Università degli studi di Bari Aldo Moro
DIPARTIMENTO INTERATENEO DI FISICA
Michelangelo Merlin
Corso di Laurea in Fisica di I Livello
Il gauge in elettromagnetismo
Relatore:
Prof. Saverio
Pascazio
Laureando:
Giovanni
Anno Accademico 2014-2015
Gramegna
Ai miei genitori
Indice
Introduzione
i
1 Equazioni di Maxwell ed equazione di continuità
1
1.1
Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1
1.2
Sorgenti dei campi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2
Caso delle sorgenti puntiformi . . . . . . . . . . . . . .
3
Equazione di continuità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
5
1.3.1
. . .
6
La forza di Lorentz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
6
1.2.1
1.3
1.4
L'equazione di continuità per sorgenti puntiformi
2 Decomposizione di Helmholtz
9
2.1
Teorema di Helmholtz
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
10
2.2
Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier . .
15
3 Potenziali elettromagnetici e trasformazioni di gauge
3.1
I potenziali elettromagnetici
3.2
Trasformazioni di gauge
18
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
18
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
19
3.2.1
Il gauge di Lorentz
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
3.2.2
Il gauge di Coulomb
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
23
3.2.3
Il gauge temporale
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
3.2.4
Il gauge di radiazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
25
4 Ruolo delle equazioni di Maxwell
21
27
4.1
Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell
. . .
28
4.2
Problema di Cauchy in assenza di sorgenti
4.3
Problema di Cauchy in presenza di sorgenti
. . . . . . . . . . .
29
. . . . . . . . . .
31
5 Conclusioni
33
A Sistemi di unità di misura
35
Bibliograa
39
3
Introduzione
Nel 1865 il sico James Clerk Maxwell pubblica il testo of the Electromagnetic Field A Dynamical Theory
in cui compaiono per la prima volta in forma
dierenziale tutte le leggi dell'elettromagnetismo conosciute no ad allora.
Queste leggi vennero in seguito riformulate in una forma più compatta da
Oliver Heaviside nel moderno formalismo del calcolo vettoriale.
Le equazioni che ne derivano, oggi note come equazioni di Maxwell , insieme alla forza di Lorentz, che esprime l'interazione di una particella carica
con il campo elettromagnetico, forniscono una descrizione completa dell'interazione elettromagnetica, ragion per cui la loro risoluzione data una particolare congurazione iniziale costituisce ancora tutt'oggi oggetto di studio
approfondito.
In questa tesi discuterò alcuni aspetti matematici riguardanti le equazioni
di Maxwell, senza per questo trascurare il signicato sico degli argomenti
trattati.
Nel primo capitolo introdurrò le quattro equazioni discutendone brevemente il signicato e mostrerò come da esse si possa derivare l'equazione di
continuità. Introdurrò inoltre la forza di Lorentz per completare la descrizione dell'interazione elettromagnetica mediante l'equazione di MinkowskiLorentz, mostrando come essa sia, in generale, accoppiata alle equazioni di
Maxwell.
Il contenuto del secondo capitolo è prettamente matematico: esporrò un
notevole risultato del calcolo vettoriale che va sotto il nome di decomposizione di Helmholtz, del quale mi servirò nel resto della tesi.
Nel terzo capitolo introdurrò la formulazione dell'elettromagnetismo mediante i potenziali elettromagnetici:
mostrerò come essi costituiscano una
procedura mediante la quale si possono risolvere le equazioni di Maxwell.
Illustrerò inoltre come la libertà nella scelta di questi potenziali sia in grado
di semplicare le equazioni da risolvere.
Nel quarto ed ultimo capitolo eettuerò uno studio più dettagliato del
ruolo delle equazioni di Maxwell distinguendo le equazioni che fungono da
vincolo dalle equazioni che determinano l'evoluzione temporale dei campi.
i
ii
Nel condurre questa analisi studierò il problema di Cauchy associato alle
equazioni ponendo particolare attenzione al ruolo dell'equazione di continuità
nella trattazione del problema.
Poiché il sistema di unità di misura che ho adottato è quello delle unità
gaussiane, nell'appendice ho esposto una breve discussione sui sistemi di unità
di misura, nella quale ho anche riportato un confronto tra la forma assunta
dalle equazioni di Maxwell nel sistema internazionale con la forma che esse
assumono nel sistema delle unità gaussiane.
Capitolo 1
Equazioni di Maxwell ed
equazione di continuità
In questo capitolo mi sono ispirato principalmente al testo [1] riportato nella
bibliograa.
1.1
Sia
x
Equazioni di Maxwell
il vettore posizione che individua un generico punto dello spazio 3-
dimensionale e sia
t la variabile che denota il tempo.
Le equazioni di Maxwell
si possono scrivere allora nella forma seguente:
∇ · E(x, t) = 4πρ(x, t),
∇ · B(x, t) = 0,
1 ∂B(x, t)
= 0,
∇ × E(x, t) +
c
∂t
1 ∂E(x, t)
4π
∇ × B(x, t) −
=
j(x, t),
c
∂t
c
(1.1)
(1.2)
(1.3)
(1.4)
Analizziamo brevemente queste equazioni una ad una:
•
La (1.1) esprime la
legge di Gauss,
che mette in relazione il campo
elettrico con le sue sorgenti coulombiane, le cariche elettriche.
•
La (1.2) esprime in maniera matematica l'assenza in natura di monopoli
magnetici: il campo magnetico è un campo solenoidale privo di sorgenti
coulombiane.
1
2
1.2 Sorgenti dei campi
•
La (1.3) esprime la
legge di Faraday-Neumann-Lenz in forma die-
renziale, mostrando che si può generare un campo elettrico da variazioni
del campo magnetico.
•
La (1.4) esprime la
legge di Ampère-Maxwell:
essa contiene il prin-
cipale contributo di Maxwell il quale corresse la legge di Ampère. Questa metteva semplicemente in relazione il campo magnetico alle correnti che costituiscono le sue sorgenti vorticose, limitandosi a considerare
situazioni stazionarie. Maxwell, spinto da considerazioni di simmetria
della natura, intuì che così come variazioni del campo magnetico danno
luogo ad un campo elettrico, alla stessa maniera variazioni del campo
elettrico danno luogo ad un campo magnetico e questa intuizione portò
all'aggiunta del termine con la derivata temporale nella (1.4).
Da un punto di vista matematico si può osservare che le equazioni di Maxwell
costituiscono un sistema di equazioni dierenziali alle derivate parziali, delle
quali la (1.2) e la (1.3) sono equazioni omogenee, mentre la (1.1) e la (1.4)
contengono le sorgenti dei campi, la
corrente j(x, t).
1.2
densità di carica ρ(x, t) e la densità di
Sorgenti dei campi
Le sorgenti dei campi si deniscono matematicamente in maniera implicita
in modo che:
• dq = ρ(x, t)d3 x rappresenti la carica contenuta nell'elemento di volume
3
innitesimo d x;
• dI = j(x, t) · dS
rappresenti la corrente che attraversa l'elemento di
supercie innitesimo individuato dal vettore
versore normale all'elemento di supercie e
dS
dS = dSn,
dove
n
è il
la sua area.
Con queste denizioni segue in maniera naturale che la carica contenuta in
un volume
V
ad un certo istante di tempo
t
si ottiene integrando la densità
di carica su tale volume:
Z
Q(t) =
V
ρ(x, t)d3 x,
(1.5)
3
1.2 Sorgenti dei campi
e la corrente che attraversa una certa supercie
di tempo
t
S
1
in un determinato istante
sarà data dal usso del vettore densità di corrente:
Z
j(x, t) · dS.
I(t) =
(1.6)
S
1.2.1
Caso delle sorgenti puntiformi
Le denizioni della densità di carica e della densità di corrente date presuppongono implicitamente una distribuzione spaziale di carica continua. Questa ipotesi costituisce una buona assunzione di lavoro in alcune situazioni ma
può essere del tutto fuorviante in altri casi.
Ad esempio, se si sta considerando la densità spaziale di carica in un cord3 x si può indicare un volume innitesimo dal
punto di
po conduttore, con
vista macroscopico :
questo signica che esso rappresenta un volume piccolo
dal punto di vista delle dimensioni del corpo che si sta prendendo in considerazione, ma molto grande rispetto alle dimensioni delle singole cariche che
si trovano nel corpo. Un volume siatto, seppur molto piccolo al punto da
poterlo ritenere innitesimo dal punto di vista macroscopico, può contenere
ancora un elevato numero di cariche e ciò garantisce che l'assunzione di una
distribuzione continua di carica costituisca una buona approssimazione.
Vi sono tuttavia altre situazioni in cui questa assunzione è del tutto errata:
se si considera ad esempio il moto di una singola particella carica all'interno
di un campo elettromagnetico, la densità di carica da essa generata avrà una
natura essenzialmente discreta, e questo ha delle conseguenze abbastanza rilevanti dal punto di vista della denizione della densità di carica. Per poter
tenere conto di questa situazione sica non si possono utilizzare delle funzioni
continue per la
ρ(x, t)
ed in realtà non si possono nemmeno utilizzare delle
funzioni intese nel senso ordinario del termine. Si deve in tal caso ricorrere ad uno strumento matematico più complesso che costituisce una sorta di
generalizzazione del concetto di funzione e che prende il nome di zione
distribu-
. Una delle distribuzioni più utilizzate in sica, e del resto quella che
si utilizzerà per esprimere la
ρ(x, t)
nel caso di sorgenti puntiformi, è la
δ
di
Dirac. Le proprietà più importanti che caratterizzano questa distribuzione
1 In
questo caso la supercie S è del tutto generica, e le relazioni che si ottengono hanno
validità generale. Nel paragrafo 1.3, invece, con S si indicherà in particolare la supercie
che delimita il volume V e si metterà in relazione la carica in esso contenuta con la corrente
che attraversa tale supercie.
4
1.2 Sorgenti dei campi
(anzi, che la deniscono) sono le seguenti:
Z


f (x) δ 3 (x − x0 )d3 x = f (x0 )

ZV



f (x) δ 3 (x − x0 )d3 x = 0
se
x0 ∈ V
(1.7)
se
x0 ∈
/V
V
Fatta questa premessa, vediamo adesso come si deniscono la densità di
carica e la densità di corrente in presenza di sorgenti puntiformi.
e
Una particella di carica
individuata dal vettore posizione
z(t)
genera
una densità di carica pari a:
ρ(x, t) = eδ 3 (x − z(t)).
Se si hanno invece
(1.8)
n particelle puntiformi aventi cariche ea ed individuate
za (t) (a = 1, 2, ..n), la densità di carica totale cui danno
dai vettori posizione
luogo è pari a:
ρ(x, t) =
X
ρa (x, t) =
X
ea δ(x − za (t)).
(1.9)
a
a
Si osservi che integrando l'espressione precedente su un volume V contenente le n cariche e sfruttando le proprietà della delta di Dirac si ottiene:
Z
3
ρ(x, t)d x =
V
X
a
La densità di corrente
la densità di carica
ρa
ja
Z
ea
δ 3 (x − za (t))d3 x =
V
X
ea .
(1.10)
a
associata a ciascuna particella è data dal-
di quella particella moltiplicata per la sua velocità
va (t) = ża (t):
ja (x, t) = ρa (x, t)va (t) = ea va (t)δ 3 (x − za (t)).
y
ea
va (t)
za (t)
x
z
(1.11)
5
1.3 Equazione di continuità
La densità di corrente complessiva del sistema di particelle è dunque data
da:
j(x, t) =
X
ea va (t)δ 3 (x − za (t)).
(1.12)
a
1.3
Equazione di continuità
Dalle leggi di Maxwell si può derivare una importante legge che lega tra loro
le sorgenti e che prende il nome di
equazione di continuità :
∇·j+
∂ρ
= 0.
∂t
(1.13)
Derivando infatti rispetto al tempo la relazione (1.1) si ottiene che:
∂
∂ρ
∇ · E = 4π ,
∂t
∂t
(1.14)
mentre prendendo la divergenza della (1.4), osservando che la divergenza
di un rotore è nulla e scambiando la derivazione temporale con l'operatore
divergenza si ottiene:
−
1∂
4π
∇·E =
∇ · j,
c ∂t
c
(1.15)
sommando la (1.14) e la (1.15) si ritrova inne la (1.13).
Si può mostrare che l'equazione di continuità (1.13) rappresenta la formulazione matematica della legge di conservazione della carica elettrica che, conviene ricordarlo, è una legge di natura sperimentale di cui non sono mai state
osservate violazioni. Per mostrarlo integriamo i due termini dell'equazione
(1.13) su un volume nito dello spazio:
Z
Z
∂
∇ · j(x, t)d x = −
∂t
3
V
ρ(x, t)d3 x
(1.16)
V
dove si è tenuto presente che, se si ssa il volume di integrazione, il segno di
derivata parziale si può portare fuori dall'integrale per il teorema di derivazione sotto il segno di integrale. Applicando quindi il teorema della divergenza
al primo membro, si ottiene:
Z
∂V
d
j(x, t) · dS = −
dt
Z
ρ(x, t)d3 x,
(1.17)
V
da cui si ottiene, utilizzando la (1.5) e la (1.6):
I(t) = −
dQ(t)
.
dt
(1.18)
6
1.4 La forza di Lorentz
Questa relazione ci dice che se vi è usso di corrente attraverso la supercie
che racchiude il volume verso l'esterno di questo, la carica contenuta nel
volume diminuirà. In particolare se si estende il volume a tutto lo spazio e si
assume (come è ragionevole) che la densità di corrente vada a zero all'innito,
si ottiene che il membro di sinistra si annulla e l'integrale esprime la carica
Qtot
contenuta in tutto lo spazio, sicché:
dQtot
= 0 ⇒ Qtot = costante,
dt
(1.19)
come si voleva mostrare.
Si osservi che l'equazione di continuità è stata derivata dalle equazioni di
Maxwell assumendo che l'equazione (1.1) sia valida in ogni istante di tempo.
Come si mostrerà nel Capitolo 4, si può seguire un procedimento alternativo
in cui si assume la (1.1) valida solo in un istante di tempo iniziale, ed in
questo caso l'equazione di continuità non può essere ottenuta dalle equazioni
di Maxwell ma và postulata indipendentemente. D'altra parte questa assunzione è abbastanza naturale: se all'interno di un volume
certa carica
Q,
V
è contenuta una
ad una variazione di questa quantità di carica deve essere
necessariamente associata un passaggio di cariche attraverso la supercie che
delimita il volume, il cui usso darà luogo ad una corrente
1.3.1
I(t).
L'equazione di continuità per sorgenti puntiformi
È facile vericare che la (1.9) e la (1.12) soddisfano l'equazione di continuità.
Infatti, derivando la (1.9) rispetto al tempo otteniamo:
∂ρ X ∂ρa
=
· va
∂t
∂za
a
e, osservando che poiché le
ρa
sono funzioni di
(1.20)
x − za ,
risulta:
∂ρa
∂ρa
=−
= − ∇ ρa ,
∂za
∂x
(1.21)
si può concludere:
X
X
∂ρ
=−
va · ∇ ρa = − ∇·
ρa va
∂t
a
a
1.4
!
= − ∇· j.
(1.22)
La forza di Lorentz
Per ottenere una descrizione completa dell'interazione elettromagnetica, si
deve aggiungere alle quattro equazioni di Maxwell, che descrivono l'evoluzione del campo elettromagnetico, l'espressione che descrive l'evoluzione del
7
1.4 La forza di Lorentz
moto di una particella carica posta in un campo elettromagnetico. Considerata una particella dotata di una carica
z(t),
e ed individuata dal vettore posizione
la forza che agisce su di essa, nota come
forza di Lorentz, è data da:
1
FL = e E + v × B ,
c
dove i campi
E
Introducendo l'
e
B
(1.23)
vanno calcolati nella posizione occupata dalla particella.
impulso relativistico p = mγv ,
dp
.
della dinamica relativistica come F =
dt
si può scrivere l'equazione
Pertanto l'equazione di evoluzione
della particella sarà data da:
d
1
(mγv(t)) = e E(z(t), t) + v(t) × B(z(t), t) ,
dt
c
che prende il nome di
equazione di Minkowski-Lorentz.
questa equazione il campo
E
ed il campo
B
(1.24)
Si osservi che in
sono valutati nella posizione
occupata dalla particella nell'istante di tempo considerato.
In generale, in un problema di elettrodinamica, le equazioni di Maxwell e
l'equazione di Minkowski-Lorentz sono
accoppiate.
Infatti le sorgenti presen-
ti nelle equazioni di Maxwell sono quelle date dalle relazioni (1.9) e (1.12),
che contengono le velocità e le posizioni delle particelle, le quali devono soddisfare l'equazione di Minkowski-Lorentz.
Viceversa, i campi contenuti in
quest'ultima sono generati dalle stesse particelle di cui si vuole determinare
il moto, in quanto la posizione e la velocità di queste generano le sorgenti
contenute nelle equazioni di Maxwell. Per rendere chiara questa interdipendenza conviene scrivere tutte le equazioni prendendo in esame la densità di
carica e la densità di corrente date dalla (1.9) e dalla (1.12):
X
ea δ 3 (x − za (t)),
(1.25a)
∇· B(x, t) = 0,
1 ∂B(x, t)
= 0,
∇× E(x, t) +
c
∂t
1 ∂E(x, t)
4π X
∇× B(x, t) −
=
ea va (t)δ 3 (x − za (t)),
c
∂t
c a
1
d
(mγv(t)) = e E(z(t), t) + v(t) × B(z(t), t) .
dt
c
(1.25b)
∇· E(x, t) = 4π
a
(1.25c)
(1.25d)
(1.25e)
In alcune situazioni di rilevanza pratica o le sorgenti o i campi sono ssati e basta quindi risolvere solo le equazioni di Maxwell nel primo caso o
1.4 La forza di Lorentz
8
solo l'equazione di Minkowski-Lorentz nel secondo. Tuttavia ciò non è sempre possibile ed in molte altre situazioni si deve risolvere l'intero sistema
(1.25) di equazioni accoppiate per poter ottenere una descrizione esaustiva
dell'evoluzione del sistema sico considerato.
Capitolo 2
Decomposizione di Helmholtz
Si può dire che le caratteristiche più importanti di un campo vettoriale siano
il suo usso attraverso una supercie chiusa
una curva chiusa
Γ.
Σ
e la sua circuitazione lungo
L'importanza di queste caratteristiche si può compren-
dere se si riette sul fatto che le equazioni di Maxwell, che rappresentano la
formulazione dierenziale dell'elettromagnetismo, derivano da leggi espresse
in forma integrale come usso attraverso una supercie o come circuitazione
lungo una linea chiusa. La formulazione dierenziale permette di esprimere
queste proprietà essenziali dei campi, svincolandosi dalla particolare supercie o curva che si va a considerare, passando quindi da leggi integrali a leggi
dierenziali che valgono punto per punto.
Volendo fare un esempio concreto, la (1.2) esprime in forma dierenziale
una caratteristica essenziale del campo magnetico: il usso di
B
attraverso
una supercie qualsiasi risulta essere sempre nullo. Come è noto e come è
stato già specicato nel capitolo precedente, questa proprietà discende dall'assenza di monopoli magnetici e quindi dall'assenza di sorgenti coulombiane
per il campo
B
che risulta essere pertanto un campo solenoidale.
Un altro esempio che si può fare è quello del campo elettrostatico: la (1.3)
ci dice che in situazioni stazionarie (B =costante) il campo elettrico risulta
essere irrotazionale e quindi conservativo, ovvero la sua circuitazione lungo
1
una qualsiasi curva chiusa risulta essere nulla .
Il campo magnetico ed il campo elettrostatico tuttavia sono esempi particolari di campi vettoriali da questo punto di vista: l'uno è un campo solenoidale, l'altro è un campo irrotazionale. In generale, un campo vettoriale
può avere sia divergenza che rotore diversi da zero.
Dato che queste due
caratteristiche del campo rappresentano una descrizione delle sue proprietà
più rilevanti, risulterebbe allora utile (e decisamente signicativa) la possibi-
1 Si
osservi che si sta tacitamente supponendo che le regioni di volume considerate siano
semplicemente connesse
9
10
2.1 Teorema di Helmholtz
lità di scomporre i campi vettoriali in una componente solenoidale e in una
componente irrotazionale.
Questa possibilità difatti esiste e deriva da un
importante risultato del calcolo vettoriale che va sotto il nome di decomposizione di Helmholtz . Grazie a questo risultato si può mostrare non solo
che questa scomposizione esiste, ma anche che è unica. Prima di procedere nella trattazione del teorema conviene però esprimere in maniera formale
quanto detto nora, osservando come la divergenza ed il rotore di un campo vettoriale qualsiasi si possano interpretare come le sorgenti del campo
stesso.
Sorgenti di un campo vettoriale
Dato un campo vettoriale
siasi, si possono ottenere le sue sorgenti coulombiane
vorticose
c(x)
s(x)
V (x)
qual-
e le sue sorgenti
nella maniera seguente:
∇· V (x) = s(x)
∇× V (x) = c(x)
(2.1)
(2.2)
Questi due tipi di sorgenti hanno un signicato ben preciso, che può essere
compreso se si utilizzano il teorema della divergenza ed il teorema di Stokes.
Ω sono
∂Ω che delimita tale
Infatti, le sorgenti coulombiane contenute in un certo volume
responsabili del usso del campo attraverso la supercie
volume, in virtù del teorema della divergenza:
Z
I
3
Z
∇· V (x)d x =
V (x) · dS =
(2.3)
Ω
Ω
∂Ω
s(x)d3 x,
mentre le sorgenti vorticose del campo sono quelle che determinano la sua
circuitazione su una linea chiusa
in virtù del teorema di Stokes:
Z
c(x) · dS
∇× V (x) · dS =
V (x) · d` =
Γ
dove
Γ,
Z
I
Σ
(2.4)
Σ
Σ è una supercie che poggia sulla curva Γ, orientata positivamente con
Γ.
la regola della mano destra, in accordo al verso positivo ssato su
2.1
Teorema di Helmholtz
Il materiale a cui fa riferimento questa sezione si trova essenzialmente nel
testo [2] riportato nella bibliograa.
Si procederà nella dimostrazione del
teorema di Helmholtz, per condurre la quale ci si servirà di un teorema di
unicità che permette di determinare univocamente un campo vettoriale sotto
opportune condizioni.
Ci si concentrerà quindi preliminarmente su questo
teorema per poi procedere alla dimostrazione del teorema di Helmholtz vero
e proprio.
11
2.1 Teorema di Helmholtz
Teorema 1. Un campo vettoriale V (x) è univocamente specicato se sono
assegnate la sua divergenza ed il suo rotore in una regione semplicemente
connessa Ω e la sua componente normale alla supercie sul bordo di tale
regione.
Dimostrazione.
e sia
Vn
Siano:
∇· V (x) = s(x),
(2.5)
∇× V (x) = c(x),
(2.6)
la componente normale alla supercie che costituisce il bordo del
dominio di
V:
Vn = [V · n]∂Ω
(2.7)
U
Si assuma che esista un altro campo vettoriale
che goda delle stesse
proprietà e si denisca:
W =V −U
(2.8)
In tal caso per la linearità degli operatori divergenza e rotore risultano valere
le seguenti:
∇· W = 0,
(2.9)
∇× W = 0.
Dalla seconda otteniamo che, essendo
W
(2.10)
irrotazionale, esso si potrà derivare
da un potenziale scalare:
W = − ∇ ϕ,
(2.11)
da cui, sostituendo nella prima, si ottiene che questo campo
ϕ deve soddisfare
la seguente:
∇·(− ∇ ϕ) = −∇2 ϕ = 0
che è una equazione di Laplace.
Green:
Z
Adesso si consideri la prima identità di
2
Z
3
[u∇ v + (∇ u) · (∇ v)]d x =
Ω
con
(2.12)
u
∂Ω
∂v
dS,
∂n
(2.13)
u = v = ϕ:
Z
2
Z
3
[ϕ∇ ϕ + (∇ ϕ) · (∇ ϕ)]d x =
Ω
ϕ
∂Ω
∂ϕ
dS,
∂n
(2.14)
da cui si ottiene:
Z
3
Z
(−W ) · (−W )d x =
Ω
ovvero:
ϕ[(∇ ϕ) · n]dS,
(2.15)
∂Ω
Z
3
Z
(W · W )d x = −
Ω
ϕWn dS.
∂Ω
(2.16)
12
2.1 Teorema di Helmholtz
Adesso si osservi che:
Wn = Vn − Un = 0
su tutto il bordo
∂Ω,
(2.17)
quindi l'integrale a secondo membro è nullo, e anché
sia nullo anche il primo membro, tenendo in considerazione che la quantità
W · W è denita positiva, deve essere necessariamente W = 0
Ω, da cui V = U e quindi la prova del teorema.
ovunque in
Adesso si procederà invece nella dimostrazione del teorema vero e proprio.
2
Teorema 2. Sia V (r) un campo vettoriale dierenziabile due volte con continuità e che vada a zero all'innito almeno come 1/r. Allora esso può essere scritto come la somma di due campi vettoriali, uno solenoidale e l'altro
irrotazionale.
Dimostrazione.
il campo
V
Per provare il teorema basterà mostrare che si può scrivere
nella forma seguente:
V = − ∇ ϕ + ∇× A,
dal momento che
(2.18)
− ∇ ϕ è irrotazionale e ∇× A è solenoidale.
I campi
ϕeA
vanno però costruiti opportunamente, e questo lo si può fare a partire dalle
sorgenti denite dalla (2.1) e dalla (2.2), nella maniera seguente:
L'ipotesi che il campo
V
1
ϕ(r) =
4π
Z
1
A(r) =
4π
Z
s(r 0 ) 3
d r,
|r − r 0 |
(2.19)
c(r 0 ) 3 0
dr.
|r − r 0 |
(2.20)
vada a zero all'innito in maniera sucientemente
rapida implica che anche le sorgenti
mente da garantisce che i campi
ϕ
e
s e c vadano a
A deniti nelle
zero abbastanza veloce(2.19)-(2.20) siano niti
su tutto lo spazio.
Si osservi prima di continuare che nella (2.19) e nella (2.20) con
r
si sta
indicando il vettore posizione che individua il punto in cui si calcolano i campi
ϕ e A, mentre con r 0 si sta indicando il vettore posizione che individua le
sorgenti, o meglio che individua il punto in cui si valuta la
2 Nella
densità di sorgenti.
dimostrazione di questo teorema il vettore che individua la posizione in cui si
valutano i campi sarà indicato con r e non con x come fatto nora.
13
2.1 Teorema di Helmholtz
y
Distribuzione di carica
Sorgente
0 0 0
(x , y , z )
r0
r − r0
x
r
Punto in cui si valuta il campo
(x, y, z)
z
Se mostriamo che il campo
U = − ∇ ϕ + ∇× A,
con
V,
(2.21)
ϕ e A dati rispettivamente dalla (2.19) e dalla (2.20), è identico al campo
avremo dimostrato il teorema.
Per dimostrarlo ci possiamo avvalere del Teorema 1: osservando che sia
V
che
U
vanno a zero all'innito, ci basterà mostrare che le sorgenti di
coincidono con le sorgenti di
V,
U
ovvero che i due campi vettoriali hanno
stessa divergenza e stesso rotore. A tal ne si osservi che:
∇· U = − ∇· ∇ ϕ = −∇2 ϕ,
in quanto
∇· ∇× A = 0,
e che:
∇× U = ∇×(∇× A),
in quanto
(2.22)
− ∇× ∇ ϕ = 0.
(2.23)
Quindi in ultima analisi si vogliono dimostrare le
seguenti:
− ∇2 ϕ = s(r),
∇×(∇× A) = c(r).
(2.24)
(2.25)
Procediamo alla dimostrazione della (2.1) mediante valutazione diretta del
laplaciano:
1
−∇ ϕ = − ∇2
4π
2
Z
s(r 0 )
|r − r 0 |
d3 r 0 ,
(2.26)
14
2.1 Teorema di Helmholtz
si osservi ora che l'operatore
∇
opera sulle coordinate relative ad r , mentre
r 0 , quindi le due ope-
l'integrazione è eettuata sulle coordinate relative ad
razioni sono indipendenti l'una dall'altra e si può invertire l'ordine in cui le
si esegue:
1
−∇ ϕ = −
4π
2
Z
1
s(r 0 ) 3 0
d r =−
∇
0
|r − r |
4π
2
Z
0
2
s(r )∇
1
|r − r 0 |
d3 r 0 ,
(2.27)
ricordando adesso che sussiste la seguente relazione:
∇
2
1
|r − r 0 |
= −4πδ 3 (r − r 0 ),
(2.28)
e sfruttando le proprietà della delta di Dirac, risulta che:
Z
1
−∇ ϕ = −
s(r 0 )(−4π)δ 3 (r − r 0 )d3 r 0 =
4π
Z
= s(r 0 )δ 3 (r 0 − r)d3 r 0 = s(r).
2
(2.29)
(2.30)
che prova la (2.24).
Procediamo adesso alla dimostrazione della (2.25), richiamando innanzitutto la seguente identità vettoriale:
∇×(∇× A) = ∇(∇· A) − ∇2 A.
(2.31)
Valutiamo il primo termine:
c(r 0 ) 3 0
dr
=
∇(∇· A) = ∇ ∇·
|r − r 0 |
Z
c(r 0 )
1
3 0
∇·
=
∇
dr =
4π
|r − r 0 |
Z
1
1
0
3 0
∇
c(r ) · ∇
dr ,
=
4π
|r − r 0 |
1
4π
Z
(2.32)
dove si è sfruttata l'identità vettoriale:
∇·(ψC) = C · ∇ ψ + ψ ∇· C,
tenendo conto del fatto che
x
∇· c(r 0 ) = 0.
(2.33)
Andiamo a valutare la componente
della (2.32):
Z
1 ∂
1
0
3 0
[∇(∇· A)]x =
c(r ) · ∇
dr
4π ∂x
|r − r 0 |
Z
1
∂
1
0
=
c(r ) · ∇
d3 r 0 ,
4π
∂x |r − r 0 |
(2.34)
15
2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier
e osservando che risulta:
∂
∇
∂x
1
|r − r 0 |
∂
= −∇ − 0
∂x
0
1
|r − r 0 |
=∇
0
∂
∂x0
1
|r − r 0 |
,
(2.35)
si giunge alla seguente:
Z
0
c(r ) · ∇
4π[∇(∇· A)]x =
0
∂
∂x0
1
|r − r 0 |
d3 r 0
(2.36)
dalla quale, mediante integrazione per parti, si ottiene:
∂
1
4π[∇(∇· A)]x = ∇ · c(r ) 0
d3 r 0 +
0
∂x |r − r |
Z
∂
1
0
0
− [∇ · c(r )] 0
d3 r 0 .
∂x |r − r 0 |
Z
0
0
(2.37)
In quest'ultima espressione si può trasformare il primo integrale in un integrale di supercie applicando il teorema della divergenza, e ricordando che
le sorgenti vanno a zero all'innito abbastanza rapidamente da dare un usso nullo attraverso la supercie all'innito. Per quanto riguarda il secondo
0
termine, esso risulta invece essere nullo in quanto c(r ) è denito come il
0
0
rotore di un campo e pertanto ha ∇ · c(r ) = 0. Poichè per le altre componenti si può fare un ragionamento del tutto analogo, si può concludere che
∇(∇· A) = 0.
Pertanto tenendo conto della (2.31) si ottiene:
1
∇×(∇× A) = −∇ A = − ∇2
4π
2
Z
c(r 0 )
|r − r 0 |
d3 r 0 ,
(2.38)
a questo punto basta procedere con passaggi del tutto analoghi a quelli seguiti
partendo dalla (2.26), ed in tal modo si riesce a dimostrare la (2.25), e con
essa il teorema.
2.2
Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier
Riassumendo quanto detto nora, la decomposizione di Helmholtz prevede
che qualsiasi campo vettoriale
V
che sia abbastanza regolare si possa scrivere
nella forma:
V = − ∇ ϕ + ∇× A
(2.39)
16
2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier
Il Teorema 1 della sezione precedente ci garantisce inoltre che questa scompo-
unica. In genere si indica la prima componente come la componente longitudinale del campo e la seconda componente come la componente
trasversa del campo, e si scrive la (2.39) nella forma:
sizione è
V (x) = VL (x) + VT (x),
con i campi
VL
e
VT
(2.40)
caratterizzati dalle proprietà:
∇× VL (x) = 0,
∇· VT (x) = 0.
(2.41)
(2.42)
Per comprendere meglio questa denominazione, conviene introdurre la trasformata di Fourier di questi campi. La trasformata di Fourier di
come:
V(k) =
Da essa si può riottenere
3
(2π) 2
V (x)
V (x) =
Z
1
V
è denita
d3 x e−ik·x V (x).
(2.43)
come l'antitrasformata di Fourier di
Z
1
(2π)
3
2
d3 k e−ik·x V(k).
V(k):
(2.44)
In virtù della linearità della trasformazione di Fourier si può anche scrivere
che:
V(k) = V L (k) + V T (k),
con
V L (k)
e
V L (k)
trasformate di Fourier rispettivamente di
(2.45)
VL
e di
VT .
Utilizzando la seguente relazione:
∂ ik·x
e
= ikj eik·x ,
∂xj
(2.46)
le condizioni (2.41) e (2.42) diventano condizioni sulle trasformate che si
possono esprimere in questa maniera:
k × V L (k) = 0,
k · V T (k) = 0.
(2.47)
(2.48)
17
2.2 Decomposizione di Helmholtz con le trasformate di Fourier
V T (k)
k
V L (k)
Queste due equazioni chiariscono immediatamente il signicato della denominazione introdotta: la (2.47) ci dice che il campo longitudinale
rallelo alla direzione di
k
per ogni
k,
k
per ogni
k.
è pa-
mentre la (2.48) ci dice che il campo
trasverso non ha componenti lungo la direzione di
trasversale a
VL
k, esso giace cioè nel piano
Capitolo 3
Potenziali elettromagnetici e
trasformazioni di gauge
3.1
I potenziali elettromagnetici
Si possono riscrivere le equazioni di Maxwell in una forma più maneggevole
mediante l'introduzione di opportune funzioni chiamate
gnetici.
potenziali elettroma-
Si può seguire una strategia che consiste nel ricavare questi potenziali
dalle equazioni omogenee per sostituirli quindi nelle equazioni che contengono
le sorgenti, in modo da ottenere le equazioni che permettono di determinare
i potenziali stessi date le sorgenti. Partiamo dall'equazione (1.2): in virtù di
questa equazione si può aermare che deve esistere un campo vettoriale
detto
potenziale vettore, tale che:
B = ∇× A
A,
(3.1)
Sostituendo questa equazione nell'altra equazione omogenea, la (1.3), si ottiene:
1 ∂A
=0
∇× E −
c ∂t
(3.2)
Quindi il campo tra parentesi risulta essere irrotazionale: come per qualsiasi
campo irrotazionale, si può allora dedurre che deve esistere una funzione
ϕ(x, t),
che chiameremo
potenziale scalare, tale che:
E+
1 ∂A
= −∇ϕ
c ∂t
(3.3)
Il campo elettrico sarà pertanto legato ai potenziali dalla relazione:
E = −∇ϕ −
18
1 ∂A
c ∂t
(3.4)
19
3.2 Trasformazioni di gauge
Passiamo adesso alla seconda fase, che consiste come già detto nel sostituire le
espressioni (3.1) e (3.4) dei campi nelle equazioni non omogenee per ottenere
le equazioni che determinano i potenziali a partire dalle sorgenti. Sostituendo
la (3.1) nella (1.4) si ottiene:
∇×(∇× A) +
1∂
1 ∂ 2A
4π
∇ϕ + 2 2 =
j
c ∂t
c ∂t
c
(3.5)
dalla quale, utilizzando l'identità:
si ottiene:
∇×(∇× A) = ∇(∇· A) − ∇2 A
(3.6)
1 ∂A
4π
1 ∂ϕ
∇ A − 2 2 − ∇ ∇· A +
= − j.
c ∂t
c ∂t
c
(3.7)
2
Sostituendo invece l'espressione (3.4) nella (1.1) si ottiene:
∇2 ϕ +
1
∂A
∇·
= −4πρ
c
∂t
(3.8)
Le equazioni (3.7) e (3.8) rappresentano un sistema di equazioni alle derivate
parziali
accoppiate.
Fortunatamente, come si vedrà nella sezione seguente,
queste equazioni possono essere disaccoppiate mediante l'utilizzo di alcune
condizioni di gauge che ne semplicano la forma.
3.2
Trasformazioni di gauge
Le relazioni (3.1) ed (3.4) non determinano univocamente i potenziali
Fissati i campi
E
e
B,
ϕ e A.
ad essi corrispondono infatti inniti potenziali elet-
tromagnetici. In altre parole a partire da dei potenziali
(A, ϕ) che corrispon-
dono ad un determinato campo elettromagnetico si possono eettuare delle
0
0
trasformazioni per ottenere dei potenziali (A , ϕ ) che corrispondono ancora
allo stesso campo elettromagnetico, che del resto è l'unico campo sicamente
rilevante, dal momento che è quello che determina le forze che agiscono su
una particella carica.
Le trasformazioni che permettono di passare da dei
determinati potenziali ad altri potenziali senza che vi sia un cambiamento
dei campi
E
e
B
ad essi associati si chiamano
trasformazioni di gauge, e
rappresentano una simmetria dell'elettromagnetismo.
Vediamo adesso come sono fatte queste trasformazioni di gauge. Si osservi
innanzitutto che eettuando una sostituzione del tipo:
A(x, t) → A0 (x, t) = A(x, t) + ∇ χ(x, t)
(3.9)
20
3.2 Trasformazioni di gauge
con
χ(x, t)
arbitraria funzione scalare, si ottiene un potenziale vettore che
determina un campo magnetico identico a quello associato ad
A(x, t):
B 0 = ∇× A0 = ∇× A + ∇× ∇ χ = ∇× A = B
(dove si è sfruttata la proprietà
∇× ∇ χ = 0).
(3.10)
Per quanto riguarda il campo
elettrico invece, se ci si limita ad eettuare esclusivamente la trasformazione
(3.9), esso diventa:
E0 = − ∇ ϕ −
1 ∂A0
1 ∂A 1 ∂
1∂
= −∇ϕ −
−
∇χ = E −
∇χ
c ∂t
c ∂t
c ∂t
c ∂t
(3.11)
Per evitare che il campo elettrico venga modicato allora, simultaneamente
alla trasformazione (3.9), si può eettuare sul potenziale scalare la trasformazione:
1 ∂χ(x, t)
c ∂t
ϕ(x, t) → ϕ0 (x, t) = ϕ(x, t) −
in modo che nemmeno il campo
E
(3.12)
vari, infatti:
1 ∂A0
1 ∂χ 1 ∂A 1 ∂
= −∇ϕ + ∇
−
−
∇χ =
c ∂t
c ∂t
c ∂t
c ∂t
1 ∂A
= −∇ϕ −
=E
(3.13)
c ∂t
E → E 0 = −∇ϕ0 −
Le trasformazioni (3.9) e (3.12), rappresentano dunque le trasformazioni ricercate. In sintesi si può dunque aermare che una trasformazione di gauge
è una trasformazione dei potenziali elettromagnetici del tipo:

A(x, t) → A0 (x, t) = A(x, t) + ∇χ(x, t)
ϕ(x, t) → ϕ0 (x, t) = ϕ(x, t) − 1 ∂χ(x, t)
c ∂t
(3.14)
Queste trasformazioni possono anche essere espresse più convenientemente con il linguaggio dei quadrivettori dello spazio-tempo di Minkowski, come
trasformazione del
quadrivettore potenziale.
Questo è denito come:
Aµ = (ϕ, A).
(3.15)
Ricordando quindi la denizione dell'operatore
∂µ =
quadrigradiente:
1∂
,−∇ ,
c ∂t
(3.16)
le (3.14) possono essere riscritte come:
Aµ → A0µ = Aµ − ∂ µ χ
(3.17)
21
3.2 Trasformazioni di gauge
dove
χ
sarà una funzione scalare del quadrivettore
xµ
che individua la posi-
zione del generico punto nello spazio-tempo di Minkowski.
È interessante osservare che, eettuando la decomposizione di Helmholtz,
introdotta nel capitolo 2, in una trasformazione di gauge risulta:
A0T = AT
(3.18)
A0L = AL + ∇χ
(3.19)
Quindi il potenziale vettore trasverso
di
AL
e
ϕ
AT
è un invariante di gauge a dierenza
che invece sono gauge dipendenti.
L'invarianza di gauge ci dà la libertà di scegliere i potenziali nella maniera più conveniente. Possiamo cioè imporre su
dette
ϕ
e su
A
delle condizioni,
condizioni di gauge, che ci permettono di semplicare la descrizione del
sistema. Come è stato già accennato nella sezione precedente la scelta di una
particolare condizione di gauge permette di semplicare infatti le equazioni
dei potenziali elettromagnetici (3.7) e (3.8). Tra le scelte di gauge più comuni
vi sono:
•
Il gauge di Lorentz
•
Il gauge di Coulomb
•
Il gauge temporale
•
Il gauge di radiazione
3.2.1
Il gauge di Lorentz
La condizione di gauge di Lorentz è la seguente:
∇· A +
1 ∂ϕ
= 0.
c ∂t
(3.20)
Questa relazione semplica notevolmente l'equazione (3.7) per il potenziale
A
che diventa l'equazione di d'Alembert non omogenea
A =
4π
j,
c
dove si è introdotto l'operatore d'Alambertiano:
(3.21)
≡
1 ∂
∂2
−
.
c2 ∂t2 ∂x2
Inoltre, sostituendo la condizione (3.20) nell'equazione (3.8) per
ϕ,
si
trova:
ϕ = 4πρ.
(3.22)
22
3.2 Trasformazioni di gauge
Si osservi quindi che con il gauge di Lorentz si riesce a disaccoppiare le
equazioni per i potenziali (3.7) e (3.8). In assenza di sorgenti in questo gauge
le equazioni per i potenziali assumono la forma di equazioni d'onda:
A = 0,
(3.23)
ϕ = 0.
(3.24)
È importante notare che la condizione (3.20) non ssa univocamente i
potenziali.
Rimane una certa
una coppia di potenziali
A, ϕ
libertà di gauge,
benché più ristretta.
Data
che soddisfa la condizione di gauge di Loren-
tz (3.20), si può ottenere mediante una trasformazione di gauge una nuova
coppia di potenziali che soddisfa ancora la stessa condizione:
∇· A0 +
1 ∂ϕ0
=0
c ∂t
(3.25)
a patto che la funzione che genera la trasformazione di gauge soddis l'equazione delle onde:
χ = 0
(3.26)
come si può banalmente vericare. L'equazione (3.20) consente di scrivere
una delle quattro grandezze
ϕ, Ax , Ay , Az
in funzione delle altre. Mediante
una trasformazione di gauge generata da una
χ
che soddisfa l'equazione del-
le onde è possibile poi eliminare un' ulteriore variabile. Complessivamente
quindi le variabili dinamiche indipendenti sono due.
Una caratteristica essenziale del gauge di Lorentz è la covarianza relativistica. Si osservi infatti che utilizzando il linguaggio dei quadrivettori la
condizione (3.20) assume la forma seguente:
∂µ Aµ = 0,
(3.27)
che risulta essere chiaramente una condizione relativisticamente invariante
µ
poiché si ottiene contraendo un indice controvariante (quello di A ) con un
indice covariante (quello di
∂µ ).
Si può utilizzare la notazione relativistica anche per esprimere le equazioni (3.21) e (3.22) mediante un'unica relazione tra quadrivettori.
ne introduciamo la
A tal
quadricorrente, considerando per semplicità una singola
particella avente carica
e
ed individuata dal vettore posizione
z(t).
Sappia-
mo che in questo caso la densità di carica e la densità di corrente ad essa
associate saranno date rispettivamente da:
ρ(x, t) = eδ 3 (x − z(t)),
(3.28)
23
3.2 Trasformazioni di gauge
j(x, t) = e
dove
v=
seguente:
dz
.
dt
dz 3
δ (x − z(t)) = ρ(x, t)v(t),
dt
Si denisce quindi la
(3.29)
quadridensità di corrente
nella maniera
J µ (x) = (ρc, ρv),
dove con
(3.30)
x si sta indicando il generico punto dello spazio tempo di Minkowski.
A questo punto la (3.21) e la (3.22) si possono sintetizzare con la seguente:
Aµ (x) = ∂ν ∂ ν Aµ (x) =
4π µ
J (x),
c
(3.31)
che costituisce dunque l'equazione da risolvere nel gauge di Lorentz per
ottenere i potenziali elettromagnetici (e da essi, i campi).
3.2.2
Il gauge di Coulomb
Il gauge di Coulomb consiste nel porre la condizione:
∇· A = 0,
(3.32)
cioè nell'eliminare la componente longitudinale del potenziale vettore:
AL = 0,
AT = A.
(3.33)
Questa condizione permette di esprimere la relazione tra il campo elettrico
ed i potenziali separando i contributi dovuti alle componenti longitudinali da
quelli dovuti alle componenti trasverse:
EL = −∇ϕ,
ET = −
(3.34)
1 ∂A
.
c ∂t
(3.35)
Una proprietà che caratterizza il gauge di Coulomb è quella di determinare
univocamente il potenziale vettore. Infatti, se un potenziale vettore
A
sod-
disfa la condizione (3.32), una trasformazione di gauge che mantenga inalterata tale condizione deve necessariamente essere generata da una
χ(x, t)
che
soddis l'equazione:
∇· ∇ χ = ∇2 χ = 0,
se si richiede che la funzione generatrice della trasformazione
(3.36)
χ(x, t) sia dap-
pertutto regolare, questa equazione ha come soluzioni esclusivamente campi
24
3.2 Trasformazioni di gauge
scalari uniformi. Poiché il gradiente di un campo uniforme è nullo, il potenziale vettore che si ottiene da una trasformazione di gauge di questo tipo è
0
lo stesso: A = A + ∇ χ = A.
Cerchiamo di determinare adesso come questa condizione di gauge semplichi le equazioni per i potenziali.
Utilizzando la condizione di gauge di
Coulomb nella (3.8) ed invertendo l'ordine in cui si calcolano la derivata
temporale e la divergenza del campo, si giunge all'equazione:
∇2 ϕ = −4πρ,
che prende il nome di
equazione di Poisson.
(3.37)
Se si richiede che la funzione
potenziale sia nita e continua in tutto lo spazio, che si annulli all'innito
p
x2 + y 2 + z 2 ) e che la sua derivata radiale
almeno come 1/r (dove r = |x| =
2
si annulli all'innito almeno come 1/r , si può dimostrare che la soluzione
dell'equazione di Poisson è data da:
Z
ϕ(x, t) =
V
ρ(x0 , t) 3 0
d x.
|x − x0 |
(3.38)
Si può osservare che questa soluzione è caratterizzata dal fatto che il valore
che il potenziale assume all'istante di tempo t è determinato dalla distribu0
zione delle cariche
, espressa da ρ(x , t). Per tale
nello stesso istante di tempo
ragione questo potenziale viene spesso denominato
istantaneo.
potenziale di Coulomb
Per quanto riguarda invece l'equazione del moto per il potenziale vettore
A,
l'equazione (3.7) nel gauge di Coulomb diventa:
4π
1 ∂ϕ
1 ∂ 2A
=
−
j
+
∇ .
c2 ∂t2
c
c ∂t
∇2 A −
(3.39)
Si può utilizzare ancora la condizione di gauge (3.32) per semplicare ulteriormente questa equazione se si separa la densità di corrente
componenti longitudinale e trasversa,
j = jL + jT .
j
nelle sue
Infatti calcolando la
derivata rispetto al tempo di entrambi i membri nella (3.37) ed utilizzando
l'equazione di continuità, si ottiene:
∇· ∇
∂ρ
∂ϕ
= −4π
= 4π ∇· j.
∂t
∂t
(3.40)
Ricordando che la componente trasversa di un campo è solenoidale (a divergenza nulla), si può scrivere:
∇· j = ∇· jL + ∇· jT = ∇· jL ,
e sostituendo
nella precedente si ottiene dunque:
∂ϕ
∇· ∇
− 4πjL = 0.
∂t
(3.41)
25
3.2 Trasformazioni di gauge
Questa equazione ci dice che la quantità tra parentesi è un campo solenoidale,
ma esso è anche irrotazionale, e pertanto caratterizzato da laplaciano nullo .
Nell'ipotesi che
ϕ
e
jL
vadano a zero all'innito in maniera sucientemente
rapida, questo implica che:
∇
∂ϕ
− 4πjL = 0.
∂t
(3.42)
Utilizzando questa relazione nell'equazione (3.39) si ottiene inne:
∇2 A −
1 ∂ 2A
4π
= − jT ,
2
2
c ∂t
c
(3.43)
che rappresenta quindi l'equazione per il potenziale vettore nel gauge di
Coulomb.
3.2.3
Il gauge temporale
La condizione di gauge temporale consiste nel porre il potenziale scalare
uguale a zero:
ϕ = 0.
(3.44)
Le equazioni dei potenziali in questo gauge diventano:
∂
(∇· A) = −4πcρ,
∂t
∇2 A −
3.2.4
(3.45)
1 ∂ 2A
4π
−
∇(∇·
A)
=
−
j.
c2 ∂t2
c
(3.46)
Il gauge di radiazione
In assenza di sorgenti è possibile richiedere contemporaneamente che siano
valide sia la condizione del gauge di Coulomb che quella del gauge temporale:
∇· A = 0,
ϕ = 0.
(3.47)
Queste condizioni costituiscono il gauge di radiazione, in cui l'equazione per
il potenziale vettore assume la forma di una equazione d'onda:
∇2 A −
1 ∂ 2A
= 0.
c2 ∂t2
(3.48)
Mostriamo adesso che le due condizioni del gauge di radiazione sono compatibili solo se
ρ = 0.
Si considerino due potenziali
ϕ
ed
A,
e si eettui una
trasformazione di gauge generata dalla funzione:
Z
t
χ(x, t) = c
ϕ(x, t̃)dt̃.
t0
(3.49)
26
3.2 Trasformazioni di gauge
In questo modo il nuovo potenziale scalare
∂
ϕ =ϕ−
∂t
0
Z
ϕ0
che si ottiene sarà:
t
ϕ(x, t̃)dt̃ = 0.
(3.50)
t0
Mediante questa trasformazione quindi
ϕ0 = 0 che costituisce la condizione di
gauge temporale (3.44). Eettuiamo una ulteriore trasformazione di gauge
0
per ottenere la condizione di gauge di Coulomb. Indicando con χ (x, t) la funzione generatrice della trasformazione, si può scrivere che i nuovi potenziali
saranno dati da:
1 ∂χ0
,
c ∂t
A00 = A0 + ∇χ00 .
ϕ00 = ϕ0 −
(3.51)
(3.52)
Anché sia soddisfatta la condizione di gauge di Coulomb deve essere:
∇· A00 = ∇· A0 + ∇· ∇ χ0 = 0,
(3.53)
che porta all'equazione per la funzione generatrice della trasformazione di
gauge:
∇2 χ0 = − ∇· A0 ,
(3.54)
la quale si presenta nella forma di un'equazione di Poisson, avente come
soluzione la funzione:
1
χ (x, t) =
4π
0
dove con
∇0
Z
∇0 · A0 (x0 ) 3 0
d x,
|x − x0 |
(3.55)
si è indicato il gradiente rispetto alle coordinate relative ad
x0 .
L'ultima cosa che resta da fare è vericare che con questa trasformazione di
gauge ci si ritrova ancora nel gauge temporale, e per vericarlo si può osser0
vare che il potenziale vettore A , che soddisfa il gauge temporale, risponde
all'equazione (3.46), e questa nel caso in cui
ρ=0
∂
∇· A0 (x) = 0.
∂t
Calcolando
∂χ0
∂t
assume la forma:
(3.56)
dalla (3.55) tenendo conto della (3.56) si ottiene dunque:
∂χ0
= 0,
∂t
(3.57)
ϕ00 = ϕ0 = 0.
(3.58)
che implica banalmente:
Capitolo 4
Ruolo delle equazioni di Maxwell
Si cercherà adesso di chiarire meglio quale sia il ruolo delle quattro equazioni
di Maxwell, partendo dall'osservazione che solo due di esse contengono la
derivazione rispetto al tempo: la (1.3) e la (1.4). Questa osservazione porta
naturalmente all'idea che solo queste due equazioni descrivano eettivamente l'evoluzione dei campi
B
ed
E,
mentre la (1.1) e la (1.2) costituiscano
solo dei vincoli che devono essere soddisfatti dai campi. Questa distinzione
solleva un ulteriore questione, ovvero quale sia la relazione tra questi vincoli
e le equazioni di propagazione: bisogna cercare cioè di capire se le equazioni
di propagazione
conservano questi vincoli o meno.
In caso aermativo baste-
rebbe imporre che questi vincoli siano soddisfatti solo in un istante iniziale
in quanto essi sarebbero validi agli istanti successivi in virtù delle equazioni
di propagazione.
Un primo procedimento che si seguirà per eettuare l'analisi di questo problema consisterà nell'utilizzo della decomposizione di Helmholtz per i campi
vettoriali presenti nelle equazioni di Maxwell. Come si vedrà a breve, questa
decomposizione mostrerà che nella (1.1) e nella (1.2) intervengono essenzialmente le componenti longitudinali dei campi, mentre nella (1.3) e nella (1.4)
intervengono invece solo le componenti trasverse.
Successivamente si procederà nello studio del problema di Cauchy associato alle equazioni di Maxwell, e per mettere in evidenza il ruolo dell'equazione
di continuità si eettuerà questo studio trattando separatamente il caso in
assenza di sorgenti e il caso in cui sono presenti anche le sorgenti.
27
28
4.1 Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell
4.1
Decomposizione di Helmholtz nelle equazioni di Maxwell
Come già anticipato, si può utilizzare la decomposizione di Helmholtz per
scomporre il campo elettrico ed il campo magnetico nelle loro componenti
longitudinale e trasversa per mettere in evidenza quali di queste componenti
risultano essere coinvolte eettivamente nelle equazioni di evoluzione e quali
invece fungono esclusivamente da vincolo.
Usando
∇· ET = 0
nella legge di Gauss (1.1), si ottiene:
∇· EL = 4πρ.
(4.1)
Mentre come conseguenza dell'assenza di monopoli magnetici, espressa dalla
(1.2), si ottiene che il campo magnetico ha componente longitudinale nulla:
BL = 0,
(4.2)
ovvero il campo magnetico è un campo puramente trasverso:
Poiché
∇× EL = 0,
B = BT .
la (1.3) diventa:
∇× ET +
1 ∂BT
=0
c ∂t
(4.3)
che mostra chiaramente come l'evoluzione temporale coinvolge esclusivamente le componenti trasverse dei campi.
Si può eliminare la dipendenza dalle componenti longitudinali dei campi
anche nell'equazione di evoluzione (1.4).
Applicando infatti la decomposi-
zione di Helmholtz al vettore densità di corrente, l'equazione di continuità
assume la forma:
∇· jL +
∂ρ
=0
∂t
(4.4)
combinando quindi questa equazione con la derivata temporale della legge di
Gauss espressa nella forma (4.1), si ottiene:
∇·
∂EL
+ 4πjL
∂t
=0
(4.5)
Si osservi a questo punto che il campo tra parentesi è puramente longitudinale, quindi esso sarà caratterizzato da rotore nullo. L'equazione d'altra parte
ci dice che anche la divergenza di tale campo risulta essere nulla.
Poiché
un campo vettoriale caratterizzato da rotore e divergenza nulli (e quindi anche laplaciano nullo) che vada a zero all'innito in maniera sucientemente
rapida è dappertutto nullo, la precedente relazione implica:
∂EL
= −4πjL
∂t
(4.6)
29
4.2 Problema di Cauchy in assenza di sorgenti
Sostituendo dunque questo vincolo nella (1.4) si ottiene inne:
∇× BT −
1 ∂ET
4π
=
jT
c ∂t
c
(4.7)
Abbiamo così separato le equazioni di Maxwell in due gruppi: le equazioni per i campi trasversi che contenendo le derivate temporali costituiscono
eettivamente equazioni che regolano l'evoluzione temporale e le equazioni
per i campi longitudinali che costituiscono semplicemente dei vincoli non è
indipendente dalla equazione (4.1) che devono essere soddisfatti dai campi.
Si può riassumere quanto detto nora riscrivendo le equazioni di Maxwell facendo riferimento alle componenti longitudinali e alle componenti trasverse
dei campi:
∇· EL = 4πρ,
BL = 0,
1 ∂BT
= 0,
∇× ET +
c ∂t
1 ∂ET
4π
∇× BT −
=
jT .
c ∂t
c
(4.8)
(4.9)
(4.10)
(4.11)
Le componenti longitudinali del campo elettrico e del campo magnetico non
sono pertanto delle vere variabili dinamiche, essendo ssate istante per istante
dalle condizioni (4.8) e (4.9). I gradi di libertà dinamici sono dati dai campi
trasversi
4.2
ET
e
BT .
Problema di Cauchy in assenza di sorgenti
Si considerino le equazioni di Maxwell in assenza di sorgenti:
∇ · E(x, t) = 0,
∇ · B(x, t) = 0,
1 ∂B(x, t)
∇ × E(x, t) +
= 0,
c
∂t
1 ∂E(x, t)
∇ × B(x, t) −
= 0.
c
∂t
(4.12a)
(4.12b)
(4.12c)
(4.12d)
La risoluzione di queste equazioni alle derivate parziali richiede che siano
assegnate le condizioni iniziali, ovvero che ad un certo istante di tempo
siano assegnati due campi
x,
E0
e
B0 ,
t0
funzioni esclusivamente della posizione
tali che:
E(x, t0 ) = E0 (x),
B(x, t0 ) = B0 (x).
(4.13)
4.2 Problema di Cauchy in assenza di sorgenti
30
Le equazioni (4.12), insieme alle condizioni (4.13), costituiscono il problema
di Cauchy che si vuole risolvere in assenza di sorgenti. La (4.12a) e la (4.12b)
sono equazioni scalari, mentre la (4.12c) e la (4.12d) sono equazioni vettoriali: in totale quindi si dispone di 8 equazioni scalari dalle quali si dovrebbero
determinare i campi
E
e
B,
che invece sono determinati da 3 componenti
ciascuno e quindi 6 componenti in tutto: apparentemente sembrerebbe quindi che questo problema sia sovradeterminato. Tale sovradeterminazione in
realtà non sussiste in quanto le equazioni (4.12a) e (4.12b) non rappresentano
delle vere e proprie equazioni di evoluzione, ma costituiscono dei vincoli che
il campo elettrico ed il campo magnetico devono soddisfare. Si può mostrare
che in assenza di sorgenti se questi vincoli sono soddisfatti dalle condizioni
iniziali:
∇· E0 (x) = 0,
∇· B0 (x) = 0.
(4.14)
allora essi saranno soddisfatti automaticamente negli istanti successivi. Infatti considerando la divergenza dell'equazione (4.12c) si ottiene l'equazione:
∂
∇· B(x, t) = 0,
∂t
il che vuol dire che
∇· B(x, t)
(4.15)
è indipendente dal tempo, e quindi:
∇· B0 (x) = ∇· B(x, t0 ) = 0 ⇒ ∇· B(x, t) = 0 ∀t.
(4.16)
Analogamente, considerando la divergenza dell'equazione (4.12d) si ottiene
che
∇· E(x, t)
è indipendente dal tempo, e quindi che:
∇· E0 (x) = ∇· E(x, t0 ) = 0 ⇒ ∇· E(x, t) = 0 ∀t.
(4.17)
Le equazioni di evoluzione (4.12c) e (4.12d) sono quindi caratterizzate dalla
proprietà di preservare automaticamente il vincolo iniziale, e il problema di
Cauchy si può riformulare ricercando la soluzione delle sole equazioni (4.12c)
e (4.12d) con le condizioni iniziali:
E(x, t0 ) = E0 (x),
∇· E0 (x) = 0,
(4.18)
B(x, t0 ) = B0 (x),
∇· B0 (x) = 0.
(4.19)
31
4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti
4.3
Problema di Cauchy in presenza di sorgenti
Si considerino adesso le equazioni di Maxwell in presenza di sorgenti:
∇ · E(x, t) = 4πρ(x, t),
∇ · B(x, t) = 0,
1 ∂B(x, t)
∇ × E(x, t) +
= 0,
c
∂t
1 ∂E(x, t)
4π
∇ × B(x, t) −
=
j(x, t).
c
∂t
c
(4.20a)
(4.20b)
(4.20c)
(4.20d)
con le condizioni iniziali (4.13). Si può osservare immediatamente che l'equazione di vincolo (4.20b) e l'equazione di propagazione (4.20c) sono rimaste
essenzialmente invariate rispetto al caso precedente, ragion per cui non c'è
da fare alcuna ulteriore precisazione e valgono le considerazioni precedenti.
Per quanto riguarda invece l'equazione di vincolo (4.20a) e l'equazione
di propagazione (4.20d), queste dieriscono rispetto al caso precedente per
la presenza delle sorgenti. In questo caso si deve ricorrere all'equazione di
continuità per garantire che le equazioni di evoluzione conservino il vincolo dell'istante iniziale.
Considerando infatti la divergenza della (4.20d), si
ottiene:
−
∂
∇· E(x, t) = 4π ∇· j(x, t).
∂t
(4.21)
Usando l'equazione di continuità, dalla (4.21) segue:
∂
[∇· E(x, t) − 4πρ(x, t)] = 0,
∂t
il che signica che
(4.22)
∇· E(x, t) − 4πρ(x, t) è indipendente dal tempo.
Pertanto
si può aermare che se la legge di Gauss vale ad un certo istante iniziale
e quindi se vale per il campo iniziale
resterà valida per
E(x, t)
e
ρ(x, t)
E0
e la densità di carica
ρ(x, t0 ),
t0 ,
essa
in qualsiasi istante di tempo. Il problema
di Cauchy consiste in questo caso nel risolvere le equazioni di evoluzione
(4.20c) e (4.20d) con le condizioni iniziali:
E(x, t0 ) = E0 (x),
B(x, t0 ) = B0 (x),
∇· E0 (x) = 4πρ(x, t0 ),
∇· B0 (x) = 0.
(4.23)
(4.24)
È importante osservare che in presenza di sorgenti le equazioni (4.20c) e
(4.20d) non sono sucienti a conservare il vincolo iniziale: a queste si deve
aggiungere l'equazione di continuità, che in questo caso non è più una conseguenza delle equazioni di Maxwell ma deve essere postulata separatamente
32
4.3 Problema di Cauchy in presenza di sorgenti
da esse.
Si osservi infatti che nel ricavare l'equazione di continuità dalle
equazioni di Maxwell si è proceduto considerando le condizioni di vincolo
(1.1) e (1.2) valide in ogni istante di tempo.
Se invece non si richiede che
queste siano valide in ogni istante di tempo ma ci si limita a richiedere che
siano soddisfatte solo in un istante di tempo iniziale, esse non permettono
più di ottenere l'equazione di continuità. Si è quindi chiarita la relazione che
sussiste tra le equazioni di Maxwell e l'equazione di continuità: o si considerano i vincoli validi in ogni istante di tempo e questo implica l'equazione
di continuità, oppure si considerano i vincoli validi solo in un istante di tempo iniziale e si postula l'equazione di continuità che permette, insieme alle
equazioni di propagazione, di conservare questi vincoli.
Capitolo 5
Conclusioni
L'analisi di alcuni aspetti matematici delle equazioni di Maxwell ha portato
alla comprensione di alcune conseguenze siche molto rilevanti.
In primo luogo è stato mostrato come l'equazione di continuità sia contenuta implicitamente nelle equazioni stesse, derivandola da esse mediante semplici manipolazioni matematiche di calcolo vettoriale.
Ricavata tale
equazione è stato reso esplicito il suo signicato sico evidenziando come essa descriva matematicamente la fondamentale legge della conservazione della
carica elettrica.
In seguito è stata introdotta la forza di Lorentz, che esprime l'interazione
tra una carica puntiforme ed il campo elettromagnetico presente nella regione
in cui essa è posta.
In particolare è stato mostrato come l'equazione di
Minkowski-Lorentz, che descrive l'evoluzione di un sistema di cariche in un
campo elettromagnetico, sia essenzialmente una equazione accoppiata alle
equazioni di Maxwell, dalle quali si ricava il campo elettromagnetico stesso,
ed è stato sottolineato che ciò è conseguenza del fatto che le cariche, il cui
moto è governato dal campo elettromagnetico, sono esse stesse sorgenti del
campo.
Nel secondo capitolo, prettamente matematico, è stato introdotto un importante risultato del calcolo vettoriale noto come scomposizione di Helmholtz. Un particolare importante di tale scomposizione risiede nel fatto che per
un determinato campo vettoriale tale scomposizione è unica ed è determinata
dalle sorgenti del campo stesso.
Nel terzo capitolo sono stati introdotti i potenziali elettromagnetici, i quali forniscono una descrizione alternativa dell'elettromagnetismo, e si è visto
come si traducono le equazioni di Maxwell dal punto di vista di tali potenziali.
È stata studiata inoltre l'importante proprietà che caratterizza tali
potenziali di dare una descrizione del campo elettromagnetico invariante per
trasformazioni di gauge, mostrando in particolare come queste trasformazioni
33
34
si possano utilizzare per imporre delle condizioni che semplicano le equazioni da risolvere per determinare i potenziali. Questa caratteristica è quindi
particolarmente rilevante quando si vogliono risolvere determinati problemi
dell'elettromagnetismo attraverso la formulazione tramite potenziali.
Nell'ultimo capitolo è stato inne analizzato il problema di Cauchy associato alle equazioni di Maxwell, concentrando l'attenzione sul ruolo che
queste equazioni hanno nella propagazione del campo elettromagnetico. Da
questa analisi è risultata una duplice interpretazione delle equazioni di Maxwell: o si prendono così come sono, valide in ogni istante di tempo, ed in tal
caso da esse si può derivare l'equazione di continuità, oppure si assume che
due di esse siano valide solo ad un istante iniziale di tempo e, postulando
l'equazione di continuità, si ottiene che esse saranno valide in ogni istante
di tempo successivo come vincoli, mentre le altre due esprimono l'evoluzione
temporale del campo elettromagnetico.
Appendice A
Sistemi di unità di misura
La scelta del sistema di unità di misura da utilizzare in un determinato ambito risponde essenzialmente a dei requisiti di convenienza e di chiarezza.
L'International Union of Pure and Applied Physics raccomanda di utilizza-
Sistema internazionale )
re il SI (
come sistema di unità di misura, mentre
in questa tesi è stato scelto il sistema di unità gaussiane in quanto è quel-
1
lo più conveniente nella sica fondamentale .
È stato ritenuto opportuno
pertanto esporre in questa appendice come si possa giungere all'espressione
delle equazioni di Maxwell in tale sistema di unità di misura. Nello scrivere
questa sezione ho fatto principalmente riferimento al testo [3] riportato nella
bibliograa e a dispense trovate su internet, in particolare [4].
Nel 1785 il sico Charles Augustin Coulomb trovò, sulla base di una serie
di osservazioni sperimentali, che il modulo della forza che si esercita tra due
0
cariche puntiformi q e q separate dalla distanza r risulta essere proporzionale
alle cariche ed inversamente proporzionale alla distanza che le separa, legge
che si può esprimere mediante la relazione:
F = k1
In questa relazione
k1
qq 0
r2
(A.1)
indica la costante di proporzionalità, il cui valore e le
cui dimensioni dipendono dalla strada che si sceglie di percorrere:
•
Se il valore e le dimensioni dell'unità di carica vengono specicate indipendentemente dalla relazione (A.1), il valore e le dimensioni della
costante
k1
saranno determinati sulla base della (A.1).
1 Agli
inizi del Novecento celebri sici quali Lorentz, Planck, Einstein, Millikan, Bohr,
Sommerfeld, Pauli, De Broglie, Schrodinger, Born, Heisenberg, Dirac facevano uso delle
unità gaussiane
35
36
•
Se si vuole denire l'unità di carica sfruttando la (A.1), si può scegliere
k1
(anche dimensionalmente) in maniera arbitraria determinando così
la denizione dell'unità di carica.
Nel sistema internazionale si eettua la prima scelta, denendo separatamente l'intensità di corrente e derivando da questa la denizione della carica
elettrica: in questo modo dalla (A.1) segue la determinazione del valore e
k1 .
Nel sistema CGS si percorre la seconda strada, po-
nendo arbitrariamente
k1 = 1 e derivando dalla (A.1) la denizione dell'unità
delle dimensioni di
di carica elettrica.
Il campo elettrico
E
è una quantità derivata, comunemente denita come
2
forza per unità di carica :
E = k1
q
r2
(A.2)
dove si è utilizzata la (A.1) come espressione della forza.
Le osservazioni di Ampère forniscono la base per specicare l'interazione
magnetica nel caso di fenomeni magnetici stazionari e per denire il campo di
induzione magnetica. In base a queste osservazioni egli concluse che la forza
per unità di lunghezza tra due conduttori innitamente lunghi, attraversati
0
dalle correnti I ed I , disposti parallelamente tra loro e separati da una
distanza
d,
soddisfa una relazione del tipo:
II 0
dF2
= 2k2
dl
d
(A.3)
Se si denisce la corrente come la variazione della carica nel tempo:
le dimensioni di
k2
relativamente a
k1
I=
dq
,
dt
sono determinate dalla combinazione
delle relazioni (A.1) e (A.3). In particolare prendendo il rapporto tra la prima
e la seconda si possono trovare le dimensioni del rapporto
k1
:
k2
[k1 ][Q]2 [L]−2
[k1 ]
[L]2
[F ]
=
⇒
=
= [v]2
[F ][L]−1
[k2 ][Q]2 [L]−1 [T ]−2
[k2 ]
[T ]2
(A.4)
Dalla misura sperimentale del rapporto tra queste quantità si trova anche
il valore numerico di
2 Una
k1
,
k2
ottenendo come risultato un numero che sembra
denizione generale prevederebbe la denizione del campo elettrico in modo che
esso sia proporzionale alla forza per unità di carica, tuttavia poiché il campo elettrico è il
primo campo che si introduce e non lo si deve mettere in relazione a nessun altro campo
non c'è bisogno di introdurre una ulteriore costante di proporzionalità: basta denirlo
in modo che esso sia proprio la forza che si esercita sull'unità di carica. Nell'introduzione di un ulteriore campo (quello magnetico) si dovrà invece introdurre una costante di
proporzionalità che tenga in considerazione la relazione che intercorre tra i due campi.
37
coincidere con il quadrato della velocità della luce, e si può pertanto scrivere:
k1
= c2
k2
Il campo di induzione magnetica
B
(A.5)
può essere denito a questo punto sfrut-
tando la legge di ampere (A.3), in modo che il suo modulo sia numericamente
proporzionale alla forza per unità di corrente, con una costante di proporzionalità
α
che può essere scelta sia numericamente che dimensionalmente in
base ad un criterio di convenienza. In tal modo, per un lo rettilineo innitamente lungo attraversato da una corrente I, il campo di induzione magnetica
B
ad una distanza
d
ha modulo dato da:
B = 2k2 α
I
d
(A.6)
Combinando questa equazione con la (A.2) si possono ottenere le dimensioni
del rapporto
E
:
B
E
[T ]
[L]
[k1 ][Q][L]−2
= [v]2
=
=
−1
−1
B
[k2 ][α][Q][T ] [L]
[L][α]
[T ][α]
(A.7)
La terza ed ultima relazione da utilizzare nella specicazione delle unità
elettromagnetiche e nelle dimensioni è la legge di induzione di Faraday, che
collega i fenomeni elettrici a quelli magnetici. Tale legge si può esprimere in
forma dierenziale nella maniera seguente:
∇× E + k3
∂B
=0
∂t
dove è stata introdotta la costante di proporzionalità
(A.8)
k3
per tenere in consi-
derazione le dimensioni relative tra il campo elettrico ed il campo magnetico.
Poiché queste sono ssate dalla (A.7), si può esprimere
k3
in funzione delle
costanti di proporzionalità già introdotte. La dimensione può essere dedotta semplicemente imponendo che i due termini della (A.8) siano omogenei e
tenendo conto della (A.7):
[E]
[B]
1
= [k3 ]
⇐⇒ [k3 ] =
[L]
[t]
[α]
(A.9)
Utilizzando le quattro equazioni di Maxwell per ricavare l'equazione di propagazione delle onde si può anche far vedere che in realtà
k3
è uguale a
1
.
α
Prima di procedere a dimostrarlo tuttavia, scriviamo le quattro equazioni
38
di Maxwell tenendo presenti le considerazioni fatte nora ed aggiungendo le
opportune considerazioni sulla corrente di spostamento:
∇· E = 4πk1 ρ
∇· B = 0
∂B
∇× E + k3
=0
∂t
∂E
= 4πk2 αj
∇× B − k4
∂t
Mostriamo adesso che la costante
k4
(A.10a)
(A.10b)
(A.10c)
(A.10d)
introdotta per tener conto della corrente
di spostamento in realtà non è una nuova costante indipendente dalle altre
ma è legata a queste. Se si considera infatti la divergenza della (A.10d) e si
tiene conto della (A.10a), si ottiene:
−k4 (4πk1 )
∂ρ
= 4πk2 α ∇· j
∂t
che, tenendo conto dell'equazione di continuità
relazione:
k4 = α
3
(A.11)
∂ρ
= ∇· j ,
∂t
porta alla
k2
α
= 2
k1
c
(A.12)
Si può adesso combinare le equazioni (A.10b), (A.10c) e (A.10d)
4
per
giungere all'equazione di propagazione del campo magnetico, che assume la
forma:
∇2 B − k3
α ∂ 2B
=0
c2 ∂t2
(A.13)
da cui, imponendo che la velocità di propagazione dell'onda sia pari a
ottiene la relazione:
1
k3 = .
α
Riassumendo, si sono introdotte cinque costanti,
k1 , k2 , k3 , k4
e
α,
c,
si
che
tuttavia non sono tutte indipendenti in quanto sono legate tra loro da 3
relazioni:
k1
= c2
k2
k4 =
α
c2
k3 =
1
α
(A.14)
Le costanti indipendenti sono quindi solamente 2. I vari sistemi di unità di
misura dieriscono per il valore e le dimensioni che si attribuiscono a queste
3 Si
dq
la legge di continuità
osservi che denendo l'intensità di corrente come I =
dt
assume sempre la stessa forma in qualsiasi sistema di unità di misura.
4 Si ricordi che per ottenere l'equazione di propagazione del campo magnetico si combina
il rotore della (A.10d) in assenza di sorgenti con la derivata temporale della (A.10c),
tenendo presente che ∇×(∇× B) = ∇(∇· B) − ∇2 B = −∇2 B in virtù della (A.10b)
39
costanti. Si riportano di seguito le equazioni di Maxwell in cui compaiono
solo le costanti indipendenti:
∇· E = 4πk1 ρ
∇· B = 0
1 ∂B
∇× E +
=0
α ∂t
α ∂E
α
∇× B − 2
= 4πk1 2 j
c ∂t
c
(A.15a)
(A.15b)
(A.15c)
(A.15d)
Si riporta di seguito una tabella in cui sono contenuti i valori e le dimensioni associate alle costanti indipendenti presenti nelle (A.15) nei due sistemi
di unità di misura del SI e di Gauss. Nel sistema di unità di misura del SI si
introducono poi la costante dielettrica del vuoto
tica del vuoto
µ0 ,
0
e la permeabilità magne-
denite come combinazioni delle costanti già introdotte e
riportate nella tabella.
Sistema
SI
Gauss
k1
10−7 c2
1
α
1
c
7
0
µ0
10
4πc2
4π
107
−
−
Si osservi che per come sono state introdotte le costanti
1
0 µ0 = 2 .
c
0 µ0 ,
risulta nel SI:
Le equazioni di Maxwell che si ottengono nei due sistemi si presentano dunque
nella forma riportata nella tabella seguente:
SI
ρ
0
∇· B = 0
∇· E =
∂B
=0
∂t
∂E
∇× B − 0 µ0
= µ0 j
∂t
∇× E +
Gauss
∇· E = 4πρ
∇· B = 0
1 ∂B
=0
c ∂t
1 ∂E
4π
∇× B −
=
j
c ∂t
c
∇× E +
Bibliograa
[1] Barone V., Relatività. Principi e Applicazioni, Bollati Boringhieri
(2004).
[2] Arfken G.B. e Weber H.J., Mathematical Methods for Physicists,
Elsevier Academic Press (2005).
[3] J. D. Jackson, Classical Electrodynamics, John Wiley and Sons (1962).
[4] Gabbrielli M, Sistemi di unità di misura elettriche e magnetiche,
URL:
http://www.studentisica.info/corso/le-terzo/Meccanica-
Quantistica/Sistemi-unita'-misura-elettromagnetiche-Gabbrielli.pdf,
Data ultimo accesso: 11/07/2015.
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Ringraziamenti
Questa tesi rappresenta soltanto la conclusione di un percorso che è durato
tre anni, e vorrei ringraziare tutte le persone che mi sono state d'aiuto nel
portarlo a termine.
In primo luogo vorrei ringraziare il Prof. Saverio Pascazio per la disponibilità mostratami nello svolgimento di questa tesi nonostante i numerosi
impegni, e per la pazienza e il rigore con cui mi ha seguito.
In generale vorrei anche ringraziare tutti quei professori che con il loro
entusiasmo nell'insegnamento sono stati in grado di trasmettermi la passione
per la materia.
Un ringraziamento speciale va inne alla mia famiglia:
in particolare
ai miei genitori, che non mi hanno mai fatto mancare nulla e mi hanno
sempre sostenuto in questi tre anni, a mia sorella, sempre comprensiva nei
miei confronti, ai miei nonni e ai miei zii, che credono tanto in me e che mi
dimostrano continuamente il loro aetto.
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