UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA"LA SAPIENZA" Scuola di Specializzazione in Genetica Medica Direttore Prof. Bruno Dallapiccola Diagnosi molecolare di miopatia miotubulare legata all'X (XLMTM) mediante Denaturing High Performance Liquid Chromatography (DHPLC) Relatore Specializzando Prof. Giuseppe Novelli Dott.ssa Maria Rosaria D'Apice Anno Accademico 1999-2000 INDICE PREMESSA INTRODUZIONE MIOPATIA MIOTUBULARE X-LINKED Clinica Quadro istopatologico Gene MTM1 e miotubularina Mutazioni e polimorfismi del gene MTM1 Diagnosi molecolare di miopatia miotubulare legata all’X Denaturing High Performance liquid Chromatography MATERIALI E METODI Casistica analizzata Estrazione del DNA DHPLC Sequenziamento diretto Studio dell’inattivazione del cromosoma X RISULTATI DISCUSSIONE BIBLIOGRAFIA PREMESSA La miopatia miotubulare X linked (XLMTM; MIM# 310400) è una grave miopatia congenita, caratterizzata alla nascita da una marcata ipotonia e debolezza muscolare generalizzata e dalla presenza di piccole cellule muscolari con nucleo centralizzato sparse tra le fibre muscolari normali. La malattia è dovuta a mutazioni della miotubularina, una proteina ad attività tirosinfosfatasica (PTP) codificata dal gene MTM1, che è composto da 15 esoni e mappa nella regione Xq28. Sono state attualmente identificate 133 diverse mutazioni su un totale di 198 pazienti non consanguinei. La mancanza di mutazioni ricorrenti, unita all’assenza di vere e proprie regioni “hot spot”, rende la diagnosi molecolare lunga e difficoltosa sia in termini di tempo che economici. La tecnica attualmente più utilizzata prevede una prima analisi dei polimorfismi di conformazione (SSCP) dell’intera sequenza codificante del gene, seguita dal sequenziamento diretto delle varianti identificate. Allo scopo di definire un protocollo di diagnostica molecolare del gene MTM1, più rapido e sensibile, abbiamo sviluppato ed elaborato una strategia molecolare innovativa basata sull'utilizzo della tecnica "Denaturing High Performance Liquid Chromatography" o DHPLC. Questa tecnica utilizza la capacità della cromatografia liquida a fase inversa di discriminare, all’interno di prodotti eterogenei di PCR, molecole di DNA eteroduplici da quelle omoduplici, in condizioni di parziale denaturazione e sotto diretto controllo della temperatura. Il vantaggio della DHPLC, rispetto alle tecniche tradizionali, è essenzialmente dovuto all’elevata sensibilità e riproducibilità, alla facilità di applicazione, nonché alla rapidità e possibilità di automazione. INTRODUZIONE Le miopatie miotubulari, anche dette miopatie centronucleari, comprendono una serie di miopatie congenite caratterizzate, dal punto di vista istologico, dalla prevalenza di fibre ipotrofiche con nucleo centralizzato. Il quadro clinico della miopatia miotubulare è piuttosto variabile in termini di età di insorgenza, gravità della malattia, quadro istochimico e tipo di eredità (1). La miopatia miotubulare esiste in una forma X-linked (MIM#310400) (2), una forma autosomica dominante (MIM# 160150) e una forma autosomica recessiva (MIM# 255200) (3). MIOPATIA MIOTUBULARE X-LINKED Clinica La miopatia miotubulare X-linked (XLMTM; MIM # 310400) è una malattia congenita caratterizzata da grave ipotonia e debolezza muscolare generalizzata, che in particolare interessa i muscoli respiratori, facciali ed oculari (Figura 1). I movimenti spontanei sono ridotti o assenti ed, alla nascita, raramente si stabilisce una respirazione normale (4, 5). Spesso si osserva un’insorgenza prenatale della malattia caratterizzata dalla presenza di polidramnios e di movimenti fetali ridotti. Nelle portatrici obbligate si osservano, con una frequenza superiore alla media, aborti spontanei e parti prematuri. La maggior parte dei pazienti muore per insufficienza respiratoria tra le prime settimane e i primi 4-5 mesi di vita. Si osserva anche un ridotto numero di pazienti che sopravvive per molti mesi o anche sino all’età adulta, specialmente quando sin dalla nascita viene fornito un supporto respiratorio (3). La ragione di questa diversa progressione clinica rimane ancora sconosciuta. Le portatrici generalmente non mostrano manifestazioni cliniche significative, sebbene in alcuni casi sia stata riportata una leggera debolezza dei muscoli facciali (3, 6, 7). Sono inoltre descritti in letteratura casi di femmine affette da miopatia miotubulare legata all’X in seguito a fenomeni di inattivazione non casuale (eterozigoti estreme) (8, 9). Figura 1 : Paziente con miopatia miotubulare legata all’X Quadro istopatologico Il quadro istopatologico delle biopsie muscolari dei maschi affetti evidenzia la presenza di molte fibre piccole e rotonde, con nucleo centrale circondato da aggregati di mitocondri e di elementi contrattili che ricordano i miotubi fetali (10). La percentuale di fibre contenenti nuclei centralizzati varia, nella serie di casi riportati, dal 10 al 50% (11-13) oltre che nei diversi campi microscopici (Figura 2 a, b) (6). Attualmente non è possibile stabilire con certezza la percentuale minima di questo tipo di fibre necessaria per effettuare la diagnosi. In circa la metà delle portatrici obbligate, la biopsia muscolare evidenzia una certa proporzione di fibre con nuclei centralizzati. Questi dati istologici suggeriscono che la differenziazione è stata arrestata ad uno stadio precedente la formazione delle fibre muscolari (14, 15). Infine, ulteriori conferme a sostegno di quest’ipotesi derivano dall’osservazione della persistenza nel muscolo di isoforme pesanti di miosina prenatale (16) A B Figura 2. Biopsia muscolare di un paziente con miopatia miotubulare legata all’X. (a) 200 X Sezione longitudinale. Si osservano fibre con nucleo centrale. (b) 200 X Sezione trasversa. Si osservano fibre ipotrofiche con nucleo centrale Gene MTM1 e miotubularina Il locus responsabile per la XLMTM è stato mappato nella parte prossimale della regione Xq28 per analisi di linkage (17-21). L’analisi di una delezione interstiziale in Xq, in una paziente con una forma lieve di miopatia miotubulare, ha permesso di ridefinire la regione candidata in un intervallo di 600 kb (9). La successiva caratterizzazione di microdelezioni sovrapponibili in due pazienti con miopatia miotubulare con associato sviluppo sessuale anomalo, ha permesso di restringere l'area di mappatura a circa 430 Kb, e precisamente nella regione compresa tra il marcatore DXS304 ed il marcatore DXS1345 (22). Un ulteriore restringimento dell'area, è stato in seguito ottenuto mediante la caratterizzazione di eventi di ricombinazione (23, 24). Nel 1996 è stato possibile isolare e caratterizzare il gene MTM1 utilizzando la strategia del clonaggio per posizione (25). Il gene MTM1 è trascritto in un mRNA di 4 Kb, ad espressione ubiquitaria ed una forma alternativa di 2.4 Kb, che utilizza un diverso segnale di poliadenilazione, selettivamente espresso nel muscolo e nel testicolo. Il gene MTM1 è composto da 15 esoni (26), che si estendono per una regione genomica di 100 kb ed è localizzato 20 kb prossimale ad un gene omologo MTMR1. La proteina codificata, detta miotubularina (Figura 3), contiene una sequenza consensus di 12 aminoacidi per il sito attivo della tirosina fosfatasi (PTP) e la sua attività fosfatasica è stata confermata su p-nitrofenil fosfato (p-NPP), un substrato sintetico analogo alla fosfotirosina (27). La miotubularina contiene inoltre un dominio di legame con le proteine SET (SID), una famiglia di proteine coinvolte nella regolazione dei meccanismi epigenetici alla base della crescita e del differenziamento cellulare (28). Diversi omologhi del gene MTM1 sono stati isolati in topo, nel pesce Danio rerio, in Drosophila, in C. elegans, in S. pombe e in S. cerevisiae e nel genoma umano, indicando che la miotubularina appartiene ad un'ampia famiglia genica di tirosin-fosfatasi conservata nel corso dell'evoluzione. Il possibile ruolo fisiologico di questa proteina viene suggerito da un dato di recente acquisizione che dimostra che la miotubularina è in grado, sia in vitro che in vivo, di defosforilare il secondo messaggero lipidico fosfatidilinositolo 3-fosfato PI(3)P, coinvolto nel processo di trasporto vescicolare dai compartimenti intracellulari alla membrana plasmatica. È possibile che nei pazienti con miopatia miotubulare X-linked una regolazione impropria del PI(3)P interrompa il traffico vescicolare necessario ai processi di fusione dei mioblasti provocando un arresto nel corretto sviluppo del muscolo. La miotubularina potrebbe, attraverso il controllo dei livelli cellulari di PI(3)P, agire come regolatore della localizzazione subcellulare delle proteine con dominio FYVE intervenendo nei pathway di trasduzione specifici dipendenti da questi effettori (29). Un'ipotesi alternativa implica l'interazione della miotubularina con le proteine contenenti i domini SET (Suvar3-9, Enhancer-ofzeste, Trithorax). La forma mutata della miotubularina mimerebbe l'azione fisiologica di alcune proteine appartenenti alla famiglia delle miotubularine mancanti di attività fosfatasica ma capaci di legare i domini SET, come sbf1, che quando viene superespressa è in grado di indurre in vitro la trasformazione neoplastica dei miociti e di inibire in coltura la formazione dei miotubi (28). Mutazioni e polimorfismi del gene MTM1 Il gene MTM1 è mutato nella maggior parte dei pazienti con XLMTM. Sono state attualmente identificate 133 sono mutazioni differenti in 198 famiglie non imparentate (Figura 3) (30-41). Una lista completa e aggiornata è presente sul sito web Human Gene Mutation Database (HGMD; http://www.uwcm.ac.uk). Le mutazioni del gene MTM1 sono distribuite lungo tutta la sequenza codificante anche se gli esoni maggiormente interessati sono il 3, 4, 8, 9, 11 e 12. Al momento, la lista delle mutazioni risulta piuttosto eterogenea comprendendo 55 mutazioni missenso, 40 non senso, 50 microinserzioni e delezioni, 15 delezioni grandi e 38 mutazioni di splicing (41). La maggior parte delle mutazioni provoca l’introduzione di un codone di stop e la traduzione di una proteina tronca, anche se il 26% della mutazioni è costituto da variazioni missenso che interessano sempre residui aminoacidici ben conservati durante l'evoluzione. Queste ultime sono localizzate principalmente tra gli esoni 8 e 12 intorno al sito attivo tirosin-fosfatasico (PTP), codificato dall'esone 11, ed al sito di legame delle proteine SET (SID), codificato dagli esoni 12 e 13. Un elevato numero di mutazioni missenso mappa comunque negli esoni 8 e 9 senza un'apparente correlazione con i due domini funzionali noti della proteina. Sono state inoltre descritte varianti polimorfiche non patogenetiche nelle regioni introniche e nella regione del promotore. Diagnosi molecolare di miopatia miotubulare legata all’X La diagnosi clinica ed istologica di XLMTM deve essere confermata attraverso l’analisi molecolare del gene MTM1. L’importanza della conferma deriva dalla presenza di fenocopie di cui le più frequenti sono costituite dalle forme autosomiche dominanti e recessive delle miopatie centronucleari, dalla forma congenita di distrofia miotonica (DM) e dalla forma più grave di atrofia muscolare spinale (SMAI). La diagnosi molecolare delle mutazioni del gene MTM1 si basa sull’analisi delle varianti di conformazione (SSCP) e degli eteroduplici (HD) dei frammenti di PCR ottenuti dall’amplificazione dei singoli esoni (32). Le varianti anomale rilevate, vengono quindi isolate e sequenziate. In genere il protocollo utilizzato prevede una prima analisi degli esoni 8, 9, 4, 11, 12 e 5, nell’ordine menzionato, in quanto contengono oltre i due terzi delle mutazioni, e solo in una seconda fase l'analisi degli esoni rimanenti. Nonostante questo protocollo diagnostico abbia permesso l’identificazione di un elevato numero di mutazioni si presenta di difficile applicazione in un laboratorio diagnostico a causa dei lunghi tempi della messa a punto e della difficoltà di automazione. Inoltre, come è ben noto, il metodo di ricerca di mutazioni tramite SSCP dipende in larga misura dall’esperienza dell’operatore e raramente raggiunge una sensibilità superiore al 80%. Allo scopo di definire un protocollo per la diagnostica molecolare dei pazienti XLMTM più rapido e sensibile, rispetto a quelli sino ad ora proposti, abbiamo messo a punto nel nostro laboratorio una metodica alternativa per l'analisi di mutazioni nel gene MTM1 denominata Denaturing High Performance Liquid Chromatography (DHPLC), inizialmente descritto da Underhill e coll. nel 1996 (42) e recentemente applicato con successo alla ricerca di varianti genomiche di geni di discrete dimensioni, come BRCA1/2 (43-47), e TSC1/2 (48, 49). Questa tecnica è anche applicata con successo allo screening di mutazioni del DNA mitocondriale (50) e alla ricerca di marcatori biallelici tipo SNPs (Single Nucleotide Polymorphism) utilizzati per la mappatura di regioni di suscettibilità a malattie complesse (51) o negli studi evoluzionistici della genetica di popolazioni (52, 53). Denaturing High Performance Liquid Chromatography (DHPLC) La DHPLC (Denaturing High Performance Liquid Chromatography) (Figura 4) è una metodica di rapido impiego, accurata e automatica per identificare variazioni nella sequenza di frammenti di DNA amplificati ottenuti da reazioni di PCR (42). Questa metodica si basa sulla capacità della cromatografia a fase inversa a coppie ioniche di discriminare tra le molecole di DNA eteroduplici e omoduplici, sfruttando le differenze dei loro tempi di ritenzione in una matrice di particelle alchilate, in specifiche condizioni di parziale denaturazione dipendenti dalla temperatura. L’appaiamento non corretto che si produce nelle molecole di DNA eteroduplice, a causa della rinaturazione di due molecole non perfettamente complementari per la presenza di una mutazione, produce una struttura instabile che destabilizza la doppia elica. Per questo motivo, alle stesse condizioni di temperatura, la molecola di DNA eteroduplice si trova in uno stato di parziale denaturazione, mentre la molecola di DNA omoduplice corrispondente, più stabile, non viene denaturata (Figura 5). La conseguente riduzione delle cariche negative nelle porzioni a singolo filamento nel DNA eteroduplice provoca una diminuzione del numero di legami tra il DNA ed un catione, il trietilammonio acetato, che funziona come un ponte elettrostatico tra le molecole cariche negativamente del DNA e la colonna. Una volta sottoposte ad un gradiente di acetonitrile, le due specie molecolari, mostrando una differente affinità per la colonna, vengono liberate in tempi differenti. Il campione di DNA, una volta eluito dalla colonna, viene rilevato da uno spettrofotometro e visualizzato attraverso un elettroferogramma. I dati relativi ad ogni singolo elettroferogramma vengono poi immagazzinati automaticamente sotto forma di singoli files. L'amplificato ottenuto da un eterozigote, essendo costituito sia molecole di DNA omoduplice che eteroduplice viene eluito in più tempi diversi e produce un elettroferogramma con più picchi, mentre l'amplificato ottenuto dal DNA di un omozigote, essendo costituito esclusivamente da DNA omoduplice viene eluito tutto insieme e visualizzato in un singolo picco. La risoluzione che si riesce ad ottenere non è uguale per tutte le mutazioni, ma dipende dalla loro posizione nel frammento di PCR e dalla lunghezza dalla composizione in basi del frammento stesso. Figura 4: DHPLC (denaturing high performance liquid chromatography) Figura 5 . Esempio di elettroferogramma. MATERIALI E METODI Casistica analizzata Questo studio è stato condotto su 10 pazienti sporadici, 8 maschi e 2 femmine, e su una famiglia con diagnosi clinica di miopatia miotubulare legata all’X. Una volta individuata la mutazione veniva caratterizzato lo status della madre e di altri eventuali parenti di sesso femminile, potenziali portatrici asintomatiche della mutazione. In ciascun caso la diagnosi clinica è stata confermata sulla base di un esame istologico, di tipo istochimico o di tipo istoenzimatico per evidenziare la presenza di cellule muscolari con nucleo centralizzato e aggregati di mitocondri al centro della fibra muscolare. Sia la diagnosi clinica che l'esame istologico sono stati effettuati secondo i criteri fissati dal Consorzio Internazionale delle Miopatie (http://www.enmc.spc.oxac.uk/DC/Myotucrit) presso Miotubulari, il Centro di Epidemiologia e Prevenzione delle Malattie Neuromuscolari dell'Università di Padova, l'Ospedale Infantile di Alessandria e l'Unità Operativa di Medicina Molecolare dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Le analisi molecolari sono state effettuate su DNA estratto da un campione di biopsia muscolare o da un campione di sangue periferico, prelevato in quantità variabile da 5 ml per i neonati e 10 ml per i loro genitori e addizionato con EDTA 0.5% per evitarne la coagulazione. I soggetti di controllo sono costituiti da pazienti affetti da patologie non muscolari. Estrazione del DNA La preparazione di DNA genomico da sangue periferico è stata ottenuta mediante le tecniche standard di estrazione con fenolo/cloroformio e precipitazione etanolica. Il DNA genomico ottenuto dalle biopsie muscolari è stato preparato secondo metodiche standard. In breve, i frammenti di muscolo sono stati prima omogeneizzati e successivamente incubati in una soluzione di lisi contenente Tris 0.02 mM, NaCl 100mM, EDTA 25mM pH 8.0 SDS 0.2% e proteinasi K 0.1 mg/ml per tutta la notte a 37°C. Il DNA totale è stato estratto con un tampone saturato fenolo/cloroformio/isoamilico (25:24:1), precipitato in etanolo e risospeso in H2O bidistillata. DHPLC Per lo screening di mutazioni/polimorfismi del gene MTM1 con la metodica DHPLC è stata eseguita una reazione di PCR per ogni esone utilizzando 50 ng di DNA genomico, 10 mM Tris HCl pH 8.3, 50 mM KCl, 1.5-2.0 mM MgCl2, 100 µM dNTPs, 0,2 µM primers, 2.5 U AmpliTaq Gold (PE Applied Biosystems, Foster City, CA). Sono state utilizzate le seguenti condizioni di amplificazione: un ciclo di denaturazione di 10 min a 94°C, seguito da 30 cicli di 30 s a 94°C, 30 s a 52°C o 55°C e 30 s a 72°C. Le condizioni specifiche della reazione di PCR relativa a ciascun esone e la sequenza dei primers utilizzati sono state riportate nella Tabella 1. Esone 14 Primer senso (*) Primer antisenso (*) Lunghezza del frammento di PCR (bp) MgCl2 (mM) T (°C) 272 1.5 52 2 AGAACCTGTAAAGTAGTACC TAGGCCAGCCCAAAATGAC 3 AACAGTGTGTAAATGTAACGTC AGACTTCTCCTCAAGTTATGC 172 1.5 52 4 AGTGCCATTTGTTGTGTATC TGACCCACAGTCAATCTTGC 255 1.5 55 5 TAATTATACTGACAGAAATACTG TCCACATTAATTGTCTACTATC 234 2 55 6 TTGAAGACTGAACTGTCATAC AACCTTCCCACGCTGAGG 175 1.5 55 7 AGATGTACTATAATAGTAGAC AGGTTCATCACATACCAGAC 188 1.5 52 8 TCCAGAGATGAGGTCAAGC GGTGCTCTTCAAGAGAAACG 239 1.5 52 9 TTGATAGCTTAAACTTTCTGAC TCCAGCACATCATTAAGTCC 247 1.5 55 10 CTGATTGTTTGTATTTCATG TATATACACAAATATTTTCAC 251 2 52 11 AACTCCCTACTGACTCACG AATCCTGAATGGTAGTGATCT 292 1.5 55 11 AACTCCCTACTGACTCACG CTTTTTCTACCAGTATTTCG (11a) 210 1.5 52 12 ATGCTTTCTCAGTTTTGTACC TAAACAATGAGTTGAATGTA 195 1.5 52 13 TTATAAAGTTTCAGTCCCAG TTTGGCAAGCCTAATGTATC 211 2 52 TTTTACTTAGGCTCTCCAC CTATCTTTTAACAGTGCTAC 248 1.5 52 Tabella 1. Sequenza dei primer e condizioni di PCR utilizzati per l’analisi di mutazioni e/o polimorfismi del gene MTM1 mediante DHPLC. (*) i primers sono stati disegnati sulla base delle sequenze introniche, tranne il primer antisenso 11a disegnato sulla base della sequenza dell’esone 11. Prima del caricamento su DHPLC i prodotti di PCR di ogni campione sono stati denaturati a 95°C per 5 minuti e poi rinaturati lentamente (1°C/min) fino ad una temperatura di 65°C. Inoltre, per l’analisi delle mutazioni nei maschi emizigoti, è stato necessario mischiare i prodotti di PCR ottenuti dai pazienti con quelli ottenuti da un individuo sano. L’analisi per DHPLC è stata eseguita su uno strumento automatico di DHPLC (Transgenomic Inc., San Jose, CA). La fase stazionaria consiste di una matrice non porosa di polistirenedivinilbenzene (DNA Sep) che lega il DNA durante l’analisi. La fase mobile è costituita da due eluenti a pH 7.0. Il tampone A contiene 0.1 M TEAA (trietilammonio acetato), una molecola ponte i cui gruppi alchilici coprono parzialmente la fase stazionaria da un lato, mentre gli ioni ammonio caricati positivamente interagiscono con gli ioni fosfati caricati negativamente delle molecole di DNA interagisce. Il tampone B contiene 0.1 M TEAA e 25% acetonitrile. L’interazione idrofobica tra la fase stazionaria e le catene alchiliche delle molecole ponte è ridotta con l’aumento di acetonitrile nella fase mobile. I frammenti vengono eluiti con un gradiente lineare di acetonitrile di 2% per minuto con un flusso di 0.9 ml/min. Il gradiente comprende uno step di caricamento del DNA, un altro di separazione lineare dei frammenti di PCR, seguito dal lavaggio e dall’equilibratura della colonna (DNA Sep ). I tempi di inizio e di fine per ciascun passaggio sono dipendenti dalla sequenza di quel determinato frammento di PCR . Le temperature necessarie ad ottenere una risoluzione ottimale delle molecole eteroduplici sono state calcolate con il programma DHPLC Melt (http://insertion.stanford.edu/cgi-bin/melt.pl). Le seguenti tabelle riportano, per ciascun esone analizzato, il gradiente lineare della fase mobile (percentuali dei tamponi A e B) stabilito con il programma WAVEMaker e le temperature di denaturazione dell’intero frammento di PCR consigliate dal programma DHPLC Melt. MTM1 esone 2 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 50 45 36 0 0 50 50 %B ml/min rilevatore 50 0.9 2.2 55 2.7 64 7.2 100 7.3 100 7.8 50 7.9 50 9.4 T (°C) domini analizzati* 248-280,289-291 53°C 166-247,281-288 54°C 157-165 55°C 1-156 56°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 55°C La temperatura consigliata è 56°C MTM1 esone 3 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 55 50 41 0 0 55 55 %B ml/min 45 0.9 50 59 100 100 45 45 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 185 56°C 156-184 57°C 1-65,152-155 58°C 66-151 59°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 58°C La temperatura consigliata è 59°C MTM1 esone 4 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 51 46 37 0 0 51 51 %B ml/min 49 0.9 54 63 100 100 49 49 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 46-107 53°C 1-45,108-274 54°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 54°C La temperatura consigliata è 54°C MTM1 esone 5 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale minuti 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 52 47 38 0 0 52 52 %B ml/min 48 0.9 53 62 100 100 48 48 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 230-253 54°C 1-84,148-229 55°C 85-147 56°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 55°C La temperatura consigliata è 56°C MTM1 esone 6 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 54 49 40 0 0 54 54 %B ml/min 46 0.9 51 60 100 100 46 46 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) dominio analizzato* 1-194 60°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 60°C La temperatura consigliata è 60°C MTM1 esone 7 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 54 49 40 0 0 54 54 %B ml/min 46 0.9 51 60 100 100 46 46 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 62-69, 96-102 54°C 1-61, 70-95, 103-118 55°C 119-207 56°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 55°C La temperatura consigliata è 56°C MTM1 esone 8 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 51 46 37 0 0 51 51 %B ml/min 49 0.9 54 63 100 100 49 49 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 86-89 55°C 1-11, 21-22, 34-34, 75-85, 90-93 56°C 12-20, 23-33, 35-74, 94-95 57°C 96-99 58°C 100-259 59°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 59°C La temperatura consigliata è 59°C MTM1 esone 9 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 50 45 36 0 0 50 50 %B ml/min 50 0.9 55 64 100 100 50 50 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 1-6 53°C 7-16 54°C 17-25 55°C 26-31, 116-185 56°C 32-59, 112-115, 186-188 57°C 60-111, 189-247 58°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 57°C Le temperature consigliate sono 53°C e 58°C MTM1 esone 10 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 52 47 38 0 0 52 52 %B ml/min 48 0.9 53 62 100 100 48 48 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 236-245 50°C 224-235 51°C 222-223 52°C 1-6, 220-221 53°C 7-30, 82-219 54°C 31-81 55°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 54°C La temperatura consigliata è 55°C MTM1 esone 11 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 50 45 36 0 0 50 50 %B ml/min 50 0.9 55 64 100 100 50 50 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 284-311 52°C 272-283 53°C 224-271 54°C 218-223 55°C 212-217 56°C 191-193, 199-211 57°C 183-190, 194-198 58°C 1-68, 73-78, 173-182 59°C 69-72, 79-172 60°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 59°C Le temperature consigliate sono 55°C e 60°C MTM1 esone 12 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 53 48 39 0 0 53 53 %B ml/min 47 0.9 52 61 100 100 47 47 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 213-214 51°C 207-212 52°C 194-206 53°C 42-73, 180-193 54°C 1-41, 74-77, 164-179 55°C 78-163 56°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 55°C La temperatura consigliata è 56°C MTM1 esone 13 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 52 47 38 0 0 52 52 %B ml/min 48 0.9 53 62 100 100 48 48 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 228-230 53°C 94-119, 193-227 54°C 1-93, 120-192 55°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 54°C La temperatura consigliata è 55°C MTM1 esone 14 Step Caricamento Gradiente iniziale Gradiente finale Lavaggio iniziale Lavaggio finale Equilibratura iniziale Equilibratura finale tempo 0.0 0.5 5.0 5.1 5.6 5.7 7.2 %A 52 47 38 0 0 52 52 %B ml/min 48 0.9 53 62 100 100 48 48 rilevatore 2.2 2.7 7.2 7.3 7.8 7.9 9.4 T (°C) domini analizzati* 1-4 51°C 5-5, 242-248 52°C 6-8, 239 53°C 9-9, 88-105, 116-117 54°C 10-87, 106-115, 118-144, 236-238 55°C 145-235 56°C La temperatura di denaturazione dell’intero frammento di PCR è 55°C Le temperature consigliate sono 51°C e 56°C (*) I numeri si riferiscono al nucleotide iniziale e finale del dominio di denaturrazione all’interno del frammento amplificato Sequenziamento diretto I prodotti di PCR sono stati purificati con il kit Seq-Prep GD400 (GeneDia) per eliminare primers, dNTPs e dimeri. Per la reazione di sequenza è stato utilizzato il kit CEQ Dye Terminator Cycle Sequencing (Beckman). Dopo la rimozione dell’eccesso di ddNTP marcati con il kit Seq-Prep, i campioni sono stati sottoposti ad elettroforesi capillare su DNA Analysis Sistem CEQ 2000 (Beckman Coulter). I primers utilizzati sono gli stessi della reazione di PCR descritti nella tabella 1. Studio dell'inattivazione del cromosoma X Il campione costituito da 2 g di DNA genomico è stato digerito con 20 U di HpaII a 37°C per 12 ore. Successivamente un’aliquota della digestione viene quindi utilizzata come stampo per una reazione di PCR contenente: 10 mM Tris HCl pH 8.3, 50 mM KCl, primer 1 M, dNTPs 250 M, 0.05 U di AmpliTaq Gold TM (PE Applied Biosystems, Foster City, CA). La sequenza dei primers utilizzati, tratta da Tilley et al. (1989), è: 5’-GCTGTGAAGGTTGCTGTTCCTCAT-3’ 5’-TCCAGAATCTGTTCCAGAGCGTGC-3’ Sono state utilizzate le seguenti condizioni di amplificazione: un ciclo di denaturazione di 5 min a 94°C, seguito da 28 cicli di 45 s a 94°C, 30 s a 60°C e 30 s a 72°C. I prodotti di PCR sono stati successivamente sottoposti ad elettroforesi capillare su un modello ABI PRISMTM 310 Genetic Analyzer (PE Applied Biosystems, Foster City, CA). Un microlitro di reazione di PCR è stato unito con 20 l di formamide e 0.5 l del marcatore di peso molecolare fluorescente (TAMRA GS-500 PE Applied Biosistems, Foster City, CA). Ogni campione è stato corso per 30 minuti. Durante l’elettroforesi la fluorescenza rilevata nella regione del laser è stata raccolta e immagazzinata usando il software Genescan collection (versione 3.1 PE Applied Biosistems, Foster City, CA) alla fine di ogni corsa. RISULTATI In questa tesi vengono riportati i risultati di uno studio effettuato su 10 pazienti (8 maschi e 2 femmine) con diagnosi clinica di miopatia miotubulare. Inoltre, lo studio ha riguardato anche una famiglia nella quale la malattia segrega da più generazioni in maniera chiaramente legata alla X. Per ciascun paziente è stata amplificata tutta la regione codificante del gene MTM1, tranne gli esoni 1 e 15 per i quali è stato riportato un esiguo numero di mutazioni. Gli amplificati relativi ai singoli esoni sono stati esaminati mediante analisi di DHPLC. La tabella 2 riporta, per ogni paziente, l’esone in cui è stato osservato un elettroferogramma che suggeriva la presenza di una variante. Per discriminare tra una mutazione ed un polimorfismo, ogni volta venivano analizzati 20 soggetti di controllo. Sono state individuate e caratterizzate 5 nuove mutazioni e confermati 4 mutazioni precedentemente descritte e un polimorfismo intronico comune nella popolazione caucasica (Tabella 3) (Figure 8, 11, 12). Paziente ex 2 ex 3 ex 4 ex 5 ex 6 ex 7 ex 8 ex 9 ex10 ex11 ex 12 ex 13 ex 14 M1 - - - - - - + - - - - - - F2 - - - - - - + - - - - - - M3 - - - - - - + - - - - - - M4 - - - - - - + - - - - - - M5 - - - - - - - + - - - - - F6 - - + - - - - - - - - - - M7 - - - - - - - - - + - - - M8 - - - - - - - - - + - - - M9 - - - - - - - - - - - - + M10 - + - - - - - - - - - - - Tabella 2. Varianti identificate in ciascun paziente in base all'analisi degli elettroferogrammi dei singoli esoni. Paziente Esone/introne Mutazione Cambio Tipo Referenza M1 esone 8 644 C→T T197I missenso Novelli G. et al. F2 esone 8 649 T→C P199S missenso questo studio M3 esone 8 646 insA (646-647)insA non senso M4 esone 8 646 insA (646-647)insA non senso M5 esone 9 811 C→T R253X non senso questo studio Novelli G. et al. questo studio Novelli G. et al. questo studio F6 introne 3 191-11T→A (191-11)T→A splicing Laporte J. et al. M7 esone 11 1186 G→A G378R missenso Laporte J. et al. M8 esone 11 1321 C→G G421R missenso Nishino I. et al. M8 introne 11 1314+3 A→G (1314+3)A→G polimorfismo M9 introne 14 1644+2 insG (1644+2)insG splicing questo studio M10 esone 3 163 C→T R37X non senso Laporte J. et al. Laporte J. et al. Tabella 3. Mutazioni del gene MTM1 identificate mediante DHPLC Delle mutazioni identificate, 3 sono state evidenziate nell'esone 8, che anche nel nostro gruppo di pazienti, analogamente a quanto già descritto da altri ricercatori (41), presenta il maggior numero di mutazioni. La mutazione T197I (39), evidenziata nel paziente M1, risulta associata con un quadro clinico grave della malattia che oltre alla classica sintomatologia muscolare, presentava anche uno sviluppo osseo anomalo. La mutazione non è stata osservata nei genitori del paziente, suggerendo pertanto un’origine de novo della stessa. La seconda mutazione osservata nell'esone 8, la P199S, è stata identificata allo stato eterozigote in una femmina (F2) affetta con fenotipo lieve (Figura 6). a 644C T T197I WT (646-647)insA 649T C P199S b WT 811C T R253X Figura 6. Profili di eluizione DHPLC degli esoni 8 e 9. Lo studio dell'inattivazione della X ha permesso di dimostrare la presenza in questo soggetto di una inattivazione sfavorevole (Figura 7). a 4000 1000 3000 2000 500 1000 41107 b 12823 01219 4000 4000 3000 3000 2000 2000 1000 1000 78971 c 35254 46867 32880 43654 4000 4000 3000 3000 2000 2000 1000 1000 64935 Figura 7. Studio dell’ inattivazione del cromosoma X. (a) Femmina F2 affetta da miopatia miotubulare legata all’ X (XLMTM) con pattern di inattivazione sbilanciato. (b) Femmina sana con pattern di inattivazione casuale. (c)Maschio di controllo. La mutazione (646-647)insA (Figura 6) (40), che introduce una singola base tra i nucleotidi 646-647, è stata riscontrata in due pazienti (M3, M4) non consanguinei provenienti dalla stessa regione geografica. Questa mutazione determina l'introduzione di un codone non senso in posizione 198. In entrambi i casi, la mutazione è risultata associata ad un fenotipo grave della malattia. Il paziente è deceduto nei primi tre mesi di vita. La mutazione R253X, individuata nell'esone 9, consiste nella transizione C→T al nucleotide 811 che introduce un codone non senso in posizione 253 al posto di un residuo di arginina (Figura 6). Questa mutazione è associata ad un fenotipo grave della malattia in quanto il paziente (M5) è deceduto subito dopo la nascita per complicanze respiratorie. La ricerca della mutazione nella madre e nei nonni materni, ha permesso di stabilire la sua origine nella gametogenesi del nonno materno (Figura 8). I:2 I:1 DXS8377 DXS7423 3 2 1 2 1 1 II:2 II:1 DXS8377 DXS7423 3 2 2 1 III:1 DXS8377 DXS7423 *3 2 Figura 8. Analisi di segregazione della mutazione R253X con i marcatori DXS8377 e DXS7423, fiancheggianti il gene MTM1. (*) Allele mutato. III:1 probando, II:1 madre portatrice, I:1 nonno materno sano. L’analisi delle varianti evidenziate nell’esone 11 hanno permesso di identificare il polimorfismo (1314+3)A→G (41) (Figura 9) che nella nostra popolazione presenta una frequenza di 0.50. Nello stesso esone sono state identificate due mutazioni missenso, G378R e G421R, (Figura 9) che sostituiscono due residui aminoacidici all'interno del sito "consensus" per l'attività tirosina fosfatasica. È possibile pertanto che queste sostituzioni determinano la perdita di funzione del sito catalitico della miotubularina. WT 1186G A G378R 1321C G G421R (1314+3) G A Figura 9. Profili di eluizione DHPLC dell’ esone 11 . La mutazione nonsenso R37X è stata identificata nell’esone 3 e corrisponde ad una transizione C→T nel sito CpG (Figura 10). La mutazione (191-11)T→A, individuata nella paziente F6, attiva un sito di splicing criptico nell'introne 4 (Figura 10). La stessa mutazione, riportata precedentemente in letteratura, (41) provoca l’eliminazione dell’esone 4 durante il processo di maturazione dell'RNA messaggero. Anche in questo caso l'espressione della malattia era associata all’inattivazione sbilanciata del cromosoma X. L'analisi dell'esone 14 ha permesso di identificare una inserzione (1644+2)insG, (Figura 10) che elimina il sito donatore di splicing nell'introne 14. L’effetto di questa mutazione sul trascritto maturo è in corso di studio. Questa mutazione risulta associata ad un fenotipo lieve della malattia. a 163C T R37X WT b (191-11)T WT A c (1644+2)insG WT Figura 10. Profili di eluizione DHPLC degli esoni 3, 4 e 14 . È stata condotta un’analisi di linkage sulla famiglia 1 inclusa nella nostra casistica. I risultati ottenuti erano compatibili con un coinvolgimento del gene MTM1 (lod score=1,99 per θ=0, marcatore DXS548) (Figura 11). Tuttavia la ricerca di mutazioni nella regione codificante del gene non ha permesso di identificare alcuna variante nucleotidica. Nessuna mutazione e/o polimorfismi sono stati evidenziati negli altri esoni esaminati. I:1 II:1 III:6 DXS548 DXS1113 DXS8377 DXS7423 DXS1684 IV: 3 III:1 3 1 5 3 1 II:2 II:8 III:7 2 1 4 4 2 4 1 3 1 1 IV: 1 DXS548 DXS1113 DXS8377 DXS7423 DXS1684 IV: 2 III:2 3 2 2 3 3 2 1 4 4 2 IV: 4 2 1 4 4 2 DXS548 DXS1113 DXS8377 DXS7423 DXS1684 II:3 2 1 4 4 2 II:5 II:9 2 1 4 4 2 III:4 3 1 1 2 2 IV: 5 2 1 4 4 2 II:4 3 1 1 2 2 III:8 4 1 2 1 1 I:2 III:5 4 1 3 1 1 2 1 4 4 2 IV: 7 III:9 4 1 3 1 1 III:3 3 2 6 4 1 3 1 1 2 2 IV: 8 IV: 6 3 2 6 4 1 III:14 4 1 3 1 1 II:6 2 1 4 4 2 III:11 2 1 4 4 2 IV: 11 4 1 3 1 1 II:10 3 1 1 2 2 1 2 3 3 1 III:13 3 2 7 3 1 III:12 2 1 4 4 2 IV: 9 IV: 10 2 1 4 4 2 2 1 4 4 2 III:10 III:15 1 2 3 3 1 III:17 2 1 4 4 2 IV: 12 3 2 7 3 1 III:16 IV: 13 II:11 II:7 3 1 1 2 2 III:18 3 2 4 3 2 2 1 4 4 2 III:19 III:23 III:21 3 2 4 3 2 III:20 III:22 2 ? 4 4 2 IV: 14 IV: 15 III:24 3 ? 4 4 2 IV: 16 2 ? 4 4 2 Figura 11. Analisi della segregazione degli aplotipi della regione Xq28 della famiglia 1. In nero è indicato il cromosoma associato alla malattia. DISCUSSIONE La miopatia miotubulare legata all’X è una patologia muscolare congenita, caratterizzata da una grave ipotonia e debolezza muscolare generalizzata nei maschi affetti. La maggior parte dei pazienti sono casi sporadici senza una precedente storia familiare e muore nel primo anno di vita per complicazioni respiratorie. La somiglianza clinica con altre patologie è spesso il motivo principale della difficoltà a formulare una diagnosi clinica certa. Il gene responsabile di questa malattia, MTM1, è costituito da 15 esoni che si estendono per una regione gnomica di 100 Kb e mutazioni nei due domini noti della miotubularina sembrano coinvolte nel meccanismo di arresto della differenziazione dei miociti ad uno stadio “fetale”, L’individuazione delle mutazioni è importante nella consulenza genetica e nella diagnosi prenatale, a sostegno della diagnosi istopatologica e istoenzimatica. Il protocollo di diagnosi molecolare attualmente utilizzato è basato sulla combinazione dell’analisi dei polimorfismi di conformazione (SSCP) e del sequenziamento diretto. La Denaturing High Performance Liquid Chromatography (DHPLC) è una metodologia di recente sviluppo, applicata all’analisi di mutazioni, al rilevamento di SNPs e alla caratterizzazione di alleli negli studi di cancro, malattie ereditarie ed evoluzione genomica. Allo scopo di sviluppare un metodo semplice, senza rischi legati all’uso di sostanze chimiche o radioattive, sensibile e specifico e al tempo stesso rapido ed economico, in questa tesi abbiamo valutato l’applicabilità della DHPLC per l’analisi di mutazioni e/o polimorfismi del gene umano MTM1 Abbiamo studiato 10 pazienti con diagnosi clinica di miopatia miotubulare legata all’X e sono state identificate 9 differenti mutazioni in 10 casi (100%) ed una variante polimorfa comune. Molte delle mutazioni missenso sono raggruppate tra gli esoni 8 e 12, intorno al sito attivo PTP codificato dall’esone 11, mentre altre sostituiscono aminoacidi nel sito PTP e nel dominio SID. Non abbiamo invece identificato mutazioni nella famiglia in esame. È attualmente in corso un’analisi di mutazioni nel promotore o nelle regioni introniche o negli esoni 1 e 15, in cui sono state riportate solo rare mutazioni. La sensibilità dell’analisi mediante DHPLC è dipendente dalle condizioni di corsa del prodotto di PCR nella colonna cromatografia. Per alcuni esoni è stato necessario provare tre o quattro temperature in quanto l’amplificato corrispondente presentava più domini di denaturazione. Tuttavia il caricamento semiautomatico dei campioni in una micropiastra da 96 pozzetti è un vantaggio della fase di messa a punto delle condizioni sperimentali: l’analisi procede anche per un’intera notte senza l’intervento fisico dell’operatore. Va sottolineato che nel concetto di sensibilità è compresa l’analisi dell’elettroferogramma: ogni deviazione dal profilo di eluizione del campione di DNA di un soggetto sano deve essere considerata una potenziale mutazione. L’elettroferogramma corrispondente alla mutazione R253X nell’esone 9 (Figura 8) mostra la presenza di una “spalla” aggiuntiva rispetto al profilo di eluizione dello stesso prodotto di PCR in un soggetto sano. Nella nostra analisi di mutazioni non abbiamo osservato falsi positivi: la successiva analisi per sequenziamento diretto ha evidenziato la presenza di una mutazione o di un polimorfismo in tutti i casi riportati. Riportiamo invece un caso di falso negativo per l’esone 11: l’elettroferogramma del paziente M8 era simile a quello corrispondente al polimorfismo (1314+3)A→G nel sito donatore di splicing dell’introne 11. Il sequenziamento diretto ha identificato anche la mutazione G421R, oltre alla variante polimorfa. La mutazione è stata evidenziata in un momento successivo quando la reazione di PCR è stata eseguita con il primer antisenso 11a (Tabella 1), disegnato sulla base della sequenza esonica a monte del sito di splicing. Un altro vantaggio di questa metodologia è data dalla possibilità di analisi di mutazioni in soggetti emizigoti semplicemente miscelando i prodotti di PCR di un maschio malato e di un maschio sano. Il profilo di eluizione è esattamente sovrapponibile a quello di un soggetto eterozigote per la stessa mutazione. Tra gli svantaggi dell’analisi di mutazioni mediante DHPLC è da contemplare il costo iniziale dell’acquisto della strumentazione che, tuttavia, non è superiore a quello di un sequenziatore automatico standard. I costi di una singola corsa sono invece sensibilmente bassi (circa 1$): la reazione di PCR non richiede reagenti speciali come primers biotinilati o fluorescenti o dannosi come radioisotopi, né enzimi in una fase di manipolazione successiva. L’analisi di mutazioni mediante DHPLC è applicata di routine per geni complessi quali BRCA1/2, TSC1/2. È verosimile ritenere che, tra gli sviluppi futuri dell’applicazione della tecnica, c’è l’analisi di SNPs su grandi segmenti genomici per la ricerca di polimorfismi di suscettibilità a malattie complesse, per l’identificazione di marcatori in disequilibrium e per studi evolutivi (52, 53). BIBLIOGRAFIA 1. Fardeau M, et al. Congenital myopathies. Myology, 2nd edn. New York: McGra-Hill. 1994:1487-1532. 2. Van Wijngaarden GK, et al. Familial myotubular myopathy. Neurology 1969 19:901-908. 3. Wallgren-Pettersson C, et al. The myotubular myopathies: differential diagnosis of the X linked recessive, autosomal dominant, and autosomal recessive forms and present state of DNA studies. J Med Genet. 1995;32:673-679. 4. Bodensteiner JB. Congenital myopathies. Muscle Nerve. 1994 Feb;17(2):131-144. 5. Wallgren-Pettersson C, et al. 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