CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line ITER II Romanorum mores L’istruzione a Roma Fino al II secolo a.C. a Roma non vi furono scuole. Era il paterfamilias che curava direttamente l’educazione e l’istruzione dei propri figli. La preparazione era limitata a fornire i rudimenti della grammatica e dell’aritmetica e si trasmettevano i valori fondamentali del mos maiorum, «le tradizioni degli antenati.» In seguito, quando Roma estese il suo dominio sull’Italia centro-meridionale, le famiglie più ricche e importanti iniziarono ad affidare i loro figli a un maestro privato, generalmente un liberto o uno schiavo istruito, il paedagogus, «il precettore privato», che era quasi sempre un greco. Le famiglie che non potevano permettersi un maestro privato mandavano i propri figli alle scuole elementari pubbliche (ludi litterarum), dove potevano seguire le lezioni di un maestro. Tali scuole erano aperte a tutti, ma non erano finanziate dallo Stato: le spese erano sostenute dalle famiglie che pagavano una retta mensile. Il primo maestro che aprì una scuola pubblica fu Spurio Carvilio intorno al II secolo. Le prime scuole finanziate dallo Stato sorsero durante la dinastia Flavia (69-81 d.C.) e il primo insegnante a essere stipendiato dall’imperatore fu Quintiliano, che riceveva da Vespasiano uno stipendio di 100.000 sesterzi l’anno. Questa fu tuttavia un’eccezione, poiché i maestri di scuola elementare, i grammatici, faticavano a farsi pagare dalle famiglie dei loro studenti. I tre gradi dell’istruzione A Roma esistevano tre gradi di istruzione ai quali corrispondevano tre tipi di scuola: la scuola elementare, la scuola secondaria e la scuola di retorica. La scuola elementare era frequentata da bambini dai sette agli undici anni. Un maestro, il ludi magister, impartiva l’istruzione di base: leggere, scrivere e far di conto. L’anno scolastico durava otto mesi, a partire dalla fine di marzo fino all’autunno inoltrato, ma nei mesi più caldi era consuetudine che si concedesse agli studenti un periodo di vacanza. Ogni nove giorni, quando c’era il mercato (nundinae), gli studenti non andavano a scuola, come anche nei giorni dedicati a festività religiose e civili. CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line L’orario scolastico era di sei ore al giorno, con l’intervallo per il prandium, il «pranzo», che gli studenti consumavano a casa propria. Le lezioni si tenevano in stanze d’affitto (tabernae), o sotto portici (pergulae). Il maestro sedeva sulla cathedra, una sedia con spalliera e braccioli, mentre gli studenti sedevano dinanzi a lui su sedie o panche. Tenevano sulle ginocchia pugillares, «tavolette», o cerae, «tavolette cerate», dove appoggiavano tutto il necessario per scrivere e leggere: il papyrus, «foglio di papiro», e la pergamena, «pelle di pecora conciata.» Per scrivere usavano il calamus (la penna), l’atramentarium (il calamaio) con l’inchiostro (atramentum); avevano anche lo stilus, ovvero un bastoncino con una punta appuntita per scrivere sulle tavolette cerate e con una parte piatta come una spatola per cancellare. Il maestro disponeva di una lavagna (tabula) e di un abaco (abacus) per i calcoli. Egli manteneva l’ordine e la disciplina percuotendo gli studenti distratti e svogliati con la ferula, «bacchetta», o con il flagellum, «la sferza.» È rimasto famoso Orbilio, il mastro di Orazio, che il poeta definiva plagosus, «dallo schiaffo facile.» La scuola secondaria era frequentata da studenti di età compresa tra i dodici e i quindici anni appartenenti alle famiglie aristocratiche e a quelle più ricche. L’insegnamento era impartito dal grammaticus, il quale insegnava la lingua latina e la lingua greca leggendo e commentando gli autori delle due letterature. Fornivano, inoltre, nozioni di storia, geografia, filosofia, astronomia e fisica, che non costituivano discipline a sé, ma erano finalizzate alla comprensione dei testi latini e greci. Il primo grammaticus fu Livio Andronico, il traduttore in latino dell’Odissea di Omero. La scuola di retorica, o scuola superiore, era affidata al rhetor, il «maestro di eloquenza», che insegnava l’arte del dire a studenti tra i quindici e i diciassette anni. La prima scuola di retori latini fu aperta nel 93 a.C. da L. Plozio Gallo. Nelle scuole di retorica gli studenti apprendevano tutte le regole, le tecniche e i procedimenti per saper scrivere e parlare con arte. Dopo una lunga serie di esercizi e di esercitazioni, il rhetor sceglieva un tema e invitava gli studenti a scrivere un discorso da imparare poi a memoria e recitarlo in pubblico, esercitandosi così nell’arte della declamatio. L’eloquenza era ritenuta dai Romani indispensabile per ottenere successo, sia nella vita civile per avviare i giovani all’avvocatura e all’oratoria, sia per prepararli alla carriera politica. CARMINE DI GIUSEPPE, Carpe linguam © Medusa Editrice 2016 - Espansioni on line I giovani appartenenti alla famiglie aristocratiche completavano, infine, la loro istruzione presso le scuole di famosi maestri ad Atene, Alessandria d’Egitto, Rodi e Pergamo.