Sintesi degli argomenti CORSO DI FORMAZIONE DECENTRATA 10

Prof. Avv. Giovanni Arieta
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SCUOLA SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA
FORMAZIONE DECENTRATA DISTRETTO CORTE D’APPELLO DI ROMA
INCONTRO DI FORMAZIONE DEL 10 APRILE 2013
“L’OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO”
GLI ARGOMENTI E LE QUESTIONI
OGGETTO DI DIBATTITO
SOMMARIO:
1. Natura dell’opposizione a decreto ingiuntivo.
2. Forma dell’atto di opposizione e principio di conversione. Evoluzione del diritto vivente?
3. Legge n. 218 del 2011 e giudizi pendenti
4. Opposizione a decreto ingiuntivo in materia di quote condominiali
5. Le domande riconvenzionali.
6. La chiamata di terzi da parte dell’opponente.
7. Il deposito della copia notificata del decreto ingiuntivo.
8. La sospensione della provvisoria esecutività ex art. 649 c.p.c.
9. Estinzione del giudizio di opposizione.
10. Il rigetto dell’opposizione.
11. Accoglimento parziale o integrale dell’opposizione.
12. Opposizione tardiva. Fase di ammissibilità e onere probatorio sulla eventuale conoscenza anteriore.
1. NATURA DELL’OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO.
Si è discusso in passato e, in parte, si discute ancora oggi sulla natura giuridica dell’opposizione a
decreto ingiuntivo. Se possono ritenersi sussistenti alcuni caratteri tipici dell’impugnazione, con il
riconoscimento all’ingiunto del potere di dare impulso ad un giudizio diretto a rimuovere gli effetti di un
provvedimento, è da escludere che all’opposizione a decreto ingiuntivo possa attribuirsi natura impugnatoria,
per la ragione che essa, oltre alla funzione di instaurare il contraddittorio tra le parti (costituzionalmente
necessario, seppure differito), dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione di primo grado, il cui oggetto
non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità del decreto, ma si estende all’accertamento sulla
fondatezza od infondatezza della pretesa fatta valere con la domanda monitoria, – nonché ad eventuali
domande riconvenzionali proposte dalla parte opponente, oltre che, se del caso, dalla parte opposta, anche
tenendo conto delle eventuali cause estintive del credito con essa azionato.
L’accertamento sulla legittimità dell’emissione del decreto ingiuntivo può avere rilievoai fini del
regolamento delle spese, e, soprattutto, quando il giudice dell’opposizione è chiamato a pronunciarsi
sull’esecuzione provvisoria dello stesso. Fase, quest’ultima, che riveste una funzione essenziale nella
attuazione dello “scopo” della tutela monitoria, che, come ogni forma di tutela sommaria non cautelare, mira
alla formazione – quando possibile – di un titolo esecutivo, anche provvisorio, che sia in grado di soddisfare
la pretesa del (presunto) creditore.
La peculiarità, e, nello stesso tempo, la maggiore complessità, del giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo sta proprio nella “combinazione” della esigenza, da un lato, di consentire la formazione, quando
possibile, del titolo esecutivo provvisorio (ma anche di controllare la legittimità del titolo esecutivo
eventualmente già formatosi con l’attribuzione, da parte del giudice del monitorio, della qualità di titolo
esecutivo nei casi eccezionali previsti dall’art. 642 c.p.c.), e, dall’altro, di consentire, allo stesso giudice
dell’opposizione, l’esercizio dei poteri di cognizione piena sul diritto o rapporto litigioso, che non può, come
si vedrà in seguito, essere limitato a quello oggetto dell’ingiunzione.
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Anche nella giurisprudenza di legittimità, può dirsi ormai consolidato il principio secondo il quale
l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, in cui il giudice non deve
limitarsi a stabilire se l’ingiunzione è stata emessa legittimamente in relazione alle condizioni previste dalla
legge per l’emanazione del provvedimento sommario, ma è tenuto ad accertare il fondamento della pretesa
fatta valere col ricorso per ingiunzione.
Peraltro, quando si tratta di ribadire la natura funzionale e inderogabile della competenza del giudice
dell’opposizione, la giurisprudenza di legittimità parla, ancora oggi, di “assimilabilità del giudizio di
opposizione a quello di impugnazione” 1.
Affermare che l’opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione
significa, tra l’altro, che, se il credito viene accertato come esistente, il giudice dell’opposizione deve
accogliere, nel merito, la domanda, alla stregua di ogni processo di tutela normale, indipendentemente dalla
circostanza della regolarità, sufficienza e validità degli elementi probatori e, più in generale, delle condizioni
alla stregua dei quali l’ingiunzione fu emessa.
Nel senso che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudicante ha l’obbligo di pronunciarsi sul merito
della domanda sulla base delle prove offerte dal creditore nel corso del giudizio di opposizione, non potendo decidere la
controversia alla luce del solo materiale probatorio prodotto al momento della richiesta di ingiunzione si veda Cass. 18
maggio 2009, n. 11419.
Cass. 8 marzo 2012, n. 3649
L'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice deve accertare
la fondatezza delle pretese fatte valere dall'ingiungente opposto e delle eccezioni e difese dell'opponente e non già
stabilire se l'ingiunzione sia stata o no legittimamente emessa, salvo che ai fini esecutivi o per le spese della fase
monitoria; pertanto, la eventuale insussistenza delle condizioni per l'emissione del decreto ingiuntivo (tranne che
per ragioni di competenza) non può essere d'ostacolo al giudizio di merito che s'instaura con l'opposizione. Ne
consegue che l'accertata nullità delle clausole concernenti la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal
correntista non travolge l'intero credito azionato dalla banca in via monitoria, bensì la sola parte di esso riguardante gli
interessi così calcolati, imponendo al giudice di provvedere ad un nuovo calcolo degli interessi dovuti.
Cass. 7 ottobre 2011, n. 20613
L'opposizione al decreto ingiuntivo instaura un ordinario giudizio di cognizione, nel quale il giudice non deve limitarsi
ad esaminare se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa, ma deve procedere ad una autonoma valutazione di tutti
gli elementi offerti sia dal creditore per dimostrare la fondatezza della propria pretesa dedotta con il ricorso sia
dall'opponente per contestarla e, a tal fine, non è necessario che la parte che chieda l'ingiunzione formuli una specifica
ed espressa domanda diretta ad ottenere una pronuncia sul merito della propria pretesa creditoria, essendo, invece,
sufficiente che resista alla proposta opposizione e chieda conferma del decreto opposto. Ne consegue che il giudice che
dichiari nullo il decreto per nullità della procura ed emetta una sentenza di condanna non incorre in alcuno dei vizi di
cui all'art. 112 cod. proc. civ., non configurando l'opposizione un'impugnazione del decreto.
Cass. 16 gennaio 2013, n. 951
La notificazione del decreto ingiuntivo oltre il termine di quaranta giorni dalla pronuncia comporta, ai sensi dell'art. 644
cod. proc. civ., l'inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l'intimazione di pagamento con esso espressa e osta
al verificarsi delle conseguenze che l'ordinamento vi correla, ma non tocca, in difetto di previsione in tal senso, la
qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale; ne deriva che, ove su detta domanda si costituisca
il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta (in senso sostanziale), la quale eccepisca
quell'inefficacia, il giudice adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non
soltanto di vagliare la consistenza dell'eccezione (con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria), ma
anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente (Cass. n. 21050 del 28/09/2006 - Rv.
593112; Cass. n. 8955 del 18/04/2006 - Rv. 590701).
In questo senso, sono irrilevanti, ai fini di questo accertamento, eventuali vizi che possono inficiare la
procedura monitoria, sempre che non comportino l’impossibilità di pronunciare la decisione di merito (si
1
V., ad esempio, Cass. 2 febbraio 2004, n. 1812 e Cass. 23 maggio 2003, n. 8165. Addirittura, secondo Cass. 12 febbraio
2002, n. 2011, il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe “disciplinato come un giudizio di impugnazione
davanti allo stesso giudice che ha emesso il provvedimento monitorio”.
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pensi, ad esempio, all’incompetenza del giudice della fase monitoria), nel senso che l’eventuale mancanza
delle condizioni di emanazione del provvedimento sommario assume rilevanza solo ai fini della formazione
“anticipata” del titolo esecutivo provvisorio (che costituisce lo scopo della tutela sommaria), oltre che sul
regolamento delle spese 2.
Per queste ragionil’opposizione a decreto ingiuntivo non può essere proposta sulla base di censure
limitate ai presupposti per l’emissione del provvedimento sommario, ma con difese che attengono al merito
del rapporto litigioso 3.
Peraltro, pur se oggi anche la giurisprudenza si mostra convinta che l’opposizione non si configura come
impugnazione del decreto, ma come giudizio di ordinaria cognizione, sottoposto, di norma, alle regole
ordinarie, che ha per oggetto l’accertamento del diritto o del rapporto litigioso, restano ancora irrisolte, o
comunque controverse, non poche questioni legate all’applicazione coerente di questo principio.
Si pensi, ad esempio, al problema delle parti che possono partecipare al giudizio di opposizione e alla,
collegata, questione delle domande, anche riconvenzionali, che possono essere in questa sede formulate (v.
infra).
Cass. 18 agosto 2004, n. 16069, ritiene che, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, le parti possono essere
soltanto colui il quale ha proposto la domanda di ingiunzione e colui contro il quale la domanda è diretta.
Anche nei rapporti tra decreto ingiuntivo e sentenza non mancano contrasti e incertezze.
Si pensi alla necessità della revoca del decreto, con la sentenza che definisce il giudizio di opposizione,
nel caso non soltanto di accertamento di un minor credito al momento della emissione del decreto ingiuntivo,
ma anche di sopravvenuti pagamenti nel corso del giudizio.
Ad esempio, secondo Cass. sez. un. 7 luglio 1993, n. 74478 4 e Cass. 25 maggio 1999, n. 5074, anche se il pagamento
della somma ingiunta è stato effettuato dopo l’emissione dell’ingiunzione, il decreto ingiuntivo deve essere revocato e
la sentenza di condanna al pagamento di eventuali residui importi si sostituisce all’originario decreto.
Ma, in senso contrario, si è espressa Cass. 12 dicembre 1998, n. 12521, secondo cui il decreto ingiuntivo va revocato
solo quando risulti la fondatezza anche solo parziale dell’opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto
(ferma restando l’opponibilità del pagamento, anche parziale, se il creditore si avvalga del decreto non revocato come
titolo esecutivo).
Da valutare
Cass. 18 aprile 2012, n. 6059
L'opposizione a decreto ingiuntivo è inammissibile qualora sia proposta dopo la pronuncia, ma
prima della notifica del decreto, quand'anche tale notifica venga poi tempestivamente
compiuta. (Nella specie: l'ingiunzione era immediatamente esecutiva ex art. 642 c.p.c. ed il
debitore ne aveva avuto notizia attraverso il provvedimento tavolare dal quale emergeva la
prenotazione di un'ipoteca giudiziale traente appunto titolo dal decreto ingiuntivo5.
2
Restano salve le ipotesi del difetto di competenza funzionale dell’organo che ha emesso l’ingiunzione o del difetto dei
presupposti processuali, di pregiudiziali ed ostative ragioni preclusive della pronuncia del decreto stesso del quale il giudice
dell’opposizione è tenuto a dichiarare la nullità. In questo senso Cass. 22 marzo 2001, n. 4121.
3
Cass. 10 aprile 1996, n. 3319, in Giust. civ. 1996, I, 1928, esclude una “censura limitata alle condizioni per l’emanazione
del decreto stesso, senza che, quanto meno, sia collegata ad una censura sulle spese processuali, la cui pronuncia dovrebbe,
comunque, riferirsi all’esito finale dell’opposizione”.
4
In Giust. civ. 1993, I, 2041.
5
In motivazione si legge: La Corte di appello ha fatto corretta applicazione delle norme in materia di procedimento per
decreto ingiuntivo e di giudizio di opposizione, nè l'interpretazione proposta dal ricorrente è confortata dalle statuizioni
dell'ordinanza delle Sezioni Unite n. 20596/2007, che ha ad oggetto la nozione di pendenza della lite ai fini della prevenzione
fra un giudizio che inizia con ricorso per decreto ingiuntivo ed un giudizio di cognizione ordinaria che inizia con citazione.
4. Già con la sentenza n. 5597 del 1992 le Sezioni Unite di questa Corte, con espresso riferimento ai giudizi ex art. 409 c.p.c.,
ma con argomentazioni di portata generale, che rendono il principio estensibile a tutti i processi che iniziano con ricorso,
hanno affermato che in tali procedimenti, non essendo applicabile, neppure in via analogica, l'art. 39 c.p.c., comma 3,
strettamente dipendente dalla struttura dei processi che iniziano con atto di citazione, è rilevante la data di deposito dell'atto
introduttivo. Infatti "la prevenzione è un effetto della costituzione del processo e non della realizzazione del contraddicono",
che la legge (art. 101 c.p.c.) richiede per statuire sulla domanda.
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2. FORMA DELL’ATTO DI OPPOSIZIONE E PRINCIPIO DI CONVERSIONE. EVOLUZIONE DEL DIRITTO
VIVENTE?
In caso di errore nella forma dell’atto di opposizione, la giurisprudenza ritiene possibile la “conversione”
della citazione in ricorso e viceversa a condizione che l’adempimento previsto per l’atto in concreto da
proporre sia stato effettuato entro il termine di proposizione dell’opposizione. Così, se erroneamente
proposta con ricorso, l’opposizione è ammissibile se la notificazione (del ricorso e del decreto di fissazione
dell’udienza) avviene entro il termine prescritto. Mentre, se proposta con citazione anziché con ricorso,
l’opposizione è ammissibile se la citazione è depositata (al momento dell’iscrizione a ruolo della causa) entro
il termine.
La Corte prosegue affermando che per la costituzione del processo è sufficiente che si realizzi il contatto fra due dei tre soggetti
del rapporto processuale, a nulla rilevando che tale contatto abbia luogo fra le due parti, come nei processi che iniziano con
citazione, o tra una parte e il giudice, come nei processi su ricorso.
5. Con l'ordinanza n. 20596/2007 le Sezioni Unite hanno affermato che nell'interpretazione dell'art. 643 c.p.c., comma 3, non
possono trascurarsi alcuni aspetti, anche di natura testuale, che emergono dalla disciplina del procedimento d'ingiunzione.
L'art. 638 c.p.c., dispone che "la domanda d'ingiunzione si propone con ricorso" e, conseguentemente, l'art. 640 c.p.c., per il
caso di rigetto del ricorso, e l'art. 644 c.p.c., nell'ipotesi di inefficacia per mancata notifica del decreto, prevedono che la
domanda possa essere "riproposta".
Inoltre dalla proposizione della domanda d'ingiunzione nascono alcuni effetti processuali:
da tale momento sono irrilevanti i mutamenti dei criteri di determinazione della competenza (art. 5 c.p.c.); - il giudice ha il
dovere di provvedere su tutta la domanda proposta con il ricorso e non oltre i limiti di essa (art. 112 c.p.c.); - i luoghi indicati
nel ricorso, ai sensi dell'art. 638 c.p.c., sono quelli in cui deve essere notificata l'opposizione e, pertanto, così come previsto
dall'art. 170 c.p.c. per i procedimenti contenziosi, se il ricorso è proposto con il ministero di un difensore l'opposizione stessa
deve essere notificata presso di lui; - ricevuto il ricorso il cancelliere ha il dovere di formare il fascicolo d'ufficio e iscrivere
"l'affare" nel registro generale (art. 36 disp. att. c.p.c.); - dal momento del deposito, fino a quello della scadenza del termine
stabilito ai sensi dell'art. 641 c.p.c., il ricorrente non può ritirare i documenti allegati al ricorso (art. 638 c.p.c., comma 3).
Più in generale la Corte ha rilevato che il conseguimento dell'esecutorietà del decreto conseguente all'estinzione del giudizio di
opposizione (artt. 647 e 653 c.p.c.) o alla conciliazione (art. 652 c.p.c.) sono effetti definitivi idonei a conferire una propria
autonomia al subprocedimento sommario, che ha inizio con la proposizione della domanda d'ingiunzione. Nel ricercare
un'interpretazione coerente con i principi generali, fra cui il principale è quello della ragionevole durata del processo, e che
tenga conto dei riferimenti testuali e degli effetti processuali della proposizione del ricorso la Corte ha ritenuto che l'art. 643
c.p.c., comma 3, deve essere interpretato nel senso che la notificazione del ricorso e del decreto è condizione per il
determinarsi della litispendenza, ma non coincide anche il momento in cui si verifica. Tale momento, secondo i principi
generali che reggono i procedimenti su domanda di parte, è quello in cui è proposta la domanda d'ingiunzione e, pertanto, la
litispendenza si verifica solo se il ricorso e il decreto sono notificati, ma retroagisce al momento del deposito del ricorso.
D'altra parte, poichè la fondamentale funzione della notifica del ricorso e del decreto è di provocare il contraddittorio mentre,
come è stato rilevato (v. Cass. n. 5597 del 1992), "la prevenzione è un effetto della costituzione del processo e non della
realizzazione del contraddittorio", non contrasta con la predetta funzione riconoscere che il principale effetto processuale della
pendenza retroagisca al momento della proposizione della domanda. Nè il fatto che, a differenza dagli altri procedimenti su
ricorso, nel procedimento d'ingiunzione il giudizio a cognizione piena è meramente eventuale, può escludere l'applicazione del
principio generale enunciato nell'indicata decisione delle Sezioni Unite, perchè, comunque, il diritto di difesa dell'ingiunto è
garantito dalla necessità che, per il verificarsi della litispendenza, con decorrenza dalla data del deposito del ricorso, il ricorso
stesso e il decreto debbono essere notificati.
6. Alla luce dell'interpretazione sistematica del procedimento per ingiunzione contenuta nell'ordinanza richiamata, non è
possibile inferire la conseguenza ritenuta dal ricorrente, vale a dire l'indipendenza del giudizio di opposizione dalla notifica
del decreto ingiuntivo. La Suprema Corte distingue i due momenti che caratterizzano il procedimento che nasce con il ricorso
per ingiunzione, vale a dire "la costituzione del processo e la realizzazione del contraddittorio, che la legge (art, 101 c.p.c.)
richiede per statuire sulla domanda" realizzandosi il primo con la proposizione della domanda d'ingiunzione, ma
condizionando la litispendenza alla notifica del ricorso e del decreto.
7. Viene ribadita la necessità della notifica del ricorso e del decreto per l'instaurazione del contraddittorio, con la conseguente
possibilità per il creditore di tutelare la sua posizione con l'inizio del giudizio di opposizione.
Nessuno dei principi sopra enunciati porta all'affermazione della possibilità di un giudizio di opposizione indipendente dalla
notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, nè tantomeno al riconoscimento di una forma di sanatoria del giudizio iniziato, a
seguito della successiva notifica del decreto.
8. Infondato è il richiamo operato dal ricorrente al principio della ragionevole durata del processo, in quanto il ritenere
ammissibile l'opposizione prima della notifica del decreto ingiuntivo comporterebbe l'instaurazione di una pluralità di giudizi
evitabili nell'ipotesi in cui il creditore rinunci alla notifica del decreto ingiuntivo.
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Se l’opposizione è proposta con citazione, anziché col ricorso, il relativo atto, secondo Cass. sez. un. 14 marzo 1991, n.
2714, è idoneo alla tempestiva instaurazione del giudizio solo se depositato nel rispetto dell’indicato termine, non
essendo sufficiente la mera notificazione nel termine stesso.
Nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta con atto di citazione
invece che con il ricorso di cui all’art. 414 c.p.c., dà luogo, secondo Cass. 15 ottobre 1992, n. 11318 6, ad un caso di
inammissibilità rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo, se l’atto non viene depositato in cancelleria entro
il termine di cui all’art. 641 c.p.c., ancorché sia già stato notificato entro detto termine.
Anche secondo Cass. 26 aprile 1993, n. 4867 7, qualora l’opposizione contro il decreto ingiuntivo pronunziato dal
giudice del lavoro sia stata proposta non con ricorso depositato in cancelleria entro venti giorni dalla notificazione del
decreto stesso, ma con citazione, questa non può tenere luogo del ricorso ove non sia stata, nel medesimo termine, a sua
volta assoggettata alla detta formalità del deposito e non sia stata poi notificata alla controparte unitamente al decreto di
fissazione dell’udienza di discussione, non potendo produrre alcun effetto la notificazione compiuta prima del deposito,
neanche in presenza di spontanea costituzione dell’intimato, né conseguendo alcuna sanatoria all’eventuale
provvedimento di trasformazione del rito, pronunziato dal giudice ai sensi dell’art. 426 c.p.c., trattandosi di atto idoneo
bensì ad incidere sull’ulteriore corso del giudizio, ma non anche a determinare a posteriori un mutamento delle forme
dell’atto introduttivo.
La giurisprudenza ritiene che l’inammissibilità o l’improponibilità dell’opposizione avverso il decreto
ingiuntivo non osta a che l’opposizione medesima produca gli effetti di un ordinario atto di citazione, nel
concorso dei requisiti previsti dagli artt. 163 e 163-bisc.p.c., con riguardo alle domande che essa contenga,
autonome e distinte rispetto alla richiesta di annullamento e revoca del decreto 8.
Da valutare
Cass. Ord. 30 marzo 2012, n. 5149 ha rimesso gli atti al primo presidente della Corte di cassazione
perché valuti l'opportunità di assegnare alle sezioni unite il ricorso concernente le questioni di
particolare importanza riguardanti l'individuazione della forma (citazione o ricorso) della
opposizione al decreto ingiuntivo in materia di onorari di avvocato emesso nel 2008 e la
valutabilità (ai fini della verifica della tempestività della opposizione, proposta, nel caso di ritenuta
necessità della citazione, mediante ricorso) della data della notificazione dello stesso ovvero di
quella del suo deposito.
In motivazione si legge: questa Corte, nella recente sentenza delle Sezioni Unite 22 febbraio 2010, n. 9530, ha
affermato il principio secondo il quale: "nel caso sia stato emesso decreto ingiuntivo per i compensi professionali di
avvocato, ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, al giudizio di opposizione si applica l'art. 30 della stessa legge,
ma per quanto non prevista da tale disposizione speciale il processo deve intendersi regolato dalle norme del codice di
rito sull'ordinario giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo", nulla di specifico affermandosi in ordine al tipo di atto
introduttivo del giudizio di opposizione. Specificamente al riguardo, invece, si è espressa la sentenza di questa seconda
sezione 16 febbraio 1999, n. 1283, la quale ha ritenuto che "In tema di liquidazione degli onorari di avvocato nei
confronti del proprio cliente, il professionista può scegliere tra il rito speciale;
previsto dalla L. n. 794 del 1942, artt. 28, 29 e 30 e quello monitorio per ingiunzione. Qualora egli opti per il secondo, e
la sua domanda venga accolta, il debitore che intenda proporre opposizione deve farlo mediante atto di citazione, e non
mediante ricorso.
Tuttavia, per il principio della conversione degli atti processuali nulli, di cui all'art. 156 cod. proc. civ., la eventuale
adozione della forma del ricorso in luogo di quella della citazione non determina la nullità della opposizione quando,
con la regolare instaurazione del contraddittorio, sia stato raggiunto lo scopo dell'atto".
Principio, quest'ultimo, raccordantesi in materia di impugnazioni, con quello secondo il quale qualora l'appello a
sentenza pronunciata in esito ad un giudizio celebrato con rito ordinario venga proposto con la forma prescritta per
l'appello alle sentenze pronunciate in esito a giudizio camerale, il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è idoneo
alla costituzione di un valido rapporto processuale, il quale richiede che l'atto recettizio di impugnazione venga portato
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In Foro it. 1993, I, 1534.
In Giur. it. 1995, I, 1, 759. con nota di RANA.
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V. Cass. 15 marzo 2001, n. 3769. Nello stesso senso Cass. sez. un. 19 aprile 1982, n. 2387, in Giust. civ. 1982, I, 2363.
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a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito, dall'art. 325 o dall'art. 327 c.p.c., nella forma legale della
notificazione e nel luogo indicato dall'art. 330 c.p.c., sicchè l'eventuale sanatoria di tale atto nullo è ammissibile soltanto
a condizione che non si sia verificata medio tempore alcuna decadenza - quale, appunto, quella conseguente
all'inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell'atto - che abbia determinato il
passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, l'inammissibilità dell'appello (da ultimo Cass. 25 febbraio 2009, n.
4498; 11 settembre 2008, n. 23412).
Giurisprudenza alla quale è inversamente correlata quella, largamente consolidata, secondo la quale, nei casi in cui
l'appello va proposto con ricorso, la perfezione dell'appello si perfeziona con il deposito del ricorso in cancelleria, che
deve avvenire nel termine di legge, cosicchè è inammissibile ove sia proposto con citazione notificata ma non
depositata entro il termine (ex multisCass. 13 ottobre 2011, n. 21161; 22 aprile 2010, n. 9530; 10 agosto 2007, n. 17645;
22 luglio 2004, n. 13660; 20 luglio 2004, n. 13422; 26 ottobre 2000, n. 14100).
1.2.- Di recente, per altro, le Sezioni Unite di questa Corte, sullo specifico tema delle impugnazioni delle delibere
dell'assemblea condominiale, ponendosi l'interrogativo se la domanda di annullamento di delibera condominiale
proposta impropriamente con ricorso, anzichè con citazione, possa essere ritenuta valida e se, sia sufficiente che entro il
termine di trenta giorni stabilito dall'art. 1137 cod. civ. l'atto sia stato presentato al Giudice e non anche notificato,
hanno risposto affermativamente ad entrambi i quesiti posti. Hanno, infatti, espresso il principio secondo il quale sono
valide le impugnazioni proposte impropriamente con ricorso, purchè l'atto risulti depositato in cancelleria entro il
termine previsto dall'art. 1137 cod. civ.. Ciò in quanto l'adozione della forma del ricorso non esclude l'idoneità al
raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già mediante il tempestivo deposito in
cancelleria e non è necessario estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine prescritto, perchè tale
ultima estensione non risponderebbe ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre graverebbe l'attore
di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall'ufficio giudiziario
per la pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza di comparizione.
Trattandosi, tuttavia, di affermazione di principio enunciata in relazione ad una fattispecie specifica, la cui
generalizzazione comporta implicazioni che ribalterebbero, in relazione ad un'ampia pluralità di fattispecie, un diverso
orientamento giurisprudenziale consolidato, rivestendo tale questione, così come quella della forma che deve assumere
l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo in materia di onorari di avvocato, il carattere in questione di particolare
importanza, il collegio ravvisa l'opportunità della rimessione degli atti al primo presidente per un'eventuale
assegnazione alle Sezioni Unite.
Nella motivazione si fa riferimento al principio formulato da Cass. Sez. Un. 14 aprile 2011, n.
8491:
L'art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, che
vanno pertanto proposte con citazione, così come dispone l'art. 163 c.p.c. L'adozione della forma
del ricorso non esclude l'idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto
processuale, purchè l'atto sia presentato al giudice, e non anche notificato, entro i trenta
giorni previsti dall'art. 1137 c.c., atteso che estendere alla notificazione la necessità del rispetto
del termine non risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre grava
l'attore di un incombente il cui inadempimento può non dipendere da una sua inerzia, ma dai tempi
impiegati dall'ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza di
comparizione9.
9
In motivazione si legge: Ritiene il collegio che l'art. 1137 c.c., non disciplina la forma che deve assumere l'atto introduttivo
dei giudizi di cui si tratta. Depone in questo senso, in primo luogo, la sedesmateriae della disposizione, la quale è inserita in un
contesto normativo - il codice civile - destinato alla configurazione dei diritti e all'apprestamento delle relative azioni sotto il
profilo sostanziale dell'an e non anche sotto quello procedurale del quomodo: contesto normativo nel quale il termine "ricorso"
è spesso utilizzato per indicare l'atto con cui si reagisce, eventualmente anche in sede stragiudiziale, alla lesione di un diritto.
Proprio nell'ambito della disciplina del condominio, infatti, l'art. 1133 c.c., prevede la possibilità del "ricorso all'assemblea"
contro i provvedimenti dell'amministratore, mentre la parola "citazione", nell'art. 1131 c.c., indica tutti gli atti con cui il
condominio è "convenuto in giudizio", atti che ben possono avere la forma del ricorso, quando si verte in materie per le quali
così è disposto. Non è quindi significativo l'argomento lessicale, che viene ricavato dal testo dell'art. 1137 c.c., nel quale il
termine "ricorso" è impiegato nel senso generico di istanza giudiziale, che si ha facoltà di proporre per ottenere l'annullamento
delle deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio.
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3. LEGGE N. 218 DEL 2011 E GIUDIZI PENDENTI
La legge 29 dicembre 2011, n. 218 (Modifica dell’articolo 645 e interpretazione autentica
dell’articolo 165 del codice di procedura civile in materia di opposizione al decreto ingiuntivo), in
vigore dal 20 gennaio 2012, ha soppresso, nel secondo comma dell’art. 645 c.p.c., le parole «ma i
termini di comparizione sono ridotti a metà» ed ha introdotto la disposizione transitoria in base alla
quale, nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della legge, l'art. 165, primo comma,
del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione
dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente
abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis,
primo comma, del medesimo codice.
Cass. 17 maggio 2012, n. 7792, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell'art. 2 della legge n. 218 del 2011, il quale, per i procedimenti in corso alla data della sua
entrata in vigore, autenticamente interpretando l'art. 165, primo comma, cod. proc. civ., esclude che la
dimidiazione del termine di costituzione dell'opponente sia automatica e ragionevolmente la correla
all'eventuale scelta acceleratoria compiuta dall'opponente stesso tramite assegnazione all'opposto di un
termine di comparizione inferiore a quello dell'art. 163-bis, primo comma, cod. proc. civ.; invero, nella
materia civile, sono pienamente legittime disposizioni retroattive, non solo interpretative, ma anche
innovative, se giustificate sul piano della ragionevolezza e non contrastanti con altri valori e interessi
costituzionalmente protetti, come la norma in questione, che non realizza un'indebita intrusione del
legislatore nei procedimenti in corso, né un irragionevole attentato ai diritti del giusto processo10.
Infatti la prescrizione del ricorso, come veste dell'atto introduttivo dei giudizi in determinate materie, è sempre accompagnata
dalla fissazione di varie altre regole, intese in genere a delineare procedimenti caratterizzati da particolare snellezza e rapidità:
regole che mancano del tutto con riguardo alle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, per le quali non si dubita che
siano soggette alle norme comuni di procedura. Ciò non solo corrobora la tesi del significato generico del termine "ricorso",
come compare nell'art. 1137 c.c., ma fa cadere anche l'argomento relativo alle esigenze di celerità che la norma avrebbe inteso
soddisfare: a questo fine risulta ininfluente che la causa sia promossa nell'una forma o nell'altra, se poi deve seguire il suo iter
con il rito ordinario; nè rileva la diversità - sulla quale pure è stato posto l'accento - del sistema di fissazione della prima
udienza, da parte del giudice invece che dell'attore, poichè eventuali manovre dilatorie di quest'ultimo possono essere
efficacemente contrastate con il rimedio dell'an-ticipazione di cui all'art. 163 bis c.p.c., ma sono comunque già frustrate dalla
prevista immediata esecutività delle deliberazioni condominiali, anche se impugnate.
Poichè dunque la norma in considerazione si limita a consentire ai dissenzienti e agli assenti di agire in giudizio, per contestare
la conformità alla legge o al regolamento di condominio delle decisioni adottate dall'assemblea, ma nulla dispone in ordine
alle relative modalità, queste vanno individuate alla stregua della generale previsione dell'art. 163 c.p.c., secondo cui "la
domanda si propone mediante citazione". Si evita così anche la discrasia, cui la contraria opinione da luogo, tra le azioni di
annullamento e quelle di nullità delle deliberazioni condominiali, in quanto unanimemente soltanto alle prime si ritiene
applicabile l'art. 1137 c.c. (v., tra le altre, Cass. 19 marzo 2010 n. 6714), sicchè nei due casi le domande dovrebbero essere
proposte in forme diverse, anche quando si impugna una stessa deliberazione e si deduce che è affetta da vizi che ne
comportano sia la nullità sia l'annullamento. Si evita altresì la divergenza, sopra evidenziata, tra le soluzioni adottate a
proposito delle condizioni richieste per la sanabilità dell'atto, quando si verte nella materia del condominio o nelle altre per le
quali è prescritto il ricorso.
Ciò stante, la questione della conversione si pone in termini inversi rispetto a quelli in cui è stata finora affrontata: si tratta di
stabilire se la domanda di annullamento di una deliberazione condominiale, proposta impropriamente con ricorso anzichè con
citazione, possa essere ritenuta valida e se a questo fine sia sufficiente che entro i trenta giorni stabiliti dall'art. 1137 c.c., l'atto
venga presentato al giudice, e non anche notificato. A entrambi i quesiti va data risposta affermativa, in quanto l'adozione
della forma del ricorso non esclude l'idoneità al raggiungimento dello scopo di costituire il rapporto processuale, che sorge già
mediante il tempestivo deposito in cancelleria, mentre estendere alla notificazione la necessità del rispetto del termine non
risponde ad alcuno specifico e concreto interesse del convenuto, mentre grava l'attore di un incombente il cui inadempimento
può non dipendere da una sua inerzia, ma dai tempi impiegati dall'ufficio giudiziario per la pronuncia del decreto di fissazione
dell'udienza di comparizione.
10
In motivazione si legge: Il Collegio reputa la questione manifestamente infondata alla luce della piena legittimità nella
materia civile - alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 274 del 2006 - di leggi retroattive non solo interpretative
ma anche innovative (con efficacia retroattiva) ove la disposizione trovi adeguata giustificazione sul piano della
ragionevolezza (come nel caso in cui l'interpretazione della disciplina richiamata rappresenti una delle possibili letture del dato
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Questo intervento normativo deve essere oggetto di attenta interpretazione, anche in
relazione al pregresso orientamento della Suprema Corte, secondo cui la dimidiazione del
termine di costituzione dell’opponente, ai sensi dell'art. 645, comma 2, c.p.c., era la
conseguenza automatica del “fatto obiettivo” della concessione all’opposto di un termine di
comparizione inferiore a quello di legge, nel senso che la riduzione alla metà del termine di
costituzione dell’opponente conseguiva automaticamente al “fatto obiettivo” della concessione
all’opposto di un termine di comparizione inferiore a quello di legge (novanta giorni), anche se
determinata da errore (v. Cass. 4 settembre 2004, n. 17915); si considerava “irrilevante” che la
concessione di quel termine fosse dipesa da una scelta consapevole dell’opponente, ovvero da
un semplice errore di calcolo del medesimo riguardo al tempo occorrente per notificare la
citazione (v. Cass. 15 marzo 2001, n. 3752).
A parer nostro, la norma transitoria contenuta nella legge n. 218 del 2011 comporta il
superamento di questo orientamento, per le ragioni appresso specificate.
Anche per i giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della legge n. 218/2011, la norma
transitoria impone al giudice di risolvere il problema della tempestività dell’iscrizione a ruolo
non più alla luce dell’art. 645 c.p.c., ma sulla base del primo comma dell'art. 165 c.p.c.
Nel prevedere l’onere, per l’attore, di costituirsi “entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di
termini a norma del secondo comma dell’art. 163-bis”, tale ultima norma va interpretata, nel caso di
opposizione a decreto ingiuntivo, nel senso che la riduzione del termine di costituzione
dell'attore si applica solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di
comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis, primo comma, c.p.c.
La norma transitoria richiama oggi la disciplina “generale” dell’abbreviazione del termine di
comparizione, in base alla quale, ove sussistano motivi d’urgenza o di opportunità che della
causa sia sollecitamente investito il giudice istruttore, il presidente del tribunale, su istanza
dell’attore proposta ai sensi dell’art. 70 disp. att. c.p.c., può disporre l’abbreviazione di detti
termini fino alla metà, con decreto motivato steso in calce all’originale dell’atto di citazione e
da trascriversi sulle copie. Secondo la giurisprudenza la motivazione del decreto può essere
anche per relationem, con adesione alle ragioni d’urgenza indicate dal richiedente (v. Cass. 27
maggio 1989, n. 2569).
In sostanza, l’abbreviazione presuppone non solo la previa delibazione dei “motivi d’urgenza o
di opportunità”, ma la conoscenza ed estrinsecazione, anche per relationem, delle ragioni che la
determinano, e rappresenta l’esito di un vero e proprio sub-procedimento, introdotto
dall’istanza formulata dall’attore.
Nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, il legislatore del 2011, per evidenti ragioni dettate
dall’urgenza (conseguente al rispetto del termine perentorio di proposizione dell’opposizione),
ha ritenuto di non prevedere il provvedimento giudiziario, ed ha attribuito direttamente
all’opponente la facoltà di abbreviazione, mantenendo fermo il principio generale che governa
il fenomeno, ossia che l’abbreviazione costituisce il risultato di una specifica attività della parte
diretta a quel risultato.
In altri termini, pur mancando il provvedimento del giudice, deve comunque esservi la precisa
ed esplicita volontà dell’opponente di avvalersi dell’abbreviazione, dalla quale consegue
l’assegnazione all'opposto di un termine di comparizione inferiore a quello ordinario.
normativo) e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti (in tal senso Cass. 11133 del 2010 e 23834
del 2011). La legge sopravvenuta invero, che all'art. 1, ha abrogato radicalmente le parole dell'art. 645 c.p.c., soggette alla
lettura delle Sezioni Unite di questa Corte, all'art. 2 ha dettato norma di immediata applicazione ai procedimenti in corso nel
senso di escludere la dimidiazione automatica e di correlarla, ragionevolmente, solo alla scelta acceleratoria dell'opponente.
Non si scorge, pertanto, alcuna intrusione indebita del legislatore in procedimenti in corso, nè alcuna irragionevole attentato ai
diritti al giusto processo, quali sommariamente la memoria di Unicredit paventa.
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In concreto, l’opponente manifesta la volontà di abbreviare, esercitando la facoltà attribuitagli
dalla legge, ed assegna all’opposto il termine abbreviato “fino alla metà” (v. comma secondo
dell’art. 163-bisc.p.c.).
In questo nuovo quadro normativo, il mero “fatto oggettivo” dell’abbreviazione del termine (di
cui discorreva la giurisprudenza precedente alla legge del 2011) non può essere ritenuto
sufficiente, in quanto la semplice assegnazione di un termine inferiore a quello di legge è oggi
espressamente disciplinata dall’art. 164 c.p.c., che sanziona la nullità dell’atto di citazione:
nullità che, com’è noto, resta sanata in caso di mancata tempestiva eccezione da parte del
convenuto, mentre, in caso di eccezione, “il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto dei termini”
(comma terzo dell’art. 164).
Non vi è ragione per non applicare questo principio di valenza generale anche all’atto di
citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Con la conseguenza che, oggi, la pura e semplice assegnazione di un termine di comparizione
inferiore a quello di legge – non accompagnata dalla manifestazione della volontà
dell’opponente di avvalersi della facoltà di abbreviazione – è regolata dall’art. 164 c.p.c.
Anche ponendosi dalla parte del convenuto opposto, quest’ultimo, quando riceve la
notificazione di un atto di citazione con termine di comparizione inferiore a quello di legge, sa
che quell’atto è nullo (ed è chiamato a valutare le conseguenti difese), ma non è in grado di
conoscere se quell’atto è espressione dell’esercizio della facoltà di dimidiazione da parte
dell’opponente.
La necessità che la facoltà processuale di dimidiazione sia oggetto di specifica dichiarazione da
parte dell’opponente appare evidente anche per l’opposto, il quale è parimenti sottoposto agli
obblighi (rectius: oneri) derivanti dalla dimidiazione, nonché alle decadenze derivanti dalla
mancata tempestiva costituzione in giudizio (dieci giorni prima dell’udienza, anziché venti).
Si pensi alle decadenze ex art. 167 c.p.c. (chiamate di terzo, eccezione d’incompetenza,
eccezioni in senso stretto, etc.), alle quali l’opposto sarebbe sottoposto pur in presenza
dell’interesse a che il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo pronunci sul merito del
diritto e/o del rapporto giuridico sostanziale dedotto.
Quest’ultimo rilievo consente di svolgere un’ulteriore riflessione.
L’orientamento precedente alla legge n. 218/2011 è sorto in un contesto nel quale la
giurisprudenza riteneva prevalente la natura “impugnatoria”, rispetto al decreto ingiuntivo, del
giudizio di opposizione ex art. 645 c.p.c.
Oggi la giurisprudenza di legittimità è da tempo consolidata nel ritenere che l’atto di
opposizione introduce un normale giudizio di cognizione, destinato a concludersi con una
sentenza che accerta il merito della lite, anche in presenza di vizi del decreto opposto, con
conseguente applicazione dei principi generali che governano l’atto di citazione, compreso
quello relativo alla facoltà di abbreviazione.
***
4. OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO IN MATERIA DI QUOTE CONDOMINIALI
Opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. c.c. e previo giudizio di impugnazione della
delibera condominiale.
Tra la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., e quella
preventivamente instaurata davanti ad altro giudice impugnando la relativa delibera condominiale
non sussiste né continenza né pregiudizialità necessaria.
Nell’affermare questo principio, che condividiamo, Cass. 17 maggio 2002, n. 7261, ha osservato
che presupposto del provvedimento monitorio è l’efficacia esecutiva della delibera condominiale ed
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oggetto del giudizio innanzi al giudice dell’opposizione è il pagamento delle spese dovute da
ciascun condomino sulla base della ripartizione approvata con la medesima, obbligatoria ed
esecutiva finché non sospesa dal giudice dell’impugnazione, mentre oggetto del giudizio di
impugnazione è la validità della delibera.
Così, ad esempio, quando, davanti al giudice di pace, in un giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo relativo a spese condominiali, l’opponente deduca di aver impugnato con separato
giudizio promosso davanti al tribunale la delibera condominiale con cui era stata deliberata e
ripartita la spesa per oneri condominiali, il giudice di pace deve trattenere e decidere la causa di
opposizione a decreto ingiuntivo, in relazione alla quale sussiste la competenza funzionale e
inderogabile del giudice che ha emesso il decreto ingiuntivo, che prevale sulle ragioni di
connessione previste dagli artt. 36 e 40 c.p.c.11.
Il principio delle Sezioni Unite
Cass. sez. un. 27 febbraio 2007, n. 4421, sulla premessa che la sospensione necessaria del processo
ex art. 295 c.p.c., nell'ipotesi di giudizio promosso per il riconoscimento di diritti derivanti da titolo,
ricorre quando, in diverso giudizio tra le stesse parti, si controverta dell'inesistenza o della nullità
assoluta del titolo stesso (poiché al giudicato d'accertamento della nullità – la quale impedisce
all'atto di produrre ab origine qualunque effetto, sia pure interinale – si potrebbe contrapporre un
distinto giudicato, di accoglimento della pretesa basata su quel medesimo titolo, contrastante con il
primo), ha ritenuto che questo principio di inesecutività del titolo impugnato a seguito di
allegazione della sua originaria invalidità assoluta è derogato, nella disciplina del condominio, da
un sistema normativo che mira all'immediata esecutività del titolo, pur in pendenza di controversia,
a tutela di interessi generali ritenuti prevalenti e meritevoli di autonoma considerazione; con la
conseguenza che il giudice non ha il potere di disporre la sospensione della causa di opposizione a
decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., in relazione alla pendenza del giudizio
in cui sia stata impugnata la relativa delibera condominiale, restando riservato al giudice
dell'impugnazione il potere di sospendere ex art. 1137, comma secondo, c.c. l’esecuzione della
delibera; né osta a tale disciplina derogatoria il possibile contrasto di giudicati in caso di rigetto
dell’opposizione all’ingiunzione e di accoglimento dell’impugnativa della delibera, poiché le
conseguenze possono essere superate in sede esecutiva, facendo valere la sopravvenuta inefficacia
del provvedimento monitorio, ovvero in sede ordinaria mediante azione di ripetizione dell’indebito.
Modifiche alle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie del codice
civile a seguito della legge 11 dicembre 2012, n. 220
Art. 63.
I. Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea,
l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione
immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed e' tenuto a comunicare ai creditori non
ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.
II. I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo
l'escussione degli altri condomini.
III. In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre,
l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili
di godimento separato.
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In questo senso Cass. 17 settembre 2004, n. 18824.
10
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5. LE DOMANDE RICONVENZIONALI.
L’opponente può proporre, nello stesso atto di opposizione, tutte le domande riconvenzionali che
potrebbe formulare, quale convenuto, in sede di costituzione in un giudizio di tutela normale.
Secondo la giurisprudenza solo l’opponente, nella sua qualità sostanziale di convenuto, può
proporre domande riconvenzionali, e non l’opposto, il quale, rivestendo la posizione sostanziale di
attore, non potrebbe proporre domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione.
La domanda riconvenzionale proposta dall’opponente nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo può essere fondata, secondo Cass. 9 ottobre 2000, n. 13445 12, su un titolo giustificativo
diverso dalla pretesa principale e, se non determina uno spostamento di competenza, deve ritenersi
ammissibile anche al di fuori dei casi previsti dall’art. 36 c.p.c.
La domanda riconvenzionale proposta dall’opponente non è travolta dalla eventuale inammissibilità
o improcedibilità della domanda principale relativa al diritto o rapporto dell’ingiunzione.
Per il suo carattere autonomo, di controdomanda volta ad ottenere un provvedimento positivo
favorevole nei confronti dell’attore e non il mero rigetto delle di lui pretese, come nel caso
dell’eccezione riconvenzionale, la domanda riconvenzionale, secondo Cass. 26 settembre 1991, n.
10043, deve essere esaminata e decisa anche se sia dichiarata inammissibile la domanda principale.
Domande riconvenzionali da parte dell’opposto.
La comparsa (o memoria) di costituzione dell’opposto deve tener conto certamente della domanda
già formulata nel ricorso monitorio, ma anche del contenuto dell’ingiunzione emessa, che può non
essere conforme alla prima.
In relazione al primo profilo, il problema è quello di attribuire o meno all’opposto il potere di
integrare la domanda già formulata, se, cioè, questa deve ritenersi “vincolante” nel suo contenuto e
insuscettibile di essere modificata o, appunto, integrata.
A parer nostro, ma non della giurisprudenza, questo potere non può essere negato, in considerazione
dell’autonomia della fase monitoria, che può indurre la parte a formulare una domanda “limitata” a
questa fase sommaria. Una volta proposta l’opposizione, e con essa l’ordinario giudizio di
cognizione sul diritto o rapporto dedotto, non si può impedire alla parte di integrare la stessa, a
cominciare dalle domande accessorie circa gli interessi e la rivalutazione monetaria.
Con l’ingiunzione di pagamento il creditore non può domandare – in aggiunta alla somma dovutagli
ed ai relativi interessi – il risarcimento, ai sensi dell’art. 1224 c.c., del maggior danno derivatogli
dal ritardo nell’adempimento, ma, secondo Cass. 17 maggio 2001, n. 6757 13, può formulare questa
richiesta – che integra una emendatio libelli – nel giudizio di opposizione avverso l’ingiunzione.
Per le stesse ragioni, non può escludersi nemmeno il potere di modificare la domanda già formulata,
in particolare, di modificare, ferma restando la causa petendi, il petitum, con riferimento alla
somma richiesta. Questo potere, oltre tutto, se rientra tra le facoltà difensive esercitabili fino alla
prima udienza di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c. (v. infra), è, a maggior ragione, possibile ove
esercitato già nella comparsa di costituzione.
Ma, Cass. 29 marzo 2004, n. 6202, sul presupposto che l’opposto non può proporre domanda diversa da quella fatta
valere con l’ingiunzione, essendogli consentito solamente di modificarla nei limiti di quanto disposto dagli artt. 183 e
184 c.p.c., può domandare una somma minore di quella chiesta con l’ingiunzione – purché non modifichi la causa
12
13
In Giust. civ. 2001, I, 131.
In Giust. civ. 2002, I, 729.
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petendi –, ma non già una somma maggiore, neppure se tale causa petendi lasci immutata, in tale ipotesi rimanendo
altrimenti integrata la sostituzione di quella originaria con una nuova domanda.
Anche Cass. 29 settembre 2009, n. 20822, ha ritenuto che l’opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può
formulare domanda diversa da quella fatta valere con l'ingiunzione 14.
Cass. 8 gennaio 2010, n. 75, ha ritenuto che la richiesta ulteriore di pagamento degli interessi convenzionali relativi al
credito dedotto in sede monitoria (nella specie, per canoni locatizi) formulata dall’opposto in comparsa di risposta non
implica modifica della domanda originaria, così come non integra (a maggior ragione) gli estremi di una domanda
riconvenzionale, costituendo una mera emendatio libelli, siccome comportante un mero ampliamento del petitum al fine
di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere.
A maggior ragione la giurisprudenza è ferma nell’affermare il principio che l’opposto, rivestendo la
posizione sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quelle fatte valere con
l’ingiunzione, cioè domande riconvenzionali15.
Al divieto di proporre domande nuove fa riferimento Cass. 17 settembre 2004, n. 18767.
Cass. 2 marzo 2010, n. 4948, ha ribadito che solo l’opponente, nella sua qualità sostanziale di convenuto, può proporre
domande riconvenzionali, non anche l’opposto che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può proporre
domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione.
Le uniche domande nuove che, secondo la giurisprudenza, sono proponibili dall’opposto sarebbero
quelle che nascono dalla eventuale domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, per la quale
l’opposto si verrebbe a trovare nella posizione sostanziale di convenuto.
Sempre Cass. 17 settembre 2004, n. 18767, fa salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta
dall’opponente, la parte opposta venga a trovarsi nella posizione processuale di convenuto.
Al divieto di proporre domande diverse da quelle fatte valere con l’ingiunzione, si può “logicamente” derogare, secondo
Cass. 18 giugno 2004, n. 11415, quando, per effetto di una riconvenzionale proposta dall’opponente, la parte opposta
venga a trovarsi a sua volta in una posizione processuale di convenuto, al quale, rispetto alla nuova o più ampia pretesa
della controparte, non può essere negato il diritto di difesa mediante reconventioreconventionis.
La reconventioreconventionis deve sempre svolgersi, secondo Cass. 9 ottobre 2000, n. 13445, nell’ambito del rapporto
già dedotto in giudizio da entrambe le parti o, al più, porsi in rapporto di pregiudizialità rispetto alla situazione giuridica
già dedotta nella causa e alla specifica controversia innestata con il procedimento ingiuntivo; entrambe le domande
riconvenzionali sono del tutto autonome ed indipendenti dalla domanda principale e, pertanto, devono essere esaminate
e decise anche se è dichiarata l’inamissibilità della domanda principale o l’illegittimità del decreto ingiuntivo opposto.
Al creditore opposto, secondo Cass. 21 maggio 2004, n. 9685, non è consentito, nella prima udienza di trattazione ex
art. 183 c.p.c., proporre nuove domande.
Ma, Cass. sez. un. 18 marzo 1994, n. 4837, aveva affermato il principio che, nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo spettano all’opposto tutti i poteri che il codice di rito ricollega alla posizione processuale di convenuto,
compreso quello di proporre domanda riconvenzionale, a fondamento della quale può essere anche dedotto un titolo non
dipendente da quello posto a fondamento della ingiunzione o delle relative eccezioni, quando non si determini in tal
modo spostamento di competenza e sia pur sempre ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e
domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuno secondo il prudente apprezzamento del giudice del merito, non
sindacabile in sede di legittimità, la celebrazione del simultaneusprocessus.
14
Nella specie, la Corte ha ritenuto che costituisce mutatio libelli asserire (erroneamente) che il cofideiussore sia tenuto a
rimborsare pro quota il debitore principale che abbia pagato, rispetto a sostenere che gli oneri affrontati dalla cooperativa vanno
sostenuti dai soci in proporzione delle rispettive quote in ragione dello scopo mutualistico di quel tipo di società.
15
In questo senso Cass. 25 marzo 1999, n. 2820, Cass. 29 novembre 2002, n. 16957.
12
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Cass. 5 giugno 2007, n. 13086, ha ribadito il principio che solo l’opponente, in virtù della sua posizione sostanziale di
convenuto, è legittimato a proporre domande riconvenzionali, e non anche l’opposto, che incorrerebbe, ove le
avanzasse, nel divieto (la cui violazione è rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità) di formulazione di domande
nuove, salvo il caso in cui, per effetto di una riconvenzionale proposta dall'opponente, la parte opposta venga a trovarsi,
a sua volta, nella posizione processuale di convenuta.
A parer nostro, spettano all’opposto tutti i poteri che il codice di rito ricollega alla posizione
processuale del convenuto, compreso quello di proporre domanda riconvenzionale, a fondamento
della quale può essere anche dedotto un titolo non dipendente da quello posto a fondamento
dell’ingiunzione o delle relative eccezioni, sempre che sia ravvisabile un collegamento obiettivo tra
domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere opportuna la celebrazione del
simultaneusprocessus. A questa conclusione deve pervenirsi, come già accennato, dalla coerente
applicazione del principio che il giudizio di opposizione costituisce un ordinario giudizio di
cognizione, nel quale l’opposto può svolgere, senza alcun limite, ogni attività difensiva che sia
finalizzata alla decisione di merito, compresa quella di formulare nuove domande, sempre che
collegate a quella già formulata nel ricorso monitorio e al themadecidendum come eventualmente
fissato dall’atto di opposizione.
***
6. LA CHIAMATA DI TERZI DA PARTE DELL’OPPONENTE.
Sul presupposto che, per effetto dell’opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione
sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore,
l’opponente quella di convenuto, e che ciò esplicherebbe i suoi effetti non solo nell’ambito
dell’onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni di ordine processuale
rispettivamente previsti per ciascuna delle due parti, l’attuale orientamento della giurisprudenza di
legittimità è nel senso che l’opponente dovrebbe citare unicamente il soggetto che ha ottenuto detto
provvedimento, non potendo le parti originariamente essere altri che il soggetto istante per
l’ingiunzione di pagamento ed il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta. L’opponente (cui
sarebbe altresì preclusa, nella qualità di convenuto sostanziale, la facoltà di chiedere lo spostamento
dell’udienza, nonché quella di notificare l’opposizione a soggetto diverso dal creditore procedente
in ingiunzione) dovrebbe, pertanto, necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di
opposizione, l’autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla
base dell’esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto
ingiuntivo.
L’opponente-debitore, che mantiene la posizione naturale di convenuto – qualora intenda chiamare in causa un terzo –
ha l’onere, anche secondo Cass. 16 luglio 2004, n. 13272, di chiederne l’autorizzazione al giudice, a pena di decadenza
con l’atto di opposizione, non potendo né convenirlo in giudizio direttamente con la citazione, né chiedere il
differimento della prima udienza, non ancora fissata 16.
Nell’affermare questo principio Cass. 27 giugno 2000, n. 8718, osserva che il disposto dell’art. 269 c.p.c., che disciplina
le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con il procedimento instaurato tramite l’opposizione al
decreto, proprio in quanto in ogni caso l’opponente dovrebbe citare unicamente il soggetto che ha ottenuto
l’ingiunzione.
16
Nella specie, la Corte, poiché nel giudizio secondo equità dinanzi al giudice di pace trovano applicazione, oltre alle norme
costituzionali, comunitarie e ai principi generali dell’ordinamento che siano espressione di norme costituzionali, anche le
disposizioni regolatrici del processo, ha dichiarato la nullità della chiamata del terzo effettuata con l’atto di opposizione, non
rilevata dal giudice di pace ed implicitamente esclusa con la sentenza di accoglimento della domanda proposta contro il terzo
che è stata, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., cassata senza rinvio.
13
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In termini analoghi si è espressa anche Cass. 5 marzo 2002, n. 3156 17. Ciascuna parte manterrebbe la propria posizione
naturale e, cioè, il creditore quella di attore e il debitore quella di convenuto, e ciò non solo nell’ambito dell’onere della
prova, ma anche in ordine ai poteri e alle preclusioni in materia processuale, rispettivamente previsti per ciascuna delle
due parti: di conseguenza l’opponente, ove intenda chiamare in causa un terzo, non può né convenirlo direttamente in
giudizio con l’atto di citazione, né chiedere il differimento della prima udienza (che ancora non è fissata), ma ha l’onere
di domandare al giudice, nel corso di tale udienza, l’autorizzazione alla chiamata.
Sul presupposto che, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opponente è solo
formalmente attore, qualità che nella sostanza spetta all'opposto, e che ciò rileva non solo in tema di
onere della prova, ma anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente
previsti per ciascuna delle parti, Cass. 19 ottobre 2009, n. 22123, ha ribadito che il disposto
dell’art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concilia con
l’opposizione al decreto, dovendo in ogni caso l’opponente citare unicamente il soggetto che ha
ottenuto detto provvedimento e non potendo le parti originariamente essere altre che il soggetto
istante per l’ingiunzione e il soggetto nei cui confronti la domanda è diretta.
Non condividiamo questo orientamento, che non tiene conto della natura del giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo e sembra, anzi, essere espressione della concezione
“impugnatoria” di questo giudizio.
Riteniamo che, se l’opponente intende chiamare un terzo in causa, deve farlo citandolo direttamente
per la prima udienza insieme all’opposto 18.
Nel senso qui sostenuto Trib. Firenze 5 luglio 2001 19, che fa salvo il caso in cui l’interesse dell’opponente alla
chiamata in causa sia sorto a seguito delle difese svolte dal convenuto opposto nella comparsa di risposta.
Resta salvoil potere dell’opponente di chiamare in causa un terzo, previa autorizzazione del giudice
istruttore, ai sensi dell’art. 183, quarto comma, c.p.c. (che, a seguito delle modifiche introdotte dalla
legge n. 80 del 2005, è diventata la prima udienza in senso cronologico), ove l’esigenza della
chiamata nasca da nuove difese dell’opposto.
***
7. IL DEPOSITO DELLA COPIA NOTIFICATA DEL DECRETO INGIUNTIVO.
La produzione della copia notificata dell’ingiunzione non è richiesta a pena di improcedibilità
dell’opposizione, non essendo applicabile la disciplina dei mezzi di impugnazione 20.
Pertanto, in difetto di espressa comminatoria di inammissibilità del giudizio per l’omessa o irrituale
allegazione dell’atto di ingiunzione, il giudice può porre a base del controllo sull’eventuale
17
In Giur. it. 2002, 2267. Nello stesso senso Trib. Milano 28 novembre 2002, in Giur. mer. 2003, 1412.
Anche F. SANTANGELI, Su criticabili indirizzi della Cassazione a proposito di chiamata di terzo da parte dell’opponente nel giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo, in www. Judicium, 2 e ss., ha svolto rilievi critici, da un lato, negando la sussistenza delle
condizioni per l’applicazione analogica dell’art. 269, comma secondo, c.p.c. (si applicherebbe una soluzione dettata per
l’attore in senso formale e sostanziale ad un soggetto che è attore solo in senso formale, ma convenuto in senso sostanziale); e,
dall’altro, prospettando il contrasto con i dettami costituzionali, in quanto si sottoporrebbe all’autorizzazione del giudice la
richiesta dell’opponente, che è di fatto il convenuto, di citare un terzo, mentre nel processo ordinario proprio l’art. 269
consente al convenuto di chiamare un terzo senza dover sottoporre la sua volontà ad alcuna preventiva autorizzazione.
19
In Foro tosc. 2001, 261, con nota di MONNINI. Nella specie, è stata dichiarata inammissibile l’istanza dell’opponente al
giudice dell’opposizione di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo formulata in atto di citazione. Nello stesso senso
Pret. Torino 18 e 31 luglio 1996, in Giur. it., 1997, I, 2, 378.
20
In questo senso Cass. 2 giugno 1999, n. 5342.
18
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irrevocabilità del decreto, e sulle conseguenze in ordine all’ammissibilità dell’opposizione, i
documenti prodotti dalla controparte o comunque acquisiti al processo 21.
Anche secondo Cass. 28 dicembre 2004, n. 24048, la produzione della copia notificata del decreto, con il relativo
fascicolo della fase monitoria, non è richiesta a pena di improcedibilità dell’opposizione, non essendo applicabile a
questo procedimento – che non è un mezzo di impugnazione – la disciplina propria delle impugnazioni. La mancata
produzione della copia “de qua” (o di altra documentazione già allegata al ricorso per ingiunzione) può, difatti,
assumere rilievo ai fini della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione per inosservanza del termine decadenziale
di cui all’art. 641 c.p.c. (sotto il profilo dell’inosservanza dell’opponente dell’onere di fornire la prova del rispetto del
termine medesimo), ovvero ai fini del rigetto della domanda del ricorrente in ingiunzione (sotto il profilo della mancata
dimostrazione dei fatti costitutivi della pretesa), sempre che la priva stessa non sia ricavabile dai documenti allegati al
processo e prodotti dalla controparte (o comunque “aliunde” acquisiti), senza che dalla mancata produzione dell’atto
predetto possano derivare ulteriori conseguenze in tema di improcedibilità dell’opposizione
Cass. 26 giugno 2008, n. 17495, ha ribadito il principio che la mancata produzione da parte dell'opponente della copia
notificata del decreto non comporta la dichiarazione d'inammissibilità dell'opposizione, qualora la prova dell'osservanza
del termine di decadenza fissato dall'art. 641 c.p.c. possa essere agevolmente desunta da altri sicuri elementi, quali le
ammissioni contenute nella comparsa di costituzione e risposta o nella comparsa conclusionale dell'opposto in ordine
alla data della notifica.
Nel ritenere che la produzione della copia notificata di tale provvedimento non è richiesta a pena di
improcedibilità dell'opposizione, non essendo applicabile ad essa, che non è mezzo d'impugnazione,
la disciplina propria di queste ultime, Cass. 15 luglio 2009, n. 16540, ha osservato che la mancata
produzione di detto documento può spiegare rilievo ai fini della declaratoria di inammissibilità
dell'opposizione, per inosservanza del termine di decadenza fissato dall'art. 641 c.p.c., sotto il
profilo dell'inottemperanza da parte dell'opponente dell'onere di fornire la prova del rispetto di detto
termine, sempre che la prova stessa non sia evincibile dai documenti prodotti dalla controparte e
comunque acquisiti al processo.
***
8. LA SOSPENSIONE DELLA PROVVISORIA ESECUTIVITÀ EX ART. 649 C.P.C.
Se l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo è stata concessa a norma dell’art. 642 c.p.c., il
giudice dell’opposizione, su istanza dell’opponente, può disporre, con ordinanza non impugnabile e,
come si vedrà, non ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., la sospensione della stessa,
con efficacia ex nunc, quando ricorrono “gravi motivi”.
Anche in questo caso, ma all’opposto, al giudice dell’opposizione sono attribuiti poteri sommari
non cautelari, che servono a verificare se, a seguito della instaurazione del contraddittorio e delle
difese svolte dall’opponente, sussistono ragioni tali da non giustificare la già intervenuta
formazione del titolo esecutivo, “divenuto” provvisorio proprio a seguito dell’opposizione, o, più
esattamente, per come la norma è congegnata (ma v. infra), ragioni tali da indurre la sospensione
della esecutorietà del decreto.
In questo senso, la genericità del presupposto della sospensione è funzionale alla ritenuta
opportunità, ma diremmo necessità, di consentire al giudice di tenere conto di ogni circostanza
emersa a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con l’ingiunto.
21
V. Cass. 12 agosto 2004, n. 15687.
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Il provvedimento di sospensione (come quello di concessione) dell’esecuzione provvisoria può
essere pronunciato anche alla prima udienza di trattazione di cui all’art. 183 c.p.c., che, dopo le
modifiche introdotte dalla legge n. 80 del 2005, è divenuta la prima udienza in senso cronologico 22.
Va condivisa la ritenuta impossibilità di provvedere con decreto inaudita altera parte sull'istanza di
sospensione della provvisoria esecuzione del decreto proposta dall'opponente: ciò in quanto,
secondo Trib. Torino 8 ottobre 2008, l’art. 649 c.p.c. presuppone il contraddittorio con le parti; non
può ritenersi applicabile il disposto dell'art. 669-sexies, comma 2, c.p.c., in forza del generale
richiamo di cui all'art. 669-quaterdeciesc.p.c., in quanto il procedimento ex art. 649 c.p.c., pur
avendo la funzione di assicurare che l'eventuale revoca del decreto ingiuntivo opposto possa
successivamente avvenire senza che nel frattempo si determini un pregiudizio grave o irreparabile
per l'istante, risulta disciplinato in modo assolutamente autonomo sulla base di una disposizione che
rende incompatibile l'estensione delle norme sul processo cautelare uniforme.
Ma,
Cass. 13 marzo 2012, n. 3979: In tema di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto
ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 cod. proc. civ., la natura di cautela in senso lato di tale
provvedimento consente di applicare la normativa sul cosiddetto procedimento cautelare uniforme
e, pertanto, l'art. 669-sexies cod. proc. civ., nella parte in cui permette l'adozione di provvedimenti
prima dell'instaurazione del contraddittorio sull'istanza cautelare stessa, salva loro conferma o
modifica o revoca a contraddittorio pieno.
I gravi motivi.
Si diceva poc’anzi che la genericità del presupposto della sospensione è funzionale alla opportunità
di consentire al giudice di tenere conto di ogni circostanza emersa a seguito dell’instaurazione del
contraddittorio con l’ingiunto. Ci sembra, pertanto, che il presupposto dei “gravi motivi” – identico
a quello richiesto dall’art. 283 c.p.c. in sede di inibitoria nel giudizio di appello– ricorra sia in caso
di fumusdi fondatezza dei motivi posti a fondamento dell’opposizione, sia quando il giudice
dell’opposizione ravvisi il pericolo di grave danno che potrebbe derivare all’opponente
dall’esecuzione, o meglio dalla prosecuzione del processo esecutivo promosso in base al decreto
ingiuntivo provvisoriamente esecutivo.
Nell’ambito di questa valutazione, come detto, sommaria, il giudice deve certamente tener conto del
presupposto (primo o secondo comma dell’art. 642 c.p.c.) della disposta provvisoria esecutorietà del
decreto. Se questa è stata concessa per la sussistenza del pericolo di grave pregiudizio nel ritardo, la
valutazione dei gravi motivi deve comprendere i fatti e le circostanze eventualmente verificatisi
dopo la pronuncia dell’ingiunzione.
Si discute, anche in questo caso, se il rituale e tempestivo disconoscimento, da parte dell’opponente,
dell’autenticità della sottoscrizione posta in calce alla scrittura privata sulla quale è fondato il
22
V., con riferimento alla udienza preliminare di cui all’art. 180 c.p.c., Pret. Macerata 6 febbraio 1996, in Foro it. 1996, I, 2342;
Trib. Firenze 13 ottobre 1995, ivi, I, 1074, con nota di B. CAPPONI.
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decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, sia sufficiente ad integrare i gravi motivi necessari
per la sospensione in discorso 23.
Ci sembra che il disconoscimento non possa portare ex se, con carattere di automaticità, alla
sospensione, ma debba essere valutato nell’ambito della complessiva considerazione dei “gravi
motivi” di cui parla l’art. 649 c.p.c.
Effetti della sospensione sul processo di esecuzione pendente.
Quando il giudice dell’opposizione sospende la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, si
verifica l’ipotesi della sospensione dell’esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale è
impugnato il titolo esecutivo, a norma dell’art. 623, seconda ipotesi, c.p.c., con la conseguente,
necessaria sospensione del processo esecutivo eventualmente pendente e il divieto di compiere
ulteriori atti esecutivi.
Il principio che, nel caso di coesistenza del processo esecutivo promosso sulla base di decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e del giudizio di opposizione
all'esecuzione, nel momento in cui il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo sospende la provvisoria esecuzione
del decreto si concretizza l'ipotesi della sospensione dell'esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale è impugnato il
titolo esecutivo, a norma dell'art. 623, seconda ipotesi, c.p.c., con conseguente impedimento della prosecuzione del
processo esecutivo (che non può essere riattivato fino a che, in dipendenza del giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell'opposizione, la sua efficacia esecutiva, a norma dell'art. 653
c.p.c.) è formulato da Cass. 29 aprile 2004, n. 8217.
Nello stesso senso si veda Cass. 1 agosto 2008, n. 20925, secondo cui il processo esecutivo non può essere riattivato
fino a quando, all'esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto
dell’opposizione la sua efficacia esecutiva a norma dell'art. 653 c.p.c.
Anche secondo Cass. 31 luglio 2002, n. 11378, il processo esecutivo non può essere riattivato fino a che, in dipendenza
del giudizio d’opposizione a decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell’opposizione la sua
efficacia esecutiva a norma dell’art. 653 c.p.c.
Se il giudizio di primo grado si conclude con il rigetto dell'opposizione, cessano gli effetti della
sospensione disposta dal giudice della cognizione (e della sospensione dell'esecuzione disposta dal
giudice dell’esecuzione) e il decreto ingiuntivo riprende forza di titolo esecutivo, con la
conseguente possibilità di riassumere il procedimento esecutivo in precedenza sospeso.
Lo stesso principio si applica, secondo Cass. 3 settembre 2007, n. 18539, se il successivo giudizio di appello, durante il
quale sia stata disposta la sospensione della sentenza di rigetto dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo, con
conseguente nuova sospensione del processo esecutivo, si sia concluso con il rigetto dell'appello, poiché, anche in
questo caso, ai fini della riassunzione del processo esecutivo sospeso, non è necessario attendere il passaggio in
giudicato della sentenza di rigetto dell'opposizione contro il decreto ingiuntivo.
Mancata previsione del potere di revoca e dubbi di costituzionalità.
La sospensione dell’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto non integra revoca
dell’efficacia del decreto stesso quale titolo esecutivo e non determina, quindi, l’estinzione del
procedimento esecutivo intrapreso in forza del medesimo, né incide sulla legittimità degli atti
esecutivi già compiuti 24, non comportando nemmeno la cancellazione dell’ipoteca iscritta in forza
del decreto esecutivo, anche perché tale sospensione non inerisce ad un “provvedimento definitivo”
(art. 2884 c.c.).
23
24
V. Trib. Latina 20 febbraio 1996, in Foro it. 1996, I, 2339, con nota di G. SCARSELLI.
In questo senso Cass. 3 maggio 1991, n. 4866, in Giur. it. 1992, I, 1, 744.
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Nel senso che l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo disposta ai sensi dell'art. 642 c.p.c. può essere oggetto di
sospensione e non di revoca, e unico funzionalmente competente a emanare il relativo provvedimento a mente dell'art.
649 c.p.c. è il giudice istruttore della causa di opposizione si veda Cass. 29 aprile 2004, n. 8217.
Con sentenza 17 giugno 1996, n. 200 25, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 649, nella parte in cui non prevede che il giudice istruttore dell’opposizione a decreto ingiuntivo
possa revocare – e non soltanto sospendere – la provvisoria esecuzione del decreto concessa ai sensi dell’art. 642, in
riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul presupposto che il parametro di comparazione invocato (art. 186-terc.p.c.), che
prevede la revocabilità dell’ordinanza di ingiunzione emessa nel comune processo di cognizione, si riferisce ad un
diverso contesto processuale rispetto ai provvedimenti che sospendono o concedono la provvisoria esecuzione del
decreto ingiuntivo.
Trib. Roma 27 novembre 2003 26 ha ritenuto ammissibile la revoca parziale della provvisoria esecuzione di un decreto
ingiuntivo, concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c., qualora una parte del debito per il quale era stata emessa l’ingiunzione
sia stata soddisfatta prima della notificazione del provvedimento all’intimato.
Qualora accerti che non sussistevano ab origine i presupposti per la dichiarazione di esecutorietà del provvedimento
monitorio, il giudice, secondo Trib. Ancona 18 febbraio 2003 e Trib. Larino 24 giugno 2002 27, può revocare la clausola
di provvisoria esecuzione e, conseguentemente, disporre la cancellazione dell’ipoteca iscritta ai sensi dell’art. 655 c.p.c.
L’art 649 c.p.c., secondo Trib. Reggio Calabria 31 ottobre 2007, consente esclusivamente la sospensione della
provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo concessa ex art. 642 c.p.c. (lasciando così permanere taluni effetti in
danno dell'intimato), e non pure la revoca della esecutorietà.
Sono forti i dubbi di costituzionalità che la norma pone.
Per assicurare il pieno rispetto della garanzia costituzionale del contraddittorio e, più in generale,
del diritto di difesa, non è sufficiente la sola previsione della possibilità che il contraddittorio sia
comunque instaurato in forma differita, ma è necessario che la legge appresti, una volta che questo
sia stato attuato, gli strumenti processuali idonei ad ottenere la totale, immediata caducazione di
tutti gli effetti del provvedimento emesso senza contraddittorio, ma, in ipotesi, in violazione delle
regole sostanziali e processuali del procedimento. Ogni deroga alla pronuncia senza contraddittorio
può essere oggi costituzionalmente legittima solo se e a condizione che il provvedimento
pronunciato inaudita altera parte possa essere non solo sospeso nei suoi effetti o anche modificato,
ma anche integralmente revocato a seguito dell’instaurazione, differita, del contraddittorio, all’esito,
cioè, delle difese che il soggetto passivo svolge all’atto della sua costituzione in giudizio.
La fase a contraddittorio pieno deve, perché possa ritenersi giustificata, sotto il profilo
costituzionale, la deroga al principio del contraddittorio, consentire non soltanto l’immediata
reazione dell’opponente, ma anche la possibilità che lo stesso ottenga la caducazione immediata di
tutto quanto pronunciato nella fase senza contraddittorio.
Si tratta di “modello” procedimentale già conosciuto nel nostro sistema, in virtù del quale si
consente al giudice di pronunciare, in ipotesi comunque eccezionali, un decreto inaudita altera
parte, ma, nello stesso tempo, si impone allo stesso di “sostituire”, in breve tempo, il decreto con
un’ordinanza di conferma, modifica o revoca del decreto, all’esito dell’udienza fissata per la
comparizione delle parti. Si consente, in tal modo, al soggetto passivo di ottenere un nuovo
esercizio degli stessi poteri già esercitati in assenza di contraddittorio, che tenga conto delle difese
svolte in contraddittorio tra le parti e che può portare alla revoca del decreto.
Si pensi, ad esempio, al decreto cautelare emesso ai sensi dell’art. 669-sexies, comma secondo,
c.p.c. e al provvedimento di sospensione dell’esecuzione, che il giudice dell’esecuzione, ai sensi
dell’art. 625 c.p.c., può disporre con decreto, da “sostituirsi” con successiva ordinanza. Anche l’art.
31 del d.lgs. n. 5 del 2003, oggi abrogato, prevedeva la possibilità, in caso di eccezionale e motivata
d’urgenza nell’ambito di procedimento camerale societario bi – o plurilaterale, che il presidente
provvedesse sull’istanza camerale con decreto inaudita altera parte, fissando, con lo stesso decreto,
entro i quindici giorni successivi, l’udienza per la comparizione delle parti e il termine per la
notifica del ricorso e del termine per la costituzione delle parti. All’udienza fissata il collegio, con
25
In Foro it. 1997, I, 389, con nota di G. SCARSELLI.
In Giur. mer. 2004, 699.
27
In Foro it. 2003, I,1589, con nota di CEA.
26
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decreto motivato, era tenuto a confermare, modificare o revocare il provvedimento reso senza
contraddittorio.
Questo “modello” non è stato riprodotto nel procedimento monitorio, nel quale, emessa
un’ingiunzione provvisoriamente esecutiva ai sensi dell’art. 642 c.p.c., l’opposizione avverso di
essa proposta consente al giudice di questa, per il disposto dell’art. 649 c.p.c., solo di sospendere,
ma non di revocare la provvisoria esecutorietà del decreto opposto. Ma, la sospensione è ben
diversa dalla revoca, in quanto, con effetti ex nunc, si limita a paralizzare gli ulteriori atti esecutivi e
non determina l’estinzione del procedimento esecutivo intrapreso in forza del medesimo, né incide
sulla legittimità degli atti esecutivi già compiuti e sull’iscrizione ipotecaria che l’art. 655 c.p.c.
consente di effettuare al creditore sulla base di ogni decreto dichiarato esecutivo, sia
contestualmente alla sua emissione sia nel corso del giudizio di opposizione 28.
La limitazione contenuta nell’art. 649 cit., nella parte in cui consente la sola sospensione e non la
revoca della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, sembra essere in contrasto con
l’art. 111 Cost. (oltre che con l’art. 24 Cost.), proprio in quanto non consente all’opponente, nella
fase a contraddittorio pieno, di ottenere la totale ed immediata caducazione del provvedimento
emesso inaudita altera parte.
Il sospetto di incostituzionalità potrebbe colpire anche l’art. 2884 c.c., nella parte in cui richiede il
provvedimento definitivo per la cancellazione dell’ipoteca giudiziale, nell’ipotesi in cui la
declaratoria di parziale incostituzionalità dovesse riguardare l’art. 649, sotto il profilo sopra
considerato.
Laddove, invece, la declaratoria d’incostituzionalità incidesse, per così dire “a monte”, sull’art. 642
c.p.c., nella parte in cui consente al giudice del monitorio di emettere decreto ingiuntivo
provvisoriamente esecutivo, resterebbe “salvo” l’art. 2884 cit., in quanto la possibilità di iscrivere
l’ipoteca giudiziale resterebbe circoscritta alla sola ipotesi oggi contemplata dall’art. 648, per la
quale non vi sarebbero problemi d’incostituzionalità, essendo tale provvedimento emesso sempre a
contraddittorio integro.
In sostanza, il decreto ingiuntivo non potrebbe mai essere concesso con la provvisoria esecutorietà,
con conseguente, forte riduzione dei benefici oggi concessi al creditore e drastico
ridimensionamento della finalità di anticipazione satisfattiva che caratterizza questa forma di tutela
sommaria non cautelare.
Sulle questioni di costituzionalità dell’art. 649 anche di recente sollevate 29, la Corte costituzionale
non ha ancora pronunciato una decisione “di merito” 30.
Riproponibilità dell’istanza di sospensione.
La previsione del carattere “non impugnabile” dell’ordinanza con cui il giudice provvede
sull’istanza di cui all’art. 649 c.p.c. porta ad escludere che la relativa istanza possa essere
riproposta. Il provvedimento che il giudice dovrebbe pronunciare sulla istanza reiterata, qualunque
28
Poco meno di vent’anni fa, la Corte costituzionale, con sentenza 19 gennaio 1988, n. 37, in Giur. cost. 1988, I, 99, ha ritenuto
manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale,
esaminata per la prima volta, dell’art. 655, nella parte in cui, stabilendo che i decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi ex
art. 642, costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, verrebbe a creare un meccanismo gravemente
pregiudizievole per il debitore e per i terzi creditori di quest’ultimo, in contrasto con il principio di uguaglianza e, per l’assenza
del contraddittorio, con il diritto di difesa. La Corte ha, tra l’altro, osservato che, nei procedimenti speciali, quale è quello di
ingiunzione, al legislatore è consentito differenziare le forme della tutela giurisdizionale con riguardo alla particolarità del
rapporto da regolare, di talché razionale e conforme ai principi costituzionalmente invocati è il trattamento riservato al
creditore nel rito monitorio, nel quale si fa più intenso l’interesse pubblico alla protezione del credito.
29
V., ad esempio, Trib. Latina 17 febbraio 2000, in Giur. rom. 2000, 275, che ha prospettato il dubbio proprio con riferimento
alla mancata previsione che il giudice dell’opposizione possa revocare, con efficacia ex tunc la clausola di provvisoria
esecutività del decreto ingiuntivo, emessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c. Anche Trib. Verona 7 maggio 2002, in Giur. mer. 2003,
48, ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione, con analoghe motivazioni.
30
V. Corte cost. 15 maggio 2001, n. 134, in Corr. giur. 2001, 814, con nota di C. CONSOLO.
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ne sia il contenuto, comporterebbe la revoca della prima ordinanza, in contrasto con la previsione
“generale” contenuta nel terzo comma dell’art. 177 c.p.c.
Ma, Trib. Roma 17 febbraio 2001 31 ha ritenuto proponibile l’istanza con cui si reitera la richiesta,
già rigettata, di sospensione dell’immediata efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo concessa nella
fase monitoria. Nello stesso senso Trib. Fermo 12 ottobre 2007.
***
9. ESTINZIONE DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE.
L’art. 653, primo comma, c.p.c. prevede che la dichiarazione (con ordinanza) di estinzione del
processo di opposizione comporta che il decreto, che non ne sia già munito, acquista efficacia
esecutiva.
Anche la rinuncia agli atti del giudizio da parte dell'opponente determina l’estinzione del giudizio in
assenza, di norma, di un interesse sostanziale del creditore opposto alla prosecuzione del giudizio.
Questo interesse sussiste quando l’opposto si è costituito ed ha avanzato richieste di merito.
Per il coordinato disposto di questa norma con l’art. 308 c.p.c., secondo cui, contro l’ordinanza
dichiarativa dell’estinzione del giudizio, comunicata alle parti a cura del cancelliere, è ammesso
reclamo, la giurisprudenza ritiene che la dichiarazione di estinzione del giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo produca l’effetto di conferire efficacia esecutiva al decreto ingiuntivo opposto,
dopo che sono scaduti i termini per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione 32.
Natura dell’esecutività ex art. 653 c.p.c.
L’esecutività in discorso – contrariamente a quel che si sostiene in giurisprudenza e,
maggioritariamente, in dottrina – non sembra possa essere assimilata a quella che consegue alla
mancata opposizione e alla mancata costituzione dell’opponente, che, inerendo alla carenza del
giudizio ordinario di merito, non può derivare dalla chiusura, sia pure anormale, dello stesso
giudizio già svolto. Qui – in deroga al principio generale per il quale l’estinzione del giudizio non
preclude le ulteriori liti sul rapporto dedotto, ma rende inefficaci tutti gli atti del processo –
l’estinzione lascia in vita il decreto conservandogli o aggiungendogli la forza esecutiva, di talché,
nel nuovo giudizio che l’una o l’altra parte potrà instaurare per il normale accertamento del credito,
quella forza esecutiva incontrerà le stesse sorti che incontrava quando nasceva dal decreto
originariamente opposto (significativamente l’art. 653 non collega all’estinzione del processo
l’improponibilità dell’opposizione che l’art. 647, cpv., collega agli eventi descritti nel primo comma
dello stesso articolo).
In altri termini, il decreto ingiuntivo che sopravvive, in ogni caso con efficacia esecutiva, al
processo di opposizione estinto è un provvedimento provvisorio di merito e non un provvedimento
sommario autonomo, in quanto esso diviene, ad opposizione promossa, atto interno ad un giudizio
di cognizione ordinario sul credito in questione.
Estinzione a seguito di mancata riassunzione del giudizio di rinvio.
Per le stesse ragioni sopra illustrate, ci sembra che, in caso di mancata riassunzione del giudizio in
sede di rinvio, a seguito di cassazione con rinvio della sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto
31
In Giust. civ. 2001,I, 2211.
V. Cass. 3 dicembre 1996, n. 10800. Pertanto, prima della detta scadenza, il decreto ingiuntivo, che non sia già munito di
efficacia esecutiva, non costituisce titolo per l’esercizio dell’azione esecutiva.
32
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ingiuntivo, non si estingua l’intero giudizio, ma possa trovare applicazione l’art. 653 c.p.c., che
ripone la sua ragion d’essere nella natura stessa del decreto di ingiunzione (quella, cioè, di una
condanna con riserva), sicché all’estinzione del procedimento di rinvio per mancata riassunzione
consegue la definitiva cristallizzazione dell’efficacia esecutivo del decreto medesimo.
In questo senso, sia pure con diverse motivazioni, Cass. 25 marzo 2003, n. 4378, che ha ritenuto “prevalente” l’art. 653
rispetto all’art. 393 c.p.c., applicando il quale l’estinzione avrebbe travolto lo stesso procedimento monitorio e la stessa
efficacia esecutiva del decreto.
Ma Cass. 20 maggio 2004, n. 9626, ha ritenuto che l’accertamento immediatamente esecutivo della pretesa sostanziale
fatta valere nel procedimento d’ingiunzione, se pure perdura nel corso del giudizio di opposizione, può essere superato
dalla sentenza che decide la stessa opposizione, ove questa sia accolta, dato che la sentenza di accertamento negativo si
sostituisce completamente al decreto ingiuntivo (il quale viene eliminato dalla realtà giuridica), con la conseguenza che
gli atti di esecuzione già compiuti restano caducati, analogamente a quanto accade nei casi di riforma o cassazione di
sentenza impugnata (artt. 336, 353, 354 c.p.c.) e di revoca di provvedimento cautelare a seguito di reclamo (art. 669terdeciesc.p.c.), a prescindere dal passaggio in giudicato della medesima sentenza di accoglimento dell’opposizione.
Ma il discorso deve essere approfondito.
Occorre chiedersi quale sia l’effetto della estinzione del giudizio di rinvio sul decreto ingiuntivo già
oggetto di opposizione e, in particolare, se può dirsi ancora sussistente, e possa comunque invocarsi,
la qualità di titolo esecutivo che l’ingiunzione aveva, in ipotesi, già acquisito e, dall’altro, va
scrutinata la possibilità di invocare l’art. 653, comma primo, c.p.c. , nella parte in cui dispone che,
dichiarata con ordinanza l’estinzione del processo, “il decreto, che non ne sia già munito, acquista
efficacia esecutiva”.
E’ ben noto che il titolo esecutivo giudiziale “provvisorio” (quale deve essere considerato il decreto
ingiuntivo dichiarato provvisoriamente esecutivo avverso il quale sia stata proposta opposizione)
può essere sottoposto ad una serie di vicende caducatorie, di modificazione ovvero sospensive, in
relazione alle vicende che possono, caso per caso, verificarsi. Si pensi, ad esempio, alla disposta
sospensione della provvisoria esecutorietà ex art. 649 c.p.c., ovvero all’accoglimento
dell’opposizione all’ingiunzione (che, anche se parziale, comporta sempre la revoca del decreto
ingiuntivo, come disposto dall’art. 653, comma secondo, c.p.c.).
Se, a seguito dell’accoglimento del gravame, il giudice d’appello ha revocato il decreto ingiuntivo,
la revoca (a differenza della sospensione) comporta certamente la caducazione ex tunc del titolo
esecutivo.
Una volta caducato il titolo esecutivo, è da escludere qualsiasi “reviviscenza” del titolo caducato,
anche a seguito del successivo annullamento del provvedimento (in questo caso, della sentenza) di
revoca.
Il principio è chiaramente formulato con riferimento alla sentenza di primo grado provvisoriamente
esecutiva ex lege, che sia stata annullata all’esito del giudizio appello (v., ad esempio, Cass. 13
maggio 2002, n. 6911 e, con riferimento all’annullamento della sentenza d’appello da parte della
Corte di Cassazione v. Cass. 30 luglio 1986, n. 4889; nel senso che la sentenza di primo grado,
vanificata dall’effetto sostitutivo proprio della riforma disposta dalla sentenza di secondo grado,
non può ritenersi ripristinata per effetto della cassazione della sentenza di appello si vedano Cass.
18 ottobre 2004, n. 20428, Cass. 18 agosto 2003 n. 12089, 4 dicembre 2002 n. 17221).
Alla stessa conclusione deve pervenirsi anche per il decreto ingiuntivo, che, ai sensi dell’art. 653,
comma secondo, c.p.c. , deve essere sempre revocato in caso di accoglimento, anche solo parziale,
dell’opposizione.
La revoca del decreto ingiuntivo da parte del giudice d’appello comporta la definitiva caducazione
della qualità di titolo esecutivo.
Occorre, a questo punto, chiedersi se, a seguito dell’estinzione del processo conseguente alla
mancata instaurazione del giudizio di rinvio o della sopravvenuta estinzione del giudizio di rinvio,
possa essere invocato l’art. 653, primo comma, c.p.c. , al fine di far conseguire l’esecutorietà del
decreto.
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Ci sembra che l’art. 653 cit. possa essere invocato solo per far conseguire, per la prima volta, al
decreto l’esecutorietà di cui esso non sia, in ipotesi, munito. L’espressione “che non ne sia già
munito” è da interpretare nel senso che la norma può operare solo nell’ipotesi in cui il decreto
ingiuntivo non abbia mai acquisito la qualità di titolo esecutivo e non per “riattribuire” al decreto
l’efficacia esecutiva venuta meno nel corso del processo.
Anche a voler prescindere da questo rilievo, occorre interrogarsi circa l’operatività dell’art. 653 cit.,
alla luce del principio formulato da Cass. 11 maggio 2005, n. 9876, secondo cui, qualora alla
pronuncia del decreto sia seguita opposizione, questa sia stata accolta, e la sentenza di merito sia
stata a sua volta cassata con rinvio, alla mancata riassunzione del giudizio in sede di rinvio
consegue non l’estinzione dell'intero procedimento, giusta il disposto dell'art. 393 c.p.c., bensì
l’applicazione della specifica disciplina di cui al successivo art. 653, a mente del quale in caso di
estinzione del processo di opposizione "il decreto che non ne sia già munito acquista efficacia
esecutiva", che ripone la sua ragion d'essere nella natura di condanna con riserva del decreto
d'ingiunzione, sicché all'estinzione del procedimento di rinvio per mancata riassunzione consegue
l'efficacia esecutiva del decreto medesimo.
A parer nostro, se il decreto ingiuntivo è stato integralmente revocato sull’an e l’opposizione
accolta, una volta revocato, il decreto ingiuntivo non può “risorgere”, a seguito della successiva
cassazione con rinvio, per la stessa ragione per la quale non può “risorgere” la sentenza di primo
grado che sia stata in toto annullata in appello, a seguito della cassazione di quest’ultima.
In sostanza, anche al decreto ingiuntivo deve applicarsi il principio che, una volta caducato, il
decreto non può “rivivere”, in quanto definitivamente posto nel nulla a seguito della revoca. Del
resto, il principio si armonizza con i criteri che governano il rapporto tra decreto ingiuntivo e
sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione. Il decreto sopravvive, e può acquisire l’efficacia
esecutiva, solo a condizione che non sia stato revocato (che, cioè, l’opposizione non sia stata accolta
nemmeno in parte).
Il principio delle Sezioni Unite
Cass. Sez. Un. 22 febbraio 2010, n. 4071, in relazione agli effetti del giudizio di rinvio sul giudizio
di opposizione a decreto ingiuntivo, ha formulato i seguenti principi: a) l’estinzione del giudizio di
rinvio, conseguente a cassazione di una decisione di rigetto, in primo grado o in appello,
dell'opposizione proposta contro un decreto ingiuntivo, fa passare in giudicato il decreto opposto,
secondo quanto prevede l'art. 653 c.p.c., comma 1; b l’estinzione del giudizio di rinvio, conseguente
a cassazione di una decisione di accoglimento, in primo grado o in appello, dell'opposizione
proposta contro un decreto ingiuntivo, estingue l'intero processo, secondo quanto prevede l'art. 393
c.p.c.; nè a queste conclusioni è di ostacolo la considerazione per gli effetti vincolanti che l'art. 393
c.p.c. riconosce alla sentenza di cassazione con rinvio, "anche nel nuovo processo che sia instaurato
con la riproposizione della domanda" dopo l'estinzione del processo; infatti, l'effetto di vincolo che
dalla sentenza di cassazione con rinvio può derivare è solo quello riconosciuto dall'art. 384 c.p.c.
all'enunciazione del principio di diritto e alle statuizioni sul processo contenute nella decisione della
corte e dunque il decreto opposto non può risultare privato di efficacia senza il previo accertamento
dei fatti che la Corte di cassazione non può conoscere.
Cass. 6 aprile 2011, n. 7871: In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, dopo l'estinzione del
procedimento per mancata riassunzione in sede di rinvio disposto dalla Corte di cassazione a
seguito di un pregresso accoglimento di merito dell'opposizione stessa, il diritto dell'ingiunto - che
abbia nelle more pagato - a ripetere le somme corrisposte in virtù del monitorio può legittimamente
essere accertato in via incidentale dal giudice investito dell'opposizione all'esecuzione intentata
dall'ingiunto stesso per recuperare quanto pagato.
22
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***
10. Il rigetto dell’opposizione.
Nel caso in cui l’opposizione venga rigettata, con conseguente dichiarazione, nella stessa sentenza
di merito, di legittimità del decreto ed esistenza del diritto e della sua insoddisfazione a suo tempo
fatti valere in sede monitoria, il decreto acquista – ove non l’abbia già – efficacia esecutiva, secondo
quanto dispone il primo comma dell’art. 653 c.p.c.
L’essere qui titolo esecutivo il decreto e non la sentenza deriva da ciò che, in ordine al contenuto
della sanzione esecutiva, il secondo provvedimento nulla aggiunge al primo e, pertanto, la norma
non ha ravvisato l’opportunità della “sostituzione” del titolo esecutivo.
Il giudizio introdotto con la proposizione di un’opposizione a decreto ingiuntivo, e concluso con il
rigetto della medesima e con il conseguente accoglimento della domanda di condanna proposta con
ricorso nella fase monitoria, costituisce, secondo Cass. 8 agosto 1997, n. 7354, una “struttura
procedimentale essenzialmente unitaria” (pur essendo il procedimento per ingiunzione
caratterizzato da autonome fasi di apertura – presentazione del ricorso – e di chiusura – notifica del
decreto ingiuntivo).
L’efficacia esecutiva conseguente alla sentenza di rigetto dell’opposizione, provvisoriamente
esecutiva per legge, opera, secondo Cass. 13 aprile 1999, n. 3607, tanto nell’ipotesi in cui il decreto
sia privo ab origine di clausola di provvisoria esecuzione, quanto in quella in cui ne sia privato in
corso di causa con provvedimento di sospensione del giudice dell’opposizione.
La sentenza di rigetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo, secondo App. Roma 9 aprile 2002 33,
non è una sentenza meramente dichiarativa, in quanto assieme al decreto ingiuntivo opposto,
costituisce un unico titolo esecutivo, con la conseguenza che la sua efficacia esecutiva può essere
sospesa in appello, ex art. 282 c.p.c.34.
La liquidazione delle spese.
Con la sentenza di rigetto dell’opposizione il giudice liquida le spese relative al solo giudizio di
opposizione, giacché quelle liquidate nell’ingiunzione restano ferme, unitamente al contenuto della
stessa.
***
11. Accoglimento parziale o integrale dell’opposizione.
Se l’opposizione è accolta solo in parte, la sentenza, e non il decreto, è titolo esecutivo, giacché esso
non solo accerta il diritto insoddisfatto, ma infligge una sanzione esecutiva che ha contenuto diverso
da quello del decreto, pur se, coerentemente, la legge (art. 653, secondo comma, c.p.c.) dispone che
gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti in cui la
sanzione esecutiva era stata già legittimamente inflitta dal decreto.
Il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente, un’eccezione di pagamento formulata dall’opponente
(che è gravato dal relativo onere probatorio) con l’atto di opposizione o nel corso del giudizio, secondo Cass. 29
gennaio 2004, n. 1657, deve comunque revocare in toto il decreto opposto, senza che rilevi in contrario l’eventuale
posteriorità dell’accertato fatto estintivo rispetto al momento di emissione del decreto suddetto, sostituendosi la
sentenza di condanna al pagamento di residui importi del credito all’originario decreto ingiuntivo.
33
In Giur. rom. 2002, 292.
Nella specie, è stata accolta l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata, essendosi ritenuto che il
pregiudizio che avrebbe subito l’istante, nel caso di rigetto dell’istanza ma di accoglimento dell’appello, sarebbe stato
grandemente superiore rispetto a quello dell’appellato, nel caso di accoglimento dell’istanza e rigetto dell’appello.
34
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Se l’opposizione viene integralmente accolta, il decreto ingiuntivo è revocato dalla relativa sentenza
e gli atti esecutivi eventualmente compiuti sono caducati immediatamente, a prescindere dal
passaggio in giudicato della sentenza.
La sentenza di accertamento negativo, secondo Cass. 20 maggio 2004, n. 9626, si sostituisce completamente al decreto
ingiuntivo (il quale viene eliminato dalla realtà giuridica), con la conseguenza che gli atti di esecuzione già compiuti
restano caducati, analogamente a quanto accade nei casi di riforma o cassazione di sentenza impugnata e di revoca di
provvedimento cautelare a seguito di reclamo, a prescindere dal passaggio in giudicato della medesima sentenza di
accoglimento dell’opposizione; questa conclusione trova conferma anche nella disposizione dell’art. 653, comma 2,
c.p.c., per cui, se l’opposizione è accolta solo in parte, il titolo esecutivo è costituito esclusivamente dalla sentenza, ma
gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti “nei limiti della somma o della quantità
ridotta”, conseguendone che se la somma o la quantità è azzerata, come avviene nel caso di accoglimento totale
dell’opposizione, non può materialmente verificarsi alcuna conservazione, neanche ridotta, degli atti esecutivi già
compiuti, con la conseguenza che l’opponente può immediatamente chiedere la restituzione dell’intera somma (o
quantità) già versata (oppure la restituzione della cosa mobile già consegnata).
Pagamento della somma ingiunta.
L’opposizione deve essere accolta (per cessazione della materia del contendere) e il decreto
revocato anche quando il debitore, dopo il deposito in cancelleria del ricorso per ingiunzione, abbia
pagato parte della somma e la restante parte dopo la notifica del decreto 35.
Allorché il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel decreto ingiuntivo, comprensiva
degli interessi e delle spese processuali liquidate nel decreto stesso, il creditore, secondo Cass. 11
maggio 1995, n. 5159 36, non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base
del (lo stesso) decreto, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo l’emissione del
decreto e necessarie per la notificazione di questo (dovendo per tali spese, esperire l’azione di
cognizione ordinaria).
Anche se il pagamento della somma ingiunta è stato effettuato dopo l’emissione dell’ingiunzione, il
decreto ingiuntivo deve essere revocato e la sentenza di condanna al pagamento di eventuali residui
importi si sostituisce all’originario decreto 37.
Ma, Cass. 12 dicembre 1998, n. 12521, ha ritenuto che il decreto ingiuntivo va revocato solo quando risulti la
fondatezza anche solo parziale dell’opposizione con riferimento alla data di emissione del decreto (ferma restando
l’opponibilità del pagamento, anche parziale, se il creditore si avvalga del decreto non revocato come titolo esecutivo).
Qualora il debitore adempia l’obbligazione in parte successivamente al deposito del ricorso per ingiunzione, ma prima
della notificazione del decreto, e, quindi, per il residuo, successivamente alla detta notificazione, il giudice
dell’opposizione, secondo Cass. 13 giugno 1997, n. 5336 38, è tenuto a revocare il decreto, dichiarando cessata tra le
parti la materia del contendere e compensando integralmente le spese di lite.
In definitiva, ogni pagamento, anche parziale, intervenuto nel corso del relativo giudizio impone la
revoca del decreto opposto e l’emissione di sentenza che, sostituendosi al decreto, pronuncia nel
merito con eventuale condanna per la parte residua del debito non estinto, ove il diritto del creditore
risulti provato39.
Spetta, poi, al giudice dell’opposizione valutare, anche in relazione al profilo temporale, il o i
pagamenti nelle more intervenuti, ai fini della liquidazione delle spese.
. Gli “atti di esecuzione” già compiuti.
35
In questo senso Cass. 13 giugno 1997, n. 5336.
In Giur. it. 1996, I, 1, 202.
37
In questo senso Cass. sez. un. 7 luglio 1993, n. 74478, in Giust. civ. 1993, I, 2041; Cass. 25 maggio 1999, n. 5074.
38
In Giur. it. 1998,1838.
39
In questo senso Cass. 15 luglio 2002, n. 10229.
36
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In caso di parziale accoglimento dell’opposizione, il titolo esecutivo è costituito solo dalla sentenza,
ma gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto conservano i loro effetti nei limiti della
somma o della quantità ridotta.
Nel concetto di “atti di esecuzione già compiuti in base al decreto”, dei quali, appunto, l’art. 653,
secondo comma, c.p.c., prevede la conservazione degli effetti, rientrano non soltanto gli atti del
processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti dell’esecutività del decreto, compresa l’ipoteca
iscritta sulla base dell’esecutività del decreto stesso.
La ratio della norma ci sembra diretta a mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la posizione
e la protezione del creditore 40.
Dall’accoglimento, anche parziale, dell’opposizione deriva, secondo Cass. 12 febbraio 1994, n.
1421, la nullità opelegis dell’ingiunzione, alla quale si sostituisce la sentenza pronunciata
sull’opposizione stessa, sicché non è consentito al giudice dell’opposizione confermare il decreto
ingiuntivo entro i limiti in cui la statuizione in esso contenuta non sia stata modificata.
Il precetto, ancorché non costituisca atto di esecuzione in senso proprio, rientra, secondo Cass. 11
maggio 1991, n. 5274, negli atti esecutivi già compiuti che la norma in esame fa salvi nel caso di
accoglimento parziale dell’opposizione all’ingiunzione.
Nel senso che, nel concetto di atti di esecuzione già compiuti in base al decreto, dei quali l'art. 653,
secondo comma, c.p.c. prevede la conservazione degli effetti nei limiti della somma o della quantità
ridotta, rientrano non soltanto gli atti del processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti
dell'esecutività del decreto, e, dunque, anche l'ipoteca iscritta sulla base dell'esecutività del decreto
stesso, attesa la ratio della disposizione, tesa a mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la
posizione e la protezione del creditore, si veda Cass. 25 settembre 2003, n. 14234.
Ordine di cancellazione dell’ipoteca giudiziale.
Il giudice dell’opposizione, quando revoca il decreto ingiuntivo deve ordinare, anche d’ufficio, la
cancellazione dell’ipoteca giudiziale iscritta in forza del decreto a norma dell’art. 655 c.p.c. 41.
Nell’ipotesi in cui l’opposizione a decreto ingiuntivo venga totalmente accolta per l’inesigibilità del
credito al momento della sua emissione, con conseguente declaratoria di nullità e revoca del
decreto, questo, secondo Cass. 5 giugno 1997, n. 5007 42, perde ogni efficacia, onde risultano
invalidi tutti gli atti esecutivi eventualmente compiuti, ivi compresa l’iscrizione ipotecaria della
quale deve ordinarsi la cancellazione, restando esclusa la possibilità di conservarne gli effetti anche
quando, per la sopravvenuta cessazione della causa di inesigibilità, la domanda sia egualmente
accolta nel merito con la sentenza che definisce il giudizio, atteso che la conservazione degli effetti
degli atti esecutivi, nei limiti della somma ridotta, è prevista dall’art. 653, secondo comma, (con
disposizione non estensibile oltre il caso in essa considerato, costituendo deroga al principio della
radicale caducazione degli effetti dell’atto dichiarato nullo o revocato) nel solo caso in cui
l’opposizione sia accolta solo in parte, senza che al riguardo si pongano dubbi di costituzionalità
sotto il profilo degli artt. 3 e 24 Cost., stante la non omogeneità delle situazioni poste a raffronto.
L’ordine di cancellazione è eseguibile solo con il passaggio in giudicato della pronuncia che lo
contiene.
L’ordine di cancellazione, nel caso di totale invalidità e revoca del decreto ingiuntivo, per difetto del requisito
dell’esigibilità del credito, è eseguibile, secondo Cass. 21 marzo 1997, n. 2552, solo con il passaggio in giudicato della
pronuncia che lo contiene, considerando che gli atti esecutivi, compiuti in base al decreto stesso, non sono
immediatamente caducati dalla sentenza che ne disponga la revoca (in analogia di quanto si verifica nell’ipotesi di
riforma in appello della sentenza esecutiva di primo grado, e senza che possano invocarsi le regole poste dall’art. 653,
40
V. Cass. 17 ottobre 1991, n. 10945, che ne fa conseguire il diritto del creditore al rimborso della spesa per l’iscrizione
ipotecaria, pure in presenza di revoca parziale del decreto ingiuntivo.
41
V. Cass. 15 maggio 1990, n. 4163. Nella specie, la revoca è stata determinata dal difetto del requisito dell’esigibilità del
credito.
42
In Giur. it. 1998, 14 e ss.
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comma 2, c.p.c., riguardanti la diversa ipotesi in cui l’opposizione sia parzialmente accolta per eccedenza quantitativa
della domanda originaria rispetto alla prestazione effettivamente dovuta).
Nello stesso senso già Cass. 15 maggio 1990, n. 4163 43.
Dal caso di totale revoca del decreto ingiuntivo, in presenza della quale l’ordine di cancellazione
dell’iscrizione è eseguibile, come detto, solo con il passaggio in giudicato della pronuncia che lo
contiene, va tenuto distinto il caso in cui l’opposizione è solo parzialmente accolta. In quest’ultima
ipotesi, si è già visto che l’art 653 c.p.c., secondo comma, dispone che gli atti di esecuzione già
compiuti – e, quindi, anche l’ipoteca iscritta sulla base dell’esecutività del decreto stesso
conservano i loro effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta.
In altri termini, l’art. 653, secondo comma, c.p.c., ove dispone, in caso di accoglimento parziale
dell’opposizione avverso il decreto ingiuntivo, che gli atti di esecuzione già compiuti in base al
decreto conservano i loro effetti nei limiti della somma portata dalla sentenza di accoglimento, deve
ritenersi applicabile anche alle iscrizioni ipotecarie, sussistendo la stessa esigenza di mantenere
integra, in quei limiti, la posizione del creditore.
Nel concetto di atti di esecuzione (già compiuti in base al decreto), dei quali l’art. 653, secondo comma, prevede la
conservazione degli effetti nei limiti della somma o della quantità ridotta, rientrano, secondo Cass. 17 ottobre 1991, n.
10945 44, non soltanto gli atti del processo di esecuzione, ma tutti i possibili effetti dell’esecutività del decreto, e,
dunque, anche l’ipoteca iscritta sulla base dell’esecutività del decreto stesso, attesa la ratio della disposizione citata, tesa
a mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la posizione e la protezione del creditore; pertanto, il creditore ha
diritto al rimborso della spesa per l’iscrizione ipotecaria, pur in presenza di revoca parziale del decreto ingiuntivo.
Anche Cass. 25 settembre 2003, n. 14234, ha ribadito lo stesso principio, richiamando la ratio della norma, tesa a
mantenere integra, nei limiti del credito ridotto, la posizione e la protezione del creditore.
Con circolare n. 6/2004, prot. n. 61184, la Direzione Agenzia del Territorio ha accolto il principio
che la sentenza con cui, nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, viene
accertato un minor importo del credito originariamente ingiunto – ancorché non passata in giudicato
– possa costituire titolo idoneo per l’esecuzione dell’annotazione di riduzione di somma,
nell’ipotesi in cui la domanda di annotazione sia presentata dal creditore ipotecario.
***
12. OPPOSIZIONE
TARDIVA.
CONOSCENZA ANTERIORE.
FASE
DI AMMISSIBILITÀ E ONERE PROBATORIO SULLA EVENTUALE
I presupposti di accesso all’opposizione in esame sono costituiti dall’irregolarità della notificazione,
dal caso fortuito e dalla forza maggiore, sempre che abbiano causalmente provocato la tardiva
conoscenza dell’ingiunzione o, a seguito del sopraricordato intervento della Corte costituzionale, la
tardiva proposizione dell’opposizione da parte dell’ingiunto cui sia stato regolarmente notificato il
decreto e che, per circostanze, come detto, indipendenti dalla sua volontà, sia stato
nell’impossibilità di agire in giudizio.
Non è, dunque, sufficiente la prova dell’irregolarità della notificazione del decreto, ovvero
dell’incidenza del caso fortuito o della forza maggiore, ma l’opponente deve dimostrare che la
mancata tempestiva conoscenza dell’ingiunzione emessa nei suoi confronti sia conseguenza di uno
degli eventi ostativi sopra richiamati.
La prova della mancata tempestiva conoscenza del decreto ingiuntivo, come conseguenza del vizio della sua
notificazione, è implicita, secondo Cass. 10 gennaio 1996, n. 147 45 e Cass. 27 gennaio 1995, n. 992, nell’ipotesi in cui
il decreto ingiuntivo sia stato notificato direttamente all’Amministrazione, anziché presso la competente Avvocatura
43
44
In Giust. civ. 1990, I, 2571.
In Giur. it. 1992, I, 1, 825 con nota di G. CHINÈ.
45
In Giur. it. 1996, I, 1, 561.
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dello Stato domiciliataria ex lege ai sensi dell’art. 11 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, in quanto tale fatto implica la
dimostrazione dell’ovvio collegamento e del nesso di causalità tra tardiva conoscenza del decreto ingiuntivo e vizio
della notificazione.
Ma, Cass. sez. un. 12 maggio 2005, n. 9938 46, sempre nel caso di nullità della notificazione dell’ingiunzione per essere
stata effettuata all’amministrazione, anziché all’Avvocatura dello Stato che la difende ex lege, ha affermato il principio
che, ai fini dell’ammissibilità dell’opposizione tardiva, l’amministrazione ingiunta ha l’onere di fornire la prova non
soltanto della mancata conoscenza del provvedimento monitorio, ma anche della non tempestività della conoscenza
medesima, non potendo questa prova esaurirsi nella nullità della notificazione.
L’irregolarità della notificazione si risolve in vizi derivanti dall’inosservanza delle disposizioni
contenute negli artt. 139 e ss. c.p.c.
Si pensi alla notificazione eseguita presso un luogo che abbia riferimento con il destinatario, con
consegna della copia a persona diversa da quelle indicate dalla legge.
Cass. sez. un. 22 giugno 2007, n. 14572, ha ribadito il principio che, ai fini della legittimità dell'opposizione
tardiva a decreto ingiuntivo, non è sufficiente l'accertamento dell'irregolarità della notificazione del
provvedimento monitorio, ma occorre, altresì, la prova – il cui onere incombe sull'opponente – che a causa di
detta irregolarità egli, nella qualità di ingiunto, non abbia avuto tempestiva conoscenza del suddetto decreto e
non sia stato in grado di proporre una tempestiva opposizione; tale prova deve considerarsi raggiunta ogni
qualvolta, alla stregua delle modalità di esecuzione della notificazione del richiamato provvedimento, sia da
ritenere che l'atto non sia pervenuto tempestivamente nella sfera di conoscibilità del destinatario; ove la parte
opposta intenda contestare la tempestività dell'opposizione tardiva, in relazione all’irregolarità della
notificazione così come ricostruita dall'opponente, sulla stessa ricade l'onere di provare il fatto relativo
all'eventuale conoscenza anteriore del decreto da parte dell'ingiunto che sia in grado di rendere l'opposizione
tardiva intempestiva e, quindi, inammissibile 47.
Il caso fortuito e la forza maggiore poggiano sull’imprevedibilità e sull’inevitabilità dell’evento, che
deve sempre essere incolpevole.
Cass. 15 marzo 2001, n. 3769, parla di “vicende costituite da una forza esterna ostativa in modo assoluto alla
conoscenza dell’atto ed in un fatto di carattere oggettivo, avulso dalla volontà umana e causativo dell’evento per forza
propria”.
La forza maggiore e il caso fortuito sono state, invece, escluse:
a. nell’ipotesi di mancata conoscenza del decreto determinata da assenza dalla propria residenza, essendo
l’allontanamento un fatto volontario ed essendo imputabile all’assente il mancato uso di cautele idonee a permettere la
ricezione o almeno la conoscenza del contenuto delle missive pervenutegli nel periodo di assenza 48;
Ma Trib. Trani 19 aprile 2001 49 ha ritenuto ammissibile l’opposizione tardiva quando, pur in presenza di una
notificazione formalmente regolare, l’intimato non sia stato in grado di conoscere il decreto ingiuntivo perché assente
per ferie.
b. in caso di ignoranza, che non configura né una causa di forza maggiore (da intendere come forza esterna ostativa in
assoluto), né un caso fortuito (da intendere come fattore meramente oggettivo, avulso dalla volontà umana, non voluto,
né prevedibile o comunque evitabile) 50.
46
In Guida al dir. 2005, n. 29, 48 e ss.
Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata ravvisata l'ammissibilità di
un'opposizione tardiva a decreto ingiuntivo irregolarmente notificato nei confronti di un'amministrazione statale, in relazione
all'art. 144 c.p.c., presso l'Avvocatura generale dello Stato anziché presso quella distrettuale legittimata quale destinataria
dell'atto, in virtù dell'art. 11 del r.d. n. 1611 del 1933, senza che l'opposto, che aveva contestato l'irregolarità della
notificazione, fosse riuscito a provare che la stessa notificazione era stata effettuata anteriormente in modo valido, in modo da
rendere l'opposizione formulata ai sensi dell'art. 650 c.p.c. inammissibile.
48
V. Cass. 15 marzo 2001, n. 3769 e Cass. 5 giugno 1998, n. 5584. Nella specie, la notificazione del decreto era avvenuta
a mezzo del servizio postale, mediante deposito e giacenza del plico presso l’ufficio postale, durante un lungo arco di tempo
nel quale l’ingiunto era rimasto assente dalla propria abitazione senza adottare idonee cautele in ordine alla ricezione della
corrispondenza.
49
In Giur. it. 2002, 535.
50
V. Cass. 19 dicembre 2000, n. 15959.
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Ai fini della legittimità dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, non è sufficiente
l’accertamento dell’irregolarità della notificazione del decreto, occorrendo la prova – il cui onere
grava sull’opponente – che, proprio a cagione della nullità della notificazione, l’ingiunto non ha
avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
L’opponente è tenuto a specificare i motivi posti a fondamento dell’opposizione e che il giudice è
chiamato ad accertare preliminarmente i profili di ammissibilità dell’opposizione, se del caso
rimettendo immediatamente la causa in decisione, ai sensi dell’art. 187, terzo comma, c.p.c.,
laddove la questione sia idonea a condurre subito alla declaratoria d’inammissibilità
dell’opposizione ovvero disponendo che la questione sia decisa unitamente al merito, dando corso
all’istruttoria e, se del caso, sospendendo l’esecutorietà a norma dell’art. 649 c.p.c. (possibilità,
quest’ultima, espressamente contemplata nel secondo comma dell’art. 650).
Si applicano, per il resto, le stesse norme dell’opposizione tempestiva, sulla base del rito imposto
dalla natura della controversia
Cass. 21 giugno 2012, n. 10386: Ai fini della legittimità dell'opposizione tardiva a decreto
ingiuntivo (di cui all'art. 650 cod. proc. civ.) non è sufficiente l'accertamento dell'irregolarità della
notificazione del provvedimento monitorio, ma occorre, altresì, la prova - il cui onere incombe
sull'opponente - che a causa di detta irregolarità egli, nella qualità di ingiunto, non abbia avuto
tempestiva conoscenza del suddetto decreto e non sia stato in grado di proporre una tempestiva
opposizione. Tale prova deve considerarsi raggiunta ogni qualvolta, alla stregua delle modalità di
esecuzione della notificazione del richiamato provvedimento, sia da ritenere che l'atto non sia
pervenuto tempestivamente nella sfera di conoscibilità del destinatario. Ove la parte opposta intenda
contestare la tempestività dell'opposizione tardiva, in relazione alla irregolarità della notificazione
così come ricostruita dall'opponente, sulla stessa ricade l'onere di provare il fatto relativo
all'eventuale conoscenza anteriore del decreto da parte dell'ingiunto che sia in grado di rendere
l'opposizione tardiva intempestiva e, quindi, inammissibile.
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