Università degli studi di Bari Aldo Moro DIPARTIMENTO INTERATENEO DI FISICA Michelangelo Merlin Corso di Laurea in Fisica di I Livello Il gauge in elettromagnetismo Relatore: Prof. Saverio Pascazio Laureando: Giovanni Anno Accademico 2014-2015 Gramegna Ai miei genitori Indice Introduzione i 1 Equazioni di Maxwell ed equazione di continuità 1 1.1 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 1.2 Sorgenti dei campi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 Caso delle sorgenti puntiformi . . . . . . . . . . . . . . 3 Equazione di continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 1.3.1 . . . 6 La forza di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6 1.2.1 1.3 1.4 L'equazione di continuità per sorgenti puntiformi 2 Decomposizione di Helmholtz 9 2.1 Teorema di Helmholtz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10 2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier . . 15 3 Potenziali elettromagnetici e trasformazioni di gauge 3.1 I potenziali elettromagnetici 3.2 Trasformazioni di gauge 18 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 18 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19 3.2.1 Il gauge di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.2.2 Il gauge di Coulomb . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23 3.2.3 Il gauge temporale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 3.2.4 Il gauge di radiazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25 4 Ruolo delle equazioni di Maxwell 21 27 4.1 Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell . . . 28 4.2 Problema di Cauchy in assenza di sorgenti 4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti . . . . . . . . . . . 29 . . . . . . . . . . 31 5 Conclusioni 33 A Sistemi di unità di misura 35 Bibliograa 39 3 Introduzione Nel 1865 il sico James Clerk Maxwell pubblica il testo of the Electromagnetic Field A Dynamical Theory in cui compaiono per la prima volta in forma dierenziale tutte le leggi dell'elettromagnetismo conosciute no ad allora. Queste leggi vennero in seguito riformulate in una forma più compatta da Oliver Heaviside nel moderno formalismo del calcolo vettoriale. Le equazioni che ne derivano, oggi note come equazioni di Maxwell , insieme alla forza di Lorentz, che esprime l'interazione di una particella carica con il campo elettromagnetico, forniscono una descrizione completa dell'interazione elettromagnetica, ragion per cui la loro risoluzione data una particolare congurazione iniziale costituisce ancora tutt'oggi oggetto di studio approfondito. In questa tesi discuterò alcuni aspetti matematici riguardanti le equazioni di Maxwell, senza per questo trascurare il signicato sico degli argomenti trattati. Nel primo capitolo introdurrò le quattro equazioni discutendone brevemente il signicato e mostrerò come da esse si possa derivare l'equazione di continuità. Introdurrò inoltre la forza di Lorentz per completare la descrizione dell'interazione elettromagnetica mediante l'equazione di MinkowskiLorentz, mostrando come essa sia, in generale, accoppiata alle equazioni di Maxwell. Il contenuto del secondo capitolo è prettamente matematico: esporrò un notevole risultato del calcolo vettoriale che va sotto il nome di decomposizione di Helmholtz, del quale mi servirò nel resto della tesi. Nel terzo capitolo introdurrò la formulazione dell'elettromagnetismo mediante i potenziali elettromagnetici: mostrerò come essi costituiscano una procedura mediante la quale si possono risolvere le equazioni di Maxwell. Illustrerò inoltre come la libertà nella scelta di questi potenziali sia in grado di semplicare le equazioni da risolvere. Nel quarto ed ultimo capitolo eettuerò uno studio più dettagliato del ruolo delle equazioni di Maxwell distinguendo le equazioni che fungono da vincolo dalle equazioni che determinano l'evoluzione temporale dei campi. i ii Nel condurre questa analisi studierò il problema di Cauchy associato alle equazioni ponendo particolare attenzione al ruolo dell'equazione di continuità nella trattazione del problema. Poiché il sistema di unità di misura che ho adottato è quello delle unità gaussiane, nell'appendice ho esposto una breve discussione sui sistemi di unità di misura, nella quale ho anche riportato un confronto tra la forma assunta dalle equazioni di Maxwell nel sistema internazionale con la forma che esse assumono nel sistema delle unità gaussiane. Capitolo 1 Equazioni di Maxwell ed equazione di continuità In questo capitolo mi sono ispirato principalmente al testo [1] riportato nella bibliograa. 1.1 Sia x Equazioni di Maxwell il vettore posizione che individua un generico punto dello spazio 3- dimensionale e sia t la variabile che denota il tempo. Le equazioni di Maxwell si possono scrivere allora nella forma seguente: ∇ · E(x, t) = 4πρ(x, t), ∇ · B(x, t) = 0, 1 ∂B(x, t) = 0, ∇ × E(x, t) + c ∂t 1 ∂E(x, t) 4π ∇ × B(x, t) − = j(x, t), c ∂t c (1.1) (1.2) (1.3) (1.4) Analizziamo brevemente queste equazioni una ad una: • La (1.1) esprime la legge di Gauss, che mette in relazione il campo elettrico con le sue sorgenti coulombiane, le cariche elettriche. • La (1.2) esprime in maniera matematica l'assenza in natura di monopoli magnetici: il campo magnetico è un campo solenoidale privo di sorgenti coulombiane. 1 2 1.2 Sorgenti dei campi • La (1.3) esprime la legge di Faraday-Neumann-Lenz in forma die- renziale, mostrando che si può generare un campo elettrico da variazioni del campo magnetico. • La (1.4) esprime la legge di Ampère-Maxwell: essa contiene il prin- cipale contributo di Maxwell il quale corresse la legge di Ampère. Questa metteva semplicemente in relazione il campo magnetico alle correnti che costituiscono le sue sorgenti vorticose, limitandosi a considerare situazioni stazionarie. Maxwell, spinto da considerazioni di simmetria della natura, intuì che così come variazioni del campo magnetico danno luogo ad un campo elettrico, alla stessa maniera variazioni del campo elettrico danno luogo ad un campo magnetico e questa intuizione portò all'aggiunta del termine con la derivata temporale nella (1.4). Da un punto di vista matematico si può osservare che le equazioni di Maxwell costituiscono un sistema di equazioni dierenziali alle derivate parziali, delle quali la (1.2) e la (1.3) sono equazioni omogenee, mentre la (1.1) e la (1.4) contengono le sorgenti dei campi, la corrente j(x, t). 1.2 densità di carica ρ(x, t) e la densità di Sorgenti dei campi Le sorgenti dei campi si deniscono matematicamente in maniera implicita in modo che: • dq = ρ(x, t)d3 x rappresenti la carica contenuta nell'elemento di volume 3 innitesimo d x; • dI = j(x, t) · dS rappresenti la corrente che attraversa l'elemento di supercie innitesimo individuato dal vettore versore normale all'elemento di supercie e dS dS = dSn, dove n è il la sua area. Con queste denizioni segue in maniera naturale che la carica contenuta in un volume V ad un certo istante di tempo t si ottiene integrando la densità di carica su tale volume: Z Q(t) = V ρ(x, t)d3 x, (1.5) 3 1.2 Sorgenti dei campi e la corrente che attraversa una certa supercie di tempo t S 1 in un determinato istante sarà data dal usso del vettore densità di corrente: Z j(x, t) · dS. I(t) = (1.6) S 1.2.1 Caso delle sorgenti puntiformi Le denizioni della densità di carica e della densità di corrente date presuppongono implicitamente una distribuzione spaziale di carica continua. Questa ipotesi costituisce una buona assunzione di lavoro in alcune situazioni ma può essere del tutto fuorviante in altri casi. Ad esempio, se si sta considerando la densità spaziale di carica in un cord3 x si può indicare un volume innitesimo dal punto di po conduttore, con vista macroscopico : questo signica che esso rappresenta un volume piccolo dal punto di vista delle dimensioni del corpo che si sta prendendo in considerazione, ma molto grande rispetto alle dimensioni delle singole cariche che si trovano nel corpo. Un volume siatto, seppur molto piccolo al punto da poterlo ritenere innitesimo dal punto di vista macroscopico, può contenere ancora un elevato numero di cariche e ciò garantisce che l'assunzione di una distribuzione continua di carica costituisca una buona approssimazione. Vi sono tuttavia altre situazioni in cui questa assunzione è del tutto errata: se si considera ad esempio il moto di una singola particella carica all'interno di un campo elettromagnetico, la densità di carica da essa generata avrà una natura essenzialmente discreta, e questo ha delle conseguenze abbastanza rilevanti dal punto di vista della denizione della densità di carica. Per poter tenere conto di questa situazione sica non si possono utilizzare delle funzioni continue per la ρ(x, t) ed in realtà non si possono nemmeno utilizzare delle funzioni intese nel senso ordinario del termine. Si deve in tal caso ricorrere ad uno strumento matematico più complesso che costituisce una sorta di generalizzazione del concetto di funzione e che prende il nome di zione distribu- . Una delle distribuzioni più utilizzate in sica, e del resto quella che si utilizzerà per esprimere la ρ(x, t) nel caso di sorgenti puntiformi, è la δ di Dirac. Le proprietà più importanti che caratterizzano questa distribuzione 1 In questo caso la supercie S è del tutto generica, e le relazioni che si ottengono hanno validità generale. Nel paragrafo 1.3, invece, con S si indicherà in particolare la supercie che delimita il volume V e si metterà in relazione la carica in esso contenuta con la corrente che attraversa tale supercie. 4 1.2 Sorgenti dei campi (anzi, che la deniscono) sono le seguenti: Z f (x) δ 3 (x − x0 )d3 x = f (x0 ) ZV f (x) δ 3 (x − x0 )d3 x = 0 se x0 ∈ V (1.7) se x0 ∈ /V V Fatta questa premessa, vediamo adesso come si deniscono la densità di carica e la densità di corrente in presenza di sorgenti puntiformi. e Una particella di carica individuata dal vettore posizione z(t) genera una densità di carica pari a: ρ(x, t) = eδ 3 (x − z(t)). Se si hanno invece (1.8) n particelle puntiformi aventi cariche ea ed individuate za (t) (a = 1, 2, ..n), la densità di carica totale cui danno dai vettori posizione luogo è pari a: ρ(x, t) = X ρa (x, t) = X ea δ(x − za (t)). (1.9) a a Si osservi che integrando l'espressione precedente su un volume V contenente le n cariche e sfruttando le proprietà della delta di Dirac si ottiene: Z 3 ρ(x, t)d x = V X a La densità di corrente la densità di carica ρa ja Z ea δ 3 (x − za (t))d3 x = V X ea . (1.10) a associata a ciascuna particella è data dal- di quella particella moltiplicata per la sua velocità va (t) = ża (t): ja (x, t) = ρa (x, t)va (t) = ea va (t)δ 3 (x − za (t)). y ea va (t) za (t) x z (1.11) 5 1.3 Equazione di continuità La densità di corrente complessiva del sistema di particelle è dunque data da: j(x, t) = X ea va (t)δ 3 (x − za (t)). (1.12) a 1.3 Equazione di continuità Dalle leggi di Maxwell si può derivare una importante legge che lega tra loro le sorgenti e che prende il nome di equazione di continuità : ∇·j+ ∂ρ = 0. ∂t (1.13) Derivando infatti rispetto al tempo la relazione (1.1) si ottiene che: ∂ ∂ρ ∇ · E = 4π , ∂t ∂t (1.14) mentre prendendo la divergenza della (1.4), osservando che la divergenza di un rotore è nulla e scambiando la derivazione temporale con l'operatore divergenza si ottiene: − 1∂ 4π ∇·E = ∇ · j, c ∂t c (1.15) sommando la (1.14) e la (1.15) si ritrova inne la (1.13). Si può mostrare che l'equazione di continuità (1.13) rappresenta la formulazione matematica della legge di conservazione della carica elettrica che, conviene ricordarlo, è una legge di natura sperimentale di cui non sono mai state osservate violazioni. Per mostrarlo integriamo i due termini dell'equazione (1.13) su un volume nito dello spazio: Z Z ∂ ∇ · j(x, t)d x = − ∂t 3 V ρ(x, t)d3 x (1.16) V dove si è tenuto presente che, se si ssa il volume di integrazione, il segno di derivata parziale si può portare fuori dall'integrale per il teorema di derivazione sotto il segno di integrale. Applicando quindi il teorema della divergenza al primo membro, si ottiene: Z ∂V d j(x, t) · dS = − dt Z ρ(x, t)d3 x, (1.17) V da cui si ottiene, utilizzando la (1.5) e la (1.6): I(t) = − dQ(t) . dt (1.18) 6 1.4 La forza di Lorentz Questa relazione ci dice che se vi è usso di corrente attraverso la supercie che racchiude il volume verso l'esterno di questo, la carica contenuta nel volume diminuirà. In particolare se si estende il volume a tutto lo spazio e si assume (come è ragionevole) che la densità di corrente vada a zero all'innito, si ottiene che il membro di sinistra si annulla e l'integrale esprime la carica Qtot contenuta in tutto lo spazio, sicché: dQtot = 0 ⇒ Qtot = costante, dt (1.19) come si voleva mostrare. Si osservi che l'equazione di continuità è stata derivata dalle equazioni di Maxwell assumendo che l'equazione (1.1) sia valida in ogni istante di tempo. Come si mostrerà nel Capitolo 4, si può seguire un procedimento alternativo in cui si assume la (1.1) valida solo in un istante di tempo iniziale, ed in questo caso l'equazione di continuità non può essere ottenuta dalle equazioni di Maxwell ma và postulata indipendentemente. D'altra parte questa assunzione è abbastanza naturale: se all'interno di un volume certa carica Q, V è contenuta una ad una variazione di questa quantità di carica deve essere necessariamente associata un passaggio di cariche attraverso la supercie che delimita il volume, il cui usso darà luogo ad una corrente 1.3.1 I(t). L'equazione di continuità per sorgenti puntiformi È facile vericare che la (1.9) e la (1.12) soddisfano l'equazione di continuità. Infatti, derivando la (1.9) rispetto al tempo otteniamo: ∂ρ X ∂ρa = · va ∂t ∂za a e, osservando che poiché le ρa sono funzioni di (1.20) x − za , risulta: ∂ρa ∂ρa =− = − ∇ ρa , ∂za ∂x (1.21) si può concludere: X X ∂ρ =− va · ∇ ρa = − ∇· ρa va ∂t a a 1.4 ! = − ∇· j. (1.22) La forza di Lorentz Per ottenere una descrizione completa dell'interazione elettromagnetica, si deve aggiungere alle quattro equazioni di Maxwell, che descrivono l'evoluzione del campo elettromagnetico, l'espressione che descrive l'evoluzione del 7 1.4 La forza di Lorentz moto di una particella carica posta in un campo elettromagnetico. Considerata una particella dotata di una carica z(t), e ed individuata dal vettore posizione la forza che agisce su di essa, nota come forza di Lorentz, è data da: 1 FL = e E + v × B , c dove i campi E Introducendo l' e B (1.23) vanno calcolati nella posizione occupata dalla particella. impulso relativistico p = mγv , dp . della dinamica relativistica come F = dt si può scrivere l'equazione Pertanto l'equazione di evoluzione della particella sarà data da: d 1 (mγv(t)) = e E(z(t), t) + v(t) × B(z(t), t) , dt c che prende il nome di equazione di Minkowski-Lorentz. questa equazione il campo E ed il campo B (1.24) Si osservi che in sono valutati nella posizione occupata dalla particella nell'istante di tempo considerato. In generale, in un problema di elettrodinamica, le equazioni di Maxwell e l'equazione di Minkowski-Lorentz sono accoppiate. Infatti le sorgenti presen- ti nelle equazioni di Maxwell sono quelle date dalle relazioni (1.9) e (1.12), che contengono le velocità e le posizioni delle particelle, le quali devono soddisfare l'equazione di Minkowski-Lorentz. Viceversa, i campi contenuti in quest'ultima sono generati dalle stesse particelle di cui si vuole determinare il moto, in quanto la posizione e la velocità di queste generano le sorgenti contenute nelle equazioni di Maxwell. Per rendere chiara questa interdipendenza conviene scrivere tutte le equazioni prendendo in esame la densità di carica e la densità di corrente date dalla (1.9) e dalla (1.12): X ea δ 3 (x − za (t)), (1.25a) ∇· B(x, t) = 0, 1 ∂B(x, t) = 0, ∇× E(x, t) + c ∂t 1 ∂E(x, t) 4π X ∇× B(x, t) − = ea va (t)δ 3 (x − za (t)), c ∂t c a 1 d (mγv(t)) = e E(z(t), t) + v(t) × B(z(t), t) . dt c (1.25b) ∇· E(x, t) = 4π a (1.25c) (1.25d) (1.25e) In alcune situazioni di rilevanza pratica o le sorgenti o i campi sono ssati e basta quindi risolvere solo le equazioni di Maxwell nel primo caso o 1.4 La forza di Lorentz 8 solo l'equazione di Minkowski-Lorentz nel secondo. Tuttavia ciò non è sempre possibile ed in molte altre situazioni si deve risolvere l'intero sistema (1.25) di equazioni accoppiate per poter ottenere una descrizione esaustiva dell'evoluzione del sistema sico considerato. Capitolo 2 Decomposizione di Helmholtz Si può dire che le caratteristiche più importanti di un campo vettoriale siano il suo usso attraverso una supercie chiusa una curva chiusa Γ. Σ e la sua circuitazione lungo L'importanza di queste caratteristiche si può compren- dere se si riette sul fatto che le equazioni di Maxwell, che rappresentano la formulazione dierenziale dell'elettromagnetismo, derivano da leggi espresse in forma integrale come usso attraverso una supercie o come circuitazione lungo una linea chiusa. La formulazione dierenziale permette di esprimere queste proprietà essenziali dei campi, svincolandosi dalla particolare supercie o curva che si va a considerare, passando quindi da leggi integrali a leggi dierenziali che valgono punto per punto. Volendo fare un esempio concreto, la (1.2) esprime in forma dierenziale una caratteristica essenziale del campo magnetico: il usso di B attraverso una supercie qualsiasi risulta essere sempre nullo. Come è noto e come è stato già specicato nel capitolo precedente, questa proprietà discende dall'assenza di monopoli magnetici e quindi dall'assenza di sorgenti coulombiane per il campo B che risulta essere pertanto un campo solenoidale. Un altro esempio che si può fare è quello del campo elettrostatico: la (1.3) ci dice che in situazioni stazionarie (B =costante) il campo elettrico risulta essere irrotazionale e quindi conservativo, ovvero la sua circuitazione lungo 1 una qualsiasi curva chiusa risulta essere nulla . Il campo magnetico ed il campo elettrostatico tuttavia sono esempi particolari di campi vettoriali da questo punto di vista: l'uno è un campo solenoidale, l'altro è un campo irrotazionale. In generale, un campo vettoriale può avere sia divergenza che rotore diversi da zero. Dato che queste due caratteristiche del campo rappresentano una descrizione delle sue proprietà più rilevanti, risulterebbe allora utile (e decisamente signicativa) la possibi- 1 Si osservi che si sta tacitamente supponendo che le regioni di volume considerate siano semplicemente connesse 9 10 2.1 Teorema di Helmholtz lità di scomporre i campi vettoriali in una componente solenoidale e in una componente irrotazionale. Questa possibilità difatti esiste e deriva da un importante risultato del calcolo vettoriale che va sotto il nome di decomposizione di Helmholtz . Grazie a questo risultato si può mostrare non solo che questa scomposizione esiste, ma anche che è unica. Prima di procedere nella trattazione del teorema conviene però esprimere in maniera formale quanto detto nora, osservando come la divergenza ed il rotore di un campo vettoriale qualsiasi si possano interpretare come le sorgenti del campo stesso. Sorgenti di un campo vettoriale Dato un campo vettoriale siasi, si possono ottenere le sue sorgenti coulombiane vorticose c(x) s(x) V (x) qual- e le sue sorgenti nella maniera seguente: ∇· V (x) = s(x) ∇× V (x) = c(x) (2.1) (2.2) Questi due tipi di sorgenti hanno un signicato ben preciso, che può essere compreso se si utilizzano il teorema della divergenza ed il teorema di Stokes. Ω sono ∂Ω che delimita tale Infatti, le sorgenti coulombiane contenute in un certo volume responsabili del usso del campo attraverso la supercie volume, in virtù del teorema della divergenza: Z I 3 Z ∇· V (x)d x = V (x) · dS = (2.3) Ω Ω ∂Ω s(x)d3 x, mentre le sorgenti vorticose del campo sono quelle che determinano la sua circuitazione su una linea chiusa in virtù del teorema di Stokes: Z c(x) · dS ∇× V (x) · dS = V (x) · d` = Γ dove Γ, Z I Σ (2.4) Σ Σ è una supercie che poggia sulla curva Γ, orientata positivamente con Γ. la regola della mano destra, in accordo al verso positivo ssato su 2.1 Teorema di Helmholtz Il materiale a cui fa riferimento questa sezione si trova essenzialmente nel testo [2] riportato nella bibliograa. Si procederà nella dimostrazione del teorema di Helmholtz, per condurre la quale ci si servirà di un teorema di unicità che permette di determinare univocamente un campo vettoriale sotto opportune condizioni. Ci si concentrerà quindi preliminarmente su questo teorema per poi procedere alla dimostrazione del teorema di Helmholtz vero e proprio. 11 2.1 Teorema di Helmholtz Teorema 1. Un campo vettoriale V (x) è univocamente specicato se sono assegnate la sua divergenza ed il suo rotore in una regione semplicemente connessa Ω e la sua componente normale alla supercie sul bordo di tale regione. Dimostrazione. e sia Vn Siano: ∇· V (x) = s(x), (2.5) ∇× V (x) = c(x), (2.6) la componente normale alla supercie che costituisce il bordo del dominio di V: Vn = [V · n]∂Ω (2.7) U Si assuma che esista un altro campo vettoriale che goda delle stesse proprietà e si denisca: W =V −U (2.8) In tal caso per la linearità degli operatori divergenza e rotore risultano valere le seguenti: ∇· W = 0, (2.9) ∇× W = 0. Dalla seconda otteniamo che, essendo W (2.10) irrotazionale, esso si potrà derivare da un potenziale scalare: W = − ∇ ϕ, (2.11) da cui, sostituendo nella prima, si ottiene che questo campo ϕ deve soddisfare la seguente: ∇·(− ∇ ϕ) = −∇2 ϕ = 0 che è una equazione di Laplace. Green: Z Adesso si consideri la prima identità di 2 Z 3 [u∇ v + (∇ u) · (∇ v)]d x = Ω con (2.12) u ∂Ω ∂v dS, ∂n (2.13) u = v = ϕ: Z 2 Z 3 [ϕ∇ ϕ + (∇ ϕ) · (∇ ϕ)]d x = Ω ϕ ∂Ω ∂ϕ dS, ∂n (2.14) da cui si ottiene: Z 3 Z (−W ) · (−W )d x = Ω ovvero: ϕ[(∇ ϕ) · n]dS, (2.15) ∂Ω Z 3 Z (W · W )d x = − Ω ϕWn dS. ∂Ω (2.16) 12 2.1 Teorema di Helmholtz Adesso si osservi che: Wn = Vn − Un = 0 su tutto il bordo ∂Ω, (2.17) quindi l'integrale a secondo membro è nullo, e anché sia nullo anche il primo membro, tenendo in considerazione che la quantità W · W è denita positiva, deve essere necessariamente W = 0 Ω, da cui V = U e quindi la prova del teorema. ovunque in Adesso si procederà invece nella dimostrazione del teorema vero e proprio. 2 Teorema 2. Sia V (r) un campo vettoriale dierenziabile due volte con continuità e che vada a zero all'innito almeno come 1/r. Allora esso può essere scritto come la somma di due campi vettoriali, uno solenoidale e l'altro irrotazionale. Dimostrazione. il campo V Per provare il teorema basterà mostrare che si può scrivere nella forma seguente: V = − ∇ ϕ + ∇× A, dal momento che (2.18) − ∇ ϕ è irrotazionale e ∇× A è solenoidale. I campi ϕeA vanno però costruiti opportunamente, e questo lo si può fare a partire dalle sorgenti denite dalla (2.1) e dalla (2.2), nella maniera seguente: L'ipotesi che il campo V 1 ϕ(r) = 4π Z 1 A(r) = 4π Z s(r 0 ) 3 d r, |r − r 0 | (2.19) c(r 0 ) 3 0 dr. |r − r 0 | (2.20) vada a zero all'innito in maniera sucientemente rapida implica che anche le sorgenti mente da garantisce che i campi ϕ e s e c vadano a A deniti nelle zero abbastanza veloce(2.19)-(2.20) siano niti su tutto lo spazio. Si osservi prima di continuare che nella (2.19) e nella (2.20) con r si sta indicando il vettore posizione che individua il punto in cui si calcolano i campi ϕ e A, mentre con r 0 si sta indicando il vettore posizione che individua le sorgenti, o meglio che individua il punto in cui si valuta la 2 Nella densità di sorgenti. dimostrazione di questo teorema il vettore che individua la posizione in cui si valutano i campi sarà indicato con r e non con x come fatto nora. 13 2.1 Teorema di Helmholtz y Distribuzione di carica Sorgente 0 0 0 (x , y , z ) r0 r − r0 x r Punto in cui si valuta il campo (x, y, z) z Se mostriamo che il campo U = − ∇ ϕ + ∇× A, con V, (2.21) ϕ e A dati rispettivamente dalla (2.19) e dalla (2.20), è identico al campo avremo dimostrato il teorema. Per dimostrarlo ci possiamo avvalere del Teorema 1: osservando che sia V che U vanno a zero all'innito, ci basterà mostrare che le sorgenti di coincidono con le sorgenti di V, U ovvero che i due campi vettoriali hanno stessa divergenza e stesso rotore. A tal ne si osservi che: ∇· U = − ∇· ∇ ϕ = −∇2 ϕ, in quanto ∇· ∇× A = 0, e che: ∇× U = ∇×(∇× A), in quanto (2.22) − ∇× ∇ ϕ = 0. (2.23) Quindi in ultima analisi si vogliono dimostrare le seguenti: − ∇2 ϕ = s(r), ∇×(∇× A) = c(r). (2.24) (2.25) Procediamo alla dimostrazione della (2.1) mediante valutazione diretta del laplaciano: 1 −∇ ϕ = − ∇2 4π 2 Z s(r 0 ) |r − r 0 | d3 r 0 , (2.26) 14 2.1 Teorema di Helmholtz si osservi ora che l'operatore ∇ opera sulle coordinate relative ad r , mentre r 0 , quindi le due ope- l'integrazione è eettuata sulle coordinate relative ad razioni sono indipendenti l'una dall'altra e si può invertire l'ordine in cui le si esegue: 1 −∇ ϕ = − 4π 2 Z 1 s(r 0 ) 3 0 d r =− ∇ 0 |r − r | 4π 2 Z 0 2 s(r )∇ 1 |r − r 0 | d3 r 0 , (2.27) ricordando adesso che sussiste la seguente relazione: ∇ 2 1 |r − r 0 | = −4πδ 3 (r − r 0 ), (2.28) e sfruttando le proprietà della delta di Dirac, risulta che: Z 1 −∇ ϕ = − s(r 0 )(−4π)δ 3 (r − r 0 )d3 r 0 = 4π Z = s(r 0 )δ 3 (r 0 − r)d3 r 0 = s(r). 2 (2.29) (2.30) che prova la (2.24). Procediamo adesso alla dimostrazione della (2.25), richiamando innanzitutto la seguente identità vettoriale: ∇×(∇× A) = ∇(∇· A) − ∇2 A. (2.31) Valutiamo il primo termine: c(r 0 ) 3 0 dr = ∇(∇· A) = ∇ ∇· |r − r 0 | Z c(r 0 ) 1 3 0 ∇· = ∇ dr = 4π |r − r 0 | Z 1 1 0 3 0 ∇ c(r ) · ∇ dr , = 4π |r − r 0 | 1 4π Z (2.32) dove si è sfruttata l'identità vettoriale: ∇·(ψC) = C · ∇ ψ + ψ ∇· C, tenendo conto del fatto che x ∇· c(r 0 ) = 0. (2.33) Andiamo a valutare la componente della (2.32): Z 1 ∂ 1 0 3 0 [∇(∇· A)]x = c(r ) · ∇ dr 4π ∂x |r − r 0 | Z 1 ∂ 1 0 = c(r ) · ∇ d3 r 0 , 4π ∂x |r − r 0 | (2.34) 15 2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier e osservando che risulta: ∂ ∇ ∂x 1 |r − r 0 | ∂ = −∇ − 0 ∂x 0 1 |r − r 0 | =∇ 0 ∂ ∂x0 1 |r − r 0 | , (2.35) si giunge alla seguente: Z 0 c(r ) · ∇ 4π[∇(∇· A)]x = 0 ∂ ∂x0 1 |r − r 0 | d3 r 0 (2.36) dalla quale, mediante integrazione per parti, si ottiene: ∂ 1 4π[∇(∇· A)]x = ∇ · c(r ) 0 d3 r 0 + 0 ∂x |r − r | Z ∂ 1 0 0 − [∇ · c(r )] 0 d3 r 0 . ∂x |r − r 0 | Z 0 0 (2.37) In quest'ultima espressione si può trasformare il primo integrale in un integrale di supercie applicando il teorema della divergenza, e ricordando che le sorgenti vanno a zero all'innito abbastanza rapidamente da dare un usso nullo attraverso la supercie all'innito. Per quanto riguarda il secondo 0 termine, esso risulta invece essere nullo in quanto c(r ) è denito come il 0 0 rotore di un campo e pertanto ha ∇ · c(r ) = 0. Poichè per le altre componenti si può fare un ragionamento del tutto analogo, si può concludere che ∇(∇· A) = 0. Pertanto tenendo conto della (2.31) si ottiene: 1 ∇×(∇× A) = −∇ A = − ∇2 4π 2 Z c(r 0 ) |r − r 0 | d3 r 0 , (2.38) a questo punto basta procedere con passaggi del tutto analoghi a quelli seguiti partendo dalla (2.26), ed in tal modo si riesce a dimostrare la (2.25), e con essa il teorema. 2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier Riassumendo quanto detto nora, la decomposizione di Helmholtz prevede che qualsiasi campo vettoriale V che sia abbastanza regolare si possa scrivere nella forma: V = − ∇ ϕ + ∇× A (2.39) 16 2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier Il Teorema 1 della sezione precedente ci garantisce inoltre che questa scompo- unica. In genere si indica la prima componente come la componente longitudinale del campo e la seconda componente come la componente trasversa del campo, e si scrive la (2.39) nella forma: sizione è V (x) = VL (x) + VT (x), con i campi VL e VT (2.40) caratterizzati dalle proprietà: ∇× VL (x) = 0, ∇· VT (x) = 0. (2.41) (2.42) Per comprendere meglio questa denominazione, conviene introdurre la trasformata di Fourier di questi campi. La trasformata di Fourier di come: V(k) = Da essa si può riottenere 3 (2π) 2 V (x) V (x) = Z 1 V è denita d3 x e−ik·x V (x). (2.43) come l'antitrasformata di Fourier di Z 1 (2π) 3 2 d3 k e−ik·x V(k). V(k): (2.44) In virtù della linearità della trasformazione di Fourier si può anche scrivere che: V(k) = V L (k) + V T (k), con V L (k) e V L (k) trasformate di Fourier rispettivamente di (2.45) VL e di VT . Utilizzando la seguente relazione: ∂ ik·x e = ikj eik·x , ∂xj (2.46) le condizioni (2.41) e (2.42) diventano condizioni sulle trasformate che si possono esprimere in questa maniera: k × V L (k) = 0, k · V T (k) = 0. (2.47) (2.48) 17 2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier V T (k) k V L (k) Queste due equazioni chiariscono immediatamente il signicato della denominazione introdotta: la (2.47) ci dice che il campo longitudinale rallelo alla direzione di k per ogni k, k per ogni k. è pa- mentre la (2.48) ci dice che il campo trasverso non ha componenti lungo la direzione di trasversale a VL k, esso giace cioè nel piano Capitolo 3 Potenziali elettromagnetici e trasformazioni di gauge 3.1 I potenziali elettromagnetici Si possono riscrivere le equazioni di Maxwell in una forma più maneggevole mediante l'introduzione di opportune funzioni chiamate gnetici. potenziali elettroma- Si può seguire una strategia che consiste nel ricavare questi potenziali dalle equazioni omogenee per sostituirli quindi nelle equazioni che contengono le sorgenti, in modo da ottenere le equazioni che permettono di determinare i potenziali stessi date le sorgenti. Partiamo dall'equazione (1.2): in virtù di questa equazione si può aermare che deve esistere un campo vettoriale detto potenziale vettore, tale che: B = ∇× A A, (3.1) Sostituendo questa equazione nell'altra equazione omogenea, la (1.3), si ottiene: 1 ∂A =0 ∇× E − c ∂t (3.2) Quindi il campo tra parentesi risulta essere irrotazionale: come per qualsiasi campo irrotazionale, si può allora dedurre che deve esistere una funzione ϕ(x, t), che chiameremo potenziale scalare, tale che: E+ 1 ∂A = −∇ϕ c ∂t (3.3) Il campo elettrico sarà pertanto legato ai potenziali dalla relazione: E = −∇ϕ − 18 1 ∂A c ∂t (3.4) 19 3.2 Trasformazioni di gauge Passiamo adesso alla seconda fase, che consiste come già detto nel sostituire le espressioni (3.1) e (3.4) dei campi nelle equazioni non omogenee per ottenere le equazioni che determinano i potenziali a partire dalle sorgenti. Sostituendo la (3.1) nella (1.4) si ottiene: ∇×(∇× A) + 1∂ 1 ∂ 2A 4π ∇ϕ + 2 2 = j c ∂t c ∂t c (3.5) dalla quale, utilizzando l'identità: si ottiene: ∇×(∇× A) = ∇(∇· A) − ∇2 A (3.6) 1 ∂A 4π 1 ∂ϕ ∇ A − 2 2 − ∇ ∇· A + = − j. c ∂t c ∂t c (3.7) 2 Sostituendo invece l'espressione (3.4) nella (1.1) si ottiene: ∇2 ϕ + 1 ∂A ∇· = −4πρ c ∂t (3.8) Le equazioni (3.7) e (3.8) rappresentano un sistema di equazioni alle derivate parziali accoppiate. Fortunatamente, come si vedrà nella sezione seguente, queste equazioni possono essere disaccoppiate mediante l'utilizzo di alcune condizioni di gauge che ne semplicano la forma. 3.2 Trasformazioni di gauge Le relazioni (3.1) ed (3.4) non determinano univocamente i potenziali Fissati i campi E e B, ϕ e A. ad essi corrispondono infatti inniti potenziali elet- tromagnetici. In altre parole a partire da dei potenziali (A, ϕ) che corrispon- dono ad un determinato campo elettromagnetico si possono eettuare delle 0 0 trasformazioni per ottenere dei potenziali (A , ϕ ) che corrispondono ancora allo stesso campo elettromagnetico, che del resto è l'unico campo sicamente rilevante, dal momento che è quello che determina le forze che agiscono su una particella carica. Le trasformazioni che permettono di passare da dei determinati potenziali ad altri potenziali senza che vi sia un cambiamento dei campi E e B ad essi associati si chiamano trasformazioni di gauge, e rappresentano una simmetria dell'elettromagnetismo. Vediamo adesso come sono fatte queste trasformazioni di gauge. Si osservi innanzitutto che eettuando una sostituzione del tipo: A(x, t) → A0 (x, t) = A(x, t) + ∇ χ(x, t) (3.9) 20 3.2 Trasformazioni di gauge con χ(x, t) arbitraria funzione scalare, si ottiene un potenziale vettore che determina un campo magnetico identico a quello associato ad A(x, t): B 0 = ∇× A0 = ∇× A + ∇× ∇ χ = ∇× A = B (dove si è sfruttata la proprietà ∇× ∇ χ = 0). (3.10) Per quanto riguarda il campo elettrico invece, se ci si limita ad eettuare esclusivamente la trasformazione (3.9), esso diventa: E0 = − ∇ ϕ − 1 ∂A0 1 ∂A 1 ∂ 1∂ = −∇ϕ − − ∇χ = E − ∇χ c ∂t c ∂t c ∂t c ∂t (3.11) Per evitare che il campo elettrico venga modicato allora, simultaneamente alla trasformazione (3.9), si può eettuare sul potenziale scalare la trasformazione: 1 ∂χ(x, t) c ∂t ϕ(x, t) → ϕ0 (x, t) = ϕ(x, t) − in modo che nemmeno il campo E (3.12) vari, infatti: 1 ∂A0 1 ∂χ 1 ∂A 1 ∂ = −∇ϕ + ∇ − − ∇χ = c ∂t c ∂t c ∂t c ∂t 1 ∂A = −∇ϕ − =E (3.13) c ∂t E → E 0 = −∇ϕ0 − Le trasformazioni (3.9) e (3.12), rappresentano dunque le trasformazioni ricercate. In sintesi si può dunque aermare che una trasformazione di gauge è una trasformazione dei potenziali elettromagnetici del tipo: A(x, t) → A0 (x, t) = A(x, t) + ∇χ(x, t) ϕ(x, t) → ϕ0 (x, t) = ϕ(x, t) − 1 ∂χ(x, t) c ∂t (3.14) Queste trasformazioni possono anche essere espresse più convenientemente con il linguaggio dei quadrivettori dello spazio-tempo di Minkowski, come trasformazione del quadrivettore potenziale. Questo è denito come: Aµ = (ϕ, A). (3.15) Ricordando quindi la denizione dell'operatore ∂µ = quadrigradiente: 1∂ ,−∇ , c ∂t (3.16) le (3.14) possono essere riscritte come: Aµ → A0µ = Aµ − ∂ µ χ (3.17) 21 3.2 Trasformazioni di gauge dove χ sarà una funzione scalare del quadrivettore xµ che individua la posi- zione del generico punto nello spazio-tempo di Minkowski. È interessante osservare che, eettuando la decomposizione di Helmholtz, introdotta nel capitolo 2, in una trasformazione di gauge risulta: A0T = AT (3.18) A0L = AL + ∇χ (3.19) Quindi il potenziale vettore trasverso di AL e ϕ AT è un invariante di gauge a dierenza che invece sono gauge dipendenti. L'invarianza di gauge ci dà la libertà di scegliere i potenziali nella maniera più conveniente. Possiamo cioè imporre su dette ϕ e su A delle condizioni, condizioni di gauge, che ci permettono di semplicare la descrizione del sistema. Come è stato già accennato nella sezione precedente la scelta di una particolare condizione di gauge permette di semplicare infatti le equazioni dei potenziali elettromagnetici (3.7) e (3.8). Tra le scelte di gauge più comuni vi sono: • Il gauge di Lorentz • Il gauge di Coulomb • Il gauge temporale • Il gauge di radiazione 3.2.1 Il gauge di Lorentz La condizione di gauge di Lorentz è la seguente: ∇· A + 1 ∂ϕ = 0. c ∂t (3.20) Questa relazione semplica notevolmente l'equazione (3.7) per il potenziale A che diventa l'equazione di d'Alembert non omogenea A = 4π j, c dove si è introdotto l'operatore d'Alambertiano: (3.21) ≡ 1 ∂ ∂2 − . c2 ∂t2 ∂x2 Inoltre, sostituendo la condizione (3.20) nell'equazione (3.8) per ϕ, si trova: ϕ = 4πρ. (3.22) 22 3.2 Trasformazioni di gauge Si osservi quindi che con il gauge di Lorentz si riesce a disaccoppiare le equazioni per i potenziali (3.7) e (3.8). In assenza di sorgenti in questo gauge le equazioni per i potenziali assumono la forma di equazioni d'onda: A = 0, (3.23) ϕ = 0. (3.24) È importante notare che la condizione (3.20) non ssa univocamente i potenziali. Rimane una certa una coppia di potenziali A, ϕ libertà di gauge, benché più ristretta. Data che soddisfa la condizione di gauge di Loren- tz (3.20), si può ottenere mediante una trasformazione di gauge una nuova coppia di potenziali che soddisfa ancora la stessa condizione: ∇· A0 + 1 ∂ϕ0 =0 c ∂t (3.25) a patto che la funzione che genera la trasformazione di gauge soddis l'equazione delle onde: χ = 0 (3.26) come si può banalmente vericare. L'equazione (3.20) consente di scrivere una delle quattro grandezze ϕ, Ax , Ay , Az in funzione delle altre. Mediante una trasformazione di gauge generata da una χ che soddisfa l'equazione del- le onde è possibile poi eliminare un' ulteriore variabile. Complessivamente quindi le variabili dinamiche indipendenti sono due. Una caratteristica essenziale del gauge di Lorentz è la covarianza relativistica. Si osservi infatti che utilizzando il linguaggio dei quadrivettori la condizione (3.20) assume la forma seguente: ∂µ Aµ = 0, (3.27) che risulta essere chiaramente una condizione relativisticamente invariante µ poiché si ottiene contraendo un indice controvariante (quello di A ) con un indice covariante (quello di ∂µ ). Si può utilizzare la notazione relativistica anche per esprimere le equazioni (3.21) e (3.22) mediante un'unica relazione tra quadrivettori. ne introduciamo la A tal quadricorrente, considerando per semplicità una singola particella avente carica e ed individuata dal vettore posizione z(t). Sappia- mo che in questo caso la densità di carica e la densità di corrente ad essa associate saranno date rispettivamente da: ρ(x, t) = eδ 3 (x − z(t)), (3.28) 23 3.2 Trasformazioni di gauge j(x, t) = e dove v= seguente: dz . dt dz 3 δ (x − z(t)) = ρ(x, t)v(t), dt Si denisce quindi la (3.29) quadridensità di corrente nella maniera J µ (x) = (ρc, ρv), dove con (3.30) x si sta indicando il generico punto dello spazio tempo di Minkowski. A questo punto la (3.21) e la (3.22) si possono sintetizzare con la seguente: Aµ (x) = ∂ν ∂ ν Aµ (x) = 4π µ J (x), c (3.31) che costituisce dunque l'equazione da risolvere nel gauge di Lorentz per ottenere i potenziali elettromagnetici (e da essi, i campi). 3.2.2 Il gauge di Coulomb Il gauge di Coulomb consiste nel porre la condizione: ∇· A = 0, (3.32) cioè nell'eliminare la componente longitudinale del potenziale vettore: AL = 0, AT = A. (3.33) Questa condizione permette di esprimere la relazione tra il campo elettrico ed i potenziali separando i contributi dovuti alle componenti longitudinali da quelli dovuti alle componenti trasverse: EL = −∇ϕ, ET = − (3.34) 1 ∂A . c ∂t (3.35) Una proprietà che caratterizza il gauge di Coulomb è quella di determinare univocamente il potenziale vettore. Infatti, se un potenziale vettore A sod- disfa la condizione (3.32), una trasformazione di gauge che mantenga inalterata tale condizione deve necessariamente essere generata da una χ(x, t) che soddis l'equazione: ∇· ∇ χ = ∇2 χ = 0, se si richiede che la funzione generatrice della trasformazione (3.36) χ(x, t) sia dap- pertutto regolare, questa equazione ha come soluzioni esclusivamente campi 24 3.2 Trasformazioni di gauge scalari uniformi. Poiché il gradiente di un campo uniforme è nullo, il potenziale vettore che si ottiene da una trasformazione di gauge di questo tipo è 0 lo stesso: A = A + ∇ χ = A. Cerchiamo di determinare adesso come questa condizione di gauge semplichi le equazioni per i potenziali. Utilizzando la condizione di gauge di Coulomb nella (3.8) ed invertendo l'ordine in cui si calcolano la derivata temporale e la divergenza del campo, si giunge all'equazione: ∇2 ϕ = −4πρ, che prende il nome di equazione di Poisson. (3.37) Se si richiede che la funzione potenziale sia nita e continua in tutto lo spazio, che si annulli all'innito p x2 + y 2 + z 2 ) e che la sua derivata radiale almeno come 1/r (dove r = |x| = 2 si annulli all'innito almeno come 1/r , si può dimostrare che la soluzione dell'equazione di Poisson è data da: Z ϕ(x, t) = V ρ(x0 , t) 3 0 d x. |x − x0 | (3.38) Si può osservare che questa soluzione è caratterizzata dal fatto che il valore che il potenziale assume all'istante di tempo t è determinato dalla distribu0 zione delle cariche , espressa da ρ(x , t). Per tale nello stesso istante di tempo ragione questo potenziale viene spesso denominato istantaneo. potenziale di Coulomb Per quanto riguarda invece l'equazione del moto per il potenziale vettore A, l'equazione (3.7) nel gauge di Coulomb diventa: 4π 1 ∂ϕ 1 ∂ 2A = − j + ∇ . c2 ∂t2 c c ∂t ∇2 A − (3.39) Si può utilizzare ancora la condizione di gauge (3.32) per semplicare ulteriormente questa equazione se si separa la densità di corrente componenti longitudinale e trasversa, j = jL + jT . j nelle sue Infatti calcolando la derivata rispetto al tempo di entrambi i membri nella (3.37) ed utilizzando l'equazione di continuità, si ottiene: ∇· ∇ ∂ρ ∂ϕ = −4π = 4π ∇· j. ∂t ∂t (3.40) Ricordando che la componente trasversa di un campo è solenoidale (a divergenza nulla), si può scrivere: ∇· j = ∇· jL + ∇· jT = ∇· jL , e sostituendo nella precedente si ottiene dunque: ∂ϕ ∇· ∇ − 4πjL = 0. ∂t (3.41) 25 3.2 Trasformazioni di gauge Questa equazione ci dice che la quantità tra parentesi è un campo solenoidale, ma esso è anche irrotazionale, e pertanto caratterizzato da laplaciano nullo . Nell'ipotesi che ϕ e jL vadano a zero all'innito in maniera sucientemente rapida, questo implica che: ∇ ∂ϕ − 4πjL = 0. ∂t (3.42) Utilizzando questa relazione nell'equazione (3.39) si ottiene inne: ∇2 A − 1 ∂ 2A 4π = − jT , 2 2 c ∂t c (3.43) che rappresenta quindi l'equazione per il potenziale vettore nel gauge di Coulomb. 3.2.3 Il gauge temporale La condizione di gauge temporale consiste nel porre il potenziale scalare uguale a zero: ϕ = 0. (3.44) Le equazioni dei potenziali in questo gauge diventano: ∂ (∇· A) = −4πcρ, ∂t ∇2 A − 3.2.4 (3.45) 1 ∂ 2A 4π − ∇(∇· A) = − j. c2 ∂t2 c (3.46) Il gauge di radiazione In assenza di sorgenti è possibile richiedere contemporaneamente che siano valide sia la condizione del gauge di Coulomb che quella del gauge temporale: ∇· A = 0, ϕ = 0. (3.47) Queste condizioni costituiscono il gauge di radiazione, in cui l'equazione per il potenziale vettore assume la forma di una equazione d'onda: ∇2 A − 1 ∂ 2A = 0. c2 ∂t2 (3.48) Mostriamo adesso che le due condizioni del gauge di radiazione sono compatibili solo se ρ = 0. Si considerino due potenziali ϕ ed A, e si eettui una trasformazione di gauge generata dalla funzione: Z t χ(x, t) = c ϕ(x, t̃)dt̃. t0 (3.49) 26 3.2 Trasformazioni di gauge In questo modo il nuovo potenziale scalare ∂ ϕ =ϕ− ∂t 0 Z ϕ0 che si ottiene sarà: t ϕ(x, t̃)dt̃ = 0. (3.50) t0 Mediante questa trasformazione quindi ϕ0 = 0 che costituisce la condizione di gauge temporale (3.44). Eettuiamo una ulteriore trasformazione di gauge 0 per ottenere la condizione di gauge di Coulomb. Indicando con χ (x, t) la funzione generatrice della trasformazione, si può scrivere che i nuovi potenziali saranno dati da: 1 ∂χ0 , c ∂t A00 = A0 + ∇χ00 . ϕ00 = ϕ0 − (3.51) (3.52) Anché sia soddisfatta la condizione di gauge di Coulomb deve essere: ∇· A00 = ∇· A0 + ∇· ∇ χ0 = 0, (3.53) che porta all'equazione per la funzione generatrice della trasformazione di gauge: ∇2 χ0 = − ∇· A0 , (3.54) la quale si presenta nella forma di un'equazione di Poisson, avente come soluzione la funzione: 1 χ (x, t) = 4π 0 dove con ∇0 Z ∇0 · A0 (x0 ) 3 0 d x, |x − x0 | (3.55) si è indicato il gradiente rispetto alle coordinate relative ad x0 . L'ultima cosa che resta da fare è vericare che con questa trasformazione di gauge ci si ritrova ancora nel gauge temporale, e per vericarlo si può osser0 vare che il potenziale vettore A , che soddisfa il gauge temporale, risponde all'equazione (3.46), e questa nel caso in cui ρ=0 ∂ ∇· A0 (x) = 0. ∂t Calcolando ∂χ0 ∂t assume la forma: (3.56) dalla (3.55) tenendo conto della (3.56) si ottiene dunque: ∂χ0 = 0, ∂t (3.57) ϕ00 = ϕ0 = 0. (3.58) che implica banalmente: Capitolo 4 Ruolo delle equazioni di Maxwell Si cercherà adesso di chiarire meglio quale sia il ruolo delle quattro equazioni di Maxwell, partendo dall'osservazione che solo due di esse contengono la derivazione rispetto al tempo: la (1.3) e la (1.4). Questa osservazione porta naturalmente all'idea che solo queste due equazioni descrivano eettivamente l'evoluzione dei campi B ed E, mentre la (1.1) e la (1.2) costituiscano solo dei vincoli che devono essere soddisfatti dai campi. Questa distinzione solleva un ulteriore questione, ovvero quale sia la relazione tra questi vincoli e le equazioni di propagazione: bisogna cercare cioè di capire se le equazioni di propagazione conservano questi vincoli o meno. In caso aermativo baste- rebbe imporre che questi vincoli siano soddisfatti solo in un istante iniziale in quanto essi sarebbero validi agli istanti successivi in virtù delle equazioni di propagazione. Un primo procedimento che si seguirà per eettuare l'analisi di questo problema consisterà nell'utilizzo della decomposizione di Helmholtz per i campi vettoriali presenti nelle equazioni di Maxwell. Come si vedrà a breve, questa decomposizione mostrerà che nella (1.1) e nella (1.2) intervengono essenzialmente le componenti longitudinali dei campi, mentre nella (1.3) e nella (1.4) intervengono invece solo le componenti trasverse. Successivamente si procederà nello studio del problema di Cauchy associato alle equazioni di Maxwell, e per mettere in evidenza il ruolo dell'equazione di continuità si eettuerà questo studio trattando separatamente il caso in assenza di sorgenti e il caso in cui sono presenti anche le sorgenti. 27 28 4.1 Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell 4.1 Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell Come già anticipato, si può utilizzare la decomposizione di Helmholtz per scomporre il campo elettrico ed il campo magnetico nelle loro componenti longitudinale e trasversa per mettere in evidenza quali di queste componenti risultano essere coinvolte eettivamente nelle equazioni di evoluzione e quali invece fungono esclusivamente da vincolo. Usando ∇· ET = 0 nella legge di Gauss (1.1), si ottiene: ∇· EL = 4πρ. (4.1) Mentre come conseguenza dell'assenza di monopoli magnetici, espressa dalla (1.2), si ottiene che il campo magnetico ha componente longitudinale nulla: BL = 0, (4.2) ovvero il campo magnetico è un campo puramente trasverso: Poiché ∇× EL = 0, B = BT . la (1.3) diventa: ∇× ET + 1 ∂BT =0 c ∂t (4.3) che mostra chiaramente come l'evoluzione temporale coinvolge esclusivamente le componenti trasverse dei campi. Si può eliminare la dipendenza dalle componenti longitudinali dei campi anche nell'equazione di evoluzione (1.4). Applicando infatti la decomposi- zione di Helmholtz al vettore densità di corrente, l'equazione di continuità assume la forma: ∇· jL + ∂ρ =0 ∂t (4.4) combinando quindi questa equazione con la derivata temporale della legge di Gauss espressa nella forma (4.1), si ottiene: ∇· ∂EL + 4πjL ∂t =0 (4.5) Si osservi a questo punto che il campo tra parentesi è puramente longitudinale, quindi esso sarà caratterizzato da rotore nullo. L'equazione d'altra parte ci dice che anche la divergenza di tale campo risulta essere nulla. Poiché un campo vettoriale caratterizzato da rotore e divergenza nulli (e quindi anche laplaciano nullo) che vada a zero all'innito in maniera sucientemente rapida è dappertutto nullo, la precedente relazione implica: ∂EL = −4πjL ∂t (4.6) 29 4.2 Problema di Cauchy in assenza di sorgenti Sostituendo dunque questo vincolo nella (1.4) si ottiene inne: ∇× BT − 1 ∂ET 4π = jT c ∂t c (4.7) Abbiamo così separato le equazioni di Maxwell in due gruppi: le equazioni per i campi trasversi che contenendo le derivate temporali costituiscono eettivamente equazioni che regolano l'evoluzione temporale e le equazioni per i campi longitudinali che costituiscono semplicemente dei vincoli non è indipendente dalla equazione (4.1) che devono essere soddisfatti dai campi. Si può riassumere quanto detto nora riscrivendo le equazioni di Maxwell facendo riferimento alle componenti longitudinali e alle componenti trasverse dei campi: ∇· EL = 4πρ, BL = 0, 1 ∂BT = 0, ∇× ET + c ∂t 1 ∂ET 4π ∇× BT − = jT . c ∂t c (4.8) (4.9) (4.10) (4.11) Le componenti longitudinali del campo elettrico e del campo magnetico non sono pertanto delle vere variabili dinamiche, essendo ssate istante per istante dalle condizioni (4.8) e (4.9). I gradi di libertà dinamici sono dati dai campi trasversi 4.2 ET e BT . Problema di Cauchy in assenza di sorgenti Si considerino le equazioni di Maxwell in assenza di sorgenti: ∇ · E(x, t) = 0, ∇ · B(x, t) = 0, 1 ∂B(x, t) ∇ × E(x, t) + = 0, c ∂t 1 ∂E(x, t) ∇ × B(x, t) − = 0. c ∂t (4.12a) (4.12b) (4.12c) (4.12d) La risoluzione di queste equazioni alle derivate parziali richiede che siano assegnate le condizioni iniziali, ovvero che ad un certo istante di tempo siano assegnati due campi x, E0 e B0 , t0 funzioni esclusivamente della posizione tali che: E(x, t0 ) = E0 (x), B(x, t0 ) = B0 (x). (4.13) 4.2 Problema di Cauchy in assenza di sorgenti 30 Le equazioni (4.12), insieme alle condizioni (4.13), costituiscono il problema di Cauchy che si vuole risolvere in assenza di sorgenti. La (4.12a) e la (4.12b) sono equazioni scalari, mentre la (4.12c) e la (4.12d) sono equazioni vettoriali: in totale quindi si dispone di 8 equazioni scalari dalle quali si dovrebbero determinare i campi E e B, che invece sono determinati da 3 componenti ciascuno e quindi 6 componenti in tutto: apparentemente sembrerebbe quindi che questo problema sia sovradeterminato. Tale sovradeterminazione in realtà non sussiste in quanto le equazioni (4.12a) e (4.12b) non rappresentano delle vere e proprie equazioni di evoluzione, ma costituiscono dei vincoli che il campo elettrico ed il campo magnetico devono soddisfare. Si può mostrare che in assenza di sorgenti se questi vincoli sono soddisfatti dalle condizioni iniziali: ∇· E0 (x) = 0, ∇· B0 (x) = 0. (4.14) allora essi saranno soddisfatti automaticamente negli istanti successivi. Infatti considerando la divergenza dell'equazione (4.12c) si ottiene l'equazione: ∂ ∇· B(x, t) = 0, ∂t il che vuol dire che ∇· B(x, t) (4.15) è indipendente dal tempo, e quindi: ∇· B0 (x) = ∇· B(x, t0 ) = 0 ⇒ ∇· B(x, t) = 0 ∀t. (4.16) Analogamente, considerando la divergenza dell'equazione (4.12d) si ottiene che ∇· E(x, t) è indipendente dal tempo, e quindi che: ∇· E0 (x) = ∇· E(x, t0 ) = 0 ⇒ ∇· E(x, t) = 0 ∀t. (4.17) Le equazioni di evoluzione (4.12c) e (4.12d) sono quindi caratterizzate dalla proprietà di preservare automaticamente il vincolo iniziale, e il problema di Cauchy si può riformulare ricercando la soluzione delle sole equazioni (4.12c) e (4.12d) con le condizioni iniziali: E(x, t0 ) = E0 (x), ∇· E0 (x) = 0, (4.18) B(x, t0 ) = B0 (x), ∇· B0 (x) = 0. (4.19) 31 4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti 4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti Si considerino adesso le equazioni di Maxwell in presenza di sorgenti: ∇ · E(x, t) = 4πρ(x, t), ∇ · B(x, t) = 0, 1 ∂B(x, t) ∇ × E(x, t) + = 0, c ∂t 1 ∂E(x, t) 4π ∇ × B(x, t) − = j(x, t). c ∂t c (4.20a) (4.20b) (4.20c) (4.20d) con le condizioni iniziali (4.13). Si può osservare immediatamente che l'equazione di vincolo (4.20b) e l'equazione di propagazione (4.20c) sono rimaste essenzialmente invariate rispetto al caso precedente, ragion per cui non c'è da fare alcuna ulteriore precisazione e valgono le considerazioni precedenti. Per quanto riguarda invece l'equazione di vincolo (4.20a) e l'equazione di propagazione (4.20d), queste dieriscono rispetto al caso precedente per la presenza delle sorgenti. In questo caso si deve ricorrere all'equazione di continuità per garantire che le equazioni di evoluzione conservino il vincolo dell'istante iniziale. Considerando infatti la divergenza della (4.20d), si ottiene: − ∂ ∇· E(x, t) = 4π ∇· j(x, t). ∂t (4.21) Usando l'equazione di continuità, dalla (4.21) segue: ∂ [∇· E(x, t) − 4πρ(x, t)] = 0, ∂t il che signica che (4.22) ∇· E(x, t) − 4πρ(x, t) è indipendente dal tempo. Pertanto si può aermare che se la legge di Gauss vale ad un certo istante iniziale e quindi se vale per il campo iniziale resterà valida per E(x, t) e ρ(x, t) E0 e la densità di carica ρ(x, t0 ), t0 , essa in qualsiasi istante di tempo. Il problema di Cauchy consiste in questo caso nel risolvere le equazioni di evoluzione (4.20c) e (4.20d) con le condizioni iniziali: E(x, t0 ) = E0 (x), B(x, t0 ) = B0 (x), ∇· E0 (x) = 4πρ(x, t0 ), ∇· B0 (x) = 0. (4.23) (4.24) È importante osservare che in presenza di sorgenti le equazioni (4.20c) e (4.20d) non sono sucienti a conservare il vincolo iniziale: a queste si deve aggiungere l'equazione di continuità, che in questo caso non è più una conseguenza delle equazioni di Maxwell ma deve essere postulata separatamente 32 4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti da esse. Si osservi infatti che nel ricavare l'equazione di continuità dalle equazioni di Maxwell si è proceduto considerando le condizioni di vincolo (1.1) e (1.2) valide in ogni istante di tempo. Se invece non si richiede che queste siano valide in ogni istante di tempo ma ci si limita a richiedere che siano soddisfatte solo in un istante di tempo iniziale, esse non permettono più di ottenere l'equazione di continuità. Si è quindi chiarita la relazione che sussiste tra le equazioni di Maxwell e l'equazione di continuità: o si considerano i vincoli validi in ogni istante di tempo e questo implica l'equazione di continuità, oppure si considerano i vincoli validi solo in un istante di tempo iniziale e si postula l'equazione di continuità che permette, insieme alle equazioni di propagazione, di conservare questi vincoli. Capitolo 5 Conclusioni L'analisi di alcuni aspetti matematici delle equazioni di Maxwell ha portato alla comprensione di alcune conseguenze siche molto rilevanti. In primo luogo è stato mostrato come l'equazione di continuità sia contenuta implicitamente nelle equazioni stesse, derivandola da esse mediante semplici manipolazioni matematiche di calcolo vettoriale. Ricavata tale equazione è stato reso esplicito il suo signicato sico evidenziando come essa descriva matematicamente la fondamentale legge della conservazione della carica elettrica. In seguito è stata introdotta la forza di Lorentz, che esprime l'interazione tra una carica puntiforme ed il campo elettromagnetico presente nella regione in cui essa è posta. In particolare è stato mostrato come l'equazione di Minkowski-Lorentz, che descrive l'evoluzione di un sistema di cariche in un campo elettromagnetico, sia essenzialmente una equazione accoppiata alle equazioni di Maxwell, dalle quali si ricava il campo elettromagnetico stesso, ed è stato sottolineato che ciò è conseguenza del fatto che le cariche, il cui moto è governato dal campo elettromagnetico, sono esse stesse sorgenti del campo. Nel secondo capitolo, prettamente matematico, è stato introdotto un importante risultato del calcolo vettoriale noto come scomposizione di Helmholtz. Un particolare importante di tale scomposizione risiede nel fatto che per un determinato campo vettoriale tale scomposizione è unica ed è determinata dalle sorgenti del campo stesso. Nel terzo capitolo sono stati introdotti i potenziali elettromagnetici, i quali forniscono una descrizione alternativa dell'elettromagnetismo, e si è visto come si traducono le equazioni di Maxwell dal punto di vista di tali potenziali. È stata studiata inoltre l'importante proprietà che caratterizza tali potenziali di dare una descrizione del campo elettromagnetico invariante per trasformazioni di gauge, mostrando in particolare come queste trasformazioni 33 34 si possano utilizzare per imporre delle condizioni che semplicano le equazioni da risolvere per determinare i potenziali. Questa caratteristica è quindi particolarmente rilevante quando si vogliono risolvere determinati problemi dell'elettromagnetismo attraverso la formulazione tramite potenziali. Nell'ultimo capitolo è stato inne analizzato il problema di Cauchy associato alle equazioni di Maxwell, concentrando l'attenzione sul ruolo che queste equazioni hanno nella propagazione del campo elettromagnetico. Da questa analisi è risultata una duplice interpretazione delle equazioni di Maxwell: o si prendono così come sono, valide in ogni istante di tempo, ed in tal caso da esse si può derivare l'equazione di continuità, oppure si assume che due di esse siano valide solo ad un istante iniziale di tempo e, postulando l'equazione di continuità, si ottiene che esse saranno valide in ogni istante di tempo successivo come vincoli, mentre le altre due esprimono l'evoluzione temporale del campo elettromagnetico. Appendice A Sistemi di unità di misura La scelta del sistema di unità di misura da utilizzare in un determinato ambito risponde essenzialmente a dei requisiti di convenienza e di chiarezza. L'International Union of Pure and Applied Physics raccomanda di utilizza- Sistema internazionale ) re il SI ( come sistema di unità di misura, mentre in questa tesi è stato scelto il sistema di unità gaussiane in quanto è quel- 1 lo più conveniente nella sica fondamentale . È stato ritenuto opportuno pertanto esporre in questa appendice come si possa giungere all'espressione delle equazioni di Maxwell in tale sistema di unità di misura. Nello scrivere questa sezione ho fatto principalmente riferimento al testo [3] riportato nella bibliograa e a dispense trovate su internet, in particolare [4]. Nel 1785 il sico Charles Augustin Coulomb trovò, sulla base di una serie di osservazioni sperimentali, che il modulo della forza che si esercita tra due 0 cariche puntiformi q e q separate dalla distanza r risulta essere proporzionale alle cariche ed inversamente proporzionale alla distanza che le separa, legge che si può esprimere mediante la relazione: F = k1 In questa relazione k1 qq 0 r2 (A.1) indica la costante di proporzionalità, il cui valore e le cui dimensioni dipendono dalla strada che si sceglie di percorrere: • Se il valore e le dimensioni dell'unità di carica vengono specicate indipendentemente dalla relazione (A.1), il valore e le dimensioni della costante k1 saranno determinati sulla base della (A.1). 1 Agli inizi del Novecento celebri sici quali Lorentz, Planck, Einstein, Millikan, Bohr, Sommerfeld, Pauli, De Broglie, Schrodinger, Born, Heisenberg, Dirac facevano uso delle unità gaussiane 35 36 • Se si vuole denire l'unità di carica sfruttando la (A.1), si può scegliere k1 (anche dimensionalmente) in maniera arbitraria determinando così la denizione dell'unità di carica. Nel sistema internazionale si eettua la prima scelta, denendo separatamente l'intensità di corrente e derivando da questa la denizione della carica elettrica: in questo modo dalla (A.1) segue la determinazione del valore e k1 . Nel sistema CGS si percorre la seconda strada, po- nendo arbitrariamente k1 = 1 e derivando dalla (A.1) la denizione dell'unità delle dimensioni di di carica elettrica. Il campo elettrico E è una quantità derivata, comunemente denita come 2 forza per unità di carica : E = k1 q r2 (A.2) dove si è utilizzata la (A.1) come espressione della forza. Le osservazioni di Ampère forniscono la base per specicare l'interazione magnetica nel caso di fenomeni magnetici stazionari e per denire il campo di induzione magnetica. In base a queste osservazioni egli concluse che la forza per unità di lunghezza tra due conduttori innitamente lunghi, attraversati 0 dalle correnti I ed I , disposti parallelamente tra loro e separati da una distanza d, soddisfa una relazione del tipo: II 0 dF2 = 2k2 dl d (A.3) Se si denisce la corrente come la variazione della carica nel tempo: le dimensioni di k2 relativamente a k1 I= dq , dt sono determinate dalla combinazione delle relazioni (A.1) e (A.3). In particolare prendendo il rapporto tra la prima e la seconda si possono trovare le dimensioni del rapporto k1 : k2 [k1 ][Q]2 [L]−2 [k1 ] [L]2 [F ] = ⇒ = = [v]2 [F ][L]−1 [k2 ][Q]2 [L]−1 [T ]−2 [k2 ] [T ]2 (A.4) Dalla misura sperimentale del rapporto tra queste quantità si trova anche il valore numerico di 2 Una k1 , k2 ottenendo come risultato un numero che sembra denizione generale prevederebbe la denizione del campo elettrico in modo che esso sia proporzionale alla forza per unità di carica, tuttavia poiché il campo elettrico è il primo campo che si introduce e non lo si deve mettere in relazione a nessun altro campo non c'è bisogno di introdurre una ulteriore costante di proporzionalità: basta denirlo in modo che esso sia proprio la forza che si esercita sull'unità di carica. Nell'introduzione di un ulteriore campo (quello magnetico) si dovrà invece introdurre una costante di proporzionalità che tenga in considerazione la relazione che intercorre tra i due campi. 37 coincidere con il quadrato della velocità della luce, e si può pertanto scrivere: k1 = c2 k2 Il campo di induzione magnetica B (A.5) può essere denito a questo punto sfrut- tando la legge di ampere (A.3), in modo che il suo modulo sia numericamente proporzionale alla forza per unità di corrente, con una costante di proporzionalità α che può essere scelta sia numericamente che dimensionalmente in base ad un criterio di convenienza. In tal modo, per un lo rettilineo innitamente lungo attraversato da una corrente I, il campo di induzione magnetica B ad una distanza d ha modulo dato da: B = 2k2 α I d (A.6) Combinando questa equazione con la (A.2) si possono ottenere le dimensioni del rapporto E : B E [T ] [L] [k1 ][Q][L]−2 = [v]2 = = −1 −1 B [k2 ][α][Q][T ] [L] [L][α] [T ][α] (A.7) La terza ed ultima relazione da utilizzare nella specicazione delle unità elettromagnetiche e nelle dimensioni è la legge di induzione di Faraday, che collega i fenomeni elettrici a quelli magnetici. Tale legge si può esprimere in forma dierenziale nella maniera seguente: ∇× E + k3 ∂B =0 ∂t dove è stata introdotta la costante di proporzionalità (A.8) k3 per tenere in consi- derazione le dimensioni relative tra il campo elettrico ed il campo magnetico. Poiché queste sono ssate dalla (A.7), si può esprimere k3 in funzione delle costanti di proporzionalità già introdotte. La dimensione può essere dedotta semplicemente imponendo che i due termini della (A.8) siano omogenei e tenendo conto della (A.7): [E] [B] 1 = [k3 ] ⇐⇒ [k3 ] = [L] [t] [α] (A.9) Utilizzando le quattro equazioni di Maxwell per ricavare l'equazione di propagazione delle onde si può anche far vedere che in realtà k3 è uguale a 1 . α Prima di procedere a dimostrarlo tuttavia, scriviamo le quattro equazioni 38 di Maxwell tenendo presenti le considerazioni fatte nora ed aggiungendo le opportune considerazioni sulla corrente di spostamento: ∇· E = 4πk1 ρ ∇· B = 0 ∂B ∇× E + k3 =0 ∂t ∂E = 4πk2 αj ∇× B − k4 ∂t Mostriamo adesso che la costante k4 (A.10a) (A.10b) (A.10c) (A.10d) introdotta per tener conto della corrente di spostamento in realtà non è una nuova costante indipendente dalle altre ma è legata a queste. Se si considera infatti la divergenza della (A.10d) e si tiene conto della (A.10a), si ottiene: −k4 (4πk1 ) ∂ρ = 4πk2 α ∇· j ∂t che, tenendo conto dell'equazione di continuità relazione: k4 = α 3 (A.11) ∂ρ = ∇· j , ∂t porta alla k2 α = 2 k1 c (A.12) Si può adesso combinare le equazioni (A.10b), (A.10c) e (A.10d) 4 per giungere all'equazione di propagazione del campo magnetico, che assume la forma: ∇2 B − k3 α ∂ 2B =0 c2 ∂t2 (A.13) da cui, imponendo che la velocità di propagazione dell'onda sia pari a ottiene la relazione: 1 k3 = . α Riassumendo, si sono introdotte cinque costanti, k1 , k2 , k3 , k4 e α, c, si che tuttavia non sono tutte indipendenti in quanto sono legate tra loro da 3 relazioni: k1 = c2 k2 k4 = α c2 k3 = 1 α (A.14) Le costanti indipendenti sono quindi solamente 2. I vari sistemi di unità di misura dieriscono per il valore e le dimensioni che si attribuiscono a queste 3 Si dq la legge di continuità osservi che denendo l'intensità di corrente come I = dt assume sempre la stessa forma in qualsiasi sistema di unità di misura. 4 Si ricordi che per ottenere l'equazione di propagazione del campo magnetico si combina il rotore della (A.10d) in assenza di sorgenti con la derivata temporale della (A.10c), tenendo presente che ∇×(∇× B) = ∇(∇· B) − ∇2 B = −∇2 B in virtù della (A.10b) 39 costanti. Si riportano di seguito le equazioni di Maxwell in cui compaiono solo le costanti indipendenti: ∇· E = 4πk1 ρ ∇· B = 0 1 ∂B ∇× E + =0 α ∂t α ∂E α ∇× B − 2 = 4πk1 2 j c ∂t c (A.15a) (A.15b) (A.15c) (A.15d) Si riporta di seguito una tabella in cui sono contenuti i valori e le dimensioni associate alle costanti indipendenti presenti nelle (A.15) nei due sistemi di unità di misura del SI e di Gauss. Nel sistema di unità di misura del SI si introducono poi la costante dielettrica del vuoto tica del vuoto µ0 , 0 e la permeabilità magne- denite come combinazioni delle costanti già introdotte e riportate nella tabella. Sistema SI Gauss k1 10−7 c2 1 α 1 c 7 0 µ0 10 4πc2 4π 107 − − Si osservi che per come sono state introdotte le costanti 1 0 µ0 = 2 . c 0 µ0 , risulta nel SI: Le equazioni di Maxwell che si ottengono nei due sistemi si presentano dunque nella forma riportata nella tabella seguente: SI ρ 0 ∇· B = 0 ∇· E = ∂B =0 ∂t ∂E ∇× B − 0 µ0 = µ0 j ∂t ∇× E + Gauss ∇· E = 4πρ ∇· B = 0 1 ∂B =0 c ∂t 1 ∂E 4π ∇× B − = j c ∂t c ∇× E + Bibliograa [1] Barone V., Relatività. Principi e Applicazioni, Bollati Boringhieri (2004). [2] Arfken G.B. e Weber H.J., Mathematical Methods for Physicists, Elsevier Academic Press (2005). [3] J. D. Jackson, Classical Electrodynamics, John Wiley and Sons (1962). [4] Gabbrielli M, Sistemi di unità di misura elettriche e magnetiche, URL: http://www.studentisica.info/corso/le-terzo/Meccanica- Quantistica/Sistemi-unita'-misura-elettromagnetiche-Gabbrielli.pdf, Data ultimo accesso: 11/07/2015. 40 Ringraziamenti Questa tesi rappresenta soltanto la conclusione di un percorso che è durato tre anni, e vorrei ringraziare tutte le persone che mi sono state d'aiuto nel portarlo a termine. In primo luogo vorrei ringraziare il Prof. Saverio Pascazio per la disponibilità mostratami nello svolgimento di questa tesi nonostante i numerosi impegni, e per la pazienza e il rigore con cui mi ha seguito. In generale vorrei anche ringraziare tutti quei professori che con il loro entusiasmo nell'insegnamento sono stati in grado di trasmettermi la passione per la materia. Un ringraziamento speciale va inne alla mia famiglia: in particolare ai miei genitori, che non mi hanno mai fatto mancare nulla e mi hanno sempre sostenuto in questi tre anni, a mia sorella, sempre comprensiva nei miei confronti, ai miei nonni e ai miei zii, che credono tanto in me e che mi dimostrano continuamente il loro aetto. 41