituito da una parziale accettazione.
Il fatto di mantenere il rifiuto fino alla fine, cosa che io considero ancora molto rara, non sempre
accresce la pena.”15
Riportando le riflessioni della Kubler Ross nel mio lavoro in Hospice, ho notato che il malato
effettivamente si pone delle domande su se stesso, se veramente quello che gli sta accadendo,
riferito alla malattia diagnosticata, sia realmente una cosa che gli appartiene; egli tenta di negare a
se stesso la gravità del caso, sperando che sia stato fatto un errore nelle sue analisi o nella diagnosi
o in qualsiasi cosa che possa far ricredere la diagnosi accertata.
In questa fase di rifiuto volta a negare la presenza nel proprio corpo della malattia in atto, spesso
inizia la mia fase terapeutica attraverso la musicoterapia, cercando di distrarre il paziente del
proprio stato, con la musica, creando una protezione da una eccessiva ansia per la propria morte e
prendendo il tempo necessario per organizzarsi.
In questi momenti di laboratorio, il paziente arriva a distogliere l’attenzione dal pensiero fisso della
malattia che lo ha colpito, lasciando il posto alla speranza e aspettando qualche segnale di
cambiamento.
Ho avuto modo di constatare, anche con l'esperienza fatta con A. e Concetto, che questa fase ha una
durata che varia da pochi giorni a qualche settimana. Questo perché è una difesa che diventa sempre
più debole, con il progredire della malattia.
4.1.2. “Seconda Fase: La Collera
Quando la prima fase di rifiuto non può più durare, viene sostituita da sentimenti di rabbia, invidia
e risentimento.
La domanda logica successiva diviene: “ Perché io?”.
Contrariamente alla fase di rifiuto, questa della collera è molto difficile da affrontare dal punto di
vista della famiglia e del personale.
La ragione sta nel fatto che questa collera è proiettata in tutte le direzioni e sull'ambiente, a volte
quasi a caso.
Le infermiere sono ancor più spesso bersaglio della loro rabbia. Qualsiasi cosa tocchino, non va
bene.
I familiari che vanno a trovarli, sono ricevuti con freddezza e con indifferenza il che rende
l'incontro un evento penoso. Allora essi rispondono con dolore, lacrime, senso di colpa o di
vergogna, o evitano di tornare di nuovo, il che serve solo ad aumentare lo sconforto e la rabbia del
malato. Qui il problema è che poche persone si mettono nei panni del malato e si domandano
l'origine di questo risentimento.
Dovunque il malato guardi in questo periodo, troverà motivi per lamentarsi.
Così il malato vuole rassicurarsi di non essere dimenticato. Alzerà la voce, farà reclami,
pretenderà maggior attenzione, forse con un grido estremo:”Sono vivo no dimenticatelo! Potete
sentire la mia voce, non sono ancora morto!”.
Un malato rispettato e compreso, cui si dedichi attenzione e tempo, abbasserà presto la voce e
diminuirà i suoi rabbiosi reclami. Saprà di essere un essere umano prezioso, curato, cui si permette
di essere attivo al massimo grado possibile, finché può.”16
15 Ibidem, p. 58.
16 Ibidem, pp. 69,70.
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In questa seconda fase il malato è irascibile e insoddisfatto, ha paura.
La sua rabbia scoppia a volte in modo imprevedibile, investendo familiari, personale sanitario, Dio,
per questa sofferenza che si è insediata dentro di lui.
Questo è un momento critico per il malato, è il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé,
ma anche il momento della massima richiesta di aiuto.
Durante questa fase, ho verificato che i pazienti ai quali cui si è riusciti a dedicare più attenzione e
tempo organizzando un percorso di musicoterapia, hanno accettato attivamente la musica e
partecipato alla terapia, sentendosi accolti e non trattate come persona già finite.
In questa fase delicata, piuttosto che isolarsi dal malato è giusto attendere con pazienza le richieste
dello stesso mostrandosi interessati ad ascoltarlo.
4.1.3. Terza Fase: Venire a Patti
La terza fase, la fase del compromesso è meno nota, ma egualmente vantaggiosa per il malato,
anche se soltanto per brevi periodi di tempo. Se nel primo periodo non siamo stati capaci di
affrontare la triste realtà e nella seconda fase siamo stati in collera con la gente e con Dio, forse
possiamo riuscire a fare una specie di accordo che possa rimandare l'inevitabile evento.
Il suo desiderio è quasi sempre il prolungamento della vita, seguito da quello di essere per alcuni
giorni liberato dal dolore o dal disagio fisico.
Il venire a patti, in realtà, è un tentativo di dilazionare; deve includere un premio offerto <per
buona condotta>, pone anche un determinato limite di tempo (cioè: ancora uno spettacolo; il
matrimonio del figlio) e include una promessa implicita che il malato non chiederà di più se gli
verrà concessa questa dilazione.” 17
In questa fase, ho notato che il malato inizia a chiedersi cosa è capace di fare, quale progetto può
attuare per alimentare la speranza, inizia a negoziare con chiunque ma principalmente con Dio, pur
di avere un’ultima occasione per mettere in atto un desiderio o un sogno.
Il caso di Concetto ne è la prova; seguendo il percorso di musicoterapia è riuscito a realizzare il suo
desiderio di organizzare un concerto da dedicare ai suoi cari e ai suoi amici più stretti che per
l'occasione erano tutti presenti in Hospice.
Concetto, il giorno dopo la sua esibizione teatrale, si è spento. In quell’ occasione ho notato che
l'umore prima della fine, il viso e tutto il suo corpo erano sereni. In quel momento aveva ripreso il
controllo della propria vita, cercando di riparare il riparabile e mai come in questa occasione il
percorso terapeutico musicale che ha seguito lo ha portato sereno alla fine dei suoi giorni.
Anche nel caso di A. ho constatato che aveva raggiunto una maggior tranquillità in quanto aveva
iniziato ad accettare l'idea della malattia, diventando poco alla volta consapevole che la sua rabbia
non avrebbe cambiato il decorso della sua malattia.
Ha iniziato, pertanto, una sorta di personale patteggiamento con la vita chiedendo, ad esempio, di
sopravvivere sino all'evento del battesimo della nipotina, che per lei è stato emotivamente molto
importante.
Raggiunto quell'obiettivo, iniziò a chiedere di arrivare a festeggiare il suo cinquantesimo
anniversario di matrimonio, cosa che è avvenuto.
Per tutto questo periodo A. ha seguito con intensità emotiva il programma musicoterapico che
avevo organizzato con lei.
17 Ibidem, pp.103,104,105.
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4.1.4. Quarta Fase: La Depressione
Quando il malato incurabile non può più negare la sua malattia, quando è costretto a subire altri
interventi o il ricovero, quando comincia ad avere altri sintomi o diviene più debole e più magro,
non può più essere essere disinvolto e sorridente. Il torpore o lo stoicismo, la collera e la rabbia
saranno presto sostituiti dal senso della grave perdita che subisce.
Una persona comprensiva non avrà difficoltà a intuire la causa di depressione e a mitigare un po'
il senso irrealistico di colpa o di vergogna che spesso accompagna la depressione.
La nostra reazione iniziale verso le persone tristi è generalmente quella di cercare di
incoraggiarle, dicendo loro di non guardare le cose in modo così fosco o disperato. Le stimoliamo
a guardare il lato gioioso della vita, le cose vivaci, positive che sono intorno a loro. Questa è
spesso l'espressione dei nostri bisogni, della nostra incapacità a tollerare un viso lungo per un
periodo di tempo prolungato.
Il malato è in procinto di perdere tutte le cose e tutte le persone che ama. Permettendogli di
esprimere il suo dolore, troverà alla fine più facile accettare e sarà grato a coloro che sapranno
stare con lui durante questa fase depressiva senza dirgli costantemente di non essere triste.
Nel dolore che prepara la morte c'è bisogno di poche parole o addirittura di nessuna. E' più un
sentimento che si può esprimere reciprocamente e spesso si esprime meglio con una carezza sulla
mano o sui capelli o semplicemente stando seduti insieme in silenzio. Questo è il momento in cui il
malato può chiedere una preghiera, quando comincia a occuparsi delle cose che ha davanti
piuttosto che di quelle passate.
Se gli operatori nelle professioni assistenziali potessero essere più consapevoli della discrepanza o
del conflitto esistente fra il paziente e il suo ambiente, potrebbero comunicare questa
consapevolezza alle famiglie dei malati ed essere di grande aiuto a loro e ai malati stessi.
Dovrebbero sapere che questo tipo di depressione è necessario e benefico perché permette al
malato di morire in uno stato di accettazione e di pace. Soltanto i malati che hanno potuto
superare le loro angosce e ansietà riescono a raggiungere questa fase”.18
Nella fase della depressione si nota in effetti che il paziente diventa consapevole di ciò che sta per
perdere, il tutto si manifesta gradatamente con l'aumentare della sofferenza.
Si riconoscono due tipi di depressione: la depressione reattiva che si manifesta nel malato quando
questi prende coscienza reale della perdita a cui va incontro sia di immagine corporea che nelle
relazioni sociali.
L’altra, la depressione preparatoria anticipa la coscienza di quello che si andrà a perdere. In questa
fase ho notato che il malato oramai non nega più ciò che gli sta accadendo, non si ribella più, a volte
la rabbia e la negazione creano in loro un forte senso di sconfitta.
Ho notato inoltre che quanto maggiore è la sensazione dell'imminenza della morte, tanto più
probabile è che la persona viva fasi di depressione.
Durante i momenti di terapia musicale, ho notato che i pazienti trattati, anche se consapevoli di
quello a cui stavano andando incontro, riuscivano a seguire la terapia e ad evadere per un attimo
dalla loro sofferenza.
4.1.5. Quinta Fase: L'accettazione
Se un malato ha avuto il tempo sufficiente ( cioè no una morte all'improvviso, inattesa) ed è stato
aiutato a superare le fasi sopra descritte, raggiungerà uno stadio nel quale non sarà né depresso né
arrabbiato per il suo “ destino”.
18 Ibidem, pp.107,108,109,110.
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Avrà potuto esprimere i sentimenti precedenti, l'invidia per le persone vive e sane, la collera verso
coloro che non devono affrontare la loro fine così presto. Avrà provato tristezza al pensiero di
dover lasciare tante persone e luoghi cari e contemplerà la sua prossima fine con un certo grado di
serenità nell'attesa.
Sarà stanco e, perlopiù, molto debole. Avrà anche bisogno di assopirsi spesso e a brevi intervalli il
che è diverso dal bisogno di dormire che si ha durante i periodi della depressione.
Questo non è un sonno di evasione o un periodo di riposo per trovare sollievo dal dolore, dallo
sconforto o dalla smania.
E' un bisogno gradatamente crescente di aumentare le ore di sonno, molto simile a quello del
neonato, ma nell'ordine opposto. Non è una “ rinuncia” rassegnata e senza speranza, un senso di
“ a che serve” o “ io non posso più lottare”, per quanto noi sentiamo anche queste affermazioni.
(Queste frasi indicano anche l'inizio della fine della lotta, ma le ultime non indicano l'accettazione).
L'accettazione non deve essere scambiata con una fase felice. E' quasi un vuoto di sentimenti. E'
come se il dolore se ne sia andato, la lotta sia finita e venga il tempo per “ il riposo finale prima
del lungo viaggio”.
Questo è anche il tempo in cui generalmente la famiglia ha bisogno di aiuto, comprensione ed
appoggio più del malato stesso. Mentre il malato ha trovato un po' di pace e di accettazione, la
cerchia dei suoi interessi diminuisce.
Desidera essere lasciato in pace, solo, o per lo meno non essere agitato da notizie e problemi del
mondo esterno. Le visite spesso non sono desiderate e , se vengono, il malato non ha più voglia di
parlare. Spesso chiede che il numero delle persone sia limitato e preferisce visite brevi ”.19
In quest'ultima fase il malato è ormai consapevole di ciò che gli sta accadendo, accetta la sua
condizione. Restano momenti in cui la rabbia e la depressione prevalgono, anche se con
moderazione.
Durante questa fase, il paziente di solito preferisce il silenzio e cerca momenti di raccoglimento in
se stesso. Talvolta, come nel caso di A. citato in precedenza, trae giovamento riascoltando il
percorso musicale precedentemente seguito nei laboratori, aiutandolo a comunicare con una
maggior intimità con i familiari o le persone che gli stanno accanto.
Questo è il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato vicino al paziente.
Ricordo gli ultimi momenti di A.: ha provveduto a salutare tutti, parenti ed amici, perchè oramai si
sentiva stanca, voleva dormire, non riusciva più a sopportare le frequenti crisi respiratorie che la
affliggevano in quell'ultimo periodo della sua vita.
Questa è la fase dove si inizia ad accettare la morte anche se ancora lontana, in quanto si matura
psicologicamente e spiritualmente, ci si prepara all'evento a cui si va incontro e questo succede per
la maggiore dei pazienti siano essi credenti o non credenti.
Si nota infatti che molti pazienti che stanno giungendo alla fine, pur entrando nella fase di
accettazione del loro stato, manifestano molta rabbia per quello che sta loro accadendo. Ed è
proprio qui che bisogna rispettare i loro bisogni vitali, cercando di rendere la qualità della loro vita
alta, offrendo conforto e accoglienza.
Ho notato anche che la persona che sta giungendo al termine della sua vita, sceglie una persona che
lo accompagni in questi ultimi momenti, cercando di trasmettere a questi la sua impronta.
Nei casi delle persone amanti della musica o che in questi ultimi momenti si avvicinano alla musica
seguendo il programma terapeutico, ho notato che, nella fase di accettazione, cercano nelle sedute
di musicoterapia di dimostrare il loro talento magari in qualcosa a cui non si sono mai dedicati
prima o non hanno avuto il tempo, durante la loro vita, di conoscere meglio.
19 Ibidem, pp 134,135.
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In questo momento la figura del musicoterapeuta è fondamentale in quanto ha la funzione di aiutare
il malato, a trattare le nuove emozioni che sopraggiungono quando si comincia a capire che resta
poco tempo al termine della vita.
Il musicoterapista, naturalmente non può modificare l'evolversi della cosa, ma deve aiutare
l'ammalato e chi lo circonda a mantenere una propria dignità in questa fase molto pesante sia fisica
che emotiva perché dovrà accettare la realtà della morte e la dipendenza dai propri cari.
La musicoterapia deve quindi accompagnare il malato affinché riesca ad avvicinarsi alla morte con
dignità aiutandolo a riempire i vuoti dati dalla profonda angoscia in cui si ritrova.
E' una terapia che deve coinvolgere anche le persone care nonché i familiari più stretti per dare un
maggior sostegno affettivo possibile al malato.
Da considerare anche che l'accettare la morte imminente dipende da vari fattori: l'età del morente,
la fede religiosa il suo grado di cultura sia sociale che economica ma anche la maturità di chi lo sta
assistendo e soprattutto l'atmosfera in cui il malato viene curato, ossia l'ambiente fisico ed emotivo
che lo circonda.
Devo ricordare che non si deve confondere questa situazione come rassegnazione a ciò che sta
accadendo al paziente, perchè soprattutto gli anziani a volte desiderano la morte non perchè la
accettano ma perchè credono di non essere più utili e di non poter più fare altro.
Questa è quindi uno dei momenti dove la terapia con la musica deve essere fondamentale per
sollevare le funzioni fisiche e di volontà a fare del paziente.
4.6. Esperienza di musicoterapia con il signor I.
Un frammento di vita in Hospice che si avvicina a quanto sopra detto è il caso del signor I. Dopo
aver iniziato a seguire un programma di fisioterapia un giorno, facendo piccoli passi nel corridoio
della struttura accompagnato dalla fisioterapista, arrivando fino alla sala delle visite esterne aveva
notato la presenza di un pianoforte. Dopo poco tempo il signor I. mi chiese di suonare qualcosa per
lui, essendo amante della musica classica e in particolare di Chopin.
Gli suonai un “Notturno opus 9 n° 2, composizione per pianoforte di Fryderyk Chopin” e con
sommo piacere notai che nel viso del signor I. le sofferenze si placavano nel momento dell'ascolto.
Questo è stato l'inizio di un ciclo di musicoterapia che ha stimolato non solo la parte spirituale del
paziente ma anche la parte fisico- motoria perché il signor I. ha collegato il momento difficile
dell'alzarsi e camminare affrontato sempre con dolore e fatica a quello assai più gioioso
dell’appuntamento musicale che gli faceva dimenticare, anche se per il solo momento della seduta,
le sue sofferenze dedicandosi all’ascolto dei suoi brani preferiti che io stessa gli suonavo,
perdendosi nella bellezza della musica.
Il signor I. è da sottolineare che era una persona scontrosa, burbera, molto chiusa, non per la
malattia che lo aveva colpito ma di carattere, quindi una persona difficile, e la scoperta del tumore
che lo aveva colpito aveva peggiorato ancor più la sua chiusura.
La terapia musicale e la fisioterapia gli hanno permesso di uscire dalla sua stanza la cui porta era
sempre chiusa per tutti, persino per il personale sanitario e volontario, che riusciva a fare solo lo
stretto necessario per le cure.
IL signor I., con questo percorso che ha seguito fino al momento delle sue dimissioni, ha mostrato
segnali di accettazione della sua condizione di “terminale”, godendo di questi momenti il più
possibile che condivideva con me e la fisioterapista, trovando in essi una gioia profonda anche se
momentanea .
Questa terapia musicale è stata accettata con gioia dai parenti in particolare dalla figlia, che ha
notato, dopo breve tempo, che il padre mostrava piccoli segnali di apertura e di accettazione del suo
periodo di degenza in Hospice. Capiva che il sostegno tangibile dato dagli operatori fisioterapici e
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musicoterapici erano tali da renderlo tranquillo perché non si sentiva solo, anzi sentiva di essere ben
accettato, ben curato, non lasciato solo, quasi come fosse nel suo ambiente familiare.
Il signor I., ha seguito con impegno tutte le fasi fisioterapiche ed il percorso musicoterapico,
confermando che con l'unione della volontà del paziente e la professionalità umana che un
operatore deve dare sempre al malato, l'ambiente ospedaliero e particolarmente quello specifico
dell'Hospice può essere un ambiente positivo per il percorso delle Cure Palliative.
Posso così descrivere in una scheda tecnica il percorso musicoterapico che Il signor I. ha seguito in
Hospice:
il paziente, con carattere chiuso, scontroso, nel momento in cui ha voluto iniziare di sua volontà
questo percorso musicoterapico, ha mostrato dei cambiamento iniziando a relazionarsi con il
personale sanitario, aprendo dei canali di comunicazione con gli stessi, prendendo fiducia.
Psicologicamente più tranquillo, durante le sedute si sentiva molto rilassato, la sua sofferenza
interna spariva per tutto il momento della seduta; infatti il suo viso appariva più disteso.
Fisicamente si è sempre sforzato nel raggiungere il suo obiettivo principale che era raggiungere la
sala del pianoforte dove sapeva che avrebbe passato momenti di gioia potendo evadere mentalmente
dal suo male interno.
Nei colloqui avuti al termine di ogni seduta, I. mi ha confermato che quei momenti musicali erano
per lui dei momenti di relax sia mentali che fisici.
L'ascoltare la musica che in quel momento era esclusiva per lui, lo portava a ricordare momenti
felici del suo passato rendendolo tranquillo e alleviandogli la sofferenza.
Mi confidava anche che a casa aveva la moglie con un altro male e che desiderava ritornare tra le
mura domestiche sia per rientrare nel suo ambiente che per stare vicino alla consorte, accettando il
male che lo tormentava.
La figlia era l'unica persona che si faceva carico di tutto e conoscendo il carattere del padre, dopo le
prime sedute di musicoterapia, ha notato subito un miglioramento caratteriale in lui, sollevandola
psicologicamente perché vedeva il papà, anche se cosciente del male che lo aveva colpito, in uno
stato di tranquillità che lo aveva portato anche a aprirsi con persone sconosciute a lui.
Ha visto il suo papà meno sofferente, quindi di riflesso ne soffriva meno anche lei per la situazione
che si era creata attorno a lei.
In questo frangente, mettendo in atto queste pratiche, ho notato il progressivo cambiamento che si è
prodotto all’interno dell’Hospice: l’iniziale indifferenza sta velocemente lasciando il posto ad un
interesse maggiore da parte del personale sanitario ma anche da parte dei parenti ed amici del
paziente, in quanto si riconosce che la musica crea unione tra le persone, creando una amalgama tra
tutti.
La musicoterapia, infatti, può essere un buon ausilio per la cura del malato terminale ma non solo,
si presta da affiancare la medicina in generale che sta riuscendo ad allungare i tempi della vita a tal
punto che il lento morire ha creato la necessità di una cultura nuova dell'assistenza,
dell'accompagnamento, più attenta ai bisogni del malato sia in senso umano che psicologico.
Quindi, la musicoterapia utilizzata come risposta alla richiesta di dare maggior sollievo, diventa
efficace, rendendo più naturale questa esperienza di vita che la persona malata sta conducendo.
Praticata in Hospice è di grande aiuto per rendere meno difficile la presa di coscienza del male che
ha attaccato il paziente e per distrarre in parte l’attenzione dalle sofferenze. A tale proposito sono
tanti gli episodi che quotidianamente si vivono in Hospice e che molto spesso nascono quasi per
caso.
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CAPITOLO 5.
MODELLO MUSICOTERAPICO USATO IN HOSPICE
5.1. Definizione del metodo di Helen Bonny (Guided Imagery in Music)
“E' un approccio terapeutico profondo, basato sui suoni, che utilizza specifici programmi di musica
classica per suscitare l'evolversi di esperienze interiori volte a sostenere una integrazione fisica,
psicologica e spirituale”.
La metodologia si basa in particolare sull'ascolto di composizioni di musica classica e
sull'interrelazione fra il paziente e il terapeuta.
Quest'ultimo esamina l'espressione delle esperienze interiori del soggetto sottoposto alla seduta,
emersa durante il contatto musicale.
Le immagini – manifestate sotto forma di ricordi, sensazioni fisiche e/o emotive, associazioni
mentali- servono al terapeuta a comprendere i blocchi, le tensioni o le paure del paziente, in modo
da aiutarlo a esplorare in profondità le dinamiche affiorate attraverso l'interazione fra musica
,immaginario e cambiamenti degli stati di coscienza.
Il metodo porta il nome della dottoressa Helen Bonny, violinista che all'inizio degli anni 70
sperimentò presso il Maryland Psychiatric Reserarch Centre, un approccio caratterizzato
dall'unione fra tecniche di rilassamento e musica classica”.20
Usando il metodo della Dottoressa Helen Bonny in Hospice, ho avuto la conferma che la musica
può influenzare le reazioni muscolari, la frequenza cardiaca, i livelli ormonali.
Ho notato anche che l'utilizzo, durante la seduta, di una musica vivace, più veloce del nostro
regolare battito cardiaco, trasmette energia, suscitando una reazione fisiologica ai suoni uditi con
l'aumento del battito cardiaco e la respirazione accelerata.
Mentre quando utilizzo una musica dal ritmo molto più lento, ho notato che diminuisce il battito
cardiaco, dando una sensazione di rilassamento.
Il regolare controllo della respirazione aiuta il rilassamento dei muscoli, che a sua volta aiutano a
ridurre il dolore.
Per ogni paziente uso un percorso musicale personalizzato.
Infatti in ogni percorso usato vi è una differenza sostanziale tra far ascoltare musica ed ascoltarla in
modo terapeutico.
La musica deve essere ascoltata in modo che curi, dosandone qualità e quantità in modo opportuno
per ogni paziente.
Usare la musica come cura prevede prima di tutto che il lavoro che si andrà a sviluppare tra il
musicoterapeuta ed il paziente ed i parenti più prossimi sia articolato in diverse selezioni musicali
tali da portare energia nel senso curativo, per iniziare appunto un percorso musicale terapeutico.
È importante valutare concretamente quali sono i gusti musicali del paziente, tralasciando le
tendenze musicali dettate dai mass-media e dalla moda.
Dai colloqui con i pazienti terminali, emergono preferenze musicali che ricordano loro tempi passati
e bei ricordi, che rappresentano il vero “Io” di ognuno di loro.
I suoni che accompagnano la vita di ognuno di noi dalla nascita alla fine, anche in modo casuale,
contribuiscono a dare energia nell'esistenza della persona.
Ascoltare anche casualmente una musica o una canzone che ci ricorda momenti vissuti piacevoli
porta ad un senso di benessere.
Ciascun individuo, infatti, associa una musica ad un determinato periodo della propria vita che può
condizionare in modo positivo ma anche negativo il suo stato d'animo.
20 Http://www.amadeusonline.eu/musicoterapia.php?ID=1236267275; n 20/12/2011.
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Effettivamente molte attività della nostra vita quotidiana vengono accompagnate dalla musica,
accendendo la radio, la TV, lo stereo.
La musica è anche dentro di noi e ci segue già nella nostra vita intrauterina, rimanendo sempre
intorno a noi, ad esempio i suoni della natura e dell’ambiente che ci circonda.
Mettere in atto un percorso di terapia musicale in Hospice dal punto di vista tecnico è abbastanza
semplice perchè si usano strumenti musicali a percussione di facile uso, un pianoforte ed
apparecchiature sonore per l'ascolto del percorso musicale.
In questo spazio protetto il paziente è libero di esprimere i suoi vissuti interiori, le sue emozioni
attraverso questi strumenti e l'uso della musica come elemento di relazione per il raggiungimento di
una situazione di equilibrio e di benessere.
Nei momenti in cui la musica concede di rilassarsi, il nostro stesso respiro diventa più profondo, i
muscoli tentano ad abbandonarsi concedendo a tutto l'organismo di ricevere molto più ossigeno.
Il corpo che riceve questa ossigenazione riceve vitalità, che può avere un effetto rilassante,
antinfiammatorio ma anche euforizzante.
La respirazione è legata molto agli stati d'animo della persona, può essere più veloce o più lenta in
funzione dello stato di quiete o di agitazione in cui essa si trova.
La musica pertanto possiede la capacità di far produrre con il solo ascoltare una sinfonia, un'opera o
un suono, maggiore ossigenazione, dando di riflesso più energia al paziente che segue un percorso
musico terapico.
La musicoterapia, quindi usata in modo appropriato è un modo per curare il sofferente.
Si cerca sempre di selezionare per tipo o autore la musica da usare per la terapia, questo per cercare
di dare un equilibrio energetico alla persona che diventa, così, contenitore di tutti quei suoni che gli
danno conforto.
5.2. L'incontro: Procedure e tecniche
Le quattro fasi dell'incontro GIM sono analoghe alle sezioni della forma suonata: esposizione,
sviluppo, ripresa e coda.
L'analogia o la metafora riportata è riferita al principio dinamico specifico sia della terapia sia
della forma suonata: un processo dove il materiale è presentato, sviluppato, trasformato e
integrato.
Nella GIM sono usati i termini preludio, induzione, viaggio musicale, prologo.
Gli interventi del terapista sono scelti all'interno di uno spettro che da un lato è cognitivo e
dall'altro è più intuitivo.”21
5.2.1. Prima Fase: Preludio
Il preludio o conversazione preliminare ha una durata di 15-20 minuti; lo uso come punto di
partenza per conoscere la vita del paziente e sapere se ha già la consapevolezza della sua malattia
poichè molte volte entrano in Hospice, ancora senza avere un quadro definito della loro situazione
clinica.
Durante questo primo momento, come terapista tento gradualmente di portare l'attenzione del
paziente dall'esterno all'interno per identificare un punto focale per l'incontro, cercando di
individuare in che fase, secondo il modello della Dottoressa Kubler Ross, si trovi in quel momento.
L’applicazione di questo modello è utile per capire le dinamiche psicologiche più frequenti nel
paziente a cui è stata diagnosticata una malattia terminale.
Il passaggio dall'esperienza conscia del mondo esterno ad una maggiore consapevolezza del mondo
interno è segnato dai cambiamenti di posizione assunti dal paziente che durante l'incontro è steso
sul suo letto con gli occhi chiusi.
21 Istituto Meme, “Modelli e metodi di musicoterapia” Paolo Alberto Caneva (a cura di):, Modena, 2005-2006, p.5.
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A mia volta mi posiziono in modo da garantirmi una certa comodità, che mi permetta un facile
controllo dell'apparato di diffusione sonora e di avere una visione d'insieme di tutto il corpo del
paziente, avendo così la possibilità di prendere nota di quello che il paziente racconta, ma anche di
come lo racconta, tenendo conto dei suoi modi espressivi, le sue emozioni e di tutti i suoi modi di
comunicazione non verbali.
Tutto questo mi porta alla scelta dei brani musicali che userò per le sedute che seguiranno ed il
metodo che userò per il rilassamento.
Quando non è possibile effettuare il colloquio preliminare con il paziente, perché già in fase
terminale avanzata o perché non riesce a comunicare verbalmente, lo attuo con i parenti più stretti.
5.2.2. Seconda Fase: Induzione, rilassamento e messa a fuoco
Durante questa fase, ossia l'induzione e l'ascolto della musica, il paziente è già disteso sul suo letto
nella sua camera singola, per cui non è distratto da rumori esterni e questo vale anche per il
terapeuta.
Conoscendo la storia, i vissuti, i sogni del paziente, lo invito a chiudere gli occhi e lo induco a
rilassarsi fisicamente.
Inizio col fare visualizzare al paziente alcune immagini che hanno proprietà di produrre effetti
benefici, portando l'attenzione sul respiro senza controllarlo né modificarlo.
Pongo l'attenzione sulle narici sia durante l'inspirazione che la espirazione.
Durante questa fase di inspirazione e espirazione, si chiede al paziente di immaginare che l'aria che
entra porti gioia ed energia positiva che gli deve riempire non solo il corpo ma anche l'anima.
Nella fase di espirazione deve immaginare di far uscire dal suo corpo tutto quello che rappresenta
negatività come la tristezza, la sofferenza, la disperazione, la paura.
Questa fase del respiro deve essere associata gradatamente a tutte le parti del corpo, incamerando
serenità ed eliminando tristezza, seguendo l'ordine che vada dal capo, il collo, le spalle, il braccio e
la mano destra, il braccio e la mano sinistra, il torace, l'addome, le parti intime, la gamba ed il piede
destro, la gamba ed il piede sinistro.
Questo è il momento in cui il corpo si svuota da tutte le tensioni e dallo stress.
Si lascia il paziente immobile mantenendolo nel vuoto mentale, facendo attenzione che questo
spazio vuoto sia gradevole per lui, mantenendolo costante.
Se ci si accorge che qualche pensiero negativo si affaccia alla mente si rimette subito in azione il
procedimento della respirazione.
In alcuni pazienti con difficoltà respiratorie, però, ho notato che il procedimento di rilassamento
utilizzando la respirazione risulta più difficoltoso quindi utilizzo altri stimoli quali immaginarsi di
essere in un posto piacevole che lo distenda e lo rilassi.
“ Lo scopo dell'induzione è di facilitare una transizione da un dominio dell'Io a livelli di
consapevolezza più profonda, e di lasciarsi andare ad un'esperienza più fluida del tempo e dello
spazio.
Un focus, una limitazione delle possibili scelte e necessaria per evitare insicurezza e confusione in
quest'esplorazione spazio -temporale.
Il focus serve come una “ lampada da minatore” nell'oscurità.”22
5.2.3. Terza Fase: Viaggio musicale
Dopo aver ultimato la fase dell'induzione si inizia con l'ascolto della musica, preventivamente
scelta per la cura del caso.
In questa fase, come terapista, fungo da anello di collegamento tra colui che ascolta e la realtà.
22 Istituto Meme, “Modelli e metodi di musicoterapia” Paolo Alberto Caneva ( a cura di); Modena, 2005-2006, p.6.
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La musica rappresenta l'origine che permette al paziente di attuare la propria realtà interiore senza
perdere il contatto con la realtà esterna.
In questa fase sono responsabile della scelta giusta della musica che farò ascoltare al paziente, come
fosse un compagno di viaggio che lo dovrà seguire per tutta la strada che si farà.
Condividerò l'immaginazione del paziente sia questa, visiva, uditiva, olfattiva, gustativa, tattile.
Fanno parte di tutto ciò anche i ricordi, le emozioni scaturite dall'immaginazione.
Il paziente può avere durante la fase dell'immaginazione un cambiamento repentino, ossia
l'immaginazione può essere rapida o lenta, personale o impersonale, chiara o confusa.
Ogni paziente personalizza il suo viaggio musicale arrivandoci con l’aiuto dell'immaginazione e
della musica dopo qualche seduta.
È importante cercare sempre di conoscere il meglio possibile il potenziale evocativo che si riscontra
nel paziente con la scelta musicale fatta.
Però, a prescindere dall'orientamento musicale che il terapeuta può avere, lo stesso deve cercare di
coinvolgere il paziente in questo viaggio musicale, portandolo ad esplorare con l'immaginazione
tutte le esperienze della sua vita.
5.2.4. Quarta Fase: Prologo
Quasi al termine della seduta, quando la musica ascoltata sta per terminare, si chiede allo stesso di
rendersi consapevole del percorso che ha appena intrapreso e concluso.
Si invita pertanto il paziente a conservare e concentrarsi nel puntualizzare le immagini ed i
sentimenti che l'ascolto della musica hanno stimolato in lui.
Si conclude l'ultima parte del prologo, intrattenendo un dialogo terapeuta-paziente, discutendo
dell'esperienza vissuta e suscitata dal viaggio musicale.
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CAPITOLO 6.
LA SCELTA DELLA MUSICA
Nel percorso terapico che metto in atto in Hospice serve una amalgama con il paziente entrando in
empatia con lo stesso.
Infatti si deve avere una buona capacità di ascolto, una reciproca fiducia ed una capacità di iniziare
un programma musicale curativo.
Per mettere in atto e praticare il metodo GIM, con pazienti terminali, uso solitamente un programma
di musiche classiche.
Queste servono per smuovere i sentimenti al momento fermi e non manifestati a volte nei confronti
dei familiari che cercano di stare il più possibile vicino al paziente in questo momento difficile della
vita da percorrere insieme.
La musica che si utilizza per dare sufficiente capacità al paziente di visualizzare un’immagine
animata non deve avere cambiamenti repentini di dinamica, ritmo o tempo, né tanto meno deve
cambiare velocemente la melodia, l'armonia, l'altezza e il timbro.
Di solito uso musica classica tradizionale e compositori quali Bach, Vivaldi, Debussy, Puccini,
Mozart, Beethoven e Chopin.
Preciso che la scelta musicale non è obbligatoriamente di musica classica ma in vari casi attinge
dalle preferenze del paziente, dal suo bagaglio culturale, per condurlo nell’ascolto ad esternare i
propri sentimenti con più facilità.
Ciò vuol dire che tutta la musica, di qualsiasi genere e tempo, è uno strumento che se utilizzato nei
modi consoni può rappresentare per le persone affette da malattie, come in questo caso i malati
terminali in Hospice, un sostegno per accompagnarli negli ultimi giorni della loro vita.
La musica compone la colonna sonora delle nostre vite e fare una selezione dei brani che sono
legati alla storia della persona, che possono aprire una finestra sulla vita trascorsa e far emergere un
revival di ricordi e di emozioni legate ad eventi significativi può facilitare l’attribuzione di
significati e l’individuazione dello scopo dell'esistenza che ormai vede la sua fine.
Lavorare con la musica è comune a molte attività professionali: compositori, direttori musicali,
film, insegnanti, terapisti musicali e altri ma quello che fa la differenza nella musica come terapia
usata nelle Cure Palliative in Hospice, sono le risorse tecniche perché è fondamentale oltre agli
strumenti usati una buona formazione del musicoterapeuta.
La differenza che vi è tra un normale musicista che ha come fine della sua professione quella di
suonare uno strumento per far si che il suo suono sia ascoltato da tutti e un musicoterapeuta, è il
modo in cui la musica viene utilizzata per raggiungere obiettivi terapeutici, per dare sollievo al
paziente, per compiere con lui un percorso, in questo caso, di progressiva preparazione al distacco.
Per il musicoterapeuta, un sussulto, un respiro, un grido, un sospiro possono trasformarsi in
qualcosa che ci riporta a ciò che il paziente sente.
Il più delle volte si tratta di un rapporto che si costruisce, di un legame raggiunto nel momento della
performance musicale, una comunicazione verbale o non verbale facilitata dalla musica.
La musicoterapia, contribuisce a dare un prezioso aiuto nella relazione del trattamento delle Cure
Palliative.
La presenza della musica in Hospice, nella maggior parte dei casi è ben accolta dai pazienti, dai loro
parenti, e dall'equipe sanitaria.
Tutto questo fornisce uno stato di confort nelle varie questioni, come nell'affrontare il dolore, il
panico, il rifiuto della morte, la rabbia , l'isolamento.
La musica, quindi, usata come sostegno, come canalizzatore quando le parole non soddisfano le
esigenze del paziente pertanto attraverso la musica cercare di far accettare la malattia e rendere
migliore la situazione attuale in modo che il paziente possa sfogarsi esternando le sue emozioni sia
fisiche che psicologiche e spirituali.
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Infine, la musicoterapia è per me un lavoro prezioso e gratificante che mi permette di affrontare le
mie paure e le mie ansie.
Mi ha permesso di ampliare la visione di ciò che è terapia e terapeutico, mi fa capire che la morte è
solo un altro ciclo della vita.
La musicoterapia usata in campo medico ha un grande potere principalmente se viene usata in modo
appropriato con i malati.
La formazione del musicoterapeuta può essere utile e qualificata in tutti quei settori dove la musica
può dare un aiuto nell’alleviare la sofferenza di un malato.
La musicoterapia può rivelarsi un grande promotore di salute psicologica nel paziente che è
cosciente del termine della sua vita.
Quando assisto ad una crisi la musica mi dà la base per sostenere l'eccitazione del paziente; mi
consente di stare accanto alla sofferenza del paziente e della sua famiglia.
La famiglia è certamente essenziale per il benessere di ogni essere umano, così come i vari tipi di
relazioni affettive. Una malattia grave come il cancro che arriva all’improvviso può causare
all’interno della famiglia forti shock emotivi e fisici dopo la diagnosi dello stesso. La famiglia in
questo caso ha bisogno di cure, come se fosse un paziente.
L'equipe sanitaria che si prende cura del malato deve aiutare anche la famiglia perché possa
imparare a convivere con la malattia del proprio caro.
Il musicoterapeuta accetta la soggettività che ogni paziente esprime all’interno della relazione con
la musica senza dimenticare la propria, ne accoglie le incertezze e le difficoltà, potenzia gli slanci e
le interazioni che si verificano nel setting.
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CAPITOLO 7.
ESPERIENZA RECETTIVA DELL'ASCOLTO IN MUSICOTERAPIA
Si riconoscono diversi tipi di esperienze musicali in Musicoterapia, una è interattiva e cioè quando
si produce musica con il paziente.
L'altra recettiva avviene attraverso l'ascolto audio di vari pezzi musicali.
Entrambe le esperienze si concentrano su eventuali aspetti multidimensionali della musica.
Le risposte dei pazienti sono modulate in accordo con gli obbiettivi delle esperienze musicali.
Il primo passo per avere una ricca esperienza in musicoterapia recettiva è la preparazione all'ascolto
della musica da parte del paziente, il rilassamento del corpo per creare un ambiente di fiducia e di
cura che facilita la consegna al paziente dell'esperienza stessa.
La procedura principale dell'utilizzo della musicoterapia recettiva è l'ascolto musicale, che viene
usata quindi applicata nella terapia individuale o di gruppo a scopi clinici.
Molto spesso l'ascolto della musica è intesa come un modo per approcciarsi in modo passivo, in
realtà, è un complesso processo che riesce ad attivare intensi vissuti interiori, evocare i ricordi,
stimolare l'immaginazione ed altro ancora.
Con l'uso della musicoterapia recettiva si stabilisce un contatto con l'emotività corporea e del
paziente. Infatti la musica viene prima ascoltata e dopo averne percepito i suoni, melodie e ritmi si
pensa a ciò che può stimolare all'interno di chi la ascolta.
I pazienti dopo l'ascolto della musica si esprimono con diversi modi, nel senso che possono iniziare
a raccontare storie della loro vita, si rilassano ed iniziano a meditare, possono drammatizzare o fare
movimenti liberi se il loro corpo lo consente.
Ogni paziente dopo l'ascolto della musica instaura un rapporto sonoro-musicale che è influenzato
dagli aspetti biografici e dall’identità sonoro- musicale del paziente stesso.
Questo rapporto è personale per ogni paziente.
Lo scopo della musicoterapia recettiva è quello di stimolare la capacità di ascolto attivo, ossia di
raccogliere i segnali, le emozioni, che si vengono a creare nell'ambiente dove viene allestito il
setting musicoterapico, facendo esternare al paziente di seguito le sensazioni provate.
L'ascolto in musicoterapia è utilizzato per fini diversi, principalmente è adatto a pazienti che hanno
bisogno di essere stimolati o tranquillizzati fisicamente o emotivamente.
In Hospice si utilizza l'ascolto musicale per portare a rilassare il paziente e regolarizzare di
conseguenza le funzioni corporee come il ritmo cardiaco, il respiro ma l’obiettivo principale rimane
il controllo del dolore.
L'ascolto è indicato principalmente per quei soggetti che, per gravi motivi clinici, si trovano in una
condizione disagiata per aver dovuto abbandonare una vita attiva.
Dopo una seduta di musicoterapia recettiva, con il paziente spesso si instaura una discussione
verbale dell'esperienza che l'ascolto della musica ha stimolato in sé.
7.1. Caso signora P.
La signora P. di anni 52, arriva in Hospice direttamente dal reparto di oncologia dell'ospedale
Maggiore di Parma, è affetta da tumore ovarico, con metastasi celebrale, in avanzato stato.
E' una persona di cultura ed amante della musica; ha frequentato per circa otto anni il corso per
pianoforte presso il Conservatorio di Parma, è amante della musica classica in particolare di
Beethoven, Chopin e Mozart. Nei primi tempi di ricovero appare una persona molto chiusa e
riservata.
Dopo la prima settimana ha iniziato un trattamento di fisioterapia, riuscendo a sedersi in carrozzina
ed uscire dalla sua stanza. Con la collaborazione della collega fisioterapista abbiamo organizzato un
piccolo laboratorio musicale utilizzando il pianoforte in dotazione all’Hospice.
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La signora P. rimase piacevolmente sorpresa dell’iniziativa. Per abituarla gradualmente alla
situazione ho cominciato a suonare alcuni brani per lei poi, vedendo la sua crescente partecipazione,
le ho proposto di avvicinarsi alla tastiera per suonare qualcosa insieme.
Nonostante la grande sofferenza che la affliggeva la postura da pianista subito assunta indicava la
dimestichezza con lo strumento.
Suonando insieme passo passo, l’ho accompagnata nell’esecuzione del brano di Ludwig Van
Beethoven “Per Elisa” che è riuscita a suonare con immensa fatica a causa delle metastasi cerebrali
e del tremolio delle mani.
Molta emozione nasceva anche nel vedere la relazione tra P. e la mamma, fortemente provata
nell’accompagnare la figlia in questo difficile cammino. Le donne che ho conosciuto in Hospice,
sono state tante e tutte diverse, ma credo di poter affermare che ciò che distingue le donne dagli
uomini nel porsi di fronte alla morte è il forte legame che ogni donna, in quanto madre, ha con la
vita.
La donna ha la possibilità di sentire in modo carnale l'interno del suo proprio corpo, prima con
l'esperienza della gestazione e di seguito con il travaglio ed il parto dando vita ad un'altra creatura,
creando così un confidenziale rapporto tra la donna e la vita stessa.
La signora P. ci aveva emozionato tutti per il modo in cui aveva partecipato con entusiasmo
all'accompagnamento al pianoforte, sforzandosi in ogni senso.
La musica le aveva dato forza anche per quanto riguardava il pensiero di dover lasciare la madre
perché consapevole del male che le dava tanto dolore e che l'avrebbe portata alla fine. Il pensiero di
dover abbandonare sua mamma da sola le creava molta angoscia.
Dopo quella prima esperienza seguirono altri incontri in cui P. e io abbiamo suonato insieme il
pianoforte iniziando così una sorta di percorso musicoterapico.
Nella paziente ho notato subito il cambiamento psicologico e comportamentale ogni volta che
suonava al pianoforte, posizionandosi nella postura corretta, cercando di controllare il tremolio delle
mani; il suo viso rifletteva uno sforzo sereno per la gioia di riuscire ancora a suonare, come da lei
stessa confidato.
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Durante un incontro la signora P. mi disse anche che non aveva paura di morire ma temeva
soprattutto il dolore fisico.
Infatti fa più paura la sofferenza che non il pensiero di essere in prossimità di un passaggio verso
un'altra dimensione.
Chiedendole cosa provava mentre ascoltava la musica che le suonavo al pianoforte mi rispose che
in quei momenti chiudeva gli occhi ed evadeva mentalmente dall’ambiente in cui si trovava;
sognava di intraprendere un viaggio che aveva inizio da casa sua, da cui mancava già da molto
tempo, per poi approdare su una isola deserta, rimanendoci fino al termine della musica.
Ulteriori ricordi ed emozioni suscitati in lei dall'ascolto delle musiche erano i periodi al
conservatorio e la gioia della mamma quando suonava a casa le lezioni apprese.
La mamma di P., in un colloquio avuto in separata sede, confermava che era felice di come
attraverso quei momenti musicali vedeva nella figlia attimi di serenità e gioia che le addolcivano il
pensiero della fine ormai imminente.
Gli ultimi momenti della signora P. sono stati dal punto di vista emotivo molto forti, per i suoi cari
ma in particolare per gli operatori sanitari e la sottoscritta.
Premetto che alla signora P. era stata fatta la promessa da un volontario dell’Hospice, di organizzare
un concerto in suo onore, suonato al pianoforte dal maestro Roberto Cappello, Direttore del
Conservatorio di Musica di Parma.
La signora P., però prima dell'avvenuto concerto, era caduta in uno stato soporoso, infatti non
reagiva più con i movimenti del corpo, non si alimentava, era entrata in uno stato tipo vegetativo.
Questa situazione rimase stazionaria per quasi quattro giorni; tutto il personale sanitario pensava
che purtroppo non sarebbe arrivata al giorno 25 aprile, data in cui si sarebbe tenuto il concerto di
pianoforte presso la sala attrezzata dell'Hospice.
Nella prima mattinata del 24 aprile, nelle consegne mi veniva riferito che P. era ancora in stato
soporoso.
Successivamente verso le ore 08.00 del mattino, la mamma di P., che passava la notte sempre con
lei, suonava il campanello di chiamata per gli operatori sanitari.
In quel momento, vista la chiamata che giungeva dalla camera di P., si pensava che servisse aiuto
immediato per lo stato in cui si trovava, ed insieme ad altro personale mi sono recata presso la sua
stanza.
Entrata dentro, però, restai meravigliata: P. era cosciente, respirava regolarmente, molto reattiva nei
movimenti. Immediatamente chiese che gli venisse portato la colazione perché aveva appetito.
Per tutto il giorno P., comunicò sia ai familiari che a noi operatori, che si sentiva priva di dolori e
che era in ansia per il giorno dopo, quando si sarebbe svolto il concerto di musica classica, la sua
preferita.
La notte passò normalmente, P. riuscì a riposare serenamente.
Il mattino del 25 aprile, dopo la colazione, P. chiese al personale di aiutarla a prepararsi per
l'evento che avrebbe avuto inizio alle 16.00.
Qualche ora prima giungeva in Hospice il Maestro Cappello, accolto dal volontario organizzatore e
dai medici presenti in reparto.
Nel frattempo, gli operatori, insieme ad una volontaria fisioterapista, con l'ausilio dell'attrezzatura
presente in Hospice, posizionarono P. sulla carrozzina per consentirle di raggiungere la sala del
pianoforte, ormai piena di persone che attendevano il suo arrivo, compreso il maestro Roberto
Cappello, nell'occasione molto emozionato.
Il concerto iniziava con il tocco delle note del “ Chiaro di Luna l'op. 27 n° 2” di Ludwing Van
Beethoven. Durante l’ascolto del brano, P., al suono delle prime note, chiudeva gli occhi e con le
mani poggiate sul suo corpo accompagnava con il movimento delle dita il brano musicale come se
lo stesse suonando lei stessa.
Notavo che P. si immergeva totalmente in questo viaggio musicale aprendo gli occhi solo alla fine
del brano eseguito, quasi come se si svegliasse da un bel sogno.
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Fece poi richiesta al maestro di eseguire un altro brano a lei molto caro, il “ Notturno op. 9 n° 2” di
Fryderyk Chopin, cosa che il maestro eseguiva volentieri.
P., nuovamente chiudeva gli occhi e partiva per quel suo nuovo viaggio musicale.
Dopo il secondo brano suonato, la mamma mi chiamava per riferirmi con emozione che questi
erano i brani che la sua piccola suonava a casa.
Seguiva un terzo brano “ Ave Maria di Franz Shubert” e poi con il quarto terminò il concerto con la
“Mazurka di Fryderyk Chopin”, in quanto si notava che P. era un po' pallida, stanca per la grande
emozione provata nell'ascoltare le sue musiche preferite.
Veniva quindi salutata dal maestro e da tutti i presenti e accompagnata verso la sua stanza dove
veniva sistemata sul suo letto.
P., trascorse un pomeriggio felice come la mamma ci riferì in seguito, addormentandosi
serenamente, riposando senza alcuna sofferenza per tutta la notte.
Il giorno 26 aprile verso le ore otto entrava in coma.
Al mio arrivo, all'inizio del mio turno di servizio, mi venne incontro la mamma, chiedendomi di
seguirla nella stanza della figlia, per mostrami quanto la situazione era cambiata rispetto al giorno
prima in cui era felice e serena.
P. era in coma, molto pallida con lunghissimi momenti di apnea.
Mi fermai ad ascoltare la mamma che necessitava di un primo conforto, perché quelli erano
sicuramente gli ultimi istanti di vita della figlia.
Con molto rispetto, chiesi alla mamma se potevo accendere lo stereo con un CD musicale di
Beethoven, per accompagnare negli ultimi istanti P., con la sua musica preferita, consapevole che le
persone in coma rispondono ancora al tatto ed all'udito.
La mamma e la sorella accettarono, con l’emozione di dare a P. un’ ultima gioia.
Verso le ore 16.30 P. si spegneva serenamente, accompagnata dal suono della sua musica preferita,
ascoltata fino all'ultimo istante.
Questa esperienza è stata per me una dura prova; con difficoltà sono riuscita a controllare le mie
emozioni, perché è impossibile per una persona sensibile ed amante della musica mantenere la
giusta distanza in questi momenti così forti e carichi di sofferenza.
Vedere una persona che coglie i suoi ultimi momenti di gioia attraverso la musica mi ha suscitato
una forte commozione che ha stimolato una sensazione di apertura e libertà.
Possiamo definire questi gesti, questi momenti, che si sono notati, dovuti alla forza della musica che
ha alimentato la volontà in una persona a vivere i suoi ultimi momenti di vita con tutta la forza per
ottenere una ultima soddisfazione.
Lo stesso maestro Cappello, alla conclusione del concerto, si era confidato riferendo che all'inizio
era molto timoroso di entrare in quella struttura e suonare per una persona che era al termine della
sua vita ma una iniziato, l’atmosfera di calore e accoglienza dovuta alla presenza sincera ed
amorevole di tutti, lo ha rasserenato donandogli emozioni inaspettate.
Si esibiva con la consapevolezza che la musica che stava suonando avrebbe dato, anche se solo per
alcuni momenti, gioia e serenità, principalmente a P. ed ai suoi familiari.
Per la signora P., questo concerto è stato l'ultimo saluto alla vita.
A questo evento hanno partecipato per la buona riuscita, gli operatori sanitari e i volontari
dell'Hospice, dando esempio che con sinergia si può creare in un ambiente ospedaliero, un ambiente
che offre anche se per pochi momenti serenità e gioia.
Questi momenti sono anche da considerarsi importanti per la coesione tra questo gruppo ( operatori
sanitari e volontari in Hospice), che danno quotidianamente sostegno morale e fisico a queste
persone colpite da mali incurabili.
In queste esperienze di musicoterapia, mi trovo in situazioni diverse una dall'altra, non solo perché
ogni malato è diverso in quanto persona, ma perché diverse sono le situazioni, i sentimenti, i mondi
che di volta in volta incontro entrando in quelle stanze .
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Ogni volta è una esperienza diversa che mi porta ad imparare qualcosa di nuovo, accrescendo la mia
capacità di affrontare le innumerevoli situazioni che la vita mi offrirà.
CAPITOLO 8.
DEFINIZIONE DI MUSICOTERAPIA SECONDO KENNETH E. BRUSCIA
Secondo Kenneth E. Bruscia, professore di Musicoterapia presso la Temple University Phidalephia,
Pennsylvania, U.S.A:
“La musicoterapia è un processo interpersonale in cui il terapeuta usa la musica e tutti i suoi
aspetti- fisici, emotivi, mentali, sociali, estetici e spirituali- per aiutare i pazienti a migliore ,
recuperare o mantenere la salute.
In alcuni casi, i bisogni del paziente sono indagati direttamente attraverso gli elementi della
musica; in altri essi sono analizzati attraverso i rapporti interpersonali che si sviluppano tra
paziente e terapeuta o gruppo.
La musica usata in terapia può essere direttamente creata dal terapeuta o dal paziente, o può
trarre spunto dai vari stili e periodi della letteratura esistente.”23
Chi sta per morire necessita di un'assistenza globale che si può fornire mediante la musicoterapia,
la fisioterapia, l’assistenza psicologica e spirituale che non sostituiscono le cure mediche ma sono
altrettanto importanti e ben si affiancano ad esse potenziandone gli effetti.
Essere musicoterapeuta all'interno di un Hospice significa permettere a questi pazienti che soffrono,
di raccontare il proprio dolore offrendogli la possibilità di mettersi in relazione con gli altri e di
avere l'opportunità, anche se per un breve tratto di esistenza, di ricostruire la trama della propria vita
che si è frammentata.
Difatti in ogni seduta musicoterapica, si vive una esperienza musicale intensa nella quale il
musicoterapeuta coinvolge il paziente attraverso le tecniche dell'improvvisazione, la composizione
e l'ascolto della musica. Talvolta risulta utile ed efficace l’abbinamento con altre espressioni
artistiche quali pittura, disegno, danza, poesia, narrazione di storie o la drammatizzazione.
Nelle mie sedute terapeutiche realizzate in Hospice ho privilegiato l'ascolto.
In queste sedute il paziente deve recepire e reagire alla musica ascoltata dal vivo o registrata.
Ascoltare significa anche concentrarsi sugli aspetti fisici del paziente, emotivi, intellettivi, estetici, o
spirituali della musica. Significa essere presenti, cioè entrare con il corpo e la mente nella stanza del
paziente nello stesso istante, con delicatezza, astenendosi dal giudicare qualsiasi azione o atto.
A questa fase il paziente può rispondere con attività quali il rilassamento o la meditazione,
movimenti strutturati oppure liberi, compiti percettivi, la narrazione di storie, la loro
drammatizzazione, ricordare , immaginare ed altro ancora.
Per questa esperienza di solito si usa far ascoltare musica suonata dal vivo o registrata,
improvvisata, come nel caso della signora P., che non riuscendo più a suonare la sua musica
preferita, ossia quella classica, è stata aiutata ad improvvisare con il pianoforte con il mio aiuto.
In Hospice con i pazienti si ha un contatto fisico molto frequente nel senso che vengono mobilizzati
in continuazione nel loro letto, lavati, misurati i parametri vitali (la temperatura, la pressione
arteriosa,ecc.), Tutto questo avviene in un corpo estremamente vulnerabile, debole fisicamente,
esposto emotivamente, solo e molte volte confuso.
Il contatto iniziale inizia con l'entrare nella stanza del malato e quindi toccare con gli occhi la
persona.
Con lo sguardo noi comunichiamo di essere presenti nella stanza ma potremmo anche far notare il
nostro disagio nei confronti del paziente e della sua situazione clinica, pertanto si deve evitare il
giudizio. In questi casi l'ascolto può essere una forma di contatto.
23 Kenneth E. Bruscia; “Casi Clinici di Musicoterapia (Adulti) “, Traduzione di Francesco Bolini, supervisione
scientifica di Gianluigi Di Franco, edizione Ismez, 1991, p.15.
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L'ascolto può essere in questi casi ricettivo, aperto, incoraggiante, oppure si può dimostrare
selettivo e motivato da un obbiettivo finale.
Con la nostra voce o musica, con l'ascolto di essa tocchiamo l'anima, il corpo, le emozioni, del
paziente.
Questo ascoltare crea nel malato rassicurazione e tranquillità; si usa un modo di parlare molto
pacato facendo attenzione, nell'esprimersi, ai minimi dettagli.
L'efficacia della terapia musicale con i malati terminali è determinata dalla scelta operata dal
musicoterapeuta, dei brani musicali e dall'obbiettivo che ci si propone di raggiungere con questa
metodica.
Come musicoterapeuta ritengo che tutte le persone, a prescindere dall'età o dall'esperienza musicale,
hanno la capacità di esprimersi e o riconoscere un linguaggio musicale.
Per avere questa capacità non serve essere dei talenti o avere la preparazione di un musicista
professionista, tutto deriva da ciò che si apprende durante la crescita di una persona.
Durante la crescita infatti si apprendono capacità musicali basilari quali il cantare, suonare
strumenti semplici, muoversi seguendo la musica, reagire alla musica, percepire i rapporti tra i
suoni, ricordare la musica, immaginare la musica, attribuirle un significato.
Ho notato infatti che in alcuni pazienti con forti problemi emotivi, la musica è stata in grado di
favorire il rilassamento, diminuire le sensazioni di ansia, di angoscia e di paura, recuperare i ricordi
e agire su emozioni e sentimenti.
Quindi la musica è capace di influire sul benessere dell'individuo.
Il potere della musica e del suono influisce molto sull'organismo umano; agisce sul sistema nervoso
centrale, di conseguenza su tutti gli altri organi, rendendosi un potente strumento di lavoro nella
terapia musicale.
Si deve dare sempre attenzione ad adattare le esperienze musicoterapiche con le capacità musicali
del paziente evitando di conseguenza il causare dolore inutile di qualsiasi tipo.
CAPITOLO 9
IL DOLORE
Il dolore ha sempre accompagnato la storia dell'uomo, gli ha portato conseguenze fisiche e
psicologiche. L'uomo di conseguenza ha sempre cercato di controllarlo impegnandosi a
comprenderne la natura.
Il dolore per molto tempo è stato considerato come primo sintomo di una malattia in arrivo, come
uno strumento di diagnosi della malattia e poterla curare.
Di recente si stanno effettuando ricerche mediche sui principi del dolore, per scoprire i sintomi che
lo provocano.
Si sta utilizzando tutta la tecnologia possibile per raggiungere una cura efficace, cercando di
arrivare alla cancellazione sia fisica che psichica dello stesso.
Il dolore si deve trattare in modo articolato e tempestivamente, consentendo all'organismo di
ritornare ad uno stato di ordine, evitandogli alterazioni fisiologiche che possano influenzare la sua
funzione.
Quindi bisogna approfondire le conoscenze ed indagare prontamente per arrivare ad una diagnosi
pronta e accurata per il paziente. Tutte queste ricerche e approfondimenti hanno condotto a
sviluppare la Medicina del dolore come una specifica branca della Medicina, dedicata
principalmente alla diagnosi e trattamento della malattia.
Una prima diagnosi clinica fatta da personale specifico che riconosce e vede la persona da trattare
non solo come malato, che cerca la causa e non solo il sintomo, crea un’attenzione mirata nel
malato da trattare che viene visto non solo come paziente ma innanzitutto come persona.
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La malattia è un fenomeno sociale e non solo biologico, di conseguenza il dolore che ne deriva
ancora oggi non è sufficientemente trattato con tecniche che lo possano controllare.
Si distinguono due tipi di dolore, quello utile ovvero quello che ci dà il segnale d'allarme e che ci
permette di diagnosticare la malattia e quello inutile ovvero quello che origina una sofferenza a vari
livelli.
Il dolore è descritto dai pazienti come lancinante, penetrante, urente, ecc., ma può essere anche
spontaneo o evocato cioè causato da uno stimolo non di dolore.
Il dolore nel tempo disabilita il paziente, si tramuta in malattia, condizionando a volte l'aspetto della
sua vita e può durare anche per tutta la vita del malato.
Il dolore può variare di intensità anche se tende nel tempo ad aumentare, alimentando l'ansia, la
frustrazione, gli stati d'animo negativi.
Il dolore cronico, provoca nelle persone disturbi al sonno, depressione, riduzione delle capacità
intellettive, ed è difficile stabilire la causa di esso.
Questo dolore può provenire da una malattia o da un trauma, può essere causato dallo stress o da
cure sbagliate.
“Crediamo che a questo punto ci siano pochi punti cardine nella terapia del dolore intrattabile.
Primo, dobbiamo cercare di fare una valutazione il più accurata possibile dei sintomi che
tormentano il paziente.
Questo non ha il significato di fare una diagnosi ed un trattamento specifico, perché questo è già
stato fatto, ma ha lo scopo di trattare il dolore e tutti gli altri fenomeni, che possano accrescere il
generale stato di sofferenza, come fossero una vera e propria malattia.”24
9.1. Offrire musica a sostegno della terapia del dolore
Nel mio lavoro la parte più impegnativa che svolgo sia dal punto di vista tecnico che emozionale, è
offrire la musica a qualcuno che è prossimo alla morte e si trova ormai in stato di semi incoscienza.
Questo è anche un momento molto intimo nelle relazioni con i familiari, trovarsi a vivere una
situazione dove un parente o anche un caro amico sta per morire.
In queste situazioni è richiesta al musicoterapeuta una sensibilità e consapevolezza nei confronti
dei familiari nel senso di non invadere eccessivamente gli spazi privati.
Offrire la musica in un momento del genere può suscitare ricordi ed emozioni forti che possono
portare anche allo sfogo del pianto.
La musica infatti si rivolge in modo diretto al cuore delle persone, distruggendo tutte le barriere
messe in essere, facilitando l’espressione e la condivisione dei sentimenti.
La musica può portare a raggiungere le parti più profonde dell'esistenza umana aumentando la
consapevolezza dei vissuti e delle esperienze attraverso il meccanismo della condivisione
9.2. Caso della signora O.
Racconterò il caso della signora O. afflitta da un tumore al colon in fase terminale, ex infermiera e
quindi consapevole e cosciente del male che la stava consumando.
Avevo già conosciuto O. durante le mie interviste alle persone ricoverate in Hospice,
individuandola come possibile paziente cui proporre una terapia musicale in quanto era una persona
preparata musicalmente, appassionata dell'opera che frequentava spesso il teatro.
Dal giorno del suo ricovero presso l'Hospice, quotidianamente, allo stesso orario, verso le ore 13.00
appena dopo aver consumato il pasto, veniva attaccata da dolori tremendi ed incontrollabili per cui
24 Cecily Saunders: “Vegliate con me”, edizione dehoniane, Bologna, 2008, p. 81.
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si rendeva necessaria la somministrazione di una puntura di morfina per attenuarle il dolore e
calmarla, così, in breve tempo.
L’episodio, che si ripeteva ogni giorno, era un po’ anomalo per cui il personale sanitario, nutriva
alcuni dubbi circa la provenienza di questo dolore, se derivante dal male che progrediva o se di altra
natura. Infatti dopo la somministrazione del farmaco la signora O. si calmava e si addormentava,
riposando anche per alcune ore di seguito.
Partendo da questi presupposti mi è venuta l’idea di provare a utilizzare la musica e ho iniziato
proponendole l’ascolto dei suoi brani d’opera preferiti: l'Aida, il Trovatore, l'Otello, il Nabucco e in
generale le opere composte da Giuseppe Verdi.
Seguiva alla fase dell'ascolto la discussione e l'interpretazione critica dell'opera ascoltata, da parte
della signora O.
I nostri incontri, svolti di pomeriggio, sono diventati sempre più frequenti ed ho cominciato a
notare che la paziente si concentrava molto nell’ascolto della musica distraendosi in parte dalla
situazione contingente.
Poco alla volta, si ricreava nella stanza un’atmosfera quasi magica; l'ascolto della sua musica
preferita le riportava alla mente molti ricordi che esternava alle persone presenti in quel momento,
diventava serena e rilassata quasi da far dimenticare per un attimo di essere una persona afflitta da
un male incurabile.
Un giorno, durante il mio turno di servizio in coincidenza con l'ennesima richiesta della puntura di
morfina dopo il pranzo, capitò che l'infermiera fosse impegnata a rispondere ad una richiesta
urgente di un altro paziente O. doveva attendere alcuni minuti prima che gli venisse somministrato
il solito farmaco.
L’attesa la rese ansiosa e disperata a tal punto da chiedere a chiunque di somministrargli la puntura,
pur di calmare il suo dolore.
In quell'attimo, non sapendo come gestire la situazione, mi venne un’intuizione fulminea: sono
corsa a prendere uno degli Stereo a disposizione del reparto, dopo avere inserito il CD dell'opera
“Aida”, sono entrata nella stanza di O. riempendo la camera di musica .
Mi sono avvicinata alla paziente chiedendole di provare a rilassarsi nell’attesa dell'infermiera con la
puntura di morfina, di provare a chiudere gli occhi, rassicurandola della mia presenza. Tenendole la
mano e parlandole l’ho così accompagnata in un viaggio sonoro.
La paziente all'inizio era molto tesa, sofferente e mi stringeva con forza le mani; dopo alcuni
minuti, con mia meraviglia, iniziavo a notare che le mani che stringevano le mie si rilassavano, gli
occhi si chiudevano, e appoggiando la testa in modo più comodo sul cuscino, entrava in armonia
con tutto l'ambiente circostante immedesimandosi nell'Opera che stava ascoltando, rilassandosi
completamente fino ad addormentarsi.
All'arrivo dell'infermiera per la puntura, la paziente, era oramai rilassata e addormentata.
Ho notato anche che le smorfie di sofferenza sul suo volto erano sparite, il viso era molto rilassato,
come tutto il suo corpo.
O. svegliatasi dopo qualche ora, era tranquilla come se avesse fatto la puntura, non mostrava segni
di dolore, era rilassata e serena.
Nella condivisione fatta con lei al suo risveglio, mi riferì, che appena iniziato a sentire la musica
che avevo portato dentro la sua stanza, proprio nella fase acuta della sofferenza, si sentì rapita dalla
sinfonia e, con l’aiuto delle mie parole, aveva immaginato di trovarsi in un teatro, ben vestita e
truccata come una volta, riuscendo in tal modo ad evadere da quel momento drammaticamente
doloroso, calmandosi ed addormentandosi.
Ha associato l'ascolto di una delle sue opere preferite ad un senso di serenità molto intenso,
eliminando l'effetto negativo del male che sentiva, suscitando in lei ricordi ed emozioni di felicità.
Dopo quel giorno decidevo di lasciare a disposizione della paziente lo stereo, con i vari CD di suo
gradimento, che avevamo ascoltato durante il percorso musicoterapico, chiedendo ai suoi familiari
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di mettere in funzione il riproduttore musicale non solo nei momenti di massimo dolore che si
presentavano, ma anche in qualsiasi momento la paziente lo richiedesse.
In questo caso il dolore è stato calmato dalla musica, che ha aiutato psicologicamente a superare la
fase di massima sofferenza del paziente riuscendo a distrarla in parte dal male.
CAPITOLO 10
IL SILENZIO
Il silenzio e l'indifferenza spesso sono segnali che il morente manda a chi gli sta vicino negli ultimi
momenti: il significato implicito è la richiesta di aiuto, di occuparsi di lui.
In alcuni pazienti si manifesta una forma di delirio, che spaventa tutti coloro che sono vicino.
Si nota sempre che in quei momenti finali, a qualsiasi età, è spontaneo invocare la madre o si ha il
desiderio di incontrare persone che sono state care nel passato.
A volte il paziente sogna la propria morte e questo è l’espressione delle proprie emozioni e angosce.
I sogni delle persone morenti, infatti, sovente sono la proiezione del persecutore interno, il cancro, o
qualsiasi patologia che lo sta portando alla morte.
Il morente negli ultimi momenti di vita può usare anche un linguaggio simbolico, a volte difficile da
comprendere in quanto contenente espressione di paura che possono a loro volta creare paura in chi
assiste.
Apprendere a capire il linguaggio simbolico dei morenti tramite i sogni che essi narrano ai familiari
o agli operatori aiuta chi sta loro vicino a prendere consapevolezza che la morte si sta avvicinando e
quali sono i bisogni che essi esprimono per affrontare con serenità il momento del distacco. Molto
spesso il silenzio diventa il veicolo principale di scambio dei vissuti emozionali.
“Questo è il tempo in cui la televisione è spenta.
Allora le nostre comunicazioni diventano più tacite che verbali.
Il malato può fare soltanto un gesto della mano per invitarci a sedere un momento.
Può tenerci la mano e chiederci di sedere in silenzio.
Simili momenti di silenzio possono essere le comunicazioni più altamente significative per le
persone che non si sentono a disagio alla presenza di una persona morente.
Possiamo ascoltare insieme il canto di un uccello che viene da fuori.
La nostra presenza può confermare che saremo vicini fino alla fine.
Possiamo far capire che è giusto non dir niente quando ci si occupa delle cose importanti ed è
soltanto questione di tempo, finchè chiuderà gli occhi per sempre.
Può rassicuralo che non lo si lascia solo quando non parlerà più, e la pressione della mano, uno
sguardo, il modo in cui si abbandona sui cuscini può dire di più di molte parole dette.”25
Fondamentale in Hospice in qualunque ruolo ci si trovi, operatore, volontario o familiare, imparare
a comunicare la propria presenza anche senza parlare.
In questi momenti il silenzio può essere usato anche come forma di comunicazione da saper
interrompere quando è necessario. Il silenzio dei morenti impone rispetto, accoglienza,
accettazione. Saper stare nella presenza silenziosa, con un semplice tocco della mano, una carezza,
talvolta un abbraccio.
Essere presenti in quel momento è molto importante per il morente che sa di non essere solo.
Questi sono momenti preziosi in cui si possono ricevere dal malato anche tante cose, a volte anche
sostegno e conforto per chi rimarrà.
Mi piace pensare che la pratica della musicoterapia in Hospice, sia un’ esperienza insolita che ci
influenza profondamente, offre sollievo, sia fisico che emozionale, quando è applicata in modo
appropriato.
25 Kubler Ross Elisabeth, “La morte e il morire”, Cittadella editrice, Assisi, 2005, p.135
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Nel nostro Hospice la musica ha un ruolo insostituibile per dare conforto ai malati, perché lavora
con la loro sofferenza, le loro paure, il loro dolore e il loro silenzio.
La musica in Hospice si basa su piccole reazioni degli ospiti, tante volte senza risposte manifeste,
che restano nel silenzio.
A guidare il terapeuta è il respiro, il battito cardiaco, l'alterazione del tono muscolare.
Si nota nella maggiore delle volte che anche le persone ormai in coma mantengono la capacità
sensoriale dell'ascolto della musica, che la musica è im grado di stimolarli sul piano delle emozioni.
Non posso affermare con certezza che le reazioni dei pazienti siano collegate all'input che gli dono
con la musica né che siano riflessi psicomotori residui, ma posso affermare che la musica riesce a
far superare il deficit fisico in maniera molto profonda.
I suoni che stimolano tali risposte variano da individuo a individuo: ho riscontrato nei pazienti la
differenza tra l'ascolto della musica registrata e quella suonata direttamente con il pianoforte, ed
anche con l'uso dello strumentario ORFF.
Il senso di intimità prodotto da una relazione musicale individuale può dare grande gratificazione.
Ascoltare non è altro che offrire qualcosa, dare qualcosa che guarisce con la forza della generosità.
Ascoltare è un dono che non chiede nulla in cambio, è molto prezioso per colui che sta terminando i
suoi ultimi giorni di vita. Significa svuotarsi del tutto, essere disponibili a ricevere qualsiasi cosa
senza aspettative e senza giudicare o essere giudicati, essere pronti a stupirsi per le situazioni che si
creano.
L'ascoltare richiede un’attenzione qualitativa, non diretta solo all'altro ma anche alla propria
interiorità. Significa sapersi concentrare sulle sensazioni, sui sentimenti, intuendo ciò che accade
dentro di ognuno, perché questa è una chiave che permette di entrare in risonanza con l'altro.
Quando utilizzo la musica a scopo curativo, si attiva l'ascolto empatico, ossia il corpo e la mente
entrano nella stanza del malato nello stesso momento.
Avvicinandomi ad un paziente, la prima domanda che mi rivolgo è come sto con me stessa prima di
iniziare a stare con l'altro?
Cerco di rasserenarmi, respirando profondamente, tralasciando così i pensieri che potrebbero
distrarmi dall'azione di ascolto.
Mi concentro poi ad ascoltare le necessità del paziente, che possono essere anche lo stare in
silenzio, comunicando solo con gesti o guardarsi negli occhi.
La musicoterapia mi consente di stare vicino ad un malato terminale, addormentato o immobile, e di
suonare o azionare un CD per renderlo tranquillo, per fargli sapere che non è solo in questo viaggio
che lo sta portando alla fine.
“Come si ascolta”
Innanzitutto si ascolta con tutta la persona:
⁃
si ascolta con il proprio sguardo sapendo cogliere espressioni, reazioni e
preoccupazioni;
⁃
si ascolta con il tocco umano imparando ad individuare dove c'è bisogno di
affetto di calore e dove l'intimità di gesti umani mette a disagio la persona;
⁃
si ascolta con l'udito sapendo distinguere, dal tono della voce, la intensità dei
sentimenti e il significato dei messaggi e del linguaggio usato.
Per ascoltare è necessario porre l'altro, non se stessi al centro del dialogo.
Il vero ascolto fiorisce quando il visitatore intravvede e rispetta l'agenda del paziente, lo lascia
protagonista dell'incontro e sa entrare nel suo mondo e guardare le cose dalla sua prospettiva.
Può darsi che l'esigenza del malato sia di parlare di sé, di restare solo, oppure di mantenere la
conversazione a livello superficiale.
Non sempre la sua agenda emerge rapidamente, a volte occorre un po' di tempo perché sia
chiarita.
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L'operatore deve leggere correttamente la situazione, adattandosi alle esigenze senza lasciare che i
suoi bisogni dettino il corso d'azione.”26
10.1. Caso della signora C.
Racconterò il caso clinico di C. entrata in Hospice perché affetta da un tumore al seno, settanta tre
anni, vedova, dal carattere aperto e cordiale avendo avuto in giovinezza una attività commerciale
che le ha insegnato ad essere sempre disponibile verso il prossimo.
La signora C., anche se abbastanza anziana e affetta dal tumore, dimostrava ancora gioia di vivere
cercando di superare quotidianamente le sofferenze che il male le creava.
Raccontare del suo passato e dei suoi bei momenti trascorsi con il marito scomparso ma anche della
sua attività, la rendeva viva.
La signora C. riceveva poche visite da familiari ed amici, ma era tuttavia serena sapendo di non
essere dimenticata.
Non avendo molti familiari, riceveva volentieri visite di persone che si interessavano a lei, ad
esempio i volontari dell’Hospice, che la facevano sentire meno sola e per condividere un po’ di
tempo con lei, essendo cosciente della sua situazione medica che la avrebbe portata rapidamente
alla morte.
Nel caso della signora C. ho cercato fin dall'inizio di alleviare le sue sofferenze, attraverso l'ascolto
della musica registrata, di vario tipo e genere.
Amava ascoltare tutti i tipi di musica perché parte della sua giornata la passava in negozio
ascoltando la musica emessa dalle varie stazioni radio.
La signora C. durante l'ascolto della musica si faceva trasportare, chiudendo gli occhi, nei ricordi
del suo passato; il suo viso lasciava trasparire visibilmente le emozioni. Terminata la musica
rimaneva assorta in quello stato per alcuni minuti prima di riaprire gli occhi.
A volte facevo oscillare il bastone della pioggia sotto le sue mani, in modo da dargli la sensazione
di suonarlo lei stessa.
Ho usato anche un altro strumento musicale l'ocean drum (tamburo con doppia pelle che contiene
delle piccole palline all'interno, che lasciate scivolare riproducono il suono delle onde), palloncini
pieni di acqua, carta stagnola, contenitori contenenti bucce di arance e limoni, petali di rose ed
aromi vari usati come profumi.
26 Pangrazzi Arnaldo, “Creatività al servizio del malato”, edizione camilliane, Torino, 1986, pp.33 e 34.
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Attraverso il movimento e le vibrazioni degli strumenti ed oggetti, l'ascolto contemporaneo dei
brani musicali scelti oltre alla propagazione dei profumi emanati dai contenitori, ho prodotto un
effetto rilassante, stimolante per l’immaginazione della paziente.
Riuscire a creare momenti di rilassamento usando la creatività dà sempre un buon risultato in
quanto il flusso dei pensieri di solitudine e di abbandono si interrompe e diminuisce il livello di
angoscia.
La signora C. dopo il percorso musicoterapico, raccontava quello che le aveva suscitato in quel
momento l'ascolto della musica, (ricordi di bei momenti passati al mare, principalmente quando
usava il bastone della pioggia o maneggiava i palloncini pieni di acqua perché le davano la
sensazione dell'infrangersi delle onde contro gli scogli).
L'avvicinare i contenitori delle varie spezie, sotto le sue narici, mentre lei ad occhi chiusi era in
ascolto della musica, la trasportava nel passato, nei momenti di lavoro nel suo negozio di profumi.
Ogni cosa o sensazione era legata al suono di una nota o sinfonia, rasserenandola e distraendola dal
dolore fisico che la tormentava.
La musica è sempre in grado di individuare e raggiungere la parte sana di una persona, qualunque
sia la sua sofferenza; può raggiungere il profondo del cuore e dell’anima.
Nel caso della signora C. ho notato che il potere della musica è stato talmente forte da riuscire a
creare una profonda condivisione di preziosi momenti musicali che hanno dato effetti benefici,
facilitando l'espressione delle emozioni.
La terapia musicale con la signora C. è continuata anche negli ultimi momenti della sua vita quando
era diventata ormai apatica e sfuggente dalle situazioni che la circondavano.
Inoltre le visite dei familiari non erano frequenti e questa situazione la rendeva chiusa con se stessa,
nel suo silenzio, interrotto solo dalla musica che ha sempre gradito ascoltare.
La musica la circondava di quella amorevolezza che non viveva con il contatto fisico di una carezza
familiare ma che si creava nella sua parte interiore.
Ho avuto la sensazione di accompagnare la signora C. in questo viaggio anche se per brevi
momenti, non verso la morte ma piuttosto attraverso al vita.
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CAPITOLO 11
MUSICOTERAPIA E COMA
Molto spesso si applica la musicoterapia detta “passiva”, per la quale l'individuo ascolta stimoli
sonori e musicali, familiari o meno.
Questo tipo di attività, comunque, non va considerato realmente passivo, poiché anche mentre si
ascolta il cervello elabora informazioni, stabilisce rapporti, seleziona e mette in atto strategie per
ascoltare, funzioni che a loro volta possono modificare le risposte e le aree cerebrali, che si vanno
attivando.”27
Con i pazienti che sono ormai costretti alla quasi o completa immobilità e che devono essere aiutati
anche attraverso la respirazione assistita, il lavoro deve essere necessariamente diverso.
Per quanto riguarda l'uso della voce mi sono resa conto, lavorando con pazienti che non potevano
più parlare, di quanto possa essere invalidante non potersi più esprimere verbalmente in modo
adeguato e quando è ancora più duro perdere totalmente l'uso della voce, perché di fatto tale
condizione toglie la possibilità di comunicare con il mondo esterno.
Quando questo avviene, purtroppo, può portare con sè anche altre conseguenze. Possono infatti
subentrare forme depressive e stati ansiosi innescati soprattutto dall'isolamento che questa
condizione crea.
Entrare in contatto con questa dimensione mi ha dato spessore, mi ha fatto sentire parte di un
progetto di aiuto; mi ha dato la capacità di ascoltare le mie emozioni e analizzare i miei vissuti per
lavorare innanzitutto su me stessa e provare ad essere un elemento significativo di cura in un
processo che usa la musica con l’obiettivo di fare sentire meno soli i pazienti, riconoscere la loro
dignità in quanto prima di essere persone malate erano persone consapevoli di avere una loro
dignità.
In questi incontri per l'ascolto della musica, anche se i pazienti sono in coma farmacologico, sono
convinta che non si attivano soltanto le aree uditive, ma anche le aree tattili oltre alle arre del
piacere e dell'emozione.
Noto infatti, durante queste esperienze di musicoterapia, che dagli occhi scendono lacrime, cambia
la frequenza respiratoria e il battito cardiaco, si nota il rilassamento muscolare, questo prova che
con la musicoterapia i pazienti hanno più possibilità di vivere una trasformazione, intesa in questo
caso a non far perdere il completo contatto col mondo esterno.
Ad oggi posso riferire che la mia esperienza quotidiana in Hospice è sicuramente positiva, oserei
dire anche oltre quelle che erano le mie aspettative.
E’ la nostra presenza che parla, non c'è spazio per tante parole. Talvolta un contatto, un abbraccio,
una carezza quando oramai non c'è più niente da fare; siamo lì presenti, allora l'essere è molto
importante.
Molti vedono la malattia e non vedono la realtà che sta oltre che è la persona malata.
Umanizzare e dare un volto umano alla cura dell'altro, trovare gli strumenti adatti per mantenere e
canalizzare forze, sapere, esperienze che possono diventare curative, come la musicoterapia, che
diventa una via di comunicazione attraverso la realizzazione di attività sonora, musicale e corporea.
Bisogna valorizzare la persona, vivere con lei quel mondo, starci dentro senza giudicare, anche
quando si incontrano storie di vite complicate.
27 Roland O. benenzon, “Musicoterapia e Coma”, editrice phoenix, 2002, p.146.
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CAPITOLO 12
LA MUSICOTERAPIA NEGLI ALTRI HOSPICE DEL TERRITORIO
NAZIONALE.
Questa forma di utilizzo della musica come terapia di supporto per gli ospiti all'interno della
struttura Hospice, che qui a Parma sta progressivamente affermandosi, in altre strutture ospedaliere
a livello nazionale, in cui vi sia la presenza di un Centro Cure Palliative, ha già dato buoni risultati
come cura psicologica del paziente affetto principalmente da cancro.
La musicoterapia negli Hospice ha stimolato l'equipe, composta da professionisti, ad operare in
modo multidisciplinare e garantire un piano di intervento più personalizzato.
Quindi oltre ai programmi di cura e assistenza alle famiglie, è stata data una particolare attenzione
alla relazione per l'accompagnamento del malato, così da garantire meno disagio per quanto
riguarda i sintomi psico-fisici che il male procura oltre ad un sollievo dal dolore come conseguenza
del tutto.
Da considerare che le comunicazioni e le relazioni, a volte non giocano solo su piani verbali, ma
fondamentale è il linguaggio dei gesti, degli sguardi, dei silenzi ed in questo caso dei suoni.
Tutto questo deve accadere tra il paziente, il familiare e naturalmente il musicoterapeuta.
Laura Gamba, musicoterapeuta dell'Hospice di Cremona, si è così espressa sul progetto di
musicoterapia in Hospice: “ Portare la musicoterapia dentro un Hospice, significa cercare di
accompagnare un poco queste persone in questi ultimi momenti, cercare di impedire che si
chiudano, che abbiano l'impressione di non poter più avere contatto con la realtà circostante,
quindi aiutarli a mantenere una relazione con l'esterno.
Significa anche però, se loro vogliono, se loro lo desiderano, se ne hanno la necessità, riprendere
contatto con la propria dimensione interiore, quindi recuperare un po' i ricordi, le esperienze, tutto
quello che la musica può suscitare nelle loro vite.
Questo spesso accade nelle persone anziane, perché hanno una vita da raccontare. Spesso
ascoltare musica per loro è un’occasione per ripercorrere un po' delle tappe e degli episodi della
vita…quindi è un riguardarsi dentro, un raccontare, un raccontarsi.”28
12.1. Una mattina nell'Hospice di Casalpusterlengo (LO) con la Dott.ssa Laura
Gamba
È una mattinata piena di emozione, che si preannuncia essere piena di esperienze da fare e da
scoprire nel campo della musicoterapia.
Arrivo all’appuntamento con la dottoressa Laura Gamba, esperta nel campo della musicoterapia
clinica, che ha accettato la mia richiesta di incontrarla nella struttura in cui lavora, il Centro di Cure
Palliative che ha sede presso l'Hospice dell'Ospedale di Casalpusterlengo in Provincia di Lodi.
La cosa che più mi colpisce, appena entrata nell’ Hospice, è la luce che entra e illumina tutto il
lungo corridoio del reparto, tinteggiato con colori tenui, soprattutto verde acqua, che a prima
impatto distolgono dall'idea di trovarsi in un ospedale.
Le persone che mi accolgono sono molto gentili e nell’attesa di essere ricevuta dalla D.ssa Gamba,
mi accompagnano a visitare la loro struttura.
Sono entrata in una delle stanze, vuota al momento, composta da anticamera con cabina armadio,
stanza con letto e divani per riposare o per i parenti, un tavolo alcune sedie, un televisore ultima
generazione, il bagno servito di tutti i comfort e il grande balcone.
28 Www.arcoiris.tv/modules.php?id=84... 2/02/2012.
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Conclusa la visita siamo tornate nel soggiorno, fornito di comodi divani, una tv, una biblioteca con
libri di vario genere, giochi di società, riviste e quotidiani, vi era anche la presenza di una tastiera
elettronica.
Vedendo altre due signore con la stessa divisa che arrivavano accompagnando una paziente in
soggiorno mi venne spontaneo fare qualche domanda relativamente alle loro funzioni: erano tutte
volontarie dell'Associazione Onlus “ IL SAMARITANO” di Codogno (LO).
“L'associazione IL SAMARITANO è nata il 1988 dalla condivisione di una esperienza di lavoro e di
amicizia tra alcuni operatori dell'Ospedale di Codogno, partendo dalla constatazione delle gravi
problematiche di ordine psico-fisico, sociale e spirituale che affliggono sovente i malati di tumore
in fase avanzata.
L'associazione si prende cura del paziente oncologico e della sua famiglia, assistendolo nei
momenti di maggiore difficoltà e cercando di far fronte alle loro più svariate necessità.”29
Le volontarie, mi riferivano, che divise in un gruppo di settanta volontari/e, impegnavano in
turnazione il loro tempo libero, svolgendo varie mansioni, a disposizione dei pazienti del centro,
ognuno con il proprio compito: chi sceglie di essere vicino ai malati e familiari, altri si dedicano ad
altre attività quali la reception, la segreteria, la biblioteca, la videoteca, l'organizzazione degli
eventi, i trasporti, la cura e l'abbellimento dei locali ed altro.
Giungeva finalmente il momento di conoscere la Dottoressa Laura Gamba. La incontro mentre sta
accompagnando fuori dalla sala denominata “ Musica Insieme” un paziente e la seguo nello studio
insieme alla paziente successiva.
La seduta ha inizio, la D.ssa Gamba come musicoterapeuta, io come tirocinante. La Signora E. alla
sua prima seduta, dichiara che di musicoterapia in hospice ne aveva sentito parlare da quando era
stata ricoverata, in seguito era stata informata del tutto dai volontari e quindi era molto curiosa di
provare questa nuova tecnica, motivata anche dal fatto che a lei piaceva molto la musica.
La dottoressa, che parlava con molta calma in modo di mettere a proprio agio la paziente, riferiva
che a volte quando una persona viene ricoverata in ospedale porta con sé tutto il necessario per la
degenza, lunga o corta che sia, ma non pensa quasi mai di portarsi il suo CD musicale preferito, il
suo mp3 con le musiche di suo gradimento per poterle ascoltare nei momenti di degenza.
La dottoressa continuava parlando di questo percorso per affrontare con più serenità i momenti da
passare in una struttura come l'Hospice.
Infine cominciò a spiegare alla paziente come si sarebbe svolta la seduta, mostrando che nella sala
vi erano un letto sonoro ed una poltrona sonora, chiedendole di scegliere dove posizionarsi per
iniziare.
La signora E. scelse la poltrona sonora.
“Il letto sonoro, come la poltrona sonora, integra il progetto unico e innovativo di unire un oggetto
di design ad uno strumento musicale finalizzato al massaggio sonoro.
Si tratta di un monocordo su cui sdraiarsi a scopo terapeutico, riabilitativo, per il rilassamento e
per il proprio benessere.
Il letto sonoro è costruito in legno massello o multistrato di betulla trattato con oli e cere naturali
o verniciato a base di acqua.
Sdraiandosi sul piano o ( piano armonico) del letto monocorde è possibile percepire le vibrazioni
strutturali e le armonizzazioni sonore prodotte attraverso l'arpeggio della sezione di corde
sottostante.
Il letto sonoro può essere accordato rispettando le due sezioni della corde.
Una sezione in acciaio armonico e l'altra in acciaio armonico rifilato in rame.
Nello specifico DO diesis o RE e la rispettiva quinta SOL diesis o LA.
29 Www.fedcp.org/onp_aderenti/il_samatitano_codogno.htm 3/03/2012
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Le 53 corde poggiano su due grandi ponti che aderiscono perfettamente alla struttura semi
cilindrica ( cassa di risonanza) incollata nella parte inferiore del piano armonico ( su cui ci si
sdraia).
La combinazione unica di vibrazione e suono armonico produce il “ massaggio sonoro”, capace di
unire alla vibrazione strutturale gli armonici prodotti dalle corde.
Si avverte una così rilassante sensazione di benessere, un senso crescente di distensione, una
intima affinità corpo-strumento, una stimolazione fisiologica-cognitiva.
I possibili effetti prodotti dall'utilizzo del letto sonoro lo rendono unico, può essere utilizzato per il
trattamento a scopo terapeutico e riabilitativo in Istituti specializzati e centri di Musicoterapia, o in
studi privati di Musicoterapeuti, e da tutti coloro che fruiscono della Musicoterapia e
Biomusica.”30
La signora si accomodava sulla poltrona sonora, regolati i braccioli su cui poggiare i due
avambracci, la schiena ben dritta sullo schienale.
La D.ssa Gamba stava seduta su uno sgabello basso posizionato di lato in modo da poter suonare le
corde poste dietro lo schienale della poltrona e osservare le reazioni che la paziente aveva durante la
seduta.
Durante i primi cinque minuti la paziente tiene gli occhi aperti ad ascoltare il suono emesso dalle
corde, con una respirazione accelerata e molto tesa.
Dopo questo primo momento, noto che la signora E. chiude gli occhi, si rilassa, e immediatamente
il respiro cambia: molto più lento, il viso si distende, anche le braccia e le mani si distendono, con
le mani che finalmente si aprono rilasciando la sferetta di legno al termine dei braccioli che
all’inizio della seduta era stretta con forza.
Con il procedere dell’ascolto timide lacrime iniziano a scorrere sul viso alla signora E.
Dopo 15-20 minuti la seduta si conclude; io e la D.ssa Gamba lasciamo che la paziente con
tranquillità, senza fretta, riapra lentamente gli occhi.
La Signora E. riferisce di avere provato una grande sensazione di rilassamento, di essersi
emozionata e quasi subito si messe a piangere. Da molto tempo non provava sensazioni di gioia e
serenità come quelle avute durante la seduta, al punto da farle quasi dimenticare per un istante il
motivo della sua presenza in quella struttura.
Al termine della condivisione, sentendosi molto stanca, decide di tornare subito nella stanza per
poter approfittare di quello stato e così poter riposare un po’ visto che da parecchio tempo ciò non
avveniva in modo soddisfacente. Infine ci saluta confermando la disponibilità a proseguire nel
percorso.
Un altro paziente, il Signor A., era in attesa e, dopo aver acconsentito alla mia presenza come
assistente, iniziamo la seduta.
Il signor A., ricoverato presso il reparto di Oncologia del medesimo ospedale, riferisce che sarebbe
stato dimesso a breve e dichiara di essere davvero soddisfatto del percorso musicoterapico fatto nel
periodo di degenza presso l'ospedale.
Il paziente, sistematosi sulla poltrona sonora, rimane con gli occhi aperti per quasi tutto il tempo
della seduta, chiudendoli solo negli ultimi cinque minuti.
Al termine, riapre gli occhi rimanendo con lo sguardo fisso in un punto della stanza per vari minuti;
infine si alza e, ringraziando, esce quasi subito dalla stanza senza condividere nulla di quanto
provato.
Il Signor A., come riferisce la D.ssa Gamba, è un paziente che ha sempre evitato all'inizio, durante e
alla fine di ogni seduta di esternare le sensazioni ed emozioni che il suono e le vibrazioni emesse
dalla poltrona sonora gli suscitavano, pur manifestando il suo gradimento complessivo.
Le mie riflessioni, dopo la mattinata passata ad osservare le due sedute di musicoterapia:
30 Www.jacarandamusica.net/lettosonoro.html; 6/03/2012.
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la signora E. ha suscitato dentro di me una grande emozione. La sua facilità a lasciarsi trasportare
completamente dal suono e dalle vibrazioni della poltrona sonora, arrivando a rasserenarsi e a
dimenticare per un momento il dolore fisico che la turbava, mi ha colpito molto, stimolando in me
una forte risonanza con il suo sentire e producendo uno stato di serenità interiore, sapendo che
anche per il paziente era lo stesso.
Immaginavo quali pensieri passavano in quel momento nella mente della paziente, soprattutto
quando le sono scese le lacrime, cercavo di capire quali sensazioni sentiva, quali emozioni provava.
Nel secondo caso, il signor A., era una persona molto chiusa, con difficoltà ad esprimere le sue
emozioni pur apprezzando le sedute di musico terapia. Era tuttavia evidente anche in questo caso
che le benefiche vibrazioni dello strumento gli avevano donato un momento di serenità che lo
aiutava nel percorso di lotta con la sua malattia.
La Dottoressa Laura Gamba, mi raccontava che tutto questo era possibile grazie all'Associazione “
IL SAMARITANO” che garantiva la presenza della musicoterapeuta nella struttura perché convinti
che la tecnica misicoterapeutica possa alleviare, aiutare e sostenere queste persone nel periodo più
difficile della loro vita.
L'Associazione si era, inoltre, fatta carico anche di tutto il materiale occorrente per lo svolgimento
delle sedute comprando, oltre al letto sonoro e alla poltrona sonora, anche altri strumenti a
percussione ed il Reverie harp, utilizzata nelle stanze dei pazienti allettati.
Quest’ultimo strumento si usa appoggiandolo sul corpo del paziente e suonandolo come una arpa
per creare vibrazioni per tutto il corpo.
Poltrona sonora.
“Si tratta di uno strumento terapeutico su cui sedersi per il proprio rilassamento ed il proprio
benessere e per la terapia.
Mentre siete seduti sulla poltrona che suona è come se steste seduti in una cassa acustica di un
monocordo.
Sentirete un suono armonioso e avvertirete le vibrazioni attraverso il vostro corpo in un binomio
che vi infonderà un piacevole senso di rilassamento.
La struttura della poltrona è stata studiata per l'ottimizzazione della trasmissione delle vibrazioni
delle corde attraverso il legno per raggiungere schiena e bacino, e i fianchi, fino ad arrivare al
palmo delle mani attraverso dei braccioli (supplementari) che possono muoversi in diverse
posizioni e le palle di legno su cui poggia la mano trasmettono a tutto il braccio un profondo
massaggio.
Le due grandi “orecchie” poste ai lati, inoltre, formano una speciale camera di risonanza che
amplifica ancora di più il suono delle corde arpeggiate.
Questo strumento permette una quantità illimitata di suoni.
Lo schienale della poltrona che suona inoltre poggia su due ruote che rendono facile gli
spostamenti della sedia stessa.
L'esperienza che tutto il corpo avverte, sia di suono che di vibrazioni danno luogo a una
consapevolezza di molte diverse tensioni che il corpo accumula, per diversi motivi posturali o
emotivi e psicosomatici, le quali attraverso il massaggio sonoro generato della poltrona che suona
si trasformano in rilassamento e quindi in realizzazione e cambiamento.
Questa nuova ed unica esperienza permette di interiorizzare le sensazioni derivanti dall'esterno.
Si tieni a precisare che l'esperienza del suono e vibrazione simultaneamente può generare forti
reazioni emotive, si raccomanda quindi di far attenzione alla persona che prova la poltrona che
suona”.31
31 ibidem
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Concludo le mie impressioni relative a questa esperienza vissuta presso l'Hospice dell'Ospedale di
Casalpusterlengo (LO) riferendo che sono grata innanzitutto ai due pazienti che mi hanno dato la
possibilità di presenziare alle loro sedute di musicoterapia insieme alla Dottoressa Laura Gamba.
Inoltre penso che non è semplice realizzare tutti i sogni che si desiderano, ma se si desidera con
forza e volontà si può ottenere molto, arrivando talvolta a realizzare sogni, che si ritengono
impossibili.
Mi sono accorta infatti che dentro di ognuno di noi, vi è la presenza di uno spazio infinito da
scoprire, da esplorare, pieno di emozioni e di vissuti, che completano e riempiono la nostra vita.
Le malattie come il cancro che all'improvviso si manifestano spesso senza aver dato segnali in
precedenza, lasciano addosso la sensazione che qualcosa sia stato sottratto alla propria vita.
Sono sicura, però, che qualunque malattia non potrà mai cancellare la vita vissuta, le esperienze, le
emozioni, la propria testimonianza di vita: quello che si è costruito rimarrà sempre nei ricordi dei
cari e amici più vicini.
Con pazienza e gentilezza, ho capito che basta poco per dare un aiuto concreto agli altri.
Basta mettersi a disposizione del malato ed ascoltarlo nelle sue richieste a volte anche semplici e
banali.
12.2. L'uso della musicoterapia alla fine della vita
Grazie alla capacità che la musica ha, si riesce a dar voce ed esprimere sia la bellezza che il dolore.
La musica consente di viaggiare con il paziente nello spazio e nel tempo, e questo offre un aiuto
concreto al musicoterapeuta che può usarla come strumento adatto per aiutare i pazienti che sono
alla fine della loro vita e naturalmente aiutare anche le famiglie ad affrontare queste sfide difficili
che si trovano davanti a loro.
Il musicoterapeuta, il più delle volte, non deve fare altro che cantare e suonare per questi pazienti,
far cantare loro o semplicemente ascoltare la musica, o magari farli addormentare con essa.
Durante queste sedute solitamente si chiede al paziente di scegliere la canzone da suonare.
Spesso è molto difficile per questi pazienti in fase terminale e per le loro famiglie comunicare
riconoscendo le emozioni direttamente per il tramite delle parole, quindi si possono incoraggiare ad
esprimerle discutendo sui contenuti della canzone scelta.
La scelta della canzone è essenziale per capire quale stato d’animo affrontare decidendo se ascoltare
una musica triste, allegra, nostalgica o sacra.
È importante anche discutere delle sensazioni e dei ricordi che l'ascolto di questa musica ha evocato
avvalendosi di domande mirate per aiutare ad illustrare e a chiarire ciò che si ha appena ascoltato e
cosa esprime.
Cercare di far diminuire l'ansia attraverso l'uso di una musica tranquilla e familiare.
Rendere facile la comunicazione con l'uso di materiale musicale di gradimento.
Creare delle occasioni per esercitarsi in maniera appropriata nel controllo e gestione delle emozioni
attraverso la scelta di una particolare canzone ed infine sostenere il coinvolgimento attraverso la
terapia musicale.
Compito del musicoterapeuta è quello di operare adattandosi alle condizioni di salute che
peggiorano giornalmente nel paziente terminale.
Durante la seduta di musicoterapia e quindi durante l'esecuzione della musica è importante lavorare
anche con la capacità di immaginazione del paziente per alleviare l'ansia e diminuire la percezione
del dolore.
Eseguendo una musica tranquilla e calma si riesce a far coordinare il ritmo del respiro.
Quindi perché la musica abbia più effetto sul paziente, questa deve essere molto regolare, stabile ma
anche molto elastica.
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Quando si lavora con un paziente terminale, l'obiettivo finale ed importante è quello di aiutarlo e
incoraggiarlo ad impegnarsi nel processo di rivisitazione della sua vita, gettando uno sguardo
all'indietro su ciò che è stata la sua esistenza.
La musica in questo, ha la capacità di far evocare i ricordi, giocando un ruolo chiave in questo
processo.
La musicoterapia, inoltre, può aiutare i pazienti in stato terminale, come mezzo per facilitare il
raggiungimento di un obiettivo terapeutico, ad esempio la riduzione dell'ansia o rafforzare il
concetto se stesso.
La musica può rivelarsi anche uno strumento per stimolare l’interazione del terapeuta con il
paziente e la sua famiglia.
Attraverso la musica si riescono ad aprire dei canali di comunicazione su argomenti difficili e
dolorosi.
Con la musica si rafforza la relazione tra gli individui, facendo in modo di far condividere ricordi,
emozioni, esperienze d'infanzia e della vita passata insieme.
La musica è anche fonte di rilassamento, di divertimento, offrendo così un periodo di tregua ai
momenti difficili e dolorosi che la malattia crea, permettendo al paziente di vivere anche per pochi
momenti attimi di tranquillità.
12.3. Musicoterapia nell'Hospice di Albinea (RE)
“Negli Hospice la presenza del musicoterapista
arricchisce l'èquipe, già composta di
professionalità differenti, per operare in modo multidisciplinare e garantire un piano di intervento
il più possibile personalizzato.
Oltre a programmi di cura e l'assistenza alla famiglia, una particolare attenzione è data alla
relazione come possibilità preziosa per realizzare l'accompagnamento del malato, garantendo
sollievo dal dolore e dal disagio che sintomi fisici e psichici procurano.
Spesso dimentichiamo quanto la comunicazione e la relazione si giochino anche su piani non
verbali e quanta importanza assuma un linguaggio fatto di gesti, posture, sguardi, suoni o silenzi.
Tra malato e operatori, malato e familiari, operatori e familiari. E' all'interno di questa
consapevolezza che trova spazio la proposta della Musicoterapia all'Hospice di Reggio Emilia,
offerta in risposta ai bisogni psico-sociali e spirituali della persona”.32
Nel 2003 veniva attivata presso l'Hospice “Casa Madonna dell'Uliveto” di Albinea (RE) la
musicoterapia, proponendola ai pazienti in modo bisettimanale.
Dopo circa tre mesi di sperimentazione, dal settembre al dicembre 2003, periodo in cui sono stati
raccolti dati e valutazioni periodiche con la responsabile del servizio, la musicoterapia veniva
introdotta in modo continuativo.
Nell'anno 2005 veniva estesa anche a domicilio una volta a settimana, a favore di quei malati che
una volta dimessi si erano mostrati interessati ed ancora in grado di partecipare alle sedute di
musicoterapia.
Dall'anno 2006 si proponeva anche come intervento per i familiari che intendevano usufruire della
musicoterapia durante il ricovero del loro caro o nella fase del lutto.
Dall'anno 2007 è garantita la possibilità di tre sedute settimanali con la presenza del
musicoterapeuta in Hospice.
La musicoterapia si propone a quei malati che, manifestano difficoltà ad esprimere e comunicare il
proprio vissuto, per tratti di personalità o carattere, per fase di chiusura, per angoscia paralizzante,
per difficoltà cognitive di varie origini, disagio emotivo, chiusura e isolamento, sintomi fisici
stressanti, interesse o piacere per la musica, richiesta diretta, senso di solitudine o abbandono.
32 Baroni Mariagrazia, “Musicoterapia in hospice. Comunicare quando non ci sono parole”; Rivista Italiana di Cure
Palliative, numero 1; Milano, pagina 42.
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Il criterio principale di esclusione o sospensione della musicoterapia riguarda la gravità della
condizione clinica presente all'ingresso o sopraggiunta durante la degenza del paziente.
Altre condizioni di esclusione dalle sedute di musicoterapia per il paziente è la tendenza a
eccessiva loquacità, unita ad una difficoltà di affidarsi alla comunicazione non verbale.
Non vengono considerati motivi di esclusione dalla musicoterapia le condizioni di confusione, lieve
agitazione, il deterioramento cognitivo limitato rispetto all'età del paziente.
Si concorda con l'infermiere l'invio del malato alla musicoterapia, infatti il musicoterapista riceve
informazioni sui malati, accede alla sua cartella clinica, collabora alla realizzazione del progetto
assistenziale personalizzato per gli aspetti inerenti l'area psico-sociale-spirituale, effettua una
valutazione di fattibilità iniziale all'intervento, partecipa alle riunioni di equipe e alle discussioni
dei casi da trattare.
Il musicoterapeuta, definisce anche gli obiettivi d'intervento che sono strettamente collegati alla
condizione del malato all'ingresso e al motivo del ricovero segnalato in cartella, ossia il controllo
del dolore e degli altri sintomi, supporto psicologico al paziente e ai familiari, sollievo alla famiglia,
accompagnamento alla morte.
Le proposte personalizzate, sono sedute che si svolgono nella stanza del malato, quando è
impossibilitato a muoversi, o nella sala della musica, dotata di pianoforte e strumenti musicali di
differenti caratteristiche e dimensioni, oltre ad un impianto audio per l'ascolto della musica.
Gli incontri si svolgono in modo individuale con la presenza di familiari, se il malato lo gradisce e
se i parenti sono interessati.
La durata delle sedute variano dai 30 ai 50 minuti, in base alla disponibilità e alla reale possibilità
del malato a partecipare.
Si considera sempre l'evoluzione clinica del malato oncologico in fase avanzata, che da una seduta
all'altra può manifestare cambiamenti sostanziali, pertanto è necessaria flessibilità nella conduzione
dell'incontro e una organizzazione delle sedute in sé conclusa pur mantenendo aperta, quando
possibile, l'opportunità di proseguire il percorso.
Dopo una presentazione e conoscenza iniziale, in cui emergono gli interessi, i gusti musicali del
paziente, le sue potenzialità e capacità d'interazione e la disponibilità ad esplorare e suonare
strumenti musicali, il musicoterapeuta propone l'elaborazione in musica dei contenuti emersi,
utilizzando una delle tecniche a disposizione.
Il lavoro si svolge nel rispetto della persona, attraverso un’attenta osservazione delle modificazioni
fisiche ed emotive e mediante semplici domande che portano a favorire la partecipazione attiva del
paziente nella misura in cui è disposto a lasciarsi coinvolgere in una relazione empatica.
Le tecniche che si utilizzano si differenziano in base alla predisposizione del paziente e dei
familiari, se presenti alla seduta.
La scelta dei brani e le canzoni da ascoltare o cantare, utilizzare la musica per ricostruire il passato
e i vissuti del paziente attraverso musiche e canzoni che hanno segnato un significato per lo stesso.
Il percorso della malattia è spesso una strada in cui ci sono privazioni e perdita della propria
identità, un corpo trasformato, uno stile di vita modificato, la perdita del lavoro, delle attività, degli
interessi.
Quando si incontrano i malati e i loro familiari sovente si ha l'impressione che in quell'ultimo
periodo di vita non ci sia spazio per le passioni e neppure per la soddisfazione e il piacere che da
esse derivano.
Iniziare una seduta di musicoterapia con brani e canzoni che il paziente ha scelto seguendo le
proprie preferenze facilita la conoscenza, aiuta a prendere confidenza con una situazione insolita
rompendo le barrire culturali rispetto al non sentirsi in grado di suonare piccoli strumenti.
Avere la possibilità di ascoltare e conoscere musica nota e familiare richiama ricordi e vissuti
positivi e conduce a un senso di soddisfazione e recupero del proprio vissuto e della propria
identità.
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La musicoterapia si rivolge alle emozioni, stimola le facoltà cognitive, i pensieri e i ricordi del
paziente per sollecitarli e farli riemergere.
Il fine della musicoterapia è quella di arricchire e ampliare l'esistenza, offrendo libertà, stabilità,
organizzazione e concentrazione.
La percezione, la sensibilità, l'emozione e la memoria musicale possono sopravvivere anche quando
altre forme di memorie sono scomparse da molto tempo.
12.3.1. Esperienze di musicoterapia presso l'Hospice di Albinea
Riferirò di alcune esperienze di musicoterapia fatte dalla Dottoressa Baroni Mariagrazia,
musicoterapista presso l'Hospice di Albinea (RE).
La prima parla del signor A. di anni 50, paziente affetto da grave glioblastoma, che alterna rari
momenti di lucidità a confusione, ha perdita di memoria, ha un deficit di equilibrio.
Il signor A. stenta a riconoscere le persone e sembra che non ricordi nulla se non per piccoli
momenti.
Quando ascolta le sue canzoni preferite, segue il tempo e il ritmo suonando con un tamburello,
canta alcune frasi ed appare calmo e sorridente.
Sembra che ricordi episodi legati a quelle musiche e inizia a raccontare dei momenti sereni trascorsi
con la famiglia.
Nel signor A. si nota la modifica del tono dell'umore, il corpo si rilassa dalle tensioni, la mente si
distrae dai pensieri pesanti, il paziente dimentica il dolore, che coinvolge il fisico e la psiche ed
accede ad una diversa visione di se stesso.
Il signor A. che ascolta la musica ad occhi chiusi durante la seduta, a tratti canta e sorride,
riconoscendo nella potenza della musica ascoltata una grande forza che gli fà ricordare momenti
belli della sua vita vissuta.
Una cosa fondamentale della musicoterapia in queste sedute è la possibilità di scegliere canzoni o
ascoltare musiche selezionate direttamente dai pazienti che si trovano in stato di grave astenia o
dispnea e non sono in rado di utilizzare piccoli strumenti se non per un breve tempo nella seduta.
Un altra esperienza è quella della signora A. una giovane donna sposata da poco che partecipa alle
sedute di musicoterapia assieme al marito, poiché la rende felice e serena vederlo scherzare e
suonare con gli strumenti messi a disposizione.
La sala dove si svolge la seduta si riempie di gioia e risate, si respira un’ energia superiore alle sue
possibilità ma che la paziente gradisce e della quale si nutre.
Durante le sedute svolte singolarmente la signora A. preferisce ascoltare le sue musiche preferite
che sceglie sempre con attenzione.
Altre volte attende con desiderio le sedute di musicoterapia, per recarsi nella sala adibita alle sedute
ed iniziare a suonare la sua chitarra accompagnata dal pianoforte.
In altri casi, con altri pazienti, la scelta dei brani e delle canzoni rappresenta un mezzo per
riconoscere e comunicare i propri pensieri e sentimenti alle persone che amano e che li
accompagnano negli ultimi momenti di vita, esprimendo loro i propri bisogni spirituali.
Un’ultima esperienza è quella del signor C. la cui moglie qualche giorno prima del suo decesso
chiede al musicoterapeuta di poter far ascoltare a entrambi una loro canzone che ricordava loro
momenti felici della loro vita passata insieme.
L'uso del “songwriting – processo compositivo del testo e della musica, da parte del
musicoterapista e dell'utenza, processo necessario per creare una canzone”33 è molto usato nella
33 Caneva Paolo Alberto: ” Songwriting. La composizione di canzoni come strategia di intervento musicoterapico”,
Roma, Armando editore, 2007, pagina 12.
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musicoterapia anglosassone in particolar modo nelle Cure Palliative, sia per i malati che per i loro
familiari.
La motivazione principale del songwriting in musicoterapia nasce dal desiderio del paziente malato
terminale di poter lasciare qualcosa di suo agli altri, anche dopo la sua morte.
Nello stesso momento si usa il songwriting in musicoterapia, per poter dar forma a ciò che il malato
non riesce a dire, per farsi comprendere e chiarire i propri pensieri, facendo emergere tutto come se
fosse una melodia.
Improvvisare qualcosa con la musica attiva un processo che richiede un ascolto attento, per dare un
valore alle domande, a volte senza risposta, che nascono nella mente del paziente il quale chiede
aiuto al musicoterapeuta per improvvisare qualcosa di musicale in sinergia con quello che desidera
creare il paziente stesso e che gli possa dare sollievo.
L'utilizzo in musicoterapia della Free Improvisation Therapy - “Juliette Alvin ideò un approccio
completo alla musicoterapia che impiega la “libera improvvisazione” insieme a varie altre attività
come l'ascolto, l'esecuzione, la notazione, la composizione e il movimento. Definì l'improvvisazione
“libera” perché il terapista non impone nessuna regola, struttura o tema all'improvvisazione del
paziente ma, piuttosto, lascia che egli “vada a briglia sciolta” sullo strumento musicale. Non
essendo limitato da nessuna regola per la tonalità, il ritmo o la forma, il paziente ha la libertà di
scoprire i propri mezzi per ordinare o porre in sequenze i suoni.”34 dà la possibilità di utilizzare
l'improvvisazione libera in Hospice.
Bisogna però tenere in considerazione i fattori culturali e personali del paziente, infatti c'è da
considerare la maggior o minore predisposizione del paziente a mettersi in gioco, di lasciarsi
coinvolgere in una nuova esperienza senza provare il timore di non sapere suonare, oppure occorre
considerare la condizione fisica e il tempo a disposizione che a volte è molto breve.
Molte volte è capitato che un percorso iniziato con almeno due o tre sedute già svolte si sia
interrotto a causa del peggioramento delle condizioni cliniche o per l'imminente decesso del
paziente.
L'esperienza dell'improvvisazione libera, anche se per poche sedute, si è rivelato un momento di
contatto empatico intenso, che facilita il malato nella comunicazione profonda del proprio stato di
disorientamento e paura, rimorsi o di angoscia.
Nell'esperienza con il signor G., una persona chiusa e disinteressata a tutto, si è notato che si
emozionava a sentire che in Hospice c'era la musica; non gli sembrava pensabile che vi fosse la
possibilità di poter ancora suonare: infatti non aveva mai incontrato un posto durante i vari ricoveri
in altri enti ospedalieri in cui vi fosse la possibilità di suonare.
Si fece procurare quindi dal musicoterapeuta uno strumento a fiato che suonò con difficoltà e
respiro flebile, ma con la soddisfazione di aver avuto la possibilità di fare ciò che desiderava.
Quando i tempi si allungano, la relazione tra paziente e musicoterapeuta si approfondisce, e con la
tecnica dell’improvvisazione musicale si ha l'opportunità di acquisire e sviluppare nuove capacità di
comunicazione ed espressione musicali.
Uscire dall'isolamento dell'assenza di comunicazione, esplorare e integrare differenti livelli di sé,
prendere atto di emozioni contrastanti e far coesistere stati apparentemente opposti, narrare
simbolicamente il proprio mondo interiore e manifestare differenti stati emotivi.
Nella musica, la gioia e il dolore esistono simultaneamente consentendo così di provare un senso di
armonia.
La musica accetta in ogni momento i commenti di una voce da parte dell'altra e tollera gli
accompagnamenti sovversivi come l'antipode necessario delle voci principali. In musica il conflitto,
il rifiuto, l'impegno coesistono sempre.
34 Kenneth E. Bruscia: Modelli di improvvisazione in musicoterapia, traduzione di Antonietta De Vivo, Roma;
Ismez; 2001, p.89.
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PATRICIO PINTO MONICA – SST IN MUSICOTERAPIA - TERZO ANNO A.A. 2011 – 2012
Si fa riferimento in questo caso all'esperienza del signor M. persona curiosa, poliglotta e studiosa,
ricoverato presso l'Hospice con una grave afasia.
Il signor M. è un appassionato di musica e scopre nella musicoterapia la possibilità di un dialogo
improvvisando al pianoforte, aumentando la conoscenza e la familiarità con altri strumenti musicali
improvvisando la sua musica preferita.
Nel suonare la sua musica in tutti i suoi ritmi, melodie e forme, il signor M. esprime la solitudine, il
disorientamento che deriva dalla malattia, l'ansia per il futuro, la paura di perdersi nel dolore, la
volontà di andare avanti.
Nell'ultimo incontro con il signor M. vengono registrate su CD le musiche suonate al pianoforte che
lo hanno accompagnato nel suo percorso.
Il signor M. alcuni giorni dopo, ormai sedato, si spegnerà, avvolto dalla musica che lo ha
accompagnato per tutto il periodo in Hospice.
Si conclude questo percorso effettuato in questa struttura Hospice con la considerazione che la
musicoterapia facilita la presa di contatto con la propria situazione e i propri bisogni.
Quando la malattia progredisce la musica diventa per il malato un mezzo per uscire dall'isolamento,
dal dolore, distrarsi dai pensieri ossessivi e pesanti, scoprire e arricchirsi di nuove espressioni
musicali, esprimere simbolicamente il proprio mondo interiore.
Attraverso la musica si offre ai pazienti l'opportunità di essere creativi e di aprirsi a nuove
esperienze che possano dare un sollievo a chi soffre. In musica due voci possono dialogare tra di
loro in modo simultaneo, ognuno si esprime nella sua forma e nello stesso tempo ascoltare l'altra.
In queste esperienze musicoterapiche non si è potuto coinvolgere i familiari in tutte le sedute, infatti
si è consapevoli che queste malattie modificano e appesantiscono tali situazioni.
I familiari che hanno avuto modo di presenziare alle sedute di musicoterapia hanno condiviso
momenti di distrazione dal peso e dalla fatica di accompagnare il loro congiunto; la musica ha
facilitato la vicinanza e la manifestazione di affetto dando forma anche al pianto e al dolore del
distacco.
La musicoterapia offre un’ apertura della dimensione temporale, in cui i secondi non scandiscono il
tempo, ma l'intensità dell'incontro con l'altro, in cui ci si sente compresi nelle parti più dure di se
stessi, dalla rabbia al rifiuto, dalla chiusura alla incomunicabilità.
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Conclusione
Queste sono le mie conclusioni e riflessioni di un periodo vissuto non solo come Operatore Socio
Sanitario in Hospice ma anche come Musicoterapeuta che mi hanno fatto crescere
professionalmente, dandomi la possibilità di fare esperienze, condividendo emozioni, momenti tristi
e gioie, con persone che affrontano il loro ultimo viaggio.
L'uso della musica, sia con l'ascolto guidato, che con l'utilizzo di alcuni strumenti musicali,
accompagna queste persone utilizzando il grande potere che la musica ha al fine della liberazione e
dello sviluppo dell'individuo, condividendo sensazioni che la musica dona, cercando di stabilire una
relazione di empatia, usandola quindi come risorsa principale di conforto nella loro vita.
Durante la mia esperienza, ho potuto accertare alcuni cambiamenti di rilievo dovuti al lavoro svolto
con la musica. Usata come terapia, può essere impegnata nel gestire il sollievo del dolore per mezzo
del rilassamento e della distrazione, distogliendo appunto l'attenzione dal dolore per focalizzarla su
uno stato di benessere.
Posso confermare che l'uso della musicoterapia in Hospice è stata utile nell'aiutare a far superare ai
pazienti le loro ansie, le paure, la solitudine, la rabbia, la depressione e tutto ciò che li collegava alla
malattia: la musica è diventata un mezzo di espressione comunicativa efficace.
Vivendo queste esperienze i pazienti hanno imparato a ricercare l'armonia attraverso l'ascolto dei
brani esprimendo sentimenti ed emozioni, hanno dato forma alla musica ed hanno imparato a
tradurre con il corpo ciò che sentivano e ciò che un brano suscitava in loro.
Infatti la cura dei pazienti dell'Hospice non si basa esclusivamente sulla somministrazione di
farmaci, ma a questi si affianca un percorso fatto per prima cosa di amore, sostegno e ascolto.
Ritengo che la strada della terapia musicale in Hospice sia ancora lunga, quotidianamente noi
terapeuti affrontiamo molti decessi che ci possono disorientare, mettere in difficoltà,
particolarmente quando si riesce ad entrare in relazione con il paziente in modo stretto, avendo la
consapevolezza della loro morte imminente.
È mia convinzione che l'arte della musica sia una fonte eterna di comunicazione tra il malato e tutto
ciò che lo circonda.
Ho capito che fare musicoterapia non è solo suonare o ascoltare una bella musica, ma ricercare ed
esprimere con l'aiuto del terapeuta, la propria musica interna, bella o brutta che sia, allegra o triste;
far si che diventi una sinfonia che unisce frammenti di vita e paure spesso silenti, emozioni, che una
volta riconosciute, incontrate e accettate rendono possibile intraprendere il cammino che porta alla
ricerca del senso ed il significato della vita, della malattia e della morte, elementi di cui bisogna
tener conto in questo ultimo tratto di strada.
L'intervento in Hospice è una presa in carico globale del paziente, considerato come persona e non
come malato, attraverso una relazione profonda in cui poter condividere ricordi, vissuti, emozioni,
che facilitino una riappacificazione con se stessi e con i familiari.
Vedo nell'esperienza della musicoterapia la possibilità di fare un pezzo di strada insieme a loro, con
la musica, attraverso rapporti semplici e significativi, con attenzione e ascolto, tenendo conto della
fragilità sempre presente e che ogni storia è un caso singolare ed unico.
Se non è possibile parlare di cura, si può parlare di accompagnamento a piccoli passi, tenendo per
mano il paziente, aiutandolo a risistemare bene i cassetti della propria storia prima del saluto finale.
Credo, quindi, che questo sia solo l'inizio di un lungo percorso di grande interesse e di crescita
personale.
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Bibliografia:
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Sitografia:
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Http://amadeusonline.eu/musicaterapia.php?ID=1236267275 (5/01/2012)
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