CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line ITER V Romanorum mores L’onomastica latina Il sistema onomastico dei tria nomina Il testo che hai letto all’inizio di questo Iter è tratto dall’Ars grammatica di Diomede, grammatico vissuto nel IV secolo d.C., il quale fissa in maniera precisa il vocabolario tecnico dell’onomastica latina. Questo sistema onomastico è quello che si diffonde nella seconda età repubblicana e contraddistingue circa quattro secoli di storia romana, dal III sec. a.C. al I sec. d.C. Dal testo di Diomede emerge chiaramente che al centro del sistema onomastico latino c’è il nomen gentilicium o anche, semplicemente, nomen, ossia il «nome» per eccellenza, quello che rivela l’appartenenza di un individuo a una determinata gens o gruppo familiare. È in pratica l’equivalente del nostro «cognome». A partire dal nomen sono poi definiti gli altri elementi della formula onomastica. Il praenomen è infatti letteralmente «ciò che sta prima del nome». Esso svolge la funzione che ha per noi il nome di battesimo, ossia quello di distinguere il singolo all’interno della famiglia. Lo scrittore Varrone cita fino a 32 di questi prenomi che erano usati anticamente: nell’età classica si ridussero a 14 (Aulus, Gaius, Gnaeus, Lucius, Manlius, Marcus, ecc.); Il cognomen, invece, è «ciò che accompagna il nomen» e costituisce il terzo elemento della formula; approssimativamente equivale al nostro «soprannome» e serviva inizialmente per meglio identificare un individuo di particolar importanza all’interno della gens. In un secondo tempo - dato il carattere ereditario che assume - serve a distinguere i diversi rami di una gens alle ampie dimensioni. La sequenza praenomen – nomen – cognomen costituisce la formula dei tria nomina, che rappresenta, insieme all’indicazione della tribù e del nome del padre, la carta d’identità del nobile romano. Poteva tuttavia capitare che questa formula si arricchisse in alcuni casi, di un ulteriore elemento, come l’agnomen, ossia «ciò che si aggiunge al nomen». Si tratta in sostanza di un secondo soprannome acquisito da un uomo in età adulta a perenne memoria di qualche impresa che aveva compiuto, come il caso di Publio Cornelio Scipione “Africano”, così chiamato in quanto vincitore dei Cartaginesi a Zama nel 202 a.C. CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line Tra le altre ragioni che potevano indurre all’attribuzione di un gnome c’era l’adozione. La persona che era adottata assumeva i tria nomina del padre adottivo, ma poteva conservare il ricordo della famiglia d’origine attraverso un agnomen costituito dalla forma aggettivale del gentilizio originale aggiungendo il nome della propria gens con la terminazione -anus (ad esempio il figlio di Caio Ottavio, adottato da Caio Giulio Cesare, si chiamava Caius Iulius Caesar Octavianus). Va però evidenziato che gli gnome - o quanto meno quelli ex victis gentibus, come visto sopra - erano probabilmente assunti in via non ufficiale e non erano dunque indicati nei documenti pubblici. Lo stesso termine agnomen, inoltre, fu utilizzato soltanto dai grammatici di epoca tarda, senza mai essere impiegato nei testi latini di età repubblicana (sia iscrizioni sia fonti letterarie), probabilmente, quindi,fino alla prima età imperiale quelli che i grammatici chiamano agnomina erano sentiti dai romani come doppi cognomina. La donna, invece, portava solo il nomen, il gentilizio del padre al femminile (ad esempio, la figlia di Caio Giulio Cesare si chiamava Giulia); se le figlie erano due si distinguevano con gli aggettivi maior e minor. I liberti, gli schiavi liberati, prendevano il prenome e il nome del loro patrono e aggiungevano il loro nome di schiavi (ad esempio Marcus Tullius Tiro, lo schiavo dotto di Cicerone). Chi schiavi erano in genere appellati con un aggettivo che indicava la loro patria (ad esempio Afer, Syrus, Aegypta, ecc.). Le abbreviazioni del nome Le abbreviazioni dei principali praenomen erano le seguenti: A. = Aulus (Aulo) App. = Appius (Appio) G. o C. = Gaius (Gaio) Cn. = Gnaeus (Gneo) D. = Decimus (Decimo) L. = Lucius (Lucio) M. . = Marcus (Marco) M’ = Manius (Manio, Manlio) N. = Numerius (Numerio) P = Publius (Publio) Q. = Quintus (Quinto) S. = Sextus (Sesto) CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line Serv. Sp. T. Ti. = Servius (Servio) = Spurius (Spurio) = Titus (Tito) = Tiberius (Tiberio) V. = Vibius (Vibio) Le origini dei nomi I nomi dei Romani hanno spesso un’origine agreste, come per esempio Agricola («agricoltore»), Fabius, Fabia, Fabullus, Fabulla (da faba, «fava»), Caepio (da caepa, «cipolla»), Cicero (da cicer, «cece»), Florus, Flora (da flos, «fiore»), Silvius, Silvia (da silva, «selva, bosco»), Vitellius (da vitellus, «vitellino»), Asinius (da asinus, «asino»), Ovidius (da ovis, «pecora»), Gracchus (da graculus, «cornacchia»), Catullus, Catulus (da catulus, «cagnolino»), Cornelio, Cornelia, Cornutus, Cornificius (connessi con cornu, «corno»), ecc. Altri nomi, invece, derivano da qualità fisiche o morali, come Caius (da gaius, «gaio»), Felix, («felice»), Pulcher («bello»), Calvus («calvo»), Dentatus («che ha denti»), Rufus («rossiccio, fulvo»), Flavius (da flavus, «biondo»), Crispo («crespo, riccioluto»), Balbus («balbuziente»), Celer («celere, veloce»), Naso (da nasus, «naso»), Lentulus (da lentus, «lento»), Commodus («comodo»), Macer («magro»), Tacitus («taciturno»), Flaccus («fiacco»), Claudio (da claudus, «zoppo»), Bibaculus («gran bevitore»), Bibulus («che beve volentieri», «sempre assetato»), Probus («onesto»), Prudentius (da prudens, «prudente»), ecc.