Pamela Palmi * IL RUOLO STRATEGICO DEI SISTEMI LOCALI NELL'ESPERIENZA CINESE. INTEGRAZIONE E DIVERSITÀ DI RETE 1. Premessa metodologica Sin dagli studi della Woodward1, e ancor prima in quelli del Marshall2, è emerso come l’ambiente eserciti un ruolo fondamentale nell’inibire o catalizzare i processi di sviluppo delle imprese3, ed oggi la teoria organizzativa assegna ai sistemi locali il ruolo di fattori di sviluppo e di elaborazione di originali modelli di interpretazione ed intervento. Tanto l’approccio istituzionalista quanto quello strategico considerano l’ambiente quale determinante del processo di sviluppo. Il primo è principalmente basato sulle modalità attraverso cui l’ambiente modifica forme e comportamenti organizzativi. L’isomorfismo con l’ambiente4 consente all’impresa di legittimarsi socialmente e di attivare meccanismi di assestamento con la comunità di imprese interconnesse, che le permettono di sopravvivere e svilupparsi5. La prospettiva della “scelta strategica”6 fra le fondamentali opzioni di crescita individua gli accordi e le pratiche relazionali- ambientali. Ciò conferma l’ipotesi che le imprese possono avere successo solo se fortemente radicate nell’ambiente locale, in cui il task environment7 è caratterizzato dai clienti/utenti, da fornitori di materiali, manodopera, capitale e attrezzature, da concorrenti per i mercati e per le risorse, nonché da gruppi di regolamentazione quali le agenzie governative, i sindacati, le associazioni imprenditoriali. Di fatto un campo d’azione diventa operativo solo se la sua rivendicazione da parte dell’organizzazione è riconosciuta da coloro che possono fornire il supporto necessario. La relazione tra un’organizzazione e il suo task environment si presenta, dunque, come una relazione di scambio: l’organizzazione riceverà gli input necessari per la propria sopravvivenza se coloro che ne sono a contatto la valuteranno capace di offrire qualcosa di desiderabile. Nell’analisi delle dinamiche relazionali i partner potenziali da considerare sono spesso cercati tra i contatti già esistenti, tra gli attori direttamente conosciuti. Le relazioni negoziali vengono generalmente avviate sulla base di una conoscenza limitata e gran parte delle decisioni di accordo o disaccordo sono basate sul processo di apprendimento che avviene in itinere. Parte della Dottrina ha sostenuto che il radicamento (embeddedness) delle relazioni economiche in relazioni personali e sociali pre-esistenti, ha l’aspetto positivo di abbassare il potenziale di opportunismo delle relazioni, di favorire le comunicazioni, di costruire un’atmosfera positiva per gli scambi e la cooperazione8. * Ricercatrice a contratto di Organizzazione Aziendale, Università di Bologna – sede di Forlì. 1 Woodward J. (a cura di), Industrial organization: Behaviour and Control, Oxford University Press, London, 1970 (trad. it. Comportamento e Controllo nell'organizzazione), Torino, Rosenberg & Sellier, 1983. 2 Marshall A., Principles of Economics, London, MacMillan, 1920. 3 Aldrich H., Organization and Environments, NJ, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1979; Pfeffer J.– Salancick G.R., The external control of organizations: a resourse dependence perpective, New York, Harper and Row, 1978; Hannan M.– Freeman J, The Ecology of Organizational Founding: American Labor Unions: 1836, 1985, in “American Journal of Sociology”, 1987, n.92. 4 Selznick P., Leadership in Administration, Evanston, III, Row, Peterson, 1957. 5 Powell W.W. – Di Maggio P.J. (a cura di), The New Istitutionalism in Organizational Analysis, Chicago, University Press, 1991. 6 Child J., Organizational Structure, Environment and Performance: The Role of Strategic Choice, Sociology, 6,1972; Miles R. – Snow C., Organization : New Concepts for New Forms, California Management Review, 1986, n.3. 7 Thompson J.D.( a cura di Maggi B.), L’azione organizzativa, Torino, ISEDI, 1993, p.102 e sgg. 8 Granovetter , Economic Action and Sociale Structure: The problem of Embeddeness, in “American Journal of Sociology”, XVI, pp.481-510. 1 Altri Autori9 hanno altresì osservato che è opportuno considerare anche l’esistenza di un trade-off. I network personali sono spesso “locali” ma allo stesso tempo la ricerca di partner lontani poco conosciuti e diversi da sé è una fonte importante di varietà cognitiva, complementarietà di risorse e capacità di innovazione. L’esperienza cinese di cui si discute nelle pagine seguenti sembra voler dimostrare tale assunto e fornire ulteriori spunti di riflessione. L’ipotesi dalla quale si avvia la nostra riflessione è che l’attuale scenario competitivo, all’interno dei processi di globalizzazione, è caratterizzato dal mutamento degli attori: non più singole imprese né interi sistema- paese, ma sistemi territoriali delimitati e locali. Inoltre la presenza sul territorio di partner lontani, estremamente diversi da sé, rappresenta uno degli elementi caratterizzanti l’esperienza cinese. 2. La liberalizzazione economica cinese Con il programma di modernizzazione economica di Deng Xiaoping ha avuto inizio in Cina un processo di liberalizzazione economica secondo la linea riformistica- pragmatica consacrata nel 14° Congresso del partito comunista (1992) il quale, ribadendo la teoria del «socialismo con caratteristiche cinesi», ha avallato gli esperimenti economici cinesi nell'area dell'economia di mercato legittimando «sistemi e prassi tipici dei paesi cosiddetti capitalistici» fra i quali la liberalizzazione dei prezzi, il ruolo del mercato e del profitto nella determinazione della produzione, l’autonomia amministrativa dell'industria di proprietà statale, la promozione dell'iniziativa privata10. Nelle intenzioni della leadership riformista, dunque, l’economia socialista si apre gradualmente al mercato, pur mantenendo il controllo statale tipico del sistema socialista. Nel 1979 il governo cinese cercava di incentivare l’espansione delle relazioni economiche internazionali, tramite la progressiva apertura del paese agli investimenti esteri, nota come «politica della porta aperta»11, mettendo in atto una serie di misure nella sfera del commercio e degli investimenti esteri, all’interno della quale si colloca la sperimentazione di un’economia di libero mercato nelle cosiddette Zone economiche speciali (Zes), selezionate nella parte meridionale del paese, in particolare nelle province del Guangdong e di Fujian. Alla luce della vicenda storica degli ultimi vent’anni si può dire che la modernizzazione dell’economia contemporanea cinese, tuttora in atto, ha come principali tratti distintivi: 1. la costituzione di Zone economiche speciali (ZES), delle Zone di sviluppo economico e tecnologico (ETDZ), nonché di ulteriori zone fiscalmente agevolate; 2. l’attenzione verso le piccole e medie imprese come importante fattore evolutivo verso una moderna economia del benessere; 3. il perseguimento di nuove «misure per il cambiamento del meccanismo di management nelle imprese di proprietà statale»12. Questa lunga marcia verso forme di capitalismo occidentale, di fatto, è stata interpretata come un ulteriore elemento di incertezza nella valutazione della situazione cinese, nella consapevolezza che l’unica forma di liberalizzazione economica è quella che prevede una liberalizzazione politica, fatta di riforme che portino ad una reale separazione dei poteri, a libere elezioni democratiche, alla libertà di stampa13. 9 Grandori A., L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, Il Mulino, 1995, p.231. Cfr. Scapin G. (a cura di), Lettera informativa sulla situazione congiunturale dell' economia cinese, Maggio 1993, Centro estero Camere di Commercio Emilia Romagna, p.2. 11 Traduzione letterale dal cinese kaifang zhengce. 12 Cfr. Scapin G. (a cura di), Lettera…, cit., p.2 13 Cfr. Bianchi M., Economia e organizzazione dei sistemi locali nell’esperienza cinese. Un’interpretazione della svolta cinese attraverso modelli di rapporti interaziendali, in “Il diritto dell’economia”, Modena, Mucchi, 1994, n.3, p.631. 10 2 10,0% perc. di 8,0% variazione 6,0% 4,0% 2,0% 0,0% VAR.% PIL 7, 7% 7, 2% 8, 0% 7, 8% 8, 8% 12,0% 10 ,5 % 9, 6% 14,0% 12 ,6 % 13 ,5 % Dal momento in cui ha intrapreso la sua politica di apertura e riforme nel 1978, la Cina è stata uno dei motori di crescita del continente asiatico, con un aumento annuo del PIL del 10% negli ultimi 10 anni. 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000* 2001* anni Fonte: nostra elaborazione su dati del Sole 24 ore 9/11/2000 (*) Previsioni L’analisi del consuntivo 200014, condotta dalle Autorità cinesi in occasione della presentazione del X Piano quinquennale, ha messo in rilievo si ai rilevanti risultati raggiunti sia le aree di maggiore debolezza rappresentate dalla domanda interna. La crescita del Pil è stata dell’8% rispetto all’anno precedente, per un valore di 8950,4 miliardi di yuan, con il costo della vita rimasto pressoché invariato. I prezzi al consumo sono aumentati dello 0,4% rispetto al 1999, con un’inversione del trend deflazionistico degli anni precedenti. Nel 2000 il surplus commerciale è stato di 24,1 miliardi di Usd, più contenuto di 5 miliardi rispetto all’anno precedente. Le esportazioni sono cresciute del 25% annuo, raggiungendo 22,8 miliardi di Usd, mentre le importazioni sono salite fino al 37% per un valore di 18,9 miliardi. La bilancia dei pagamenti è stata positiva anche nel 2000 e l’impiego di capitali esteri ha raggiunto 40,7 miliardi di Usd, con un incremento di 400 milioni rispetto all’anno precedente. Le riserve di valuta estera hanno raggiunto 156,6 miliardi di Usd, con un incremento di 10,9 miliardi rispetto al primo semestre. Tra i punti deboli dell’economia cinese le Autorità cinesi evidenziano il basso tasso di consumo interno: l’elevata propensione al rispetto motivata dai diffusi timori per il taglio dei consumi dello Stato alla previdenza sociale, scuola e abitazione. Insoddisfacente anche la dinamica dei redditi agricoli cresciuti in media del 2,5% rispetto all’8,4% dei redditi urbani. L’obiettivo che il Governo si era posto nel 2000 corrispondeva ad una crescita del reddito pro- capite dei contadini non inferiori al 4%. Tuttavia in base ai dati pubblicati dall’Ufficio Nazionale delle Statistiche, il primo trimestre 2001 si chiude con un sensibile incremento della produzione e delle performance del settore manifatturiero. I profitti sono infatti aumentati di 14,5% punti percentuali calcolati sulla media annuale. 14 Ufficio Studi della Camera di Commercio Italo- Cinese (a cura di), Il consuntivo del 2000, in “Cina notizie”, 2001, n.6, p.11. 3 Anche le performance delle imprese di Stato appaiono in via di miglioramento: le vendite delle aziende di proprietà statale o delle aziende nelle quali lo Stato mantiene una partecipazione azionaria hanno registrato un incremento del 12,7%. Cina e Asia a confronto : la crescita annua del PIL (in %) Cina Hong Kong Taiwan Corea del Sud 1998 1999 2000 2001 (previsione) 7,8 -5,1 4,6 -6,7 7,1 2,9 5,7 10,7 8,0 10,5 6,5 9,2 7,6 4,0 5,3 4,8 2000 0,5 -3,6 1,6 2,3 2001 (previsione) 2,5 1,5 3,0 3,7 Fonte: nostra elaborazione tratta da “Cina notizie”, 2001, n.6, p.11 Cina e Asia a confronto : il tasso di inflazione (in %) Cina Hong Kong Taiwan Corea del Sud 1998 -0,8 2,8 1,7 7,5 1999 -1,4 -4,0 0,2 0,8 Fonte: nostra elaborazione tratta da “Cina notizie”, 2001, n.6, p.11 Recenti studi della Banca mondiale prevedono che entro il 2010 l’economia cinese potrà scavalcare quella americana, diventando la più vasta del mondo. Tuttavia la crescita economica cinese se da un lato presenta un tasso medio annuo così sostenuto, dall’altro ha in sé forti squilibri regionali e il governo è stato finora incapace di affrontare una vera riforma del settore statale. 3. La dicotomia Governo centrale – Province La Cina è uno stato unitario non federativo con il decentramento delle funzioni agli organi periferici. Lo stato «unitario plurinazionale» (così recita la Costituzione cinese) è diviso in province, regioni autonome e municipalità. La municipalità sono quattro: Pechino, Shangai, Tianjian e Chongqing. Le regioni autonome sono cinque: Xizang (Tibet), Nei Menggu (Mongolia interna), Xinjiang Uygur, Guangxi Zhuangzu e Niagxia Huizu e godono di una speciale forma di autonomia. Le province (sheng), ciascuna delle quali grande quanto una nazione europea, sono 22: cinque province costiere (Shandong, Hebei, Zhejing, Jiangsu e Liaoning); cinque province del nord (Shaanxi, Jilin, Shanxi, Henan, Heilonggjiang); sette province del sud (Sichuan, Hubei, Hunan, Anhui, Fujian, Guangdong e Hainan); due province a nord- ovest (Gansu e Qinshai) e tre a sudovest (Guizhou, Yunnan, Jiangxi). Infine la provincia ribelle, Taiwan. Dall’inizio delle riforme, Deng ha cercato di decentralizzare molte funzioni normative e amministrative alle province. Un risultato di questo decentramento è stato in realtà l’aumento delle differenze nel livello di sviluppo economico tra le province costiere fruitrici della «politica della porta aperta», e quelle dell’interno, rimaste sostanzialmente a livello di economia di sussistenza. Si possono distinguere così tre Cine molto diverse sia per il livello dello sviluppo economico sia per la presenza dello stato15. A Nord del paese vi è una cosiddetta Cina «rossa» che va da Pechino alla 15 Weber M., Il miracolo cinese, Bologna, Il Mulino, p.51-52. 4 zona ricca di carbone del nord-est: qui si concentrano la maggior parte delle aziende di stato create negli anni sessanta secondo il modello di industrializzazione sovietico. Nella parte centro-orientale si può collocare la Cina «rosa», con potenziale capitale Shangai (13 milioni di individui su una superficie urbana di 518 chilometri quadrati) in cui i valori ideologici sono mescolati a quelli di mercato. La Cina «bianca», situata a sud, ha il proprio fulcro nella zona del Guadong, dove il successo economico delle Zes ha contribuito ad affermare i valori del libero mercato. 4. Modelli di sviluppo industriale La grande disparità fra i livelli di crescita economica nel paese, in particolare fra l’arretratezza del nord e l’evoluzione delle zone costiere, offre uno spunto di riflessione sul ruolo dei sistemi locali nello sviluppo del territorio. Il governo centrale se da un lato detiene importanti leve di potere (il piano quinquennale, il sistema di tassazione e gli strumenti finanziari e bancari), dall’altro concede ai governi locali una certa autonomia nella gestione dello sviluppo industriale. La riforma del settore industriale ha avuto inizio a partire dal 1984. Nel 1978 le aziende di stato (State Owned Enterprises, Soe) generavano il 77,6% del prodotto industriale lordo, mentre il rimanente 22,4% era riconducibile alle imprese collettive. Attualmente le imprese statali producono solo un quarto dell’output totale, mentre le imprese collettive contribuiscono fra il 35% e il 40%16. I rapporti economici internazionali sono resi sempre più aperti, da una parte, dalla spinta dei Governi nazionali e, dall’altra, dal movimento autonomo delle conoscenze, informazioni e comunicazioni, che da luogo ad un accelerato processo di convergenza dei sistemi di produzione, consumo e scambio. I network internazionali generati dagli investimenti stranieri hanno trovato spesso un forte stimolo dalla crescita della popolazione in età lavorativa (costante negli ultimi venti anni), che ha portato l’offerta di lavoro a superare la domanda, con conseguenti problemi di disoccupazione (l’11,5% secondo la Banca Mondiale, con punte del 20% in alcune città industriali)17. Anche in Cina, nel rinnovato confronto competitivo, i fattori critici di successo si sono trasferiti dall’interno delle aziende al sistema delle interazioni aziendali e istituzionali. La possibilità di confrontarsi in modo vincente con il mercato globale è subordinata alla competitività di tutti gli attori che compongono il sistema nel quale operano le imprese18. Tra questi assume rilievo l’amministrazione pubblica nel suo nuovo ruolo di partner nello sviluppo economico e nel progresso del tessuto imprenditoriale. In Cina il parziale decentramento avviato dal governo centrale ha dato vita ad aggregazioni emergenti in talune aree produttive con caratteristiche vicine al distretto industriale più che al villaggio produttivo. Infatti, l’efficacia ed efficienza del processo è basata sull’economia degli scambi transazionali per i quali la ricerca del minor prezzo di produzione e/o acquisto e del maggior prezzo di vendita rappresenta un elemento fondamentale negli scambi interaziendali. La logica del villaggio produttivo si basa invece su una promozione personale che segue sue proprie vie di realizzazione, sia attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione, sia attraverso quel processo conoscitivo derivante dal continuo interfacciarsi con sistemi globali attraverso i quali attingere le informazioni necessarie. 16 Weber M., Il miracolo…, cit. p.89. Tuttavia proprio nel mercato del lavoro si celano molti vincoli e difficoltà. Cfr.Weber M. – Delicata F., Mercato del lavoro e gestione delle risorse umane nelle aziende a partecipazione di capitale estero in Cina , in “Economia & Management”, 1998, n.4, p.43. 18 Canaletti F., L’evoluzione del rapporto degli enti locali con il sistema delle imprese, in AA.VV.(a cura di Bianchi M.), Enti pubblici e competitività. L’intervento degli Enti pubblici nella valorizzazione della competitività dei sistemi locali. Esperienze nazionali ed internazionali, Cesena, il Ponte Vecchio, 2001, p.109. 17 5 DISTRETTO INDUSTRIALE Separazione fra zone abitative e produttive Separazione fra piccole, medie e grandi aziende Separazione aree ind.li, comm.li, artig.li, servizi e logistica Bassi livelli di autoconsumo Distinzione di classi e professionalità Scarsi vincoli di solidarietà Cultura orientata alla specializzazione VILLAGGIO PRODUTTIVO Integrazione fra zone abitative e produttive Integrazione fra p.m. e grandi imprese Integrazione intersettoriale Livelli significativi di autoconsumo Ceto dominante – vincoli interfamiliari Vincoli di solidarietà Cultura orientata a professionalità integrate Lo sviluppo si è articolato con la creazione dei micro- sistemi territoriali qui descritti. Le zone economiche speciali Le cinque zone che hanno costituito la base per esperimenti di investimenti stranieri ed imprese private sin dal 1979 sono le cosiddette ZES. Si tratta delle città di Shenzhen, Zhuhai e Shantou situate nel sud della provincia di Guangdong e poco distanti da Hong Kong; Xiamen, situata sulla costa di fronte a Taiwan; l’isola di Hainan al sud della Cina, divenuta provincia e contemporaneamente zona economica speciale nel 1988. Da questi centri (soprattutto Shenzhen) è partita anche la riforma del sistema finanziario e la creazione di un mercato dei diritti di proprietà e di uso su immobili e terreni. Nelle ZES troviamo dei nuclei di sviluppo circoscritto, che nelle dimensioni del gigante cinese possiamo considerare macro-locali, nei quali l’organizzazione del mercato, dei traffici e delle imprese si articola fra un ambiente economico esteso, ampio ma caotico ed un ambiente delimitato in cui le strutture di sviluppo sono leggibili ed utilizzabili19. L’obiettivo di queste aree di sviluppo è quello di offrire condizioni differenziate e concentrate favorevoli all’imprenditorialità e tipiche di un sistema locale nel quale si può realizzare un’organizzazione reticolare del mercato e forme dinamiche di collaborazione interaziendali, la cui complessità è controllabile solo in ambiente circoscritto. Nelle Zes, tra le principali agevolazioni per gli investitori esteri, nel 1984 era prevista una tassa sul reddito molto favorevole: il 10% per le imprese a partecipazione estera impegnate nella produzione per l’export e il 15% per tutte le altre. Nel corso degli anni la Zes sono state affiancate da altri tipi di zone speciali: le ETDZ (Economichal and technological developement zone); numerose zone franche; le HTDZ (High technology developement zone, riconosciute dal governo centrale a partire dal 1991, diverse Open Coastal City e Open Coastal Region (OCEZ); nonché innumerevoli zone costituite da Governi locali. Tuttavia il governo centrale sta progressivamente eliminando le facilitazioni previste in tutte le zone speciali, al fine di uniformare il trattamento per le aziende straniere all’interno del Paese, anche per l’ingresso della Cina nel WTO20. Le zone di sviluppo economico e tecnologico E’ questo un fenomeno che ha caratterizzato i primi anni 90. Molte città , sia sulla costa che nell’interno, hanno destinato porzioni del loro territorio alla creazione di zone, per così dire, speciali, in cui la politica verso gli investimenti esteri è più favorevole e si concedono trattamenti preferenziali. Le maggiori e più attrezzate sono a Yantai, Dalian, Tianjian, Shangai, Quingdao e Ningbo., Negli ultimi anni c’è stata una drastica riduzione da parte del governo del numero di tali Zone . Sono assai simili, per le facilitazioni concesse, alle zone economiche speciali. 19 M.Bianchi, Economia…, cit., p. 636. AA.VV. (a cura di BBLP Pavia e Ansaldo), Quadro di riferimento legislativo e fiscale per gli investimenti stranieri nella repubblica popolare cinese, aprile 2000, p.32. 20 6 Le free trade zone Negli anni Novanta21 sono state istituite sul territorio nazionale, per volontà del Governo centrale di Pechino e, dal 1997, con approvazione da parte del Consiglio di Stato, delle zone franche che offrono la possibilità di far transitare merci in esenzione da tasse e dazi doganali. Tale imposizione si ha solo successivamente, nel caso in cui le merci varchino il confine tra la FTZ e il territorio cinese al di fuori della zona franca. Tra esse la più importante è Waigaoqiao, situata a 20 km. da Shangai, all’interno della cosiddetta Pudong New Area. Costituita nel 1990, rappresenta il primo tentativo di apertura del commercio con l’estero agli stranieri: all’interno della zona è infatti concessa la costituzione di Waigaoqiao Free trade Companies (WFTC), società anche interamente detenute dall’investitore straniero, che godono di alcuni diritti in tale settore e a cui vengono offerte soluzioni integrate per la produzione, il magazzinaggio e la distribuzione. 5. Organizzazioni reticolari e sistemi locali Nell’ambito delle teorie sul ruolo degli incentivi nello sviluppo economico la Cina ha sperimentato, dunque, accanto agli investimenti massicci, una metodologia di sviluppo dei cosiddetti sistemi locali e, nell’ambito di questa, delle organizzazioni reticolari dei rapporti interaziendali22. L’aspetto caratteristico delle “reti di imprese”, che possono essere più o meno centrate su un’entità prevalente, deriva dal fatto che ogni elemento componente, costituito generalmente da un’impresa, conserva la propria individualità pur essendo i rapporti fra le diverse unità caratterizzati da notevole continuità ed operando sia sul piano della produzione che della distribuzione, sia per la fornitura ad altre imprese che al consumatore. Ampi studi23 in proiezione storica hanno provato che la cooperazione fra imprese è uno dei più positivi percorsi di sviluppo del capitalismo moderno. In particolare Halter e Hage hanno osservato che con la diffusione delle forme organizzative reticolari si è assistito all’avvento di una «nuova istituzione» nelle economie avanzate24. Nel campo delle realizzazioni concrete, alla rete di imprese possono farsi risalire, a seconda che si prendano in esame collegamenti forti o deboli, formalizzati o meno, di carattere produttivo con interscambio di prodotti o servizi, le esperienze di esternalizzazione, di joint- venture, di franchising, di organizzazioni imprenditoriali, e così via. Esiste anche un concetto ampio di rete25, che finisce per coprire qualsiasi forma di relazione interaziendale che possieda un qualche grado di relazioni o connessioni; si distingue invece una rete intesa come fenomeno organizzativo avente proprie ed originali caratteristiche che la differenziano da un semplice confinamento di eventi rispetto ad un ambiente esterno caotico. Caratteristiche di un’organizzazione reticolare sono: capacità di autoregolazione delle relazioni (condizione di sistema); limitato numero di connessioni (condizione di organizzazione); forme di condivisione di obiettivi e di assegnazione di compiti (condizione di strategia); adeguata stabilità delle relazioni esistenti fra i componenti (condizione di struttura). 21 D'Agnolo G. (a cura di), Analisi Paese Cina. Guida all’export e agli investimenti, il Sole 24 ore, 1/06/2000, p. X. Bianchi M., Economia…, cit., p.636. 23 Chandler A.D., Scale and Scope: The Dynamism of Industrial Capitalism, Cambridge, Balknap Press, 1990, p. 393 e sgg. 24 Alter C.- Hage J., Organizations Working Togheter, London, Sage Publications, 1993. 25 Sobrero M. – Schrader S., Structuring inter-firm relationships: A meta- analytic approach, in “ Organization Studies”, 1998, 19 (4), pp.585- 615; Grandori A. – Soda G., Inter-firm networks: Antecedents, merchaising and forms, in “Organization Studies”, 1995, 16 (2), pp.183- 214. 22 7 Sebbene in questa sede sia inopportuno argomentare che alcune di queste condizioni si rintracciano in talune zone della Cina, pare tuttavia utile citare l’esempio dell’area di Pudong (Shangai). Ulteriori e più approfondite analisi andrebbero svolte sull’effetto che la forma reticolare esercita sui tempi e sulle qualità dei processi innovativi. Alcuni Autori argomentano che di fronte a legami forti e ripetuti gli aggregati si trasformano in alleanze strategiche che hanno impatti precisi sulle performance aziendali26. Attualmente la qualità degli attori e la densità delle relazioni fra le imprese in Cina si basa su transazioni casuali più che su forti basi relazionali. Solo in una seconda fase potranno rilevarsi risultati concordanti relativi alla maggiore rapidità dei processi innovativi oltre a una maggiore efficacia dei risultati conseguiti27 . Questi risultati sono fortemente connessi alla ripetitività e alla crescita della fiducia e della conoscenza dei rispettivi modi di operare, ai processi di apprendimento tramite l’interazione reciproca, ai relativi trasferimenti di conoscenza, ai contributi delle unità nodali, allo sviluppo di conoscenze di nicchia, alla piena estrinsecazione dell’assetto multipolare.28 Il localismo in Cina appare come un’organizzazione strutturata che gestisce in rete funzioni e servizi a livello locale o governa i rapporti fra il livello municipale o provinciale e quello centrale. Il governo locale ha il compito di regolare il complesso sistema di interelazioni, opportunità, interessi atti a favorire l’attrattività di un determinato territorio, in rapporto alle capacità di proporsi nell’arena concorrenziale come soggetto unitario. A tal fine l’elemento locale deve attivare risorse interne ed esterne che favoriscano una “tensione allo sviluppo” della competitività del territorio. Per lo studio dell’economia e delle organizzazioni aziendali l’attuale evoluzione cinese può rappresentare un campo di ricerca estremamente interessante, sia per le specificità autoctone dei sistemi locali, sia per affrontare un’indagine comparata con i paesi europei. BIBLIOGRAFIA AA.VV. (a cura di BBLP Pavia e Ansaldo), Quadro di riferimento legislativo e fiscale per gli investimenti stranieri nella repubblica popolare cinese, 2000. AA.VV ( a cura di Camera di Commercio Italo-Cinese), Il consuntivo del 2000, in “Cina notizie”, 2001, n.6. AlDRICH H., Organization and Environments, NJ, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1979. ALTER C.- HAGE J., Organizations Working Togheter, London, Sage Publications, 1993. BIANCHI M., Economia e organizzazione dei sistemi locali nell’esperienza cinese. Un’interpretazione della svolta cinese attraverso modelli di rapporti interaziendali, in “Il diritto dell’economia”, Modena, Mucchi editore, 1994, n.3. 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Modelli ed esperienze empiriche, Bologna, Il Mulino, 1996. 28 Lorenzoni G., Lo sviluppo delle piccole e medie imprese, in “Atti del Convegno sul tema: Validità del capitale di rischio e fattori di sviluppo delle piccole e medie aziende” Piacenza, 19-20 settembre, 1996, p.41. 8 GRANDORI A., L’organizzazione delle attività economiche, Bologna, Il Mulino, 1995. GRANDORI A. – SODA G., Inter-firm networks: Antecedents, merchaising and forms, in “Organization Studies”, 1995, 16 (2), pp.183- 214. GRANOVETTER M., Economic Action and Sociale Structure: The problem of Embeddeness, in “American Journal of Sociology”, XVI, pp.481-510. HANNAN M.– FREEMAN J, The Ecology of Organizational Founding: American Labor Unions: 1836, 1985, in “American Journal of Sociology”, 1987, n.92. LOMI A. (a cura di), L’analisi relazionale delle organizzazioni. Modelli ed esperienze empiriche, Bologna, Il Mulino, 1996. 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