Il sesto seminario della terza edizione del ciclo “Mettersi in proprio

Il sesto seminario della terza edizione del ciclo “Mettersi in proprio un’impresa possibile!”,
organizzato dalla Funzione “Dal Diritto allo studio al mondo del Lavoro (Dir.S.eL.)” si è tenuto il
giorno 15 gennaio 2004 alle ore 9,30, presso la sala “Principe d’Acaja”, Via Po, 17.
Mario Montinaro (Preside della Facoltà di Scienze Politiche) e Fabio Comba (Beoltre)hanno
dissertato su: “La programmazione ed il monitoraggio della soddisfazione del cliente – La
costumer satisfaction all’inteno dell’impresa”.
Mario Montinaro ha svolto la prima parte del seminario affermando che la costumer satisfaction
ha assunto negli anni un’importanza sempre maggiore, ed è oggi un elemento di misurazione della
competitività dei Paesi. Esiste un costumer satisfaction index americano ed uno europeo, Mario
Montinaro auspica che ci sarà un giorno anche un indice italiano, perché questo fa parte
dell’immagine dei prodotti di uno Stato, ed il made in Italy dopo gli anni ’80 ha perso in parte la
sua attrattiva sui consumatori stranieri.
La soddisfazione del cliente è stata sviluppata dagli addetti al marketing, ma successivamente a
loro sono subentrati i matematici e poi gli statistici, poiché la metodologia per stilare ed
interpretare i questionari richiede un rigore scientifico più consono a quest’ultima disciplina.
Poiché la soddisfazione del cliente è una componente del marketing, Mario Montinaro ha ritenuto
doveroso illustrare gli elementi basilari di questa materia.
Quando esiste una sola impresa sul mercato esiste una condizione di monopolio; l’impresa fissa il
prezzo e se il consumatore vuole quel prodotto, non ha alternative. In queste condizioni, se la realtà
economica è dinamica, un’altra impresa cercherà di entrare in concorrenza, e crescerà rapidamente,
creando una situazione di duopolio; quando sul mercato operano molte aziende che offrono lo
stesso prodotto si ha un oligopolio.
La concorrenza perfetta sarebbe caratterizzata da scelte razionali (che considerano solo il rapporto
qualità – prezzo); ma poiché le scelte dei consumatori si basano sull’emotività (lasciandosi
influenzare, ad esempio, da caratteristiche estetiche) la concorrenza è imperfetta.
Il marketing è una conseguenza della concorrenza imperfetta; che si suddivide in operativo, ovvero
quello che le aziende attuano tutti i giorni durante la loro attività di concorrenza sul mercato e
quello strategico, che riguarda soprattutto i cambiamenti strutturali.
Lo scopo del marketing è mettere in evidenza i punti di forza del proprio prodotto rispetto a quelli
della concorrenza. Per enfatizzare le differenze si utilizzano essenzialmente quattro strumenti: la
politica di prezzo (abbassando i prezzi si sottraggono clienti alla concorrenza); la politica di
prodotto, basata sull’immissione sul mercato di un grande assortimento di prodotti, la politica di
distribuzione (ovvero scegliere la grande distribuzione o negozi specializzati) e la politica di
comunicazione, che rende note ai consumatori le caratteristiche del prodotto; tramite la pubblicità o
le promozioni.
Nell’ambito della logica di estremizzazione delle differenze nasce la costumer satisfaction.
La soddisfazione del cliente costituisce una delle componenti primarie del modello di gestione
aziendale ottimale, almeno secondo alcuni autori; se si hanno prodotti di successo il ritorno
economico dell’investimento è molto forte.
Si deve fare una distinzione fra imprese che producono beni e le imprese di servizi; queste ultime
sono aumentate almeno del 50% ed hanno creato la terziarizzazione del mercato.
Circa trenta anni fa le aziende avevano al loro interno delle strutture che si occupavano dei servizi,
ora le aziende si rivolgono all’esterno per le ricerche di mercato o per la formazione, sia per un
problema di competenze sia per una questione di costi.
E’ fondamentale anche la distinzione tra imprese che producono per altre imprese e quelle che si
rivolgono ai consumatori finali; tra queste si possono trovare altre peculiarità: vi sono imprese che
si rivolgono alla fascia altra ed altre alla fascia bassa di mercato, imprese con un immagine forte ed
altre con un immagine debole.
Le imprese che lavorano per grandi clienti solitamente alla stipula della commessa sottoscrivono
una convenzione che determina a priori le caratteristiche del prodotto.
Chi si rivolge ai consumatori può verificare la loro soddisfazione solo a posteriori.
Quando si effettua una ricerca vanno presi in considerazione tutti questi fattori.
Per misurare la soddisfazione del cliente si stila un questionario; i quesiti che si pongono sono
fondamentali; il consumatore deve rispondere senza fatica, o il risultato verrà sfalsato. Solitamente
le domande vengono redatte dai sociologi.
Il questionario va poi interpretato con degli strumenti di misura: la scala ordinale o la scala
intervallare; si usano delle tecniche statistiche di elaborazione, che cambiano a seconda della scala
che viene usata.
Un altro elemento di fondamentale importanza è la scelta del campione a cui sottoporre il
questionario. I piani di campionamento dovrebbero seguire una procedura sequenziale, i cui
risultati andrebbero mescolati in modo casuale.
Il frame iniziale è una lista completa e l’obiettivo del campionamento è individuare dei gruppi
omogenei.
Questo viene definito campionamento post stratificato: l’audience televisiva, che influenza i
proventi della pubblicità è campionata su 5.000 famiglie, che vengono scelte su un campione
iniziale di 50-60.000; dal quale vengono scelte in modo casuale le 5.000 del campione, che viene
successivamente stratificato.
I campioni probabilistici vanno controllati e verificati.
In Italia nel 97% dei sondaggi si usano campioni non probabilistici perché molto meno costosi.
Un ulteriore elemento che potrebbe sfalsare i risultati di un sondaggio è una campagna
promozionale effettuata poco tempo prima: le risposte sarebbero influenzate dalla pubblicità.
Fino a 20 – 30 anni fa non si parlava di costumer satisfaction ma solo di qualità; in quest’ottica era
più importante la linea produttiva di quella commerciale, il cui compito è dare un’alta visibilità al
prodotto.
In quegli anni il prodotto doveva essere idoneo all’uso e conforme alle specifiche. Ora il prodotto
deve avere una serie di caratteristiche particolari; ovvero elementi non fondamentali del prodotto
che condizionano le scelte emotive dei consumatori; queste caratteristiche sono: l’affidabilità, la
conformità alle specifiche, la durata, l’assistenza, l’estetica e la qualità percepita, che può non
corrispondere a quella effettiva.
La costumer satisfaction deve essere uno strumento per monitorare in continuo. I sondaggi
andrebbero ripetuti a cadenza annuale.
La seconda parte del seminario è stata svolta da Fabio Comba, consulente per le Risorse Umane
della Beoltre, che ha relazionato sulla costumer satisfaction interna alle imprese, che ha subito
affermato di voler dare un approccio molto pratico al suo intervento.
Fabio Comba ha affermato che la soddisfazione interna alle imprese è una rappresentazione
distorta della costumer satisfaction: si tratta di fare marketing interno nei confronti delle risorse
umane.
Anche quando effettuano selezione del personale le ditte, per accaparrarsi le risorse migliori, si
presentano come aziende leader, come realtà che offrono molte possibilità di crescita.
Per lavorare bene è necessario un buon clima interno; questa è una delle ragioni per le quali si
comunica la vision aziendale alle risorse umane.
I manager sono interessati a conoscere la soddisfazione dei dipendenti rispetto alla gestione
manageriali. Lo strumento più utilizzato è un questionario, ove le dimensioni dell’azienda lo
consentono.
L’area risorse umane raccoglie i sondaggi, li interpreta ed eroga i risultati. Solitamente l’esito è che
il clima aziendale è buono, ma c’è qualcosa da migliorare poiché difficilmente i dipendenti si
sbilanciano a dare risposte eccessivamente negative per timore di essere identificati.
Il clima interno alle aziende è influenzato da tre elementi: saper comunicare, dare feedback, ed il
teamworking, anche se gli italiani sono individualisti, e quindi poco portati a lavorare in gruppo.
Questo raramente viene insegnato, ma è importante avere questa capacità perché è richiesta dal
mercato del lavoro. Quando un giovane laureato cerca lavoro compete con persone con il
medesimo livello culturale, quindi la selezione si sposta sulle capacità relazionali.
I lavori individuali sono tramontati: la molteplicità degli individui che lavorano su un progetto da
valore aggiunto al prodotto, tuttavia un eccessivo uso del lavoro di gruppo appiattisce gli spunti
individuali; e le persone che lavorano in società team oriented hanno talvolta difficoltà a lavorare
individualmente; il teamworking dovrebbe impegnare circa il 30% del lavoro.
Fabio Comba ha cercato due volontari per svolgere un compito che aveva scritto su un foglietto.
Ha poi chiesto agli astanti che ordine aveva impartito e le risposte sono state varie. In realtà aveva
scritto di non comunicare, ma ciò i praticamente impossibile poiché, come afferma Watzlavick,
ogni comportamento è comunicazione e non è possibile non comunicare.
La riuscita della comunicazione sta nel responso che se ne ottiene; se una persona non capisce nulla
si potrebbe altresì affermare che non si è comunicato bene.
La comunicazione si può stratificare su tre livelli: quella verbale, ossia il linguaggio ed un uso
oculato di “parole calde”, che colpiscono particolarmente chi ci ascolta, la comunicazione
paraverbale, ovvero il volume ed il tono della voce, il ritmo, le pause e quella non verbale, che
comprende la mimica facciale, la gestualità, la prossemica, l’abbigliamento e la postura.
Gli studi sulla comunicazione affermano che la comunicazione verbale incide per il 7% di ciò che
chi ci ascolta ricorda, la comunicazione paraverbale per il 38% e quella non verbale per il 55%
Per comunicare efficacemente si devono considerare anche le perdite di carico, ovvero quello che
viene perso durante le fasi che vanno dall’idea che si voleva comunicare a quanto viene compreso e
ricordato da chi ci ascolta.
Una buona comunicazione utilizza appropriatamente il feedback; ad esempio, se si deve
rimproverare un dipendente, non si deve dire semplicemente che una cosa è fatta male, ma è
importante fornire informazioni su cosa è sbagliato, collocare l’errore in un contesto specifico,
usare frasi come “ho notato che” e suggerire alternative appropriate.
Anche le risposte del dipendente vanno interpretate: un “grazie va bene” può sottintendere una
richiesta di ulteriori informazioni; “per favore, se capita di nuovo me lo può segnalare?” indica
l’impegno dell’interlocutore ad accettare segnali volti a modificare il suo comportamento; “grazie
basta così” segnala che il soggetto è giunto ad un livello di saturazione.
Nelle aziende è fondamentale miscelare oculatamente l’attenzione al clima interno con la
focalizzazione degli obiettivi da raggiungere.
Prestare attenzione solo al clima può influire sui risultati in quanto le risorse umane tendono a
rilassarsi eccessivamente, interessarsi solo ai risultati potrebbe creare delle tensioni, talvolta
insanabili tra i componenti dei gruppi di lavoro.
Se si presenta un problema nelle aziende si cerca la motivazione e si scatena la caccia al colpevole;
le risposte che si ottengono con maggiore frequenza indicano come responsabili l’azienda, il capo,
il collega, il cliente e solo una piccola parte dice “io”.
Questo è anche dovuto al fatto che nei gruppi di lavoro la percezione che le persone hanno della
propria fetta di responsabilità è di solito inferiore a quella reale.
Fabio Comba ha dedicato l’ultima parte del seminario alle domande degli astanti.
Un partecipante desiderava delucidazioni che interventi adottano le aziende nella costumer
satisfaction , la risposta è stata che non esistono regole fisse: ci sono aziende che fanno i
questionari per sentirsi dire che va tutto bene; le aziende orientate al marketing interno individuano
il problema e creano un gruppo di lavoro composto da risorse dell’area coinvolta che studiano i
miglioramenti.
Raramente la linea manageriale viene stravolta, spesso viene arricchita.
Un astante ha chiesto se il teamwork fosse legato ad una questione culturale; Fabio Comba ha
affermato che nel mondo anglosassone si ha una maggiore tendenza a lavorare in gruppo, ma ogni
etnia ha le sue peculiarità: gli americani lavorano in gruppo ma fanno molti break, i giapponesi
lavorano anche ventiquattro ore consecutive ma hanno uno scarso individualismo; delle delegazioni
del paese del Sol Levante sono venute nel Nord Est italiano per capire le ragioni del successo del
modello economico di quella regione, ed hanno riscontrato che spesso era il risultato di spunti
creativi individuali.
Lo studio delle risorse umane non è una scienza esatta; ha basi scientifiche a cui seguono
interpretazioni individuali, ed è sempre necessario verificare se le teorie funzionano.
Le aziende italiane tendono ad attendere che le aziende americane esperimentino e ad applicare le
teorie dopo che ne è stato verificato il funzionamento.
Un partecipante ha domandato quanto la costumer satisfaction interna è influenzata dalle
associazioni sindacali.
Fabio Comba ha precisato che i questionari vengono approvati dalle organizzazioni sindacali
prima di essere somministrati, ma abitualmente le istanze del sindacato riguardano i salari, non
l’organizzazione aziendale.
Rita Sorisio