c tri y a i ed olog y P g r n s i ente colo DI w R A ACI Ne stro rma U A C CA P Ga Pha NI O M Disordine linfoproliferativo post trapianto nei bambini: diagnosi precoce, gestione e terapie innovative SILVIA RIVA, FRANCESCO CIRILLO, MARCO SCIVERES Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato, ISMETT - University of Pittsburgh Medical Center di Palermo INTRODUZIONE I disordini linfoproliferativi post-trapianto (PTLD) costituiscono un gruppo clinicamente ed istologicamente eterogeneo di malattie che hanno a fattore comune l’insorgenza dopo un trapianto d’organo solido o ematologico (1). La cellula d’origine (T o B), l’attitudine proliferativa, il grado di atipia cellulare e il potenziale aggressivo della malattia variano in maniera considerevole secondo lo specifico sottotipo e si possono avere da forme di linfoproliferazione policlonale, a scarsissimo potenziale maligno ma suscettibili di progressione (Early Lesions), a forme linfomatose estremamente maligne paragonabili a quelle che insorgono nel paziente non trapiantato [Tabella 1]. In età pediatrica la maggioranza (80%) e la quasi totalità delle forme precoci (entro i sei mesi dal trapianto) sono a partenza da cellule B infettate ed immortalizzate da Epstein Barr virus (EBV). Le forme non EBV-correlate, in genere più tardive e più aggressive (2), sono rappresentate principalmente da PTLD T-cellulari. L’incidenza è variabile in base all’età del paziente ed all’organo trapiantato: inferiore al 5% dopo trapianto di rene, inferiore al 10% dopo trapianto di fegato, raggiunge il 10-32% dopo trapianto di polmone ed intestino, sia per l’utilizzo di schemi immunosoppressivi più impegnativi sia per la presenza di abbondante tessuto linfoide intrinseco nel graft (3). Le forme “Early” possono essere completamente asintomatiche o presentare una sintomatologia sfumata come ipertrofia adenotonsillare con ostruzione nasale, microadenomegalia diffusa, diarrea recidivante, astenia, calo ponderale, febbricola; nelle forme monoclonali, al contrario, prevale la focalità per cui ai sintomi generali si associano i segni dovuti alla presenza di una massa infiltrante in maniera non dissimile ai linfomi del paziente non trapiantato [Figura 1]. Epstein Barr virus (EBV) is frequently related to post-transplant lymphoproliferative disorder (PTLD). Early diagnosis and treatment of polyclonal variants could probably avoid progression toward malignant disease. Treatment strategies for PTLD D include reduction of immunosuppression, targeting of B-cells with monoclonal antibodies, or chemotherapy. Adoptiv A Adoptive doptive doptive immunotherapy with EBVspecific C CTLs to restore a cellular immune response to EBV is an innovative and safe treatment option. Tabella 1 Classificazione OMS 2008 dei PTLD Key Words Post-transplant lymphoproliferative disorder, EBV-specific cytotoxic T-cell response, early detection and diagnostics, risk factors, adoptive T-cell therapy CATEGORIA CLONALITÀ STATO EBV Lesioni precoci (iperplasia plasmacitica - mononucleosi-like) Policlonale Sempre EBV positivo PTLD Polimorfico Monoclonale Sempre EBV positivo PTLD Monomorfico Linfoma B cellulare Linfoma T cellulare Monoclonale Monoclonale Frequentemente EBV positivo Raramente EBV positivo PTLD Linfoma di Hodgkin like Monoclonale Sempre EBV positivo EBV, Epstein-Barr virus; PTLD, disordine linfoproliferativo post trapiant. Modificato da [1] Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):27-30 27 News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology EBV - MECCANISMO DI INFEZIONE E PATOGENESI DEL PTLD EBV è un virus oncogeno, che appartiene alla famiglia herpes virus e ne condivide la caratteristica costante di determinare un’infezione latente che fa seguito ad una fase acuta, replicativa. L’infezione primaria nell’individuo immunocompetente avviene nell’orofaringe mediante l’interazione tra la glicoproteina virale GP340 e il recettore di superficie cellulare dei linfociti B: comporta l'inizio di un ciclo replicativo virale e la morte della cellula infettata per lisi cui segue il rilascio di nuove particelle virali complete ed infettive. Al termine della fase replicativa EBV cambia strategia: il genoma virale inizia la sintesi di alcune proteine nucleari (EBNA-1, EBNA-2, EBNA-3A, EBNA-3B, EBNA-3C) e di membrana (LMP-1, LMP-2A e LMP-2B) che governano il ciclo di latenza e determinano un'attivazione permanente dei linfociti B (immortaFigura 1 Localizzazione sinusale con invasione lizzazione cellulare). Alcuni di questi blasti entrano in fasi di latenza intraorbitaria di PTLD B monomorfo (linfoma B a grandi non proliferativa come cellule memoria capaci di brevi riattivazioni cellule) a partenza dal tessuto adenoideo, insorto dopo 6 periodiche del ciclo litico. La maggior parte, tuttavia si replica indemesi dal trapianto di polmone in una bambina di 7 anni. La piccola aveva manifestato a 2 mesi dal trapianto la finitamente, sebbene a basso ritmo (4). Il controllo dell’infezione riprima infezione EBV con viremie elevatissime. Al momento chiede entrambi i meccanismi di risposta immunitaria, cellulare ed della diagnosi di PTLD la carica viremica era minima umorale: la produzione di anticorpi limita la diffusione del virus nella forma infettiva, mentre l'attivazione del meccanismo di sorveglianza T cellulare agisce sulla proliferazione delle cellule B-memoria EBV infette, dimostrandosi efficace nel controllare la diffusione delle cellule trasformate. Nel paziente immunosoppresso la funzione T-cellulare è deficitaria (i farmaci inibitori delle calcineurine limitano principalmente la funzione dei linfociti T) consentendo, quindi, ai linfociti B immortalizzati dal virus di andare incontro ad una proliferazione incontrollata ed allo sviluppo di malattia linfoproliferativa (5) MONITORAGGIO EBV E DIAGNOSI PRECOCE Il fattore di rischio più significativo per PTLD è l’età al trapianto, per cui i bambini sono ipso facto una popolazione a rischio. Tale rilievo è chiaramente un epifenomeno che rimanda a quanto detto circa il ruolo patogeno dell’EBV. Il reale fattore di rischio, molto comune nei bambini, è infatti lo status di sieronegatività per EBV al momento del trapianto. Tale condizione minimizza la possibilità di sviluppo di un'efficace risposta immune e, in ultima analisi, la citolisi dei blasti proliferanti EBV+. Anche il tipo di trapianto effettuato porta con sè un potenziale di rischio: quello di organi con una maggiore quantità di tessuto linfoide o che richiedono un’immunosoppressione più profonda (es. polmone, cuore o intestino) implica un rischio di PTLD notevolmente maggiore. Altri fattori di rischio minori, non universalmente riconosciuti, sono il matching tra un ricevente EBV- ed un organo EBV+ (la prima infezione nei riceventi di organi EBV- è solo ritardata, non evitata), la concomitante infezione da CMV ed il tipo di immunosoppressione (tacrolimus più di ciclosporina) (1,3). Il monitoraggio per PTLD del bambino trapiantato, in mancanza di un singolo parametro efficace ed affidabile, si basa su un insieme di parametri clinici e bioumorali. In primo luogo vi è necessità di seguire l’andamento dell’infezione da EBV, specie dopo l’avvenuta prima infezione o riattivazione del virus. Lo strumento più utile e quello su cui vi è maggiore esperienza è la viremia EBV. È piuttosto forte infatti l’evidenza che, al momento della fase replicativa, quindi in genere precocemente dopo il trapianto, alte viremie EBV rappresentino un importante fattore di rischio. Nel tempo la tecnica di rilevazione del DNA si è evoluta e si è passati dalla semplice PCR su plasma, che misura principalmente le copie di DNA “libero” provenienti dalla lisi cellulare, alla misurazione delle copie presenti all’interno delle cellule mononucleate (PBMC, peripheral blood mononuclear cells). Quest’ultima tecnica offrirebbe un quadro molto più preciso del numero di linfociti B EBV-carrier in fase di latenza (6). Tuttavia non sempre è documentata una correlazione fra PTLD e “viral load”. La recente introduzione del test di valutazione della risposta linfocitotossica EBV-specifica appare promettente. La rilevazione di una risposta cellulo-mediata ridotta o assente, espressa come numero di linfociti T del paziente producenti Interferon-gamma dopo attivazione con antigeni di EBV (ELISPOT), indica 28 Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):27-30 TIPO DI PTLD TERAPIA DI PRIMA SCELTA Riduzione dell'immunosoppressione (RI)b Lesioni precoci Sistemico Polimorfico Localizzato RI, se possibileb e: • Solo Rituximab o • Chemioimmunoterapiae RI, se possibileb e: • RT ± Rituximab o • Chirurgia ± Rituximab o • Solo Rituximab RI, se possibileb e/o: Monomorficoa • Solo Rituximabd o • Chemioimmunoterapiac RISPOSTA INIZIALE TERAPIA DI SECONDA SCELTA Risposta completa Gestione immunosoppressionee e monitoraggio EBV PCR Persistenza o progressione della malattia Rituximab and monitor EBV PCR Risposta completa Persistenza o progressione della malattia Risposta completa Persistenza o progressione della malattia Si consideri la profilassi per la sindrome lisi tumorale (vedi NHODG-B) Vedi anticorpo monoclonale e riattivazione virale (NHODG-B) aIl trattamento si basa unicamente sull’istologia altamente sintomatici o che non tollerano la chemioterapia a causa di comorbidità e strettamente monitorati; la RI deve essere coordinata con Il reincremento dell’immunosoppressione deve essere individualizzato, tenendo in considerazione il livello di RI l'equipe di trapianto iniziale ed il tipo di trapianto d'organo. Tali decisioni cChemioimmunoterapia concomitante o sequenziale devono essere prese in collaborazione con il team di dCome parte di un approccio graduale in pazienti che non sono trapianto. bLa risposta alla RI è variabile ed i pazienti devono essere Monitoraggio EBV PCR e: • Osservazione o • Continuare RI, se possibile ± mantenimento Rituximab Chemioimmunoterapiac o Sperimentazione clinica o Immunoterapia cellulare con linfociti T citotossici EBV specifici (se EBV correlate) Vedere le linee guida istologiche appropriate per il follow-up Se RI era la terapia di prima scelta, poi Rituximab o Chemioimmunoterapiac o Se Rituximab era la monoterapia di prima scelta, poi Chemioimmunoterapiac o Sperimentazione clinica o Immunoterapia cellulare con linfociti T citotossici EBV specifici (se EBV correlate) Note: Tutte le raccomandazioni sono categoria 2A, se non diversamente indicato. Sperimentazioni cliniche: NCCN crede che la migliore gestione di qualsiasi malato di cancro sia la sperimentazione clinica. La partecipazione a sperimentazioni cliniche è particolarmente incoraggiata. Figura 2 Trattamento del PTLD. Linee guida 2013 del National Comprehensive Cancer Network infatti un deficit del paziente a sviluppare una risposta citotossica nei confronti di cellule EBV-positive. I limiti di tale tecnica sono la scarsa standardizzazione (diversi tipi di melange antigenici) e l’assenza di una reale validazione “sul campo” come predittiva di sviluppo di PTLD (7). Accanto alla sorveglianza virologica, l’attento follow-up clinico riveste un ruolo cruciale. È necessario valorizzare prontamente quei segni e sintomi, spesso sfumati o aspecifici, non riconducibili ad una causa nota ed alternativa. L’ipertofia adenotonsillare, comune nel bambino, nel paziente trapiantato assume un'importanza completamente diversa. È infatti noto che l’anello linfatico orofaringeo rappresenta il principale serbatoio di replicazione del virus EBV ed è precocemente sede di fenomeni di iperplasia linfoide (8) istologicamente non dissimili da quello che si osserva nella mononucleosi infettiva, salvo il fatto che non tendono alla autolimitazione spontanea. Il tessuto adenotonsillare, infatti, è la sede più frequente di PTLD focali monoclonali nel bambino (3), verosimile evoluzione di quadri inizialmente policlonali e benigni. L’obiettivo di una diagnosi precoce non può che essere perseguito tramite un campionamento istologico dei tessuti accessibili in maniera mini-invasiva (adenoidi, tonsille, tessuto linfoide associato alla mucosa intestinale) o la biopsia di una lesione focale sospetta. L’individuazione di un paziente con sintomi compatibili, in assenza di chiare lesioni focali, offre la preziosa opportunità di evidenziare un processo linfoproliferativo in stadio precoce e scarsamente aggressivo. Presso il nostro Istituto è operativo un programma di screening istologico precoce che, in pazienti selezionati sulla base di elementi clinici, ha permesso di dimostrare un'incidenza superiore all'80% di forme “Early” (9) e di avviare precocemente un'adeguata presa in carico terapeutica. Tale modus operandi riteniamo sia il principale determinante della completa assenza di diagnosi di PTLD monomorfi nella nostra coorte di pazienti trapiantati che ormai approssima i 5 anni di follow-up mediano. Giorn Gastr Epatol Nutr Ped 2013; Volume V(1):27-30 29 News in Pediatric Gastroenterology Pharmacology Key Points • I disordini linfoproliferativi post trapianto rappresentano un gruppo clinicamente ed istologicamente eterogeneo di malattie, con ampio spettro clinico: da lesioni benigne a forme linfomatose. • l principale fattore di rischio è rappresentato dall'infezione primaria da EBV che avviene dopo il trapianto, in quanto nel paziente immunosoppresso la funzione T-cellulare è deficitaria consentendo ai linfociti B immortalizzati dal virus di andare incontro ad una proliferazione incontrollata ed allo sviluppo di malattia linfoproliferativa. • Il monitoraggio dell'infezione si avvale della determinazione della viremia EBV mediante PCR e del test di valutazione della risposta linfocitotossica EBVspecifica. • La diagnosi precoce richiede un’attenta sorveglianza clinica ed il campionamento istologico dei tessuti accessibili in maniera mini-invasiva (adenoidi, tonsille, tessuto linfoide associato alla mucosa intestinale) o la biopsia di una lesione focale sospetta. • L'approccio terapeutico dipende soprattutto dal sottotipo di disordine: tuttavia la terapia più innovativa, clinicamente validata, è rappresentata dall’uso di linee cellulari T-linfocitarie autologhe addestrate in vitro ad aggredire i linfoblasti portatori di EBV e ripristinare l’immunosorveglianza virus specifica. 30 TERAPIE INNOVATIVE Il trattamento delle diverse forme di PTLD è schematizzato in Figura 2. Le forme linfomatose si avvalgono della combinazione di Rituximab (anticorpo monoclonale antiCD 20), capace di eliminare la maggioranza dei linfociti B, con cicli brevi di chemioterapia che limita le popolazioni cellulari rapidamente proliferanti. Con questa combinazione la frequenza di remissione completa supera l’80%. Il novero di presidi terapeutici tradizionalmente adoperati nel caso di forme “Early” policlonali è al contrario molto limitato. La relativa benignità del quadro non giustifica infatti l’uso del Rituximab (che non presenta un profilo di sicurezza ideale) e l’unico approccio storicamente adoperato è stato la riduzione o la sospensione della immunosoppressione. Sebbene il tasso di regressione sia molto elevato, tale approccio comporta un rischio elevato e non accettabile di rigetto acuto o cronico e di perdita del graft. Un possibile approccio alternativo può essere l’uso di farmaci immunosoppressori differenti dal tacrolimus senza ridurre significativamente l’impegno immunosoppressivo globale. Esistono in letteratura diversi dati che indicano negli inibitori delle m-TOR delle valide alternative al tacrolimus e la nostra esperienza preliminare con la rapamicina è stata più che positiva. L’approccio più innovativo, tuttavia, è l’uso di linee cellulari Tlinfocitarie autologhe addestrate in vitro ad aggredire i linfoblasti portatori di EBV che presentano un profilo di immunogenicità particolarmente favorevole. L’esperienza con queste cellule, dette CTL (Cytotoxic T Lymphocytes) EBV specifiche è ormai consolidata ed i risultati sono eccellenti (10). Il principale ostacolo al loro utilizzo è la disponibilità di una Cell-Factory capace di prepararle per ogni singolo paziente. CORRESPONDING AUTHOR SILVIA RIVA Epatologia Pediatrica e Trapianto di Fegato ISMETT - University of Pittsburgh Medical Center di Palermo Via Tricomi, 1 - 90127 Palermo Tel. + 39 091 2192111 Fax + 39 091 2192201 E-mail: [email protected] BIBLIOGRAFIA 1. Kamdar KY, Rooney CM, Heslop HE. Posttransplant lymphoproliferative disease following liver transplantation. Curr Opin Organ Transplant 2011 Jun;16(3):274-80. 2. Pinho-Apezzato ML, Tannuri U, Tannuri AC et al. Multiple clinical presentations of lymphoproliferative disorders in pediatric liver transplant recipients: a single-center experience. Transplant Proc 2010 Jun;42(5):1763-8. 3. Allen UD, Farkas G, Hébert D et al. Risk factors for post-transplant lymphoproliferative disorder in pediatric patients: a case-control study. Pediatr Transplant 2005 Aug;9:450-5. 4. Snow AL, Martinez OM. Epstein-Barr virus: evasive maneuvers in the development of PTLD. Am J Transplant 2007 Feb;7(2):271-7. 5. Martinez OM, de Gruijl FR. 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