La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare

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Corso di Laurea Magistrale in Chimica Industriale A.A: 2014/2015
Spettroscopie Applicate
La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare - NMR
La spettroscopia di Risonanza Magnetica Nucleare (NMR) si basa sulla interazione tra una radiazione elettromagnetica
(generalmente nel campo delle radiofrequenze, 1-1000 MHz) e un campione costituito da nuclei atomici che possiedono
momento di spin, inseriti all’interno di un intenso campo magnetico uniforme. Il momento di spin nucleare viene
solitamente indicato con la lettera I. Se una particella carica è dotata di momento di spin I possiede anche un momento
magnetico µ. I due vettori sono paralleli tra di loro e, nel caso del protone, diretti nello stesso verso. La costante di
proporzionalità γN tra I e µ è detta rapporto giromagnetico nucleare, che è caratteristico per ogni nucleo:
r
r
µ =γN ⋅I
(1)
Nel Sistema Internazionale, il campo magnetico è misurato in Tesla, e per l’atomo di idrogeno γN vale 2.675*108 s-1T-1.
Il numero quantico di spin nucleare I per il protone ( 1H) vale ½. Il vettore momento di spin possiede un modulo il cui
quadrato è definito dall’operatore I2 :
I 2σ = I ⋅ (I + 1)h 2σ
(2)
Dove σ è la funzione di spin. Il momento di spin può avere 2I+1 orientazioni rispetto ad una direzione di riferimento
(asse z). Queste orientazioni sono gli autovalori dell’operatore di proiezione secondo l’asse di riferimento, Iz, definite
dal numero quantico mI, che può assumere i valori da –I a +I con intervalli unitari :
I Z σ = m I hσ
m I = − I ,− I + 1,....,+ I
(3)
Nel caso del protone (I=1/2) le proiezioni del momento angolare di spin sono +1/2 e –1/2 in unità ħ, e le corrispondenti
autofunzioni vengono indicate con α e β :
1
I Z α = + hα
2
1
I Z β = − hβ
2
1
2
1
µ Z β = − γ N hβ
2
µ Z α = + γ N hα
(4)
Queste informazioni si possono sintetizzare con una rappresentazione vettoriale del momento angolare di spin nucleare,
come in figura :
Proiezione sull’asse di
riferimento z
Modulo
mI
I(I + 1)
Asse z
Il prodotto γNħ può essere espresso in termini di un fattore g nucleare (gN) e del magnetone nucleare βN, per i quali vale
la relazione :
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βN =
γ N ⋅ h = gN ⋅ βN
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e⋅h
2 ⋅ mp ⋅ c
(5)
I due autostati α e β sono degeneri (cioè hanno uguale energia) in assenza di un campo magnetico esterno ed avranno
popolazioni uguali (ugual numero di nuclei negli stati α e β in un campione costituito da molti nuclei). In presenza di un
campo magnetico statico la degenerazione viene rimossa, i due livelli si separano in energia ed avranno popolazioni
diverse.
L’interazione di un momento magnetico con un campo magnetico B0 diretto lungo una direzione che possiamo
assumere essere l’asse z è rappresentata dalla formula (cfr. testi di Fisica) :
r r
E = − µ ⋅ B = − µ z ⋅ B0
(6)
1
1
Eα = − g N ⋅ β N ⋅ B0 = − γhB0
2
2
1
1
E β = + g N ⋅ β N ⋅ B0 = γhB0
2
2
(7)
∆E = E β − Eα = g N ⋅ β N ⋅ B0 = γhB0
(8)
per cui l’energia dei due livelli diventa
dove gli spin α (paralleli a B0) hanno un’energia inferiore agli spin β (antiparalleli a B0). La differenza di energia ∆E
dipende dal valore del campo magnetico. All’equilibrio termico le popolazioni dei due livelli (Nα e Nβ) sono regolate
dalla legge di Boltzmann
Nα
=e
Nβ
g N ⋅β N ⋅B0
k B ⋅T
≅1+
g N ⋅ β N ⋅ B0
kB ⋅ T
(9)
dove kB è la costante di Boltzmann e T la temperatura assoluta. Nelle condizioni sperimentali normalmente utilizzate
negli spettrometri NMR, il campo magnetico è di alcuni Tesla e risulta gNβNB0 << kBT, quindi il rapporto Nα / Nβ è di
poco superiore ad 1. Si ha cioè un piccolo eccesso di spin nello stato a minore energia (stato α).
Questa piccola differenza di popolazione genera un momento magnetico netto (magnetizzazione) in un insieme di spin
nucleari immersi in un campo magnetico. La magnetizzazione, rappresentata da un vettore M diretto lungo la direzione
z, è proporzionale alla differenza di popolazione ∆N tra i livelli α e β e al valore del campo magnetico B0.
le componenti dei momenti magnetici secondo le direzioni x e y sono presenti con uguale probabilità in tutte le
direzioni, dunque le magnetizzazioni Mx e My sono nulle.
Per indurre transizioni tra i due livelli di spin nucleare si deve applicare al sistema un campo Elettromagnetico (EM)
oscillante ad una frequenza ν che soddisfi la condizione di risonanza :
Eβ
∆E=Eβ-Eα
Eα
∆E = h ⋅ν = γhB0
(10)
Nel caso della spettroscopia NMR, considerando i campi magnetici utilizzati normalmente (alcuni Tesla), si ottiene che
le frequenze di risonanza si trovano nel campo delle radiofrequenze, da 20 a circa 900 MHz. Per esempio con un campo
di 4.7 Tesla la condizione di risonanza per il protone (nucleo di H) corrisponde alla frequenza di 200 MHz.
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Lo scambio di energia avviene tra il campo magnetico B1 oscillante della radiazione EM ed il momento magnetico
nucleare, e la probabilità di transizione è diversa da zero solo se la direzione del campo magnetico B1 è perpendicolare
al campo magnetico statico B0. Questa regola deriva dalla definizione di probabilità di transizione, che dipende dal
quadrato del modulo del momento di transizione µ tra due stati a e b (stato iniziale e stato finale), definito come:
µ = ∫ Ψb* ⋅ µˆ ⋅ Ψa dτ
(11)
Dove µ indica l’operatore momento di dipolo, che nel caso della risonanza magnetica è il momento di dipolo
magnetico descritto dall’operatore
µˆ = γ N ⋅ Iˆ . In generale, perché possa esserci un assorbimento di radiazione occorre
che il momento di dipolo di transizione sia diverso da zero. Se si considera uno spin con I = ½ , le due funzioni a e b
corrispondono ad α e β. Il momento di transizione è diverso da zero solo la radiazione ha una componente ortogonale a
Z (ad esempio è una radiazione polarizzata planarmente, con la componente magnetica oscillante lungo X). Inoltre
risulta che le transizioni indotte dalla radiazione possono far avvenire transizioni solo tra stati che differiscono nel loro
numero quantico mI (proiezione lungo l’asse di quantizzazione) di una unità, cioè:
∆mI = ±1
(12)
Questa viene detta regola di selezione per le transizioni di spin.
DESCRIZIONE DI UN ESPERIMENTO AD IMPULSI
Nelle spettroscopie di assorbimento quali UV-VIS il campione in esame viene attraversato dal raggio della radiazione
monocromatica e viene misurato l’assorbimento della radiazione ad ogni lunghezza d’onda. Nel caso di una
spettroscopia ad impulsi quale l’NMR invece si invia sul campione un breve, intenso impulso di radiazione e si misura
la radiazione emessa. Il breve impulso in realtà equivale ad una eccitazione “a larga banda”, contenente cioè un gran
numero di lunghezze d’onda intorno al valore nominale di frequenza della radiazione. L’impulso eccita o viene
assorbito da molte transizioni NMR, ed il sistema, terminato il breve impulso, riemette l’energia assorbita secondo le
frequenze caratteristiche.
In questo modo si ha il vantaggio di non dover fare una lenta scansione delle lunghezze d’onda, come nell’UV-VIS,
ottenendo lo stesso effetto con un solo impulso. L’eccitazione”impulsata” è paragonabile all’analisi delle frequenze di
risonanza sonora di una campana: anziché inviare suoni di diversa lunghezza d’onda, per verificare quali siano in
risonanza con le frequenze proprie della campana, si preferisce dare un colpo con un martelletto, ascoltando poi le
frequenze di emissione: solo le frequenze di risonanza saranno riemesse.
Per la descrizione dei processi che avvengono nell’esperimento NMR ad impulsi si può ricorrere ad una descrizione
vettoriale dell’insieme degli spin, esaminando il moto del vettore magnetizzazione risultante dalla somma vettoriale di
tutti i momenti magnetici degli spin presenti nel sistema.
Consideriamo un insieme di spin nucleari I=1/2, ed il vettore della magnetizzazione totale, che indicheremo con M,
dato dalla somma vettoriale di tutti i momenti magnetici associati a ciascuno spin. Come detto precedentemente, in
assenza di campo magnetico esterno tutte le componenti di M sono nulle.
Se l’insieme di spin (il campione) viene immerso in un campo magnetico B0 diretto lungo l’asse Z, si genera una
magnetizzazione netta solo nella direzione Z. La situazione è rappresentabile dalla figura seguente:
Z
M
Y
X
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Prima di esaminare l’effetto di un impulso di radiazione, occorre considerare quale è il moto di un sistema dotato di
momento magnetico e di momento angolare all’interno di un campo magnetico uniforme. Il moto è simile a quello di
una trottola con l’asse di rotazione inclinato rispetto alla perpendicolare: si ha una precessione dell’asse di rotazione
attorno alla verticale, indotto dalla forza gravitazionale che fa variare la direzione del momento angolare cioè dell’asse
di rotazione. In modo simile la Magnetizzazione, se ha componenti Mx ed My non nulle, è soggetta alla forza di
interazione tra un momento magnetico ed il campo magnetico, ma anziché tendere ad allinearsi al campo, essendo
legata ad un momento angolare, inizia un moto di precessione attorno alla direzione del campo magnetico, come
descritto nella figura seguente:
Z
MZ
M
My
Y
Mx
X
La frequenza del moto di precessione attorno all’asse Z, che viene sempre considerato parallelo al campo magnetico
statico esterno, si può calcolare risolvendo le equazioni del moto del vettore magnetizzazione. Si ottiene:
ω 0 = γB0
(13)
Risulta utile considerare un sistema di riferimento X’,Y’,Z’ tale che abbia Z’ parallelo a Z e X’ ed Y’ rotanti nel piano
XY ad una frequenza pari alla frequenza di precessione. In questo sistema di assi rotanti si ottiene che il vettore
magnetizzazione è statico.
Ora si può esaminare l’effetto di una radiazione che possiede il vettore magnetico (B1) parallelo ad X, che sia
polarizzata circolarmente (se invece la radiazione fosse polarizzata linearmente, essa si può sempre decomporre in due
radiazioni polarizzate circolarmente, con direzione opposta. Si considera solo la componente ruotante in direzione
uguale a quella del sistema di riferimento rotante) e che sia di frequenza pari alla frequenza di risonanza. La situazione
al tempo iniziale (t=0) può essere descritta dalla figura seguente:
Z
Z
θ
M
M
Y
X
X
B1
B1
Y
t=0
t>0
Durante l’impulso di radiazione (con componente B1, parallela all’asse X’ del sistema di riferimento rotante) si ha una
rotazione (precessione) della magnetizzazione M attorno all’asse X’, con una velocità di precessione (in
radianti/secondo) pari a:
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ω1 = γB1
(14)
L’angolo θ (in radianti) di rotazione dipende dal’intensità B1 e dalla durata tp dell’impulso di radiazione:
θ = ωt = γB1t p
(15)
Un impulso di radiazione che ruota la magnetizzazione di un angolo pari a θ=π/2, si chiama Impulso di 90° o π/2.
Tipicamente la durata di impulsi π è di alcuni microsecondi, con potenze di 100-300W (si ricorda che la potenza P di
una radiazione elettromagnetica è proporzionale al quadrato dell’intensità di campo elettrico o magnetico: P∝ B12). Se
l’angolo di rotazione è 180°, si ha un impulso di π. Dopo un impulso π/2 si ha una magnetizzazione lungo la direzione
Y’ mentre dopo un impulso π la magnetizzazione è diretta lungo -Z’ , come mostrato nelle figure seguenti:
Z
Z
M
Y
X
B1
π 
 
2
M
X
t=0
t>0
Z
Z
M
Y
X
Y
B1
(π )
Y
B1
X
B1
M
t=0
t>0
Dopo l’impulso di π, si ha una inversione della magnetizzazione iniziale (da +Z a –Z): per questo motivo
l’impulso π viene anche detto impulso di inversione.
LA RIVELAZIONE DEL SEGNALE NMR E IL FID
In uno spettrometro NMR, la grandezza fisica misurata è la magnetizzazione lungo Y’ (nel sistema di assi
rotanti) creata da uno o più impulsi di radiofrequenza. Dopo un impulso π/2 la magnetizzazione giace lungo Y’;
l’insieme di spin del campione si trova all’interno del campo magnetico statico B0, senza più la presenza di
radiofrequenza. Il vettore M inizia un moto di precessione attorno a Z (vedi descrizione precedente), a cui si associa una
progressiva scomparsa della magnetizzazione XY e ricomparsa della magnetizzazione Z, secondo i tempi caratteristici
T2 e T1. La misurazione della componente My fornisce il segnale detto FID (Free Induction Decay) cioè un segnale di
evoluzione della magnetizzazione non soggetta a radiofrequenze, che decade verso lo stato di equilibrio (My=0). La
componente My e quindi il FID, ha una intensità che tende a zero con costante di tempo esponenziale 1/T2.
In presenza di più nuclei con diversa frequenza di risonanza (ad esempio per diversi chemical shift), si può
descrivere la magnetizzazione come somma di magnetizzazioni derivanti dai diversi insiemi di nuclei uguali. La My di
ciascun insieme precede con diversa frequenza e il FID appare come una somma di oscillazioni smorzate:
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2
1.5
Intensità del FID
1
0.5
0
-0.5
-1
-1.5
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Tempo t (secondi)
Le frequenze proprie di risonanza, cioè lo Spettro NMR si ricava dal FID mediante Trasformata di Fourier:
2
50
Intensità del FID
1
Trasformata di Fourier
0.5
0
-0.5
-1
Intensità dello spettro
45
1.5
40
35
30
25
20
15
10
5
-1.5
0
1
2
3
4
0
5
Tempo t (secondi)
0
20
40
60
80
100
Frequenza (Hz)
FID derivante da due frequenze
Spettro NMR
RILASSAMENTO DI SPIN
Un impulso π o π/2,di radiazione elettromagnetica porta il sistema di spin in uno stato di non equilibrio. Al termine
dell’impulso si ha quindi il ritorno alla situazione di equilibrio (Mx=My=0, Mz≠0): i processi che riportano allo stato di
equilibrio sono detti processi di rilassamento di spin e si distinguono in due categorie.
1) Il processo che rispristina la magnetizzazione lungo Z viene detto rilassamento spin-reticolo (spin-lattice in
inglese) o rilassamento longitudinale (perché riguarda la direzione dell’asse Z cioè la direzione parallela al
campo magnetico statico B0). Si osserva sperimentalmente che la magnetizzazione lungo Z tende a ritornare al
valore di equilibrio secondo la legge esponenziale seguente:
M z = M (1 − e
Z
0
−
t
T1
)
0
dove M Z è il valore della magnetizzazione d’equilibrio. Il tempo caratteristico di questa funzione
esponenziale viene indicato con T1 e si chiama Tempo di Rilassamento T1 o longitudinale. I valori di questi
tempi sono molto variabili ma per soluzioni di molecole ordinarie, possono variare tra 0.1 e 100 secondi. In
generale il T1 dipende dal nucleo in esame, dalla molecola in cui si trova inserito, dal solvente e dalla
temperatura. Se si considera la situazione a seguito di un impulso π/2 (Mz=0, Mx=0, My≠0) la variazione della
magnetizzazione lungo Z in funzione del tempo è la seguente:
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1.5
z
z
M /M0
1
0.5
0
-0.5
0
2
4
6
8
10
Tempo t/T 1
Il T1 essenzialmente dipende dalla velocità con la quale il sistema di spin che si trova in uno stato di non equilibrio
scambia energia con l’ambiente per ritornare allo stato di equilibrio.
2) Il processo che annulla la magnetizzazione nel piano XY viene detto rilassamento spin-spin o rilassamento
trasversale (perché riguarda il piano ortogonale asse Z ). Si osserva sperimentalmente che la magnetizzazione
trasversale tende a ritornare a zero secondo la legge esponenziale seguente:
M xy = M e
0
xy
dove
−
t
T2
0
xy
M è il valore della magnetizzazione trasversale (nel piano xy) creata da un impulso . Il tempo
caratteristico di questa funzione esponenziale viene indicato con T2 e si chiama Tempo di Rilassamento T2 o
trasversale. Anche per T2 sono possibili valori in una ampio intervallo, che per molecole ordinarie in
soluzione vanno da pochi millisecondi a qualche secondo. Come per il T1, in generale anche il T2 dipende dal
nucleo in esame, dalla molecola in cui si trova inserito, dal solvente e dalla temperatura. Se si considera la
situazione a seguito di un impulso π/2 (Mz=0, Mx=0, My≠0) la variazione della magnetizzazione lungo Y in
funzione del tempo è la seguente:
1.5
y
M / M0
1
y
0.5
0
-0.5
0
2
4
6
8
10
Tempo t/T 2
I processi che determinano il T2, sono detti anche processi di defasamento di spin, in quanto la presenza di una
magnetizzazione trasversale richiede un certo grado di “coerenza” o “fasatura” tra gli spin. Una coerenza tra gli spin
indica che il valor medio della fase dell’insieme di spin non è nullo. A seguito di un impulso π/2 si ha una
“focalizzazione” o creazione di una coerenza tra gli spin che genera una componente My non nulla.
Se si considerano le piccole differenze tra le frequenze di risonanza di ciascuno spin (ad esempio insiemi di nuclei con
diverso chemical shift) si vede come la magnetizzazione trasversale che inizia il moto di precessione dopo l’impulso di
π/2 si può decomporre nella somma di tante magnetizzazioni quante sono le diverse frequenze di risonanza. Ciascuna
Magnetizzazione precede con al propria frequenza, e dopo qualche tempo i singoli vettori sono sparpagliati nel piano,
producendo una somma netta nulla. Il T2 è quindi legato a fenomeni di “defasamento” di spin dovuti a differenze tra le
frequenze di risonanza. Esistono diverse cause per le differenze di frequenza di risonanza, alcune dipendenti
dall’intorno chimico e quindi caratteristiche di ciascuna molecola/solvente, altre dipendenti da fattori strumentali. In
quest’ultimo caso si considera principalmente la omogeneità di campo magnetico nel volume del campione. Con il
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termine omogeneità si indica una misura di quanto è la differenza di intensità di campo B0 tra due punti del campione.
Se si immagina la stessa molecola presente in due punti distinti del campione, a causa della diversa intensità di campo si
avranno diverse frequenze di risonanza anche degli stessi nuclei. Pertanto il fattore principale di defasamento deriva
dalla non perfetta omogeneità di campo magnetico sul campione. In molti casi (ed in particolare per lo strumento NMR
a bassa risoluzione che viene usato nelle esercitazioni di laboratorio), il contributo dominante sul T2 deriva dalla
inomogeneità di campo magnetico, ed il decadimento del FID deriva principalmente da questo contributo. Si usa
distinguere il decadimento del FID dovuto a questo fattore “strumentale” indicando il tempo di decadimento del FID
come T2*, distinguendolo dal T2 “vero” che si otterrebbe in un campo magnetico perfettamente uniforme.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI E SITI WEB
•
P.W. Atkins, “Physical Chemistry” 6a Ed,. Cap. 18.
•
http://www.cis.rit.edu/htbooks/nmr/
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Introduzione alla Trasformata di Fourier
La Trasformata di Fourier è usata in molti e diversi campi: dalla analisi dei segnali elettrici, alla analisi delle immagini e
dei suoni, alle tecniche strumentali in Chimica, tra le quali la spettrometria FT-IR e la spettrometria FT-NMR. È inoltre
alla base dell’analisi dei fenomeni di diffrazione dei raggi X in cristallografia.
In generale molti fenomeni fisici sono fondati su vibrazioni ed onde. Spesso l’osservabile fisica è l’intensità di una
grandezza fisica (luce, tensione o altro) in funzione del tempo (o dello spazio). In questi fenomeni è fondamentale
conoscere non solo le ampiezze ma anche le frequenze delle oscillazioni che producono i segnali osservati. Per
conoscere quali siano queste frequenze si fa ricorso alla Analisi di Fourier dei dati registrati.
La trasformata di Fourier essenzialmente è uno strumento che consente di analizzare una funzione f(x), quale può essere
un segnale elettrico che varia nel tempo, sulla base delle sue componenti in frequenza cioè di funzioni seno e coseno di
diversa frequenza. La trasformata di Fourier indica quali sono i pesi (le intensità) delle diverse componenti in frequenza.
In questo senso rappresenta l’estensione dello sviluppo in serie di Fourier a funzioni non periodiche.
In generale una coppia di funzioni F(k) e f(x) può essere collegata da espressioni della forma seguente:
F (k ) =
+∞
∫ f ( x ) K (k , x )dx
Eq. 1
−∞
dove la funzione K(k,x) viene detta nucleo o kernel di trasformazione. La funzione F(k) viene detta trasformata
integrale della funzione f(x) mediante il nucleo K(k,x). L’operazione descritta dalla eq.1 viene talvolta descritta come
mappatura della funzione f(x) definita nello spazio x su una funzione F(k) definita nello spazio k. E’ importante notare
che le variabili x e k hanno dimensioni reciproche. Così per esempio, se x ha la dimensione del tempo, k ha le
dimensioni della frequenza. Oppure se x è una distanza, ad es.la differenza di cammino ottico di un interferometro, k è
l’inverso di una distanza, cioè un numero d’onda.
Si definisce trasformata di Fourier della funzione f(x) la funzione F(k) così ottenuta :
F (k ) =
+∞
∫ f ( x )e
− 2πikx
dx
Eq. 2
−∞
dove
i = − 1 è l’unità immaginaria. In questo caso il kernel è e-i2πkx. Si definisce la trasformata inversa come:
+∞
f ( x ) = ∫ F ( k )e 2πikx dk
Eq. 3
−∞
Dalle formule di Eulero, che definiscono un esponenziale complesso in base a funzioni trigonometriche:
e iA = cos( A) + i sin( A)
Eq. 4
si ottiene che la trasformata di Fourier può essere definita come:
F (k ) =
+∞
+∞
−∞
−∞
∫ f ( x ) cos(2πkx )dx − i ∫ f ( x ) sin(2πkx )dx
Eq. 5
Si definisce la “trasformata coseno” come:
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Fc ( k ) =
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+∞
∫ f ( x ) cos(2πkx )dx
Eq. 6
−∞
e la “trasformata seno” come:
Fs ( k ) =
+∞
∫ f ( x )sin(2πkx )dx
Eq. 7
−∞
da cui
F ( k ) = Fc (k ) − iFs ( k )
Eq. 8
Una funzione è definita pari o dispari se valgono le seguenti relazioni:
Pari
Dispari
g P ( x) = g P (− x)
Eq. 9
g D ( x) = − g D (− x)
Eq. 10
Una funzione generica di variabile reale può essere espressa come somma di funzioni pari e dispari:
f ( x) = g P ( x) + g D ( x)
Eq. 11
1
[ f ( x ) + f ( − x )]
2
1
g D ( x ) = [ f ( x ) − f ( − x )]
2
Eq. 12
dove si abbia:
g P ( x) =
Le funzioni gP e gD sono in generale funzioni complesse.
Per le funzioni pari e dispari valgono le seguenti relazioni:
+∞
Funzione pari :
∫g
P
( x )dk ≠ 0
Eq. 13
D
( x )dx = 0
Eq. 14
−∞
+∞
Funzione dispari:
∫g
−∞
I prodotti di funzioni pari e dispari rispettano le seguenti regole:
Pari × Pari = Pari
Pari × Dispari = Dispari
Dispari × Dispari = Pari
Sapendo che la funzione coseno è pari e la funzione seno è dispari, si ricava che la trasformata di Fourier di una
funzione generica f(x)=gP(x)+gD(x) è esprimibile come:
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F (k ) =
+∞
∫g
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+∞
p
−∞
( x ) cos(2πkx )dx + i ∫ g D ( x ) sin(2πkx )dx
Eq. 15
−∞
Ne consegue che una funzione pari ha una trasformata pari ed una funzione dispari ha una trasformata dispari. La
tabella seguente riassume le proprietà delle trasformate di Fourier in base alle caratteristiche della funzione da
trasformare:
FUNZIONE
TRASFORMATA
Reale e pari
Reale e pari
Reale e dispari
Immaginaria e dispari
Immaginaria e pari
Immaginaria e pari
Complessa e pari
Complessa e pari
Complessa e dispari
Complessa e dispari
Reale ed asimmetrica
Complessa ed asimmetrica
Immaginaria ed asimmetrica
Complessa ed asimmetrica
Parte reale pari ed immaginaria dispari
Reale
Parte reale dispari ed immaginaria pari
Immaginaria
Pari
Pari
Dispari
Dispari
PROPRIETÀ DELLE TRASFORMATE DI FOURIER
• Proprietà di scaling:
Sia a una costante reale ed F(k) la trasformata di f(x). La trasformata di f(ax) è:
FFT { f ( x )} =
+∞
∫ f (ax )e
− 2πikx
dx
−∞
1
=
a
=
+∞
∫
f ( β )e
− 2πik
β
α
dβ
Eq. 16
−∞
1 k
F 
a a
Dove β = ax . Dalla equazione scritta sopra si si vede che, se la larghezza di una funzione viene diminuita e la sua
intensità è mantenuta costante (cioè si passa da f(x) a f(ax) ), la sua trasformata diventa più ampia e meno intensa (si
passa da F(k) ad 1/a*F(k/a) ).
In modo simile si ottiene:
1
a
+∞
x
∫ f  a e
− 2πikx
dx = F (ak )
Eq. 17
−∞
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•
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Proprietà di shifting
Se x0 è una costante reale ed F(k) sia la trasformata di f(x), si ha che:
FFT { f ( x − x0 )} =
+∞
∫ f (x − x
0
)e −2πikx dx
−∞
=
+∞
∫ f ( β )e
− 2πik ( β + x0 )
dβ
−∞
= e 2πix0k
+∞
∫ f ( β )e
− 2πikβ
Eq. 18
dβ
−∞
= F ( k )e 2πix0k
Dove β=x-x0. Si vede come la trasformata di una funzione traslata f(x-x0) è la trasformata della funzione originale
moltiplicata per un fattore di fase (l’esponenziale complesso). Analogamente, se la traslazione avviene nel dominio k, la
trasformata inversa produce una funzione in x moltiplicata per un fattore esponenziale.
ESEMPI
Nel seguito vengono indicati alcuni esempi, tra i più importanti, di coppie di funzioni legate da una trasformata di
Fourier. La doppia freccia nei grafici indica che le due funzioni rappresentate sono legate da una trasformata diretta
(freccia a destra) ed inversa (freccia a sinistra).
Funzione Costante
Sia data una funzione f(x)=C , dove C è una costante. La sua Trasformata d Fourier è:
+∞
FFT { f ( x )} = ∫ Ce −2πikx dx
−∞
+∞
= C ∫ e −2πikx dx
Eq. 19
−∞
+∞
 +∞

= C  ∫ cos(2πkx )dx − i ∫ sin(2πkx )dx 
−∞
 −∞

il secondo integrale vale zero (la funzione seno è dispari). Il primo integrale non ha significato a meno che si interpreti
nell’ambito della teoria delle distribuzioni. In questo ambito si ricava che l’integrale è pari alla funzione di Dirac:
+∞
FFT { f ( x )} = ∫ Ce −2πikx dx
−∞
+∞
= C ∫ cos(2πkx )dx
Eq. 20
−∞
= Cδ ( k )
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Spettroscopie Applicate
Dove δ(k) è una funzione di Dirac definita nel punto k=0. Il risultato ci mostra che un segnale continuo (una costante) è
costituito da una sola componente in frequenza, e precisamente la frequenza zero.
Funzione costante
Trasformata di Fourier
2
1.5
1
0.5
0
-0.5
-1
-5
0
5
-500
0
x
500
K
Funzione Impulso (funzione di Dirac)
Se la funzione f(x) è la funzione di Dirac:
f ( x ) = Aδ ( x )
Eq. 21
ricordando che la fondamentale proprietà della funzione di Dirac è:
+∞
∫ δ (x − x ) f ( x )dx = f ( x
0
0
)
Eq. 22
−∞
si ottiene che la sua trasformata di Fourier è:
+∞
FFT { f ( x )} = F ( k ) = ∫ Cδ ( x )e −2πikx dx
−∞
= Ce
0
Eq. 23
=C
Cioè la trasformata di una funzione impulso è una costante. Nell’ambito della analisi dei segnali questo risultato indica
che una funzione di durata infinitamente breve ha un contenuto spettrale che include tutte le frequenze in modo uguale.
Questo risultato è alla base della spettrometria ad impulsi, dove si eccita un campione mediante un impulso
estremamente breve di radiazione, che contiene una ampia banda di frequenze, in modo da eccitare tutte le trasizioni
permesse nel campione. Tanto più breve è l’impulso tanto più ampia sarà la banda eccitata.
Fuunzione Delta di Dirac
-500
0
Trasformata di Fourier
500
-5
X
0
5
x
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Spettroscopie Applicate
Funzione Coseno
La trasformata di Fourier di una funzione coseno è una funzione delta di Dirac (uno picco infinitamente stretto) in
corrispondenza del valore della frequenza dell’oscillazione del coseno. Essendo la funzione coseno una funzione reale
pari, la trasformata sarà reale e pari, quindi vi sarà un picco a + v0 ed uno a – v0.
f ( x ) = A cos(2πv0 x )
FFT { f ( x )} = F ( k ) =
Eq. 24
A
A
δ ( k − v0 ) + δ ( k + v 0 )
2
2
Funzione Coseno
Trasformata di Fourier (parte reale)
1
600
500
0.5
400
300
0
200
100
-0.5
0
-1
-2
-1
0
1
-100
-40
2
-20
x
0
20
40
K
Funzione Seno:
Per determinare la trasformata di Fourier della funzione seno si possono applicare le considerazioni sulle proprietà delle
trasformate descritte prima: proprietà di shift e di parità.
f (x ) = A sin(2πv0 x )
FFT { f ( x )} = F (k ) = −i
Eq. 25
A
A
δ (k − v0 ) + i δ ( k + v 0 )
2
2
Come si vede la trasformata della funzione seno è una funzione immaginaria dispari:
Funzione Seno
Trasformata di Fourier (parte immaginaria)
1
600
400
0.5
200
0
0
-200
-0.5
-400
-1
-2
-1
0
1
2
-600
-40
x
-20
0
20
40
K
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Spettroscopie Applicate
Funzione Gaussiana:
Una funzione gaussiana normalizzata ha la forma:
f (x ) =
α −αx
e
π
2
Eq. 26
La trasformata di Fourier di una gaussiana è:
FFT { f ( x )} = F (k ) =
+∞
α −αx −2πikx
e e
dx
π −∫∞
2
α + ∞ −αx
=
e
cos(2πkx )dx
π −∫∞
2
=e
−
Eq. 27
π 2k 2
α
Trasformata di Fourier
Gaussiana
1
0.8
0.6
0.4
0.2
0
0
2
4
6
8
-5
10
0
5
k
x
Si vede come la trasformata di una Gaussiana (funzione reale pari) è ancora una funzione Gaussiana (reale e pari) nello
spazio della variabile k. Si noti che la larghezza della funzione Gaussiana è inversamente proporzionale nei due domini
x e k. Quindi, tanto più larga è la funzione f(x), tanto più stretta sarà la funzione trasformata F(k):
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Spettroscopie Applicate
Funzione Esponenziale
Esaminiamo la funzione esponenziale definita come:
f ( x ) = Ae −αx
Eq. 28
La trasformata di Fourier di questa funzione è
+∞
FFT { f ( x )} = F (k ) = A ∫ e −αx e −2πikx dx
−∞
+∞
= A ∫ e −αx −i 2πkx dx
0
=A
−αx − i 2 πkx
1
e
α + i 2πk
∞
Eq. 29
0
A
α + i 2πk
Aα
2 Aπk
= 2
−i 2
2 2
α + 4π k
α + 4π 2 k 2
=
La funzione F(k) è una funzione complessa perché la f(x) è reale. La parte reale della F(k) è una funzione Lorenziana:
Funzione Esponenziale
Trasformata di Fourier
1
100
80
0.5
parte Reale
Parte Immaginaria
60
40
0
20
0
-0.5
-20
-40
-1
0
2
4
6
8
10
-50
x
0
50
k
Funzione Scatola (“boxcar”)
Si consideri la funzione rettangolare: è una funzione che vale zero al di fuori della regione definita dai limiti –l e +l .
All’interno di questa regine assume un valore costante, determinato dalla condizione di normalizzazione (il suo
integrale su tutto il dominio di x sia pari ad 1): la funzione vale quindi 1/2l all’interno della regione. Questa funzione
viene spesso indicata come funzione “boxcar”.
-l
+l
x
La trasformata di Fourier di questa funzione è (si noti che la trasformata seno non compare essendo la f(x) una funzione
pari):
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Spettroscopie Applicate
+∞
1
FFT { f ( x )} = F ( k ) =
cos(2πkx )dx
2l −∫∞
l
=
1
cos(2πkx )dx
l ∫0
=
sin(2πkl )
2πkl
Eq. 30
La funzione risultante sin(x)/x, indicata col nome di funzione sinc(x), è rappresentata nella figura seguente:
400
300
200
100
0
-100
-200
-5
0
5
K
Funzione triangolo
Sia data la funzione triangolo, così definita:
 0 per x > l

f ( x) = 
x
1 − l per x < l
Eq. 31
La trasformata di Fourier di questa funzione è:
FFT { f ( x )} = F ( k ) =
+∞
∫ f ( x )e
− i 2πkx
dx
−∞
l

= 2 ∫ 1 −
0
x
 cos(2πkx )dx
l
 sin(2πkl ) 
=

 2πkl 
= sinc 2 ( 2πkl )
Eq. 32
2
CONVOLUZIONE
Si definisce la convoluzione tra due funzioni g(x) ed f(x) il seguente integrale:
y( x) = f ( x) ∗ g ( x) =
+∞
∫ f (t ) g ( x − t )dt
Eq. 33
−∞
dove t ed x sono definite nello stesso dominio. La convoluzione tra le due funzioni (indicata solitamente da un simbolo
quale * ) rappresenta la sovrapposizione della funzione g(x) riflessa attorno all’asse y e traslata di x, con la funzione
f(x). Il risultato è una funzione y(x) che è una “mescolanza” di g con f.
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Spettroscopie Applicate
La convoluzione di due funzioni è un concetto che descrive un fenomeno piuttosto generale nella acquisizione di dati
sperimentali. Infatti secondo la teoria dei responsi lineari, dato un sistema soggetto ad uno stimolo, si definisce la
funzione f(x) come lo stimolo e la funzione g(x) come la funzione risposta del sistema. In particolare g(x) è l’output se
lo stimolo è rappresentato da un impulso. In generale, la risposta in uscita (l’output) di un sistema è la convoluzione tra
f(x) e g(x).
Ad esempio in una misura spettrofotometrica, la funzione ingresso è rappresentata dallo spettro “vero”, la funzione
risposta è una funzione gradino la cui larghezza è data dalla risoluzione strumentale, ad esempio data dalla larghezza
della fenditura in uscita da un monocromatore. Se la risoluzione strumentale è bassa rispetto alla larghezza dei picchi
spettroscopici, lo spettro misurato è lo spettro vero convoluto con la risposta strumentale. L’effetto finale è un
allargamento dei picchi spettrali, con eventuale perdita di risoluzione.
Per illustrare il concetto di convoluzione viene presentato un esempio. Siano f(t) e g(t) le due funzioni mostrate nei
grafici seguenti:
f(t)
g(t)
t
1
t
1
Per ottenere l’integrale di convoluzione occorre considerare il prodotto di f(t) ed g(x-t). Quest’ultima funzione è la
funzione g(t) riflessa attorno all’asse y e traslata di x:
g(t)
g(-t)
t
t
1
f(t)
g(x-t)
g(x-t)
t
t
x
f(t)*g(x-t)=0
Nella figura mostrata sopra si ha che, per il valore di x considerato, f(t)*g(x-t)=0 quindi la convoluzione vale zero. Per
valori di x diversi, si ottengono valori della convoluzione diversi da zero, come visualizzato nella figura seguente:
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Spettroscopie Applicate
•
•
•
•
•
•
•
Di particolare interesse è la convoluzione di una funzione qualsiasi con una funzione Delta di Dirac f(x)=δ(x-x0).
+∞
y ( x ) = f ( x ) * g ( x ) = ∫ δ (t − t0 )g ( x − t )dt
Eq. 34
−∞
applicando l’eq. 22, nella precedente equazione, si ottiene:
y ( x ) = f ( x ) * g ( x ) = g ( x − x0 )
Eq. 35
Quindi la convoluzione di una funzione qualsiasi con una funzione di Dirac localizzata in x0 è la funzione stessa traslata
di x0.
Teorema di convoluzione
Il teorema di convoluzione stabilisce che la trasformata di Fourier della convoluzione di due funzioni è il prodotto della
trasformata di Fourier delle due funzioni. In forma esplicita, se F(k) è la trasformata di f(x), G(k) è la trasformata di g(x)
e y(t) è la convoluzione tra f(x) e g(x) vale la seguente relazione:
FFT { f ( x ) ∗ g ( x )} = F ( k )G ( k )
Eq. 36
Vale anche il seguente teorema:
La trasformata di Fourier di un prodotto di funzioni è la convoluzione tra le trasformate.
FFT { f ( x ) g ( x )} = F ( k ) * G ( k )
Eq. 37
Quest’ultimo teorema è di fondamentale importanza per deteminare la trasformata di alcune funzioni complicate. Un
caso molto comune si trova nella spettroscopia NMR. Il segnale fisicamente misurato (il FID) è costituito da una
somma di oscillazioni di frequenza pari alle frequenze di risonanza di tutti i nuclei in esame, la cui intensità decade nel
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Spettroscopie Applicate
tempo. Si tratta di oscillazioni smorzate; nella forma più semplice (una sola frequenza di risonanza) si può scrivere la
funzione dipendente dal tempo come:
f (t ) = cos(2πv0 t )e
−
t
T2
Eq. 38
dove ν0 è la frequenza di risonanza e T2 è il tempo di rilassamento trasversale. Lo spettro NMR, essendo la trasformata
di Fourier di questa funzione, è la convoluzione di una funzione Lorenziana (trasformata dell’esponenziale) e di una
Delta di Dirac centrata su ν0 (trasformata della funzione coseno). Per quanto detto prima, la convoluzione di queste due
funzioni risulta in una Lorenziana centrata sulla frequenza ν0. Quando sono presenti più nuclei con diverse frequenze di
risonanza, si aggiungono termini oscillanti al FID e di conseguenza altri “picchi” cioè funzioni Lorenziane nello spettro.
Una ulteriore applicazione del teorema espresso dalla eq. 37 si ha considerando che i segnali misurati in spettroscopia
(FID o interferogramma) in realtà non sono misurati per un tempo (FID) o un ritardo di cammino (Interferogramma)
infiniti. Il risultato è che il segnale realmente misurato è rappresentabile dal prodotto di un FID o Inteferogramma per la
funzione boxcar definita prima, di estensione pari al tempo (spazio) di misura. Di conseguenza la trasformata di Fourier
di questo prodotto è la convoluzione tra la funzione sinc (trasformata della funzione boxcar e lo spettro “vero”. Si
ottengono dei picchi che hanno delle bande laterali oscillanti causate dalla funzione sinc. Questo fenomeno talvolta
impedisce la lettura corretta di uno spettro.
Per eliminare questo inconveniente si usa moltiplicare il FID o l’interferogramma per un’altra funzione (un
esponenziale, una funzione triangolo, una gaussiana ecc.) che rende lo spettro meno soggetto a questi artefatti. Uno
svantaggio è che talvolta le righe spettrali si allargano e scapito della risoluzione.
Le funzioni usate per corregger la forma del FID o dell’interferogramma sono dette “funzioni finestra”.
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