Febbraio '11 a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini Numero Febbraio '11 Numero Febbraio '11 EDITORIALE Quello che avete sotto gli occhi è un numero particolarmente ricco di “Fuori dal Mucchio”. Al suo interno trovano infatti posto una trentina abbondante di recensioni e otto interviste – più una segnalazione in “Dal basso” – che, una accanto all’altra, danno vita a un affresco quanto mai ricco e movimentato di ciò che avviene nell’underground musicale italiano. Esordienti assoluti vanno fianco a fianco a veterani, hip hop e blues cedono il passo a indie-rock e progressive, l’emocore va a braccetto con l’elettronica più ricercata e la canzone d’autore con la psichedelia. Insomma, mai come questa volta ce n’è davvero per tutti i gusti. Rompiamo quindi gli indugi e, senza perdere altro tempo, vi lasciamo a una lettura che, naturalmente, ci auguriamo possa essere interessante e stimolante, nonché foriera di buoni ascolti. Aurelio Pasini Pagina 2 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Black Friday Superduo formato da Adriano Viterbini alla chitarra (Bud Spencer Blues Explosion) e Luca Sapio alla voce (Accelerators, Quintorigo), i Black Friday stanno riscuotendo consensi sperticati lì dove credevamo che il blues non avrebbe più messo piede, soprattutto se così scarno e vicino alla tradizione: in parole povere stanno “inoculando il germe” alle platee più improbabili e disparate senza che queste se ne rendano conto, febbrilmente ipnotizzate davanti a sciabolate di bottleneck vecchie di quasi un secolo. Ne abbiamo parlato a bicchiere pieno – di acqua, altro che Moonshine – prima di un concerto bolognese che, manco a dirlo, ha fatto faville. Chi ha ancora voglia di ascoltare il Sacro Verbo di Blind Willie Johnson, oggi? Molta più gente di quanto non ci si aspetti. Ai nostri concerti ci capita di vedere persone di tutte le età: da chi ascoltava blues negli anni 60 a ragazzi che non hanno ancora finito le superiori. Incredibile vederli così giovani che ti vengono a parlare di Skip James o Charley Patton: per noi sicuramente un grande motivo di orgoglio! Parliamo della scaletta di Hard Times: c’è un Son House – che era già selvaggio di suo – riproposto con la stessa veemenza, ma anche un Robert Johnson decisamente rivisto, nonché un magnifico James Carr in salsa Delta... Abbiamo semplicemente cercato di assecondare il nostro amore per la black; il che non vuol dire necessariamente blues. Ad esempio, se parliamo di soul, dal vivo mettiamo spesso in scaletta una nostra versione di “A Change Is Gonna Come” di Sam Cooke. Sotto questo punto di vista è stato particolarmente proficuo poter lavorare con Alberto Castelli (già manager dei Bud Spencer Blues Explosion, nonché storico ex-collaboratore del Mucchio, Ndr) e la Ali Buma Ye! Records: gente che condivide con noi l’amore per questa musica e l’idea di portarla ancora in giro. “The Dark End Of The Street” di James Carr, oltretutto, è fondamentalmente un pezzo molto blues se si guarda al testo: due amanti e un amore Pagina 3 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 peccaminoso. Poi, per dire, abbiamo inserito anche “School” dei Nirvana, che non ha niente a che vedere col resto, se non fosse che per noi Kurt Cobain è forse davvero l’ultimo grande uomo di blues. Vi è balenata l’idea di inserire anche altri pezzi che non c’entrassero nulla con la tradizione blues e soul riarrangiandoli completamente? Avete incluso “In The Pines”, per esempio, che pur essendo un traditional è sovente accreditato a Leadbelly ma assai più noto nella versione acustica dei Nirvana col titolo “Where Did You Sleep Last Night” (ed è in questo mood che Luca la canta, infatti). Sì, qualcos’altro sulla stessa linea c’era – avevamo pensato anche ai Sex Pistols – ma poi, per una cosa o per un’altra, non è finita sul disco. E’ in questo senso che ci piacerebbe lavorare molto in futuro: già adesso, durante i concerti, rifacciamo “Jealous Guy” di John Lennon rivista secondo i nostri canoni, e l’esperimento, stando alla risposta del pubblico, parrebbe dare ottimi risultati. Nessun limite insomma. Se per Adriano è stato relativamente più semplice trovare un modo di variare le parti di chitarra senza andare “fuori dai binari” (e svolgendo, allo stesso tempo, un ottimo lavoro), Luca vocalmente non poteva osare poi molto con mostri sacri del calibro di “Hard Time Killing Floor”, eppure quello che ne esce è molto più di una semplice cover. Come vi siete mossi in questo senso? In realtà abbiamo cercato di porci meno problemi possibili. Abbiamo capito che rimanere filologicamente troppo ancorati agli originali – per quanto è di capolavori che stiamo parlando – avrebbe avuto poco senso. Io (è Luca a parlare, Ndr), per esempio, non ho rispettato tutte le pause né cercato di replicare le inflessioni delle voci (come il falsetto di Skip James), assecondando piuttosto il mio personalissimo modo di sentire il pezzo. Per quanto riguarda il lavoro alla chitarra (prende la parola Adriano, Ndr) tutto è stato molto naturale: fondamentalmente mi sono fatto le ossa sul blues, quindi muovermi partendo dai lick di Son House o Charley Patton mettendoci del mio non ha rappresentato affatto una grossa forzatura. Che strumentazione avete usato in studio; e cosa vi portate dietro dal vivo? I fondamentali: una chitarra acustica, un dobro e, solo nei live, una reso-lectric. Per cantare basta il microfono...e qualche dettaglio che sarebbe un peccato svelare. Incidere un album come “Hard Times”, in questo periodo in cui per la musica sono davvero tempi duri – soprattutto per come la intendete voi (e noi) – è una magnifica presa di posizione o, visto un lento ma felice sdoganamento del blues ad opera di loschi figuri come i Bud Spencer Blues Explosion, pensate che possa aprirsi qualche spiraglio di luce? Con il successo di gruppi quali i White Stripes o i Black Keys, il blues pare aver ritrovato un suo spazio che, a differenza di tempo addietro, non è necessariamente legato alle dodici battute in stile Chicago. Se fino ad una decina di anni fa, quando si parlava di blues venivano fuori sempre quei nomi – Eric Clapton, B.B. King e Stevie Ray Vaughan – ora le cose sembrano essere un po’ diverse; tanto che anche il circuito cosiddetto “alternativo” ha iniziato a mormorare di Delta e crocicchi vari. Visto che è la musica che amiamo, la nostra speranza è che le cose seguano questo corso, contribuendo quanto più possibile a non Pagina 4 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 relegarla in un limbo di pochi appassionati. Per il resto, chi vivrà vedrà. I Black Friday rimarranno una parentesi isolata – dati i vostri molteplici impegni su più fronti – oppure avete intenzione di dargli un seguito, se tutto va bene? Abbiamo pensato ai Black Friday come un gruppo vero e proprio, non un side project o roba simile. Vista la bella accoglienza che abbiamo ricevuto dalla stampa di settore e sui palchi che ci hanno ospitato, dare un seguito a “Hard Times” è molto probabile e, ovviamente, ci farebbe un immenso piacere. Contatti: www.myspace.com/theblackfridayband Carlo Babando Pagina 5 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Buzz Aldrin Un suono ossessivo, a tratti catacombale, in grado di evocare spettri - benevoli – di new wave e post punk ma senza restare imprigionati in un passato rivisitato: questo il contenuto dell'esordio omonimo (Ghost-Unhip/Venus) dei Buzz Aldrin, formazione bolognese che abbiamo intervistato. La vostra ragione sociale viene spesso identificata con una sorta di "sindrome dell'eterno secondo": mi sembra implicita la consapevolezza, anche un po' ironica, di proporre una musica che certamente non punta alle classifiche, lontana dalle mode e da "quello che tira". L'idea del nome Buzz Aldrin ci è venuta dopo aver letto il romanzo di Johan Harstad. ci piaceva per due motivi, sia per un gusto puramente estetico-sonoro, sia per il concetto dell'eterno secondo, in più l'idea di iniziare tutto il nostro percorso creativo partendo dallo spazio ci offriva molti spunti creativi e tematici. Siamo persone adulte e con alla base le nostre esperienze passate, quindi siamo consapevoli che quello che stiamo facendo non potrà mai farci arrivare alla ribalta, non ci interessa la "fama" ma ci interessa fare buona musica, di spessore, senza pensare a generi, noi suoniamo quello che ci diverte suonare, non vorremmo sembrare integralisti ma amiamo la musica e ci crediamo e quindi cerchiamo di essere il più coerenti possibile con le nostre idee e i nostri valori. Per quanto riguarda le mode, le conosciamo, abbiamo modo di confrontarci con esse tutti i giorni e senza risultare spocchiosi ce ne te teniamo alla larga, non fanno per noi, le troviamo spersonalizzanti e omologano qualcosa che non dovrebbe essere omologato. Nonostante siate lusingati dall'accostamento a certi nomi della prima new wave e del primo post punk, mi pare che ci teniate a prendere un po' le distanze – legittimamente – da quei riferimenti. Al di là dei riferimenti stilistici, però, mi pare che ad accomunarvi a certi gruppi e certe situazioni sia la modalità con cui forgiate canzoni e atmosfere sonore: la costruzione in divenire, l'idea di forgiare qualcosa attraverso la pratica Pagina 6 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 costante, gli errori (che possono non essere più tali ad un certo punto), l'affinamento di una materia grezza. Vi riconoscete in questa lettura? Sicuramente i generi da te citati rientrano tra i nostri ascolti, e il paragone ci può stare, ma non ci piace essere considerati il clone o lo scimmiottamento di qualcuno, ci piace sapere che abbiamo una nostra personalità, la quale viene fuori anche nelle nostre canzoni. Ci riconosciamo sicuramente, gli errori voluti sono realmente voluti, e come dici non sono errori dal momento che li facciamo intenzionalmente, materia grezza sì...la nostra musica è sanguigna ed è sudore...ma pur sempre con uno studio e un lavoro dietro che ci portano a raggiungere il risultato che abbiamo in mente. Non siete più dei ragazzini e avete alle spalle esperienze in vari gruppi. Qual è stata la molla che vi ha spinti a creare un gruppo che, lo si percepisce ascoltandolo, sembra volersi giocare tutto, mettersi pesantemente in gioco come magari non si era mai riusciti a fare prima? Qual è il terreno comune su cui vi siete incontrati? È vero ci stiamo giocando tutto...anche se abbiamo ancora molto da dire, forse appunto perché non siamo più ragazzini, e non essendolo più alle spalle abbiamo un passato di esperienze che ci hanno fatto crescere, maturare e fatto diventare quelli che siamo ora. In più c'è chimica, armonia e feeling, che abbinata appunto con il nostro passato ha fatto sì che i Buzz Aldrin suonano quello che sono ora. A quanto mi pare di capire, il luogo in cui avete inciso, lo studio Outside Inside, ha avuto un ruolo decisivo nel dare corpo e personalità al disco, è quasi un elemento, uno strumento in più. È una impressione corretta la mia? Correttissima, premettendo che la nostra dimensione ideale è il live e che per noi il suono è un elemento fondamentale nella nostra musica, lo studio e il fonico (Nene, bassista dei Movie Star Junkies) sono stati scelti accuratamente per ottenere quello che avevamo in mente, un disco che pur rimanendo tale suonasse il più possibile come un live. Abbiamo registrato interamente a bobina senza ausilio di computer; per quanto riguarda Nene, l'abbiamo scelto perché essendo prima di tutto un amico avevamo stima reciproca a livello lavorativo, e sapevamo che con lui saremmo riusciti a tirar fuori il suono e il mood che volevamo, senza bisogno di troppe parole. Nove brani, poco più di mezz'ora, mi sembra che ci sia una precisa scelta anche a livello di immediatezza, di brani molto brevi e diretti, di voler dire la vostra senza orpelli e con la massima sintesi possibile... La durata del disco è stata una scelta presa a priori, nel senso che volevamo un disco diretto, immediato, breve e intenso, del resto è ciò che ci caratterizza anche nei live. Contatti: www.myspace.com/buzzaldringroup Alessandro Besselva Averame Pagina 7 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Giulia Villari All’esordio con il riuscito mini “River”, prodotto da Rob Ellis, la songwriter romana dimostra di saper destreggiare sonorità rock e parole in inglese con sorprendente fermezza, coinvolgente energia. In fiduciosa attesa di ulteriori sviluppi, ecco il nostro interessante scambio di mail. Come hai conosciuto Rob Ellis e come è stato lavorare con lui? Il suo sound ruvido e scarno è ben noto, ma non va mai a discapito della palese cura riservata a tutte le canzoni. L’ho conosciuto grazie ai Marlene Kuntz. Era in studio con loro per curare alcuni arrangiamenti di “Bianco sporco”, l’album del 2005 a cui ho partecipato come seconda voce in “Bellezza”. Siamo rimasti in contatto e ho cominciato a spedirgli tutto quello che facevo. Dopo anni di mail e incontri, all’improvviso ho ricevuto un suo SMS nel quale mi diceva che era pronto a lavorare sui miei pezzi. È stato un sogno diventato realtà: Rob è il produttore di alcuni dei dischi che ho amato e ascoltato di più! In “River” penso che il suo lavoro sia stato soprattutto quello di tirare fuori il meglio dalle performance e dalle canzoni: piuttosto che aggiungere, infatti, ha preferito sistemare e concentrare. Credo che - al di là dei suoi gusti personali, sicuramente orientati verso il rock‘n’roll anni 60 e 70 - questo sia in generale il suo modo d’intendere la musica e il filo conduttore delle tante, diverse produzioni che ha fatto. Per una giovane rocker è facile essere paragonata immediatamente a un’apripista come PJ Harvey, specialmente la PJ Harvey di “Dry”, prodotto dallo stesso Ellis, e “Rid Of Me”. Che ne pensi e quali sono i tuoi reali punti di riferimento? PJ Harvey è un punto di riferimento per molte cantautrici. Ha saputo rinnovare, seguendolo, quel rock al femminile che ha avuto altre grandi protagoniste, come Patti Smith per esempio. Ma io ho amato soprattutto “Stories From The City, Stories From The Sea” più che gli altri album che hai citato. Mi piace quel disco perché è profondo, poetico, serio ma non triste. La vera folgorazione l’ho però avuta a quindici anni per Ani DiFranco: una grande musicista che Pagina 8 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 si è fatta da sé, un esempio da seguire. Devo ammettere che per molto tempo mi sono dedicata quasi esclusivamente all’ascolto di cantautrici donne e che solo ora sto cominciando a scoprire l’altra metà dell’universo. A parte i nomi sopra citati, comunque, a me piacciono i grandi classici: Beatles, Led Zeppelin, Bob Dylan, Jefferson Airplane e anche Wilco. Questi sono i nomi che ascolto tutti i giorni. Si può dire che, a parte Carmen Consoli e Cristina Donà negli anni 90, il panorama italiano non abbia mai proposto molte songwriter rock. Oggi mi viene in mente Simona Gretchen e poche altre. Pensi supereremo mai una simile differenza rispetto all’estero? Posso dire che in generale per una donna non è facile scegliere di fare la cantautrice e riuscirci. Per tanti motivi. In Italia siamo sicuramente molto indietro, ma non so se all’estero la situazione sia tanto più rosea: in Inghilterra ad esempio, dove si è fatto tanto per la parità dei sessi, si è arrivati da poco ad avere un vero movimento di cantautrici. Ne parlavamo proprio con Rob l’ultima volta che sono stata a Londra. Nel mio piccolo, posso dire che tento sempre di salvare la mia femminilità anche nel modo in cui lavoro e nei rapporti con le persone con cui collaboro. Noi donne abbiamo tante qualità di cui dovremmo sentirci orgogliose: tra le altre, anche il senso pratico. Ti sei mai posta il problema della scelta, anche alla luce delle considerazioni della precedente domanda, fra cantato in inglese e in italiano? Alla scelta ci sto pensando adesso. Fino a oggi ho fatto semplicemente quello che mi sentivo di fare, senza pensare a un obiettivo da raggiungere. L’italiano è una lingua che amo molto, che studio (mi sto laureando in Filologia), che uso per scrivere poesie. Ma l’inglese, oltre a essere la lingua di parte della mia famiglia, è per me la lingua della musica. Scrivere in inglese e soprattutto saper cantare pronunciandolo correttamente, può aprire le porte per l’estero. Dove sappiamo però, che è anche difficile imporsi da “straniero”. Consiglio comunque a tutti di provare l’esperienza di andare a suonare fuori dai nostri confini: il pubblico è molto diverso e spesso davvero gratificante. Che rapporto hai con la chitarra, che tieni in spalla persino nella copertina del disco? Come sei passata dal background jazz alla forma-canzone in ambito pop-rock? Hai iniziato a scrivere canzoni dal 2004: come hai lavorato nell’arco di questi anni allo sviluppo del tuo repertorio? Tre domande in una! Andiamo per gradi. La chitarra è come un’amica per me: qualche volta litighiamo, ma in fondo ci vogliamo sempre bene. Il jazz è tuttora una mia grande passione. Il filo conduttore che lo collega al rock (non è una mia scoperta) è lo swing, quell’accento sul tempo che fa ballare e che ha origini africane. Anche il rock proviene dalla musica nera. Il repertorio l’ho costruito nei modi più diversi: alcune canzoni le ho composte in pochissimo tempo, altre invece hanno richiesto più lavoro. Cerco di scrivere con regolarità, anche se non sempre vengono buone idee. Non basta, infatti, una progressione di accordi per avere una canzone: ci vuole soprattutto qualcosa da dire. Una canzone che mi ha colpito particolarmente è “November”, forse posta non a caso in apertura. Che puoi dirmi in proposito? Una chicca: la voce maschile che si sente nel ritornello è di Rob. È una canzone a cui sono Pagina 9 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 legata: parla della voglia di cambiare un rapporto d’amore. “We were so involved, (but) we were very married” canto, appunto, nel ritornello. Tornando ai Marlene Kuntz, com’è andata la collaborazione per “Bellezza” e cosa pensi della loro svolta maggiormente melodica? Si dice che più o meno tutti nel proseguimento di carriera finiscano per mettere da parte certe asperità per approfondire altri aspetti con maggior raffinatezza. Sei d’accordo? L’amicizia con i Marlene Kuntz è nata grazie a una mail che inviai tramite il loro sito, nella quale chiedevo della loro collaborazione con Rob. Mi presentai come una ragazza di Roma che scriveva canzoni. Dopo un po’ di tempo registrai per loro il mio primissimo demo. Evidentemente piacque, tanto che quando entrarono in studio per finire l’album mi richiamarono. L’idea della seconda voce è partita un po’ per gioco da Cristiano, credo. E poi fu approvata da tutti. Raffinatezza è sicuramente la parola giusta per descrivere i Marlene, secondo me. Non so se definirei come una “svolta” quello che hanno fatto negli ultimi anni. Penso, infatti, che i Marlene sono uno di quei pochi gruppi italiani che sono riusciti a fare un percorso coerente nel tempo, portando avanti sempre con grande passione quello in cui hanno creduto. Perché hai optato proprio per “This Is The Day” per l’imminente tributo ai The The e come hai approcciato la canzone? La canzone non l’ho scelta io, fa parte del disco ufficiale di tributo ai The The voluto da Matt Johnson. Proprio Matt aveva chiesto a Rob di partecipare e lui a sua volta mi ha coinvolto. Ho riascoltato l’originale ma poi mi sono lasciata andare alla reinterpretazione di Rob. Penso che ne abbiamo fatto una versione... divertente! Nel 2009 sei stata premiata nell’ambito del MEI per la tua bravura dal vivo. Come procederanno gli impegni live? I prossimi impegni confermati sono a Roma a febbraio, in versione acustica al Beba do Samba, e a marzo con la band a Napoli ed Eboli. Le date cambiano giorno per giorno: consiglio a tutti di dare un’occhiata al mio sito, che è sempre aggiornato! Nel comunicato si legge che “River”, essendo un mini di sei brani, può essere considerato una sorta di assaggio. Hai già progetti per il tuo primo album sulla lunga distanza, cosa dobbiamo aspettarci? Alcune canzoni penso di averle già pronte. Sto comunque andando avanti con la scrittura per mettere da parte più idee. Rob potrebbe essere ancora con me. Vedremo cosa accadrà. Spero di riuscire entro poco a concretizzare questo progetto. Contatti: www.giuliavillari.com Elena Raugei Pagina 10 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 GuruBanana I due GuruBanana, ovvero Andrea Fusari e Giovanni Ferrario, ci raccontano il loro secondo album “Karmasoda”, appena uscito per Shyrec. che segue il debutto omonimo nel 2008, uscito per Macaco. Un disco rock, molto cupo e allo stesso tempo dai toni accesi e coinvolgenti. Piacere, incanto e spensieratezza ricordando tanti nomi emozionanti che vanno da Velvet Underground ai Clash. Non è poco. Ne parliamo con entrambi. Come nascono i GuruBanana e cosa ha fatto scattare il vostro LA? Andrea Fusari: La pazzia, come sempre, è quella che fa scattare un po’ di consapevolezza e fa sì che succedano queste cose, molto tranquillamente e spontaneamente. Giovanni Ferrario: Il mio “la” è stato conoscere Andrea da anni e vedere che era sprecato a fare cover di blues sapendo che il suo talento artistico poteva manifestarsi in altri modi. Poi lui mi ha chiesto per un po’ di tempo di fargli dei pezzi. Io li ho ascoltati e ho trovato il bandolo della matassa. Una parte importante del suo cervello e adesso ne paga le conseguenze non potendone fare più a meno. Adesso deve suonare e fare dischi. Prima era un appassionato. Adesso c’è dentro. Tu e Giovanni in particolare per cosa vi apprezzate come co-autori e musicisti e cosa vi unisce? AF: Anzitutto l’amicizia molto forte e quindi una forma di rispetto strano uno con l’altro e una chiarezza a livello operativo. Una cosa va bene o no e si saltano molti passaggi, poi lui garantisce la parte produttiva all’interno dei GuruBanana, per cui è tutto molto veloce. Ci si è trovati proiettati in pezzi che sì erano un po’ degli abbozzi poi invece avevano un suo essere per il primo disco. Per il secondo il tutto è stato molto un concentrarsi sul GuruBanana-progetto già avviato, da portare live e dei pezzi sono rinati con le stesse metodiche, ma con il suono elaborato in modo diverso: molto più pensato e studiato. GF: Ci unisce l’istinto o meglio la propensione per l’istintualità in musica. Il voler valorizzare Pagina 11 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 la prima idea che scaturisce per una canzone, per un pezzo musicale. Siamo in sintonia assolutamente su questa cosa, quindi sì, registriamo su un computer, ma è come se lavorassimo su nastro. Cerchiamo di tener buona la prima, magari di valorizzare questa take qui però di non fare troppo sovraincisione, di non perderci nei meandri dell’emulazione computerizzata dei suoni, di fare le cose abbastanza in velocità per cogliere il momento. Come scrivete e componete le canzoni senza sbattere l’uno contro l’altro essendo coautori? AF: Questo può essere interessante e forse anomalo. La parte iniziale esce in solitudine compositiva, ma io sono poco strumentista e mi appoggio su degli accordi: le idee nascono su questi frammenti, poi vengono selezionate e tra quelle che possono risultare interessanti alle orecchie di Giovanni si fa il lavoro di scelta per cui uno aiuta l’altro continuamente. Nel momento della creazione, della melodizzazione e dell’arrangiamento può uscire di tutto, se sei ispirato. Da lì in poi il passo è semplicemente lavorarci sopra quindi tutto nasce da momenti ispirativi e dal caso. Entrando all’interno del disco c’è la title track, “Karmasoda” e “Talking On Numbers” che per sensazioni diverse hanno la stessa immagine di solitudine e desolazione come di qualcosa che finisce. AF: Sì, a livello musicale c’è la stessa tinta malinconica sotto, se poi vai sul significato dei pezzi che sono contigui, parlano più o meno entrambi di distacco da qualcosa, di perdita, per cui mentre una è una richiesta di pulizia per non sopportazione, l’altra è un ripercorre un ricordo, quindi il senso di perdita è più mentale. GF: È un suo momento questo di esorcizzazione di un passato che adesso si è lasciato alle spalle con questo disco, anche se poi è dal vivo che viene fuori. È difficile avere a che fare con il mostro che ha dentro. Quali paesaggi o angoli hanno fatto da teatro alle vostre composizioni? AF: Sono veramente dei paesaggi vissuti e rivissuti in quel momento. Non erano esattamente lì però sono stati creati. Sono luoghi geografici che ci sono realmente e sono molto disseminati, lontani tra di loro. Alcuni sono proprio geografici, altri sono un essere altrove rispetto al contestuale. Poi comunque la necessità di avere una altrove migliore ed essere nella necessità di crearlo, è (io credo) il motivo di voler fare musica. Com’è nata la collaborazione con Shyrec? E come mai non avete continuato con Macaco con cui avevate debuttato nel 2008? GF: Ne abbiamo parlato sia con Macaco che con Shyrec, perché questo è un disco elettrico e speriamo di poterlo proporre su palchi, dove c’è un impianto che possa reggere. Non è un repertorio che può essere proposto su un palco dove di solito si fanno concerti semi acustici, come quelli di Macaco e poi così, tanto per cambiare e restare in tema, nel senso che tutte e due sono piccole etichette, fatte da gente molto appassionata. Serviva qualcuno che potesse lavorare al nostro disco con passione e capisse quello che volevamo ora. Dove e come avete registrato il disco? GF: Abbiamo registrato parecchio nel mio studio e in pre-produzione. Poi abbiamo registrato al T.U.P. di Brescia e abbiamo mixato al Blue Femme che è lo studio di Marco Pagina 12 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Franzoni. Quindi tre luoghi diversi e in tutti e tre gli studi abbiamo registrato oltre a mixare. Diversi ospiti hanno collaborato al disco. Pensavate a loro già mentre componevate le canzoni? GF: Ma è tutta gente che gira intorno al nucleo dei GuruBanana che siamo Andrea ed io. Anche se Beppe Mondini suona nei nel gruppo dai primi concerti e quindi lui più che un ospite è una presenza fondamentale per noi. Poi c’è Davide che suona solo in un pezzo del disco, ma anche lui fa parte del gruppo per la parte live da sempre. Poi c’è Andrea Cogno che ha suonato e sostituito me per un certo periodo ed è anche lui una persona importante soprattutto a livello umano per noi. AF: C’era soltanto la data e noi che dovevamo suonare, secondo una scaletta abbastanza stretta. La maggior parte della musica del disco è nata in base a degli step casuali. Poteva uscire un'altra cosa. Non ne hai il controllo totale. Per cui gli ospiti erano una polaroid una fotografia del momento. Invece, i concerti come li strutturerete e con quali strumenti? GF: Noi siamo in quattro ed è un concerto elettrico. Nel senso che c’è una batteria molto importante che si avvale anche di un campionatore. Io suono il basso ed una tastiera, poi c’è Andrea che suona un po’ tutto, chitarra elettrica, acustica, tastiera, la melodica, l’armonica e soprattutto canta, poi Davide Mahony alla chitarra elettrica. Cantiamo in tre e cerchiamo di divertirci. AF: Quindi sono tanti strumenti che si scambiano con un set stretto, inseriamo così quasi tutti i pezzi del disco ottenendo un nuovo suono, diverso rispetto al disco. Contatti: www.myspace.com/gurubanana1 Francesca Ognibene Pagina 13 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Piero Sidoti Uno dei botti dello scorcio di fine anno, Piero Sidoti ha sbancato al Tenco Opera Prima (con polemica) grazie a un’elegante opera prima, “Gente in attesa” (Odd Times/Egea), lui che tutto può definirsi, fuorché un esordiente. Il professore friulano 42enne, alle spalle già diversi riconoscimenti, si è offerto per una lunga chiacchierata con “Fuori dal Mucchio”. Cominciamo dal Tenco? Ci racconti com’è andata? Ti aspettavi tutto il bailamme che si è scatenato? È andata benissimo! Vincere la targa Tenco è motivo di estremo orgoglio in quanto è uno dei massimi riconoscimenti per chi fa canzone d’autore. Io non immaginavo di vincere la targa ed ero già felicissimo di essere nella sestina dei finalisti. Com’è stato invece essere lì, suonare a Sanremo da vincitore? Hai l’impressione che qualcosa sia cambiato, stia cambiando? Sei diventato grande? Suonare al teatro Ariston è un’emozione fortissima! Penso che l’ansia che uno prova sul palco dell’Ariston sia direttamente proporzionale alla quantità di critiche che uno ha fatto dal divano di casa sua agli artisti che ogni anno si alternano al Festival di Sanremo... un po’ come una legge del contrappasso. Insomma, vincere il Tenco è stata una soddisfazione enorme ed un onore assoluto. Però quello che ha cambiato la mia vita artistica è stato l’incontro con Paola Farinetti di Produzioni Fuorivia ed l’uscita del disco con la sua casa discografica. Torniamo un poco indietro. Tu arrivasti in finale a Castrocaro un bel po’ di tempo fa (1993) per poi fare incetta di altri riconoscimenti: Recanati, Premio “Artista che non c’era” e “Fabrizio De André”. Cosa hanno rappresentato queste tappe? Non hai mai pensato di lasciare la scuola per cantare? No, per due motivi: il primo è che l’insegnamento è un lavoro che mi piace molto. Sia il cantautore che l’insegnante sono mestieri bellissimi. Trovo che salire sul palco ed avere un Pagina 14 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 contatto empatico con il pubblico sia un evento straordinario ed irripetibile come avere una conversazione quotidiana con dei ragazzi. Io insegno matematica e scienze ma, qualsiasi cosa uno insegni, in sostanza si va a scuola per riflettere e parlare della vita. Vincere premi senza una struttura che lavora per fare conoscere le tue canzoni serve a darti un po’ di buonumore ma, finito il premio, tutto si esaurisce. Il produttore artistico del tuo album è Antonio Marangolo. Com’è stato lavorare con lui? Fra me e Antonio c’è stima e fiducia totale, per cui c’è il massimo della libertà. Antonio è un grandissimo artista ed io mi fido totalmente del suo gusto. È uno di quegli arrangiatori che anziché soffocare i brani con inutili sovrastrutture sonore ed armoniche esalta, amplifica e moltiplica l’idea di fondo. “Pecore bianche” riprende i versi di “Canzone di notte n. 2”. È un brano, fin dal titolo, ch’è un omaggio a Francesco Guccini. Sei d’accordo sul fatto che Guccini sia rimasto fondamentalmente un unicum, un caposcuola senza scuola, l’inventore di un canone che non è stato sviluppato da altri? Perché? Sì, ho voluto fare un omaggio a Guccini anche se lui, in “Canzone di notte n. 2”, dà una connotazione positiva alle pecore nere. Invece, nel mio caso la pecora nera rappresenta uno dei tanti affabulatori presenzialisti e privo di qualsiasi sostanza. Comunque sono assolutamente d’accordo su quanto hai detto. I testi di Guccini sono inimitabili in quanto lui riesce a dipingere una storia, a raccontarla e sviscerarla in tutte le sue pieghe. Penso che Guccini sia un’icona perché è una persona e un artista autentico nel vero senso della parola. Non ha mai assunto una posa o un atteggiamento. Nelle sue canzoni, e durante i suoi concerti, Guccini parla con il cuore e comunica quello che pensa. Riuscire a fare arrivare la propria visione del mondo a qualcun altro è la cosa più originale che uno possa fare e forse è talmente originale da risultare inimitabile. Fare quello che fa Guccini significa fare la cosa più semplice che come sempre è la più difficile. Chissà, forse per questo è un caposcuola senza scuola? Diverso il caso di Fabrizio De André, invece imitatissimo. Uno degli episodi più felici del tuo album è a mio avviso “La venere nera”, sulle rotte atlantiche di “Princesa”: ancheggiare brasilero, cori sambeggianti... Sì, anche Fabrizio De André fa parte dei miei maestri. Penso di conoscere tutte le sue canzoni a memoria. L’ho ascoltato tantissimo da ragazzino. Ogni volta che presento “La venere nera” specifico che si tratta di una prostituta e non di una escort in quanto ritengo, nonostante i tempi, che la prostituzione sia un dramma e non un evento mondano o un affare di palazzo. Penso che anche De André sarebbe stato d’accordo su questo. Trovo però che il genio della tua lampada sia essenzialmente Paolo Conte: la sua giocosità, la ricercatezza leggera e divertita, e anche altro. Sei d’accordo? A chi ti fa piacere essere accostato, e a chi meno? Paolo Conte, Fabrizio De André, Francesco Guccini sono tutti maestri e tutti artisti a cui mi fa piace essere accostato. Tuttavia spero di raccontare qualcosa di mio e quindi anche qualcosa di nuovo. Ma per continuare l’elenco, gli artisti che ho più ascoltato sono anche (in ordine sparso): Lucio Dalla (che fra l’altro ha scritto le note introduttive al disco, Ndr), Pagina 15 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Francesco De Gregori, Tom Waits e tantissimi altri. In una canzone, “La mia generazione”, è come se tu riprendessi un dialogo sotto forma di canzone con Giorgio Gaber, cantando “la mia generazione non ha mai vinto”. Cos’è peggio: aver perso, come diceva il Signor G, o non aver mai vinto? La generazione di Gaber ha perso perché ha potuto giocare, mentre la mia generazione non ha mai vinto in quanto non ha potuto scommettere, né giocare. Io appartengo a quella generazione che è un po’ una “degenerazione”, perché abbiamo vissuto la nostra adolescenza e ci siamo formati negli anni 80. Anni caratterizzati da un boom economico che non c’era e da un’opulenza solo virtuale. Insomma, ci siamo preparati per grandi futuri e poi siamo stati costretti a fronteggiare una crisi alla quale non eravamo preparati. Un po’ come prepararsi per pilotare lo space shuttle e poi trovarsi a guidare un triciclo con le ruote scassate. Quali sono stati, e quali sono, i tuoi ascolti più formativi e preferiti? Diventa un elenco lunghissimo in quanto sono un grande fruitore di musica, dalla musica classica al pop, all’heavy metal, al rap. 
I riferimenti più vicini sono De André, Dalla, De Gregori, Gaber,Vecchioni, Fossati, Bennato, Testa, Conte, Guccini, Battiato, Vasco Rossi, ma anche Silvestri, Bersani Tenco, Paoli, Gaetano e Consoli. Fra i cantautori stranieri mi vengono in mente Jacques Brel, Carlos Jobin, Toquinho, Vinicius de Moraes, Leonard Cohen, Sting, Nick Drake, Tom Waits, Peter Gabriel, Ben Harper. Comunque uno dei dischi che conosco meglio e che più mi ha cambiato la vita, è un disco che non contiene parole, “Köln Concert” di Keith Jarrett. Dimenticavo i Gruppi: Pink Floyd, Beatles, Rolling Stones. Ma anche tutte le sinfonie di Beethoven, Stravinsky, Bach e tanti altri mostri sacri che sicuramente mi sono dimenticato. Insomma la musica è bella, io la ascolto tantissimo e sempre in silenzio. Odio la fruizione della musica come sottofondo o come accompagnamento. Che farai adesso? Ti iscriverai nel nutrito parterre dei professori-cantautori, o farai una scelta esclusiva? Diciamo che la crisi del mercato discografico mi dà una grande mano nel mantenere la testa sulle spalle e non fare scelte esclusive. Penso che continuerò a fare entrambe le attività e mi iscriverò nel nutrito parterre dei professori cantautori. Sono in ottima compagnia: Guccini, Vecchioni, Lolli. Contatti: www.pierosidoti.it Gianluca Veltri Pagina 16 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Redroomdreamers “Roosters On The Rubbish” (Happy/Mopy Records-Audioglobe) è l’esordio per questo quartetto rock elettro acustico di Napoli, anche se metà della band si conosceva da tempo e questi, nella fattispecie Dario e Alessio, hanno ricaricato le batterie riimmergendosi, con l’aiuto di altri musicisti, in uno cascata melodica, disarmante e comprensibile. Le tenerezze alla Belle And Sebastian, le stanze piene di ricordi ancora non esplosi per fare uscire le scorie e far tornare l’azzurro cielo del sereno musicale. Ne parliamo con Dario. Quando vi siete incontrati per mettere insieme il gruppo cosa vi siete detti? Qual era l’idea musicale iniziale? Alessio, che è il batterista, e io abbiamo suonato per più di dieci anni con un’altra formazione facendo indie rock inglese, poi due anni e mezzo fa, quando abbiamo deciso di riprovare a suonare assieme, si è aggiunto Simone al basso. Quindi con tutta la calma di questo mondo, abbiamo iniziato a provare per un anno e mezzo, tempo di scegliere il materiale prima di entrare in studio e registrare il primo album. Come quartetto ci siamo da poco, invece come trio abbiamo suonato a lungo e i brani sono stati scritti a tre anche se nascono su una chitarra acustica a casa e poi vengono portati in sala prove e arrangiati e perfezionati. Da un mesetto si è aggiunto Michele De Finis alla chitarra e ci accompagnerà per le date del live e per il proseguo. Quindi in linea di massima nasce la melodia con un testo molto abbozzato in inglese, ma è più linea melodia che parole e quando il pezzo ci convince incomincia anche la scrittura del testo. Cosa raccontano le vostre canzoni? I testi sono il frutto di questi anni in cui io ho fatto altro e il batterista ha suonato in progetti diversi, quindi sono il succo di tutti questi anni: esperienze fatte, vissute e così via. In particolare l’ultimo pezzo del disco è dedicato al bassista del vecchio gruppo, i Growing Ocean, che si chiamava Inigo e che purtroppo non c’è più, e ha condiviso un pezzo di strada con Alessio e me. Pagina 17 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Inigo Grasso oltre a suonare il basso con voi, era anche un cantautore. Vuoi raccontarci del movimento che si è creato intorno alla sua scomparsa? Dalla sua scomparsa, quindi circa tre anni fa, si è creato un movimento di tutte le persone che con lui avevano condiviso esperienze musicali e c’è stato anche circa due anni fa un concerto a Napoli in cui tutte le band del circuito indie hanno riproposto live alcune sue canzoni e abbiamo adesso un progetto con la Happy/Mopy Records di raccogliere tutto il materiale che lui ha lasciato e che sicuramente faremo uscire entro la fine del 2011. Dove e come è stato registrato il vostro disco? È stato registrato in uno studio a Napoli che è di Bruno Fiengo, il nostro produttore, ed è stato un incontro davvero importante per noi musicalmente, perché lui aveva esperienza anche se non propriamente rock: ha remixato infatti i 99 Posse e gli Almamegretta, però è stato fondamentale perché abbiamo lavorato con moltissima calma nel suo studio, senza fretta e siamo stati quasi quattro mesi non continuativamente ma comunque è stata una gestazione ragionata. Quanto i luoghi e l’atmosfera sono stati importanti nell’influenzarvi per creare il suono del disco? Sono stati molto importanti. Si è creata un’atmosfera molto casalinga anche perché lo studio è all’interno di una casa e questo ha aiutato molto il lavoro. Spesso la registrazione può essere parecchio stressante in alcuni passaggi. Raccontando le canzoni, in particolare, c’è una leggera atmosfera caraibica in “Under Control”, vi stava portando da un’altra parte rispetto alle altre canzoni? No, anche se hai colto benissimo quest’atmosfera e anche se live verrà riproposta in versione acustica quasi in versione bossa nova, perché adesso ci divertiamo a farla così. Quindi sicuramente c’è questa atmosfera e poi è il brano in cui ci sono stati anche interventi importanti da parte della produzione cioè Bruno che viene da un mondo diverso e alla fine è venuto fuori. E poi “Candy Girl” che è attaccata ad “Under Control”, sembra la seconda parte di questa canzone ma più robotica e schizofrenica. Sono nate lo stesso momento? No. Devo dire di no. L’ordine è stato scelto successivamente però sicuramente ci può essere un filo conduttore, come fossero due facce della stessa medaglia con un lato più legato ai sentimenti buoni e un altro legato ai sentimenti cattivi. Poi diversi ospiti hanno partecipato al disco: vuoi ricordarli? Sì. Stefano Esposito che ha suonato le chitarre per la fase di registrazione, quindi ha messo le chitarre in più che ci sono nel disco. Bruno Fiengo che ha suonato la tromba in “The Dog” e poi Chiara Mallozzi ed Eleonora Mallato, entrambe suonano al conservatorio, la prima il violino e la seconda il violoncello e che ci hanno aiutato a fare le parti di archi in “Bye Bye”. E infine Paolo Messere della Seahorse Records che ci ha regalato l’arpeggio in “Psychotherapy”. A proposito di Paolo Messere il vostro disco glielo avevate proposto come uscita Pagina 18 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Seahorse prima di farlo uscire per la neonata Happy/Mopy? Sì è una vita che conosciamo Paolo e avevamo ragionato sul fare uscire con lui il disco che era la cosa più naturale. Poi però io, Simone il bassista e Alessio il batterista abbiamo scelto di creare questa piccola factory, la Happy/Mopy Records, per avere in pianta stabile a Napoli un canale per continuare a fare uscire dischi che ci piacciono. In marzo uscirà il disco dei Stella Diana che è una band storica della scena indipendente di Napoli e poi c’è il progetto per Ivo di cui abbiamo detto. Cosa deve avere un gruppo per voi “etichetta” per piacervi? Non so bene. Sicuramente abbiamo un background di riferimento ben definito che poi è quello che si ritrova anche nel disco. Io ascolto veramente di tutto dalle cose elettroniche al rock, quindi si deve sentire il cuore in quello che si ascolta questa è la cosa fondamentale. In una scaletta radiofonica chi vorreste prima e chi dopo un vostro pezzo? Io ascolto pochissima musica italiana, ma ci sono due band che sono veramente meravigliose. Sono i Perturbazione e i Virginiana Miller, quindi sarebbe bello avere il nostro pezzo tra questi due gruppi che stimiamo tantissimo da molti anni. Quali sono secondo voi le difficoltà che mettono i bastoni tra le ruote, ad una band come la vostra? Cantare in italiano. Problema che sentiamo solo qui, perché nel resto d’Europa si canta in inglese e nessuno si sognerebbe di chiedere ad un gruppo norvegese o tedesco perché non canta in norvegese o in tedesco. E poi i problemi di tutte le band indipendenti, ovvero cercare di inserirsi in circuiti dove esibirsi con una certa frequenza cosa che è fondamentale. È nostro desiderio suonare anche fuori dall’Italia, così stiamo lavorando per delle date a Barcellona per la fine di aprile e speriamo di riuscirci. Contatti: www.happymopyrecords.com Francesca Ognibene Pagina 19 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Ruben Costante, preparato, passionale ed allo stesso tempo metodico, così si potrebbe descrivere Ruben, al secolo Pierfrancesco Coppolella, uno splendido quasi cinquantenne innamorato della definizione “cantautore”, ma che in passato si è misurato anche come chitarrista di una rock band, anche se il suo amore, le sue influenze sono tutti quei narratori di storie, da Bob Dylan a Leonard Cohen, senza però. Il suo nuovo lavoro (“Il rogo della Vespa”), il quarto, ci offre il volto più musicale di Ruben, con canzoni che suonano e vivono, addobbate da numerosi ospiti: Michele Gazich, Veronica Marchi, Francesca Dragoni, John Mario, Laura Facci, capaci di incastonarsi nelle poetica asciutta e romantica di Ruben, mantenendo la propria personalità. Ci racconta tutto lo stesso Ruben. Questo è il tuo quarto album in dieci anni di attività, ma la tua esperienza di musicista inizia ben prima. Puoi presentarti ai nostri lettori. Sono stato attratto dal mondo dei suoni sin da bambino. Da adolescente ho iniziato a suonare la chitarra quasi per caso, prendendo qualche lezione da un maestro di musica che dava lezioni di piano a mia sorella. Di lì a poco mi è capitato di ascoltare “Like A Rolling Stone” di Bob Dylan, sui titoli di coda di un film, e ne sono rimasto folgorato. Da allora ho suonato prima in alcuni gruppi liceali (in uno suonavo funky!), poi in versione one man band, voce chitarra e armonica (mi capita di rispolverarla, ogni tanto), quindi con un trio acustico, poi con una cover band e perfino in un gruppo punk. Insomma, non mi sono fatto mancare nulla. Nel frattempo scrivevo sempre canzoni; con testi in inglese perché quella è la mia cultura musicale. La prima cosa seria con la musica l’ho fatta nella metà degli anni 90 col bluesman Rudy Rotta, scrivendo per lui i testi di due dischi, “Loner And Goner” (in inglese) e “So di Blues” (in italiano). Quindi professionalmente nasco come autore per altri. In “So di blues” ho scritto per la prima volta in italiano e l’esperienza mi ha intrigato a tal punto che da allora non ho più abbandonato il nostro idioma. Nel 2000 ho iniziato il mio discorso artistico come cantautore. Quattro dischi miei, più due da me prodotti registrati dal vivo con altri artisti. Pagina 20 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Ascoltando “Il rogo delle Vespa”, ho notato una crescita notevole ed un’idea diversa – più matura, ma comunque e ricercata - dietro alle canzoni, agli arrangiamenti e al suono. In cosa credi si differisca questo nuovo disco rispetto agli altri e perché hai fatto questa scelta? Tutti i miei dischi finora sono stati un esperimento con la musica e con me stesso. Col primo cd, “Biondo accelerato”, ho cercato di capire in quale genere mi trovavo più a mio agio, o sapevo fare meglio. Per questo motivo quel lavoro è molto variegato, mancando un po’ di un indirizzo artistico definito. Quattro anni dopo ho realizzato”La musa elettrica”, una sfuriata rock registrata live in studio. Lì ho iniziato a focalizzare le idee, abbandonando certi elementi pop presenti nel primo CD, dovuti anche all’influenza del mio co-produttore di allora, Loris Ceroni, in quel genere un vero maestro. Nel 2008 mi sono rinchiuso in un piccolo studio e ho registrato “Da qui non si vedono le stelle”. Mi sono autoprodotto per la prima volta, col risultato di delineare e personalizzare finalmente il mio discorso artistico. Naturalmente come primo disco in studio da me prodotto soffriva di qualche immaturità, troppe sovraincisioni di chitarre nei brani ad esempio. Per “Il rogo della Vespa” sono entrato in studio con le idee chiarissime, avendo anche fatto una piccola pre-produzione, che mi è senz’altro servita. Volevo un suono scarno ed essenziale (ad eccezione del singolo “Schiuma”, discorso a sé), pochi strumenti in ogni traccia, ma molto curati nel suono e nelle parti che dovevano eseguire. Non c’è nel disco una nota o una pausa che non abbia voluto. Credo che sia questo che ti dà quella sensazione di maggior compiutezza rispetto agli altri lavori. Nonostante tu non sia giovanissimo (sorry!), hai compreso perfettamente l’importanza delle nuove forme di comunicazione, per diffondere la tua musica. Sei infatti un frequentatore costante di Facebook e mantieni un costante contatto con i tuoi fan, parlando di musica e non solo. Quali credi che siano i vantaggi e gli svantaggi di questo nuovo mondo musicale globalizzato? Il mio Facebook (mi si trova come Ruben Book) è un po’ il mio club privato, dove attraverso vari linguaggi parlo molto di me. Come anche MySpace, questi nuovi strumenti aiutano senz’altro a diffondere musica che altrimenti non avremmo la possibilità di ascoltare. Attraverso MySpace ho scoperto molti altri cantautori con cui sono nate felici collaborazioni, come ad esempio “Vestito per amare”, un cd tributo a Leonard Cohen. Questi i vantaggi. Lo svantaggio è che si sta un po’ meno con lo strumento musicale in mano. La mia chitarra è molto gelosa perché su Facebook passo anche troppo tempo! Nel citare le tue influenze, sei uno dei pochi musicisti, da cui ho sentito citare non solo i soliti nomi classici (Dylan, Cohen, Cash), ma anche realtà più vicine a noi. Secondo te quindi è ancora possibile stupire, trovare qualcosa di nuovo, anche in una semplice canzone di tre minuti? E secondo te una canzone può ancora creare i presupposti per un rivoluzione, magari anche solo personale? Sono stato influenzato da tutta la musica, non ultimo il rock internazionale e italiano degli anni 90. In questo credo di distinguermi da chi ha per lo più ascoltato i cantautori “storici” italiani (che comunque ho assimilato anch’io: quando ero ragazzo era impossibile passeggiare sulla spiaggia senza incontrare qualcuno che suonasse “Bocca di rosa” oppure “Dio è morto”). Una canzone di tre minuti è sempre una miniera inesauribile di emozioni, ci sarà sempre quella particolare canzone che folgorerà qualcuno. Quella che ascoltai io, di cui ho detto sopra, ne durava addirittura sei, per questo da allora non mi sono più ripreso tanto Pagina 21 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 bene... Scherzi a parte, credo che una canzone possa sempre “rivoluzionare” una persona, cambiarle la vita. Che cambi la società è un po’ più difficile, però noi ancor oggi viviamo su un’onda emotiva partita negli anni 60 con i Beatles, i Rolling Stones, Dylan, Hendrix, i Doors... Hanno segnato un’epoca, cambiato il costume. Forse le strutture economiche rimangono più o meno immutate, ma la cultura cambia il modo di vedere la realtà, e la musica incide molto di più di altre forme artistiche (questa mia ultima valutazione è, chiaramente, di parte...). In percentuale nella scrittura, quanto ti influenzano le vicissitudini quotidiane, quindi emotive, e quelle legate a ciò che ci circonda? Insomma scrivi di cuore o di mente? Cosa ti stupisce a tal punto da costringerti a scrivere una canzone? Le mie vicende strettamente personali non entrano molto nella mia scrittura. Invece, prepotentemente, ci entra la realtà quotidiana, quello che vedo per strada, o sul lavoro, ogni giorno. Penso sempre che la strada sia la mia vera musa ispiratrice. Faccio un giro per il centro, guardo in viso tutte le persone che incrocio e vedo di capire attraverso quelle facce dove sta andando il mondo. Cuore e mente lavorano insieme, però senza un’emozione forte non scrivo proprio. Non ho mai scritto nulla mettendomi “a tavolino”. Melodie che mi vengono in testa di notte, testi appuntati su qualunque cosa sottomano. Sono una persona emotiva e ho imparato a sfruttare la mia emotività a fini “artistici”. Perché qualcuno dovrebbe ascoltare “Il rogo della Vespa” e a chi lo consiglieresti? Domanda spinosa, perfetta per un disco che lo è altrettanto. Credo che questo cd abbia una sua freschezza, data anche dal sound dei brani, e questo ritengo sia già un buon motivo per ascoltarlo. E’ un concept sull’idea della “fine”, declinata sotto vari aspetti in ogni canzone. Lo consiglierei quindi ai curiosi, sia di orecchi che di mente. A chi comunque, anche come ascoltatore, è fuori dagli schemi. Ti sei fatto un’idea del perché, nonostante in Italia, negli ultimi venti anni, ci siano tanti gruppi, tante piccole realtà, tanto amore per la musica, ma non si sia mai formata una vera “scena italiana”, capace di superare le barriere del gregariato e del part-time? Molto amore per la musica da parte di chi la fa, costretto anche ai salti mortali per farla. Il pubblico, invece, si lascia più difficilmente coinvolgere. È già un po’ distratto di suo (non dimentichiamoci che lo Stivale è la terra della buona tavola, più che della musica) poi, anche se è “acculturato” (ovvero segue i concerti, le riviste specializzate), è talmente bombardato da nuovi artisti che nascono come funghi che fa fatica ad affezionarsi. Sono rari gli esempi di artisti emergenti che hanno un seguito numericamente consistente. Per inciso, gregariato e part-time, da te giustamente individuati, sono ormai endemici in tutti i campi del lavoro, a maggior ragione nel campo della musica e dell’arte in generale. Restando sempre in Italia, sinceramente sono stufo della rivalutazione postuma di artisti che andavano sostenuti all’epoca e non ora che sono ultraquarantenni magari disillusi. È triste vedere i teatri pieni con gruppi come Karma e Massimo Volume, gruppi straordinari che venti anni fa avevano aperte nuove strade per il rock IN italiano, ma che venivano in parte snobbati dal pubblico, o almeno non apprezzati per quel che meritavano. Perché - te lo chiedo, perché ti conosco come persona e artista Pagina 22 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 sensibile ed attento - non si riesce mai ad apprezzare le cose mentre succedono? Non tutti gli ascoltatori hanno le antenne sensibili, inutile negarlo. C’è poi un’apatia strisciante, che sta aumentando progressivamente in questo periodo. Le difficoltà quotidiane sembrano sommergere la voglia di conoscere, sperimentare, rischiare, che pure in altri anni in Italia c’è stata. Mi sembra ci sia molta disillusione da parte del pubblico, che una sua fetta di responsabilità comunque ce l’ha. Ce l’hanno anche i media – chiaro – però non buttiamo la croce sempre addosso alla tv che non fa informazione e cultura, così come alle radio e i circuiti dei grandi live che propongono solo i soliti noti. Cerchiamo piuttosto di migliorare le cose dal basso, ché le luci della grande ribalta forse non sono neppure il nostro mondo, cioè il mondo di chi fa musica pensando innanzi tutto alla stessa e non ad altre cose correlate apparentemente più accattivanti. Ognuno ha strumenti a disposizione per migliorare la musica attorno a sé. Per quanto mi riguarda, da cinque anni collaboro con molti musicisti anche perché si abbia una migliore visibilità per tutti noi. Prima o poi questo sforzo a qualcosa porterà. Contatti: www.myspace.com/rubenmyspace Gianni Della Cioppa Pagina 23 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 The Jacqueries L’ascesa dei Jacqueries è una parabola accolta con clamore e sorpresa, forse troppa, o meglio avvenuta troppo in fretta. Giovanissimi esponenti di un indie-rock che mescola le carte in tavola gettate oltreconfine, i Jacqueries esordiscono per l’etichetta indipendente fino al midollo 42 Records. Parliamo di questo entusiasmo generale, e di altro, con Andrea Catenaro, leader degli indie-rockers tricolori con le idee ben chiare in testa. La vostra ascesa è stata indubbiamente molto veloce, quasi vertiginosa. Come vivete questo entusiasmo generale dal punto di vista di giovane band? Siamo molto sereni a riguardo: abbiamo tantissima "fame", voglia di diffondere il più possibile la nostra musica e perciò cerchiamo ogni giorno di crescere e migliorarci. L'entusiasmo generale ovviamente fa piacere, e di sicuro alimenta le nostre ambizioni sempre più, anche se facciamo di tutto per restare fuori da certe cose in modo da continuare a lavorare tranquilli e senza pressioni, come abbiamo fatto finora. La vostra miscela affonda a piene mani nella tradizione pop inglese dei baronetti Davies e dei loro figliol prodighi Blur, condita da una certa attitudine “slacker”, tipico vezzo d’oltreoceano. In verità però, il tratto caratteristico che vi discosta dai derivazionismi è la commistione con elementi più orchestrali, come handclapping e fiati. Un disco si d’impatto melodico, ma premeditato. Come si è svolto il processo compositivo di “Excitement”? Ascoltiamo tante cose, siamo dei veri "nerd musicali" e ci piace mischiare anche cose che tra loro c'entrano poco o nulla: “Excitement” è solo l'inizio di un percorso che ci porterà chissà dove, ne vedrete delle belle: alcuni di noi poi sono fan di certo vecchio pop come Scott Walker, Lee Hazelwood ecc, e ci è sembrato bello aggiungere elementi orchestrali ai nostri pezzi. “Excitement”, come ogni primo album, è un po’ il best of di tutto ciò fatto dai Jacqueries dalla nascita fino ad oggi; molti dei pezzi partono da mie idee che poi vengono sviluppate insieme, ma nel disco ci sono anche pezzi di Alex (Germano, basso e cori, Ndr) e Pagina 24 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Marcello (Newman, chitarra e cori, Ndr), e in ogni caso tutti partecipano al processo di scrittura, anche per quanto riguarda i testi (all’appello manca solamente Giorgio Ruzziconi, batteria, Ndr). Cosa vi ha spinto ad accasarvi con la 42 Records, l’unica (non) etichetta italiana ad aver capito che internet non è solamente un giochino ed un covo di scrocconi musicali? La 42 Records ci ha subito fatto capire di credere nel progetto Jacqueries: Emiliano Colasanti è entrato in studio con noi per le sessions di “Excitement” senza quasi pensare al fatto che il disco sarebbe potuto uscire con la sua etichetta, ma lo avrebbe fatto comunque. Anche noi poi crediamo nella potenza del web e siamo quindi perfettamente in linea con questa tendenza dell'etichetta a pubblicizzare i propri gruppi attraverso la rete. Nel vostro caso vien da pensare ai bergamaschi The Record’s, per attitudine e respiro internazionale, piuttosto che per affinità di stile e genere. Quanto il vostro occhio è rivolto all’estero? L'estero è una possibilità: la maggior parte della musica che ascoltiamo non è italiana e siamo consapevoli del fatto che fuori ci sarebbero più possibilità per un gruppo come noi, ma per ora ci proviamo qui, sarebbe bello riuscire a capovolgere la tendenza che qui in Italia solo chi canta in italiano ha la giusta visibilità: l'estero poi significherebbe cambiare vita, e forse siamo ancora troppo giovani per pensarci: tuttavia non escludiamo nulla, neanche l'idea di cantare in italiano in un futuro. Con i già citati, per l’appunto, condividete anche la scelta della lingua anglosassone per i vostri testi. Secondo voi è una via più semplice alla melodia, oppure una scappatoia dal fardello che tormenta buona parte delle band italiane, ovvero l’affrontare la difficoltà di musicare testi in madrelingua? Per noi l'inglese è una scelta decisamente più facile rispetto magari ad altre band nostrane, visto che due di noi sono madrelingua, ma sono vere entrambe le cose che hai detto: l'inglese è una lingua più melodica e che sicuramente più si adatta a quello che suoniamo, ma è altrettanto verissimo che riuscire a risultare credibili cantando in italiano è una cosa che riesce a pochi, e noi ancora non abbiamo sentito l'impulso di metterci in gioco con questa lingua. Qual è il vostro background musicale, ovvero i gruppi che vi hanno tenuto fasce fino allo svezzamento di “Excitement”? Diciamo che certo indie rock made in USA, Pixies e Pavement in primis,ma anche Dinosaur Jr, Guided By Voices, Sonic Youth è ciò che accomuna un po’ tutti i Jacqueries: però come ti dicevo siamo abbastanza "onnivori": Alex e Marcello vanno matti per il rap, io e Giorgio siamo più cresciuti con certo britpop ( Oasis e Blur principalmente): metti poi un po’ di elettronica, il pop degli anni 60, strane cose come la dance anni 90 e il pop da classifica, e il gioco è fatto! E' da dire però che i Nirvana, come per molti della nostra generazione, sono stati tra i motivi principali che ci hanno spinto a cominciare a suonare e a mettere su il gruppo. Finalmente un gruppo che non ha vergogna di nascondere la propria ispirazione Pagina 25 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 riguardo ai Nirvana, senza relegarli ad una semplice sbandata giovanile. I Nirvana ci hanno ispirato e continuano ad ispirarci. Il connubio tra rabbia e melodia, prerogativa dei Nirvana, è ciò che tuttora i Jacqueries cercano quando scrivono una canzone. Proprio qualche giorno fa pensavo a quanto il songwriting di Kurt influenzi ancora oggi in modo assurdo la mia scrittura: “In Utero” ci ha cambiato la vita e soprattutto ha fatto da ponte tra quello che ascoltavamo prima e gruppi che, tra i nostri ascolti, sono venuti dopo, come i Pixies e i Sonic Youth: Kurt in un certo senso ha fatto conoscere alla generazione di MTV quella che è la vera musica e noi non smetteremo mai di "ringraziarlo" Contatti: www.myspace.com/thejacqueries Luca Minutolo Pagina 26 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Atomika Kakato Old Wave Prophets Lo Scafandro Profeti della “old wave” con una passione per quella new wave che da tempo ci auguriamo possa diventare finalmente ciò che dovrebbe essere: un codice peculiare e ricco di possibili agganci all'attualità, ma comunque un momento della storia passata, svincolato da corse ai trend ormai sfilacciate e prive di (pochi, comunque) guizzi. Gli Atomika Kakato sembrano per l'appunto muoversi in una direzione opposta ai desideri di cui sopra ma, vuoi lo spirito non del tutto serio e pure un po' goliardico che sottende l'operazione, vuoi il fatto che tra gli scopritori del quartetto ci sia Fabrizio “Taver” Tavernelli, uno che si è sempre divertito a instillare un po' di sano dadaismo nel panorama musicale del nostro paese, vuoi il fatto che i Nostri si siano immedesimati nelle suggestioni che abitano il disco con un misto di venerazione per gli originali e di sana iconoclastia nei confronti di classici ancora più classici (si veda la divertente cover di “Hello I Love You” dei Doors, con una assurda citazione di “Quattro amici al bar” di Gino Paoli), non riusciamo a liquidare il progetto con una alzata di spalle. Le canzoni degli Atomika (chiedo venia se faccio fatica a scrivere il nome per intero) sembrano uscite da un disco dei Duran Duran del 1983 con Simon Le Bon e soci presi da una inaspettata fregola art rock, e sono indubbiamente piacevoli. Difficile considerarlo più di un divertissement ma, all'interno di questa specifica categoria, “Old Wave Prophets” merita senz'altro un occhio di riguardo. Contatti: www.loscafandro.it/category/atomika-kakato Alessandro Besselva Averame Pagina 27 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Albedo Il male
 autoprodotto

 Rock melodico italiano. Classico. Ma mai come in questo caso la particella “indie” sarebbe più che legittimata a precedere le coordinate musicali di genere. Anzi, verrebbe da aggiungere, che forse solo in questi casi ha veramente senso citare l'“indipendenza”. Perché gli Albedo alle spalle non hanno né casa discografica né distribuzione: si sono rinchiusi al Transeuropa di Torino a proprie spese e ne sono usciti con questo concept-album sul male che mai farebbe pensare a un'autoproduzione dato l'ottimo risultato raggiunto a livello sonoro e per il prezioso e curatissimo packaging che confeziona queste dieci canzoni. Anche dal punto di vista musicale è subito evidente quanto gli Albedo abbiano le idee chiare in merito, facendo intuire una buona esperienza alle spalle. La loro formula muove su semplici ma riuscite trame rock, alternando momenti più vigorosi ad altri più quieti, che grazie a linee melodiche incisive e crescenti danno vita a brani ben costruiti e di facile presa. Solo in pochissimi casi si sfiora un po' troppo la faciloneria occhieggiando a derive mainstream (ci vengono in mente i Misto Nocivo); rischio questo che però viene subito esorcizzato da una profondità artistica molto più costante e dalle ricercate e suggestive liriche mai banali che caratterizzano ogni traccia. Canzoni come “Cemento e gelosia” ed “Esistono ancora i pescatori?” non farebbero sfigurare affatto gli Albedo a fianco di band apprezzate come Virginiana Miller, Valentina Dorme e Perturbazione, anzi. Avanti così. Contatti: www.myspace.com/effettoalbedo

 Andrea Provinciali Pagina 28 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Babaman Raggasonico Oblio/Universal Un talento decisamente da seguire: lo avevamo pensato già all'epoca della conversione ragga di Babaman (nasce infatti come MC più tradizionalmente hip hop), lo ribadiamo con forza ora che con “Raggasonico” sancisce definitivamente i confini della sua personalità lirica. L'uso della voce è prettamente ragga, con tanto di routine ben note (sugli accenti, sulla respirazione, sulla graffiatura della voce...), ma ciò che rende il nostro davvero interessante va da ricercare, appunto, nelle sue radici: la scrittura dei testi infatti è decisamente sopra la media del cantante ragga standard, più complessa, più immaginifica, più avvolgente, più intelligente; merito, saremmo pronti a scommetterlo, degli anni passati nelle paludi del rap, lì dove la costruzione di frasi ed immagini la fa da padrone, molto più che nelle musiche più prettamente giamaicane e comunque basandosi su luoghi comuni semantici differenti. Babaman fonde perfettamente i pregi dei due mondi, diventando così uno dei personaggi più interessanti da sentire al microfono nel variegato (numericamente, più che stilisticamente) mondo della musica giamaicana in Italia. Non male neanche la parte musicale; non all'altezza forse in quanto ad originalità della voce guida, ma pure lei non troppo banale e prevedibile, con qualche colpo ben assestato. Bomboclat, stavolta per davvero. Contatti: www.myspace.com/uraganobabaman Damir Ivic Pagina 29 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Carneìgra Fumatori della sera autoprodotto/Wondermark Un percorso di ibridazione folk-rock è la cifra del gruppo dei Carneìgra, giunto al terzo lavoro discografico e assestandosi, dopo svariate incarnazioni, nella formazione in trio acustico: Emiliano Nigi, Antonio Ghezzani e l’ex Snaporaz Matteo Pastorelli. Quando si è in compagnia di un affollata pletora di musicisti che smerciano “musica mediterranea”, bisogna distinguersi per qualche maniera. I Carneìgra lo fanno per la ricercatezza timbrica – corde, corde e ancora corde, mandole, mandolini, ukulele, chitarre acustiche, classiche ed elettriche (poche) – e per una schietta semplicità artigianale, per la teatralità sorridente del cantante Emiliano Nigi. Forse non a caso i Carneìgra appartengono alla scoppiettante scena livornese (ascendenti nobili: Piero Ciampi e Nada), che condividono con Luca Faggella, Virginiana Miller, Bobo Rondelli e Ottavo Padiglione... Coprendo un’escursione che va dal recupero popolare al crisma cantautorale, la scaletta mostra qualche debito ora a Capossela (“TVB”, “Batticuor”: “senti come batte il batticuor”), ora al lirismo circense di De Gregori che declina verso scorribande polverose degne di Conte (“L’acrobata”), ora ancora al teatro canzone, alla canzone ironica, ad arie levantine e suggestioni elleniche. Filastrocche minimaliste, ballate folk, strofe cantate sommessamente ai lati della strada, di notte, quando le idee di complicano un po’: i “fumatori della sera” dei Carneìgra sono sogni, come “mollica di vita” tra le zampe delle cavallette. Contatti: www.carneigra.it Gianluca Veltri Pagina 30 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Dimartino Cara maestra abbiamo perso Pippola/Audioglobe Che la scena degli anni Zero sia vivace, non lo scopriamo noi oggi. Il tempo saprà dare il giusto valore a questa covata cantautorale. Intanto registriamo un debutto, il levarsi di una nuova voce, quella del palermitano Antonio Di Martino. Immediatezza melodica e elettricità wave, nel solco di una fortissima continuità con la canzone italiana, Di Martino, foggiato in copertina come un infante Bonaparte, è un urlatore. L’attacco fa impressione, perché “Cercasi anima”, la prima traccia, ci porta proprio assai vicino a Rino Gaetano – sempre più evocato dai giovani songwriter – ma poi il ritornello vira, semmai, verso Ivan Graziani. E insomma, la tavolozza coi colori e le tonalità è già bella e aperta. “Ho sparato a Vinicio Capossela” dà conto di un’attitudine surreale presente nella vena del giovane cantautore. L’elettrica “Cara maestra” è tra punk e new wave, e così pure la rilettura di Luigi Tenco, omaggiato in “La ballata della moda” con l’aiuto del mentore Cesare Basile, padrino del debutto in veste di produttore artistico. Nell’ottima “Parto”, canzone ai tempi dei licenziamenti dei metalmeccanici, Di Martino è in compagnia di Vasco Brondi, del quale condivide certo immaginario – gli occhiali neri di Pasolini, le fabbriche, i palazzi. Come una spuma sparsa sulle canzoni, una ricerca di soluzioni, anche sonore, di stampo vintage, certo invogliata o facilitata anche dagli studi in cui l’album ha visto la luce, le Officine meccaniche. Per questo forse “999” ha un ritornello che sa di Loredana Berté. Il tono fondamentale dell’album è quello, un po’ naif, di un’innocenza che non c’è più, non soltanto personale, ma soprattutto complessiva, inter-generazionale. Di un difetto di personalità (“siamo carte senza identità”), di occasioni perdute. Aspettiamo Di Martino alle prossime prove, quando anche la sua identità avrà acquisito un’impronta più spiccata. Contatti: www.myspace.com/dimartinoband Gianluca Veltri Pagina 31 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Ettore Giuradei La Repubblica del Sole Mizar-Novunque/Self “Sarà la limpida Repubblica del Sole, Stupido, non ridere, perdonami...”. Aprendo con i versi della title track del suo nuovo album, ritorna in sella al filo sottile, fantasmagorico, delle sue liriche, per cavalcarlo fino in fondo nella prova che conferma le sue validità, e varietà, autoriali, interpretative, e musicali, l'ormai trentenne Ettore Giuradei. Mai età poteva essere più sintomatica di raggiungimento di maturità e personalità difficilmente dimenticabili e confondibili nel panorama musicale italiano. Con la sua “La Repubblica del Sole” arriva a conclusione del percorso che anche su queste pagine è stato avvistato, segnalato, e atteso con entusiasmo a partire dai precedenti “Panciastorie” ed “Era che così”; verso questo chansonnier dei nostri tempi, che di quella corrente storica e passionale ha prima di tutto le caratteristiche di origine interpretative: il teatro, virato e macchiato nel comico. Ma ben si sa come quell'ironia, quella necessità di comunicazione comica, nasconda lo sguardo di chi sa osservare, elencare ciò che appartiene all'oggi e al giorno. E questo fa il bresciano d'origine, arrivato a essere vagabondo “sovvertitore impegnato del pop”, come si legge dalla sua pagina Web: annotare e consegnare il suo sguardo verso il mondo. Mantenendo compatta la ciurma che fin qui l'ha condotto, il vento in poppa, si avvale ancora una volta del piano del fratello Marco, con Danilo Di Prizio alla chitarra, Alessandro Pedretti alla batteria e Domenico Vigliotti ai suoni. “Se mi andrà bene ti amerò per sempre, se mi andrà meglio morirò per te”, echeggia da “Eva” il cuore nobile di Giuradei, in una sequenza di brani, dieci, che mantengono la fortunata non scelta a una sola timbrica tipologica, spaziando come dimostrano i versi di dissacro impegnato di “La Repubblica del Sole”, e quelli vibranti d'impegno di “Paese”: “L'odore di vergogna, che sembra lavorare, è l'unico rimasto, e non s'è mai staccato, ti tira su la schiena, non è per lavorare, sognare la sirena e smetter di scappare”. Come non si evita, senza falsi pudori, di parlare d'amore, e sue rotte inesplicabili, così da rivolgersi alla vita, come insegnano la già citata “Eva”, e “4 Matrimoni”. Ti entra dentro “Sensazioni”, scavandole e tirandole fuori dai labirinti di ognuno, con la potenza della melodia che esplode generosa e tormentata. Chiudendo con la polka-mazurka-valzer di “Macchinina cocaina”: “La platea è pronta, il cinese guarda e gioca, gioca a Jackpot”, dimostra di ricondurci all'oggi, con il sapore di presente che deve avere, carica di salsedine del mare solcato, un'avventura capace di riscoprire le verità del cuore e dell'animo dell'uomo, che, invitato a scoprire le chitarre solitarie, ingraziate dal piano, e dal pieno degli strumenti, che si aggiungono, per rimanere, forti, troverà un nuovo menestrello d'Italia e non solo, pronto a salpare presto verso un nuovo viaggio. Contatti: www.ettoregiuradei.it Giacomo d'Alelio Pagina 32 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Father Murphy No Room For The Weak Boring Machines
 Partiti come cultori di un mix di pop alla Syd Barrett, slow-core americano e folk, i Father Murphy si sono poi evoluti personalizzando il proprio percorso fino ad arrivare alla rivoluzione copernicana di “...And He Told Us To Turn To The Sun”. Quest'ultimo, eretica illuminazione sulla via di Michael Gira e dei suoi Swans – per lo meno nelle intuizioni generali – sospesa tra apocalittico ed essenziale e col timone ben orientato verso il mercato americano. La naturale conseguenza è stata un'attività live prevalentemente extra italiana, tanto succosa da portare il gruppo a condividere il palco con artisti del calibro di Deerhoof e Xiu Xiu, farlo finire nel roster della Aagoo Records per il mercato estero e permettergli di costruirsi una credibilità solida nell'ambiente indipendente. Il qui presente EP “No Room For The Weak” non fa che confermare l'universo ossessivo del disco precedente, con quattro brani missati da Marco Fasolo dei Jennifer Gentle in bilico tra tribalismi, droni, psichedelia e distorsioni fangose. Se possibile, in una versione ancora più estrema e senza compromessi rispetto al recente passato, vicina al fluire deregolamentato di una Carla Bozulich ma anche rispettosa dei caratteri fondanti del suono del gruppo. Alla fine tutto funziona come dovrebbe, compresa l'irriconoscibile e claustrofobica “There Is A War” di Leonard Cohen posta in chiusura a mo' di pietra tombale. Contatti: www.myspace.com/reverendmurphy Fabrizio Zampighi Pagina 33 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Fauve! Gegen A Rhino Namegivers’ Avenue Tannen A distanza di pochi mesi (ne avevamo parlato nel numero estivo) torna il trio di giovanissimi pistoiesi Fauve! Gegen A Rhino con un mini-album di otto brani e tanta voglia di sembrare gli Stereolab. Il bello è che ci riescono. Il dubbio è che magari speravano in qualcosa di più, qualcosa di diverso che al momento non hanno ancora saputo afferrare. La scaletta, per quanto breve, scorre meravigliosamente e si presta a ripetuti ascolti, conoscendo numerosi momenti brillanti che si fanno pure notevoli in un paio di occasioni (“A Bridge For The Sky” e soprattutto “A Factory”). Purtroppo, per loro implicita ammissione, che si tratti di riverberi sonori o di fini e sarcastiche cogitazioni, si ha la netta impressione di avere già sentito altrove gli stessi suoni minimali, le stesse crescite senza valvola di sfogo. I F!GAR (anche il loro acronimo ne ricorda altri) sono ottimi studenti, di quelli che si capisce fin da subito che al posto di farsi le pippe sul web, hanno impiegato del tempo ad ascoltare dischi per trarne giovamento ed ispirazione (salvo poi rinunciare ad ore di sonno per farsi le pippe sul Web). Andrea, Matteo e Riccardo, hanno appreso i testi ed hanno sicuramente grandi teste (non si spiegherebbe altrimenti la deliziosa “Have U Ever Asked Yourself...”), ma se in futuro ci mettessero anche il sangue e le palle, non sarebbe male. Se non altro, per evitare che anche le future recensioni si debbano ridurre a spiegare il significato del monicker e sciorinare paragoni impegnativi, dalla scena kraut fino al post-rock. Contatti: www.myspace.com/fauveisaband Giovanni Linke Pagina 34 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Gionata In nove mosse Hansia/Nenieritmiche Più di dieci anni di carriera, ormai, per il ticinese (nel senso di svizzero italiano) Gionata, una carriera all'insegna di un cantautorato a tratti stralunato, a tratti intimista, a tratti sfacciatamente (e ludicamente) pop, iniziata ufficialmente nel 2001 con la pubblicazione di “Mi sono acceso”, prodotto da Gianni Maroccolo. “In nove mosse” conferma il talento di un personaggio che probabilmente non ha raccolto consensi adeguati pur producendo musica di buon livello, ovvero canzoni lievi e ironiche bilanciate al meglio tra tecnologia e classicismo, un equilibrio che funziona nel migliore dei modi anche qui. Per comprendere al meglio l'eclettismo del cantautore basta ascoltare “Di più”, con quegli inserti techno-psichedelici che vanno a braccetto con una leggerezza degna di Max Gazzè, mentre “Credo in Dio” è una stranissima e affascinante creatura che parte da Claudio Rocchi, passa per Daniele Silvestri e approda ai Baustelle. Ma tutti questi nomi rischiano di sminuire l'originalità di canzoni che hanno, al di là dell'eclettismo, della varietà delle vesti e dell'acume, una caratteristica fondamentale e decisiva: sono appiccicose, entrano in circolo subito e hanno la capacità di venire assimilate immediatamente. Non possiamo far altro che ribadire il talento del Nostro, e augurarci che sempre più persone entrino in contatto con le sue canzoni. Difficile pensare che non si lasceranno catturare. Contatti: www.gionata.net Alessandro Besselva Averame Pagina 35 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Gr3ta Gr3ta Bagana/Audioglobe Tutte le canzoni del secondo disco a nome Gr3ta hanno il 3 al posto della lettera "e". Verr3bb3 da scriv3r3 una r3c3nsion3 acc3ttando le r3gol3 del loro gioco, ma mi s3mbra una punizion3 3cc3ssiva p3r i coraggiosi l3ttori, forse ancora più che ascoltare questo elettro-rock che da un lato strizza l'occhio a qualcosa di "up" (Aphex Twin, Massive Attack, Peter Gabriel, Nine Inch Nails, Depeche Mode), dall'altro scade in un becero qualunquismo da "industriale" di massa al cui confronto Marylin Manson diventa purissimo "high-brow". Avendo già delineato con chiarezza le coordinate musicali restano due possibilità. 1: Chi ama le sonorità oscure dark e post-punk (insomma, quel grande novero di nostalgici che non è ancora uscito dagli anni Ottanta) può apprezzarne l'eclettismo, il tentativo di tenere il piede in più scarpe per non apparire troppo monolitici e ancorati ad un solo immaginario e la forza tellurica di questi arrangiamenti molto "docks". 2: Chi è ideologicamente contro questo tipo di musica non dovrebbe nemmeno avvicinarsi. Non ne ha il motivo. Si tratta del "nemico". Stimabile. Bravissimo (perché sì, i Gr3ta sono bravi, e pur "votando" per la mozione 2, trovo che una canzone come "Hot Spot" meriti a prescindere: forza, costruzione, epica). Futuribile. Degno di esistere. Ma sempre nemico. Si tratta di una scelta politica: chi sceglie, starà dalla (sua) giusta parte. Contatti: www.gr3ta.com Hamilton Santià Pagina 36 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 GuruBanana Karmasoda Shyrec L’immaginario di Andrea Fusari impreziosito, tradotto, arrangiato dall’estro creativo di Giovanni Ferrario. Due autori di canzoni che si erano trovati già bene insieme nel 2008 quando ha visto la luce l’esordio omonimo accolto e prodotto da Macaco. “Karmasoda” uscito alla fine di gennaio per Shyrec ci pone di fronte a un buona seconda prova. Sarebbe difficile riportare qui tutti i nomi che vengono in mente ascoltando queste canzoni; potrebbe invece essere più interessante concentrarsi sulle emozioni. Una ballata come “Talking On Numbers” potrebbe cambiare i giorni tristi e definirli, esorcizzarli e renderli il passato. “Monochrome Elvis” è una commistione reggae rock che la cantante ospite Isabella Mondini rende new wave, abbracciando una tranquillizzante melodia rock. Le direzioni sembrano tante ma solo apparentemente. È un disco più elettrico rispetto al precedente, ma è aumentata l’intesa musicale tra Fusari e Ferrario e quindi c’è più compattezza; e se la mano di Giovanni, arrangiatore esperto, si sente, notiamo il talento di Andrea che proprio Giovanni aveva spinto a scrivere canzoni sue invece di dedicarsi agli Impossible Blues, cover band di blues. I testi dei GuruBanana, quasi tutti scritti da Andrea, sono molto amari e malinconici a volte claustrofobici, senza speranza e con tante delusioni da dimenticare. Testi adattabili a ciascuna delle nostre vite, qualche volta, ma la melodia che accompagna le parole cerca di fuggire verso nuovi lidi magari più caldi e avvolgenti. Chissà che i GuruBanana del futuro non facciano dell’ironia il loro manifesto, ma ci piacciono anche così. Contatti: www.myspace.com/gurubanana1 Francesca Ognibene Pagina 37 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Il Club dei Vedovi Neri Dodici storie nere C.P.S.R. Produzioni/Venus La musica come racconto, attraverso le note ma anche (soprattutto?) attraverso le parole: questo l'intento del Club dei Vedovi Neri, formazione nata dall'incontro tra un polistrumentista, Claudio Brizi, e un cantautore, il milanese Francesco Casarini: un duo attorniato da un team più o meno variabile di musicisti, tra i quali Davide Barbatosta dei Nobraino alla tromba in alcune canzoni. Una ragione sociale che mette subito in evidenza il taglio noir dato al repertorio, costituito da murder ballads che non intendono riprendere pedissequamente i codici della tradizione folk anglo-americana, ma cercano di applicarli alla tradizione cantautorale della penisola. I risultati non sono rivoluzionari né vorrebbero (o dovrebbero) esserlo, e la scrittura vuole essere il più possibile semplice e lineare senza per questo motivo perdere in sottigliezza poetica, e il risultato finale è assolutamente degno di attenzione. Vengono in mente nomi e volti della nostra tradizione, e non mancano le assonanze con il nostro cantautorato più “letterario”, veicolate da una vena vocale e compositiva autenticamente comunicativa e oseremmo dire schiettamente “rurale”, abbastanza eclettica da colorarsi di spezie (le percussioni di “Lungo il fiume”, il blues in minore de “Il giorno di una rosa”). Dodici episodi di buon artigianato popolare, in buona sostanza, ispirati e privi di fronzoli come ogni murder ballad che si rispetti. Contatti: www.vedovineri.it Alessandro Besselva Averame Pagina 38 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Kipple The Magical Tree And The Land Of Plenty I Dischi del Minollo L’obiettivo principale della label indie I Dischi del Minollo è quello di pescare dal sottobosco indipendente italiano, le realtà più piccole, oscure ed ancora incontaminate dal grande minestrone sotterraneo italico. Dal suo cappello, a questo giro, escono fuori i Kipple, trio di stanza a Bologna, invischiato nelle nebbie shoegaze e pulsante di beat elettronici, dalla cui commistione vengono generati paesaggi post-rock a tratti inediti e colmi di cli-max emozionali. Di “The Magical Tree and The Land Of Plenty” stupisce soprattutto la formula, priva di batterie fisiche, sostituite da beat lievi difficili da scorgere sotto la fitta coltre di chitarre in riverbero e voci effettate. Tutto questo infonde alla totalità del disco un alone sognante e narcotico, come i migliori Cocteau Twins ci hanno viziato, adagiandosi lieve sulle tessiture pop, come nella soavità di “Brandon” o nell’incedere circolare ed ipnotico del singolo apripista “Baby Kisser, Baby Killer”. Un sogno ovattato che si snoda in otto tappe, in cui piccole imprecisioni ed alcuni frangenti di ostentata “etereità”, dimostrano comunque un ottima originalità di fondo, di cui “The Magical Tree And The Land Of Plenty” è un abbozzo di spunti ed atmosfere che fungono da solide basi per la costruzione di qualcosa di ben più grande e fantasioso. Caratteristica e peculiarità che speriamo possa svilupparsi, più sicura e carismatica, in un futuro non molto prossimo. Aspettiamoli. Contatti: www.myspace.com/kippleband Luca Minutolo Pagina 39 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 La Claque di Dafne LA CLAQUE DI DAFNE Drei Audiolabstudio A metà degli anni 90 il rock italiano “era come l’universo: in espansione”; si raccoglievano i primi frutti di tutto quanto coltivato nel decennio precedente: professionalità, maturità artistica e un pizzico di consenso commerciale. Anche l’underground romano, storicamente poco vivace, viveva allora una primavera particolarmente rigogliosa. Tra i gruppi di quel periodo il quartetto de La Claque di Dafne lasciò un unico segno, breve ma indelebile: “Fonetica libera trance” (FTS, 1996), un mini-CD degno di essere annoverato tra i migliori prodotti della new wave italiana di sempre. Quel disco avrebbe dovuto essere il preludio a qualcosa di speciale; non dico a una carriera di gloria e di culto – che in Italia è fatto straordinario – ma quantomeno ad un lavoro sulla lunga distanza degno del prelibato antipasto. Non fu così, perché la band si sciolse come neve al sole. È passata una dozzina d’anni: i ragazzi di un tempo sono uomini navigati e ripensano con entusiasmo a quando insieme calcavano i palchi dei locali sotterranei. Ed eccoli di nuovo insieme, a rimetter le mani ai vecchi spartiti e a risanare l’ispirazione di un tempo. Ed ecco finalmente l’album agognato, “Drei”, emozionante e intenso così come i fan se lo sarebbero aspettato allora. E non è per partito preso o per nostalgia dei tempi passati se il cd continua a girare nel lettore, fin quando tutte le note e tutte e le parole non rimangono impresse nella testa. Piuttosto perché brani come “Ego in Arcadia” e “Activist” è difficile staccarseli da dosso: la voce così intensa ed espressiva di Emiliano e i suoi testi così raffinati e visionari, le eleganti chitarre di Gabriele, le dinamiche di gruppo incalzanti e nette come fendenti; incredibile che ancora oggi sia possibile scrivere canzoni così semplici, immediate, cariche di emotività, di forza espressiva, di decadente lirismo. Contatti: www.myspace.com/laclaquedidafne Fabio Massimo Arati Pagina 40 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Laradura Senza fine Red Birds/Audioglobe Laradura è una band al cento percento mediterranea, fondata nel 2005 dai siciliani Luca Li Voti (chitarra e voce) e Gaetano di Giacinto (batteria), dal calabrese Andrea D’Urzo (basso) e dal sardo Valentino Pirino (chitarra), che si definiscono “quattro anime provenienti da terre calde, calde come il suono che ripropongono; suoni dilatati, parole che lasciano spazio all’immaginazione, musica a cuore aperto”. Il primo passo era giunto con l’autoprodotto “...Dal tramonto all’alba” del 2007, un concept che richiamava appunto le varie fasi di una giornata attraverso sei canzoni. Realizzato al Loto Studio, “Senza fine” mette senz’altro in luce buoni propositi: dalle registrazioni effettuate con efficacia in presa diretta ai testi, scritti in italiano e lontano da banalità a presa rapida (“Notte verde” è ripresa da una poesia di Federico Garcia Lorca). In realtà, la cura degli intrecci sonori, sia elettrici sia acustici, va di pari passo con aperture maggiormente rock: i nove brani in scaletta, del resto, sono spesso articolati e assecondano apprezzabili variazioni di andamento (dall’iniziale “Andate in pace” a “In ombra” e “Chiaroscuro”, che oltrepassano i sei minuti di durata). Oltre alle vere e proprie canzoni, che convincono meno nelle parentesi filo-recitate, segnaliamo tre strumentali niente male (“Tony Cascella”, “Arpeggino” e “Ritorno al vento”). Si può ovviamente lavorare per affinare la formula e accentuare il coefficiente di personalità. Ma l’avventura è appena all’inizio. Contatti: www.myspace.com/laradura Elena Raugei Pagina 41 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Le Fragole La piccola enciclopedia del bosco vol. 2 autoprodotto Le Fragole di Marco Tascone & friends proseguono il loro viaggio di formazione nel bosco. Il romanzo della crescita per il gruppo di Borgo Panigale passa da altre ben 22 stazioni, quante sono le tracce del volume secondo. E stiamo sul limitare: tra la freschezza, la grazia e un disarmante abuso di naiveté. Tutto il percorso è condotto su questa striscia che separa la benefica brezza di una gioventù ingenua, felice d’ogni sorpresa (da una parte) e l’eccesso di candore e didascalismo, la scorciatoia della basicità (dall’altra). Quando l’equilibrio si compie, i dolori del giovane Tasco sono un piacere per le orecchie, un concentrato positivo, musica del sorriso, poetica della giocosità. Anche quando si cantano le sofferenze dell’amore (“Chi ama soffre”, “L’amore non corrisposto”) e l’ambivalenza della vita (“b/n”, “Niente è tutto”). “E il sole splende anche per me”, con le ironiche chitarre hendrixiane, ha un tiro alla Alberto Fortis; l’incantevole “Romanzo” è una canzone delicata e adulta nelle corde di un Battiato. In “Domenica” vengono scandite le sette note (“DOmenica REspingerò chi MI scriverà ecc.”), nascoste dentro le parole di due versi: davvero grazioso. Come si diceva, i risultati, sebbene in generale stimolanti e simpatici, sono alterni. Immediatezza beat in “Così bella”, archi baustelliani per “L’amore non corrisposto” e atmosfere cocktail da film anni 70 in “Sono indeciso” (testo imbarazzante). Anche però una tendenza alla logorrea e qualche idea non proprio originale o lapalissiana: il ritornello di “Ragazzi di sobborgo” è indeciso tra Pasolini e Pezzali. Rischi della “leggerezza” senza pregiudizi. Insomma la soglia rossa è quella che fa sconfinare la semplicità nella facilità. Il CD è nettamente diviso in due parti, come i vecchi vinili: la prima è luce, la seconda è (più) ombra, le “fragole nere”, per quanto possono essere ombrose le Fragole. Contatti: www.lefragole.net Gianluca Veltri Pagina 42 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Luciano Maggiore - Francesco Brasini Chàsm Achanès (Huge Abyss) Boring Machines Un'unica traccia per quasi trentasei minuti di musica. Un'immersione interminabile in un’ambient dilatata, sospesa, monumentale e lentissima. A dar vita a questo “gigantesco abisso” Luciano Maggiore e Francesco Brasini, rappresentanti di quell'area elettronico-concreta bolognese in cui, tra i tanti, rientrano anche Stefano Pilia e Dominique Vaccaro. Quest'ultima attratta dal lavoro sui nastri magnetici, dalle textures, dal confronto tra musica e spazio acustico, in una mescolanza di performance artistica e indagine contemplativa. In “Chàsm Achanès (Huge Abyss)” (registrato in presa diretta presso l'Officina 49 di Cesena) si va avanti per accumulazione, partendo da un suono ripetuto a oltranza che assomiglia alla sirena di una nave e passando per un ribollire di pseudo-feedback che inizialmente fa da cornice per poi prendere il sopravvento. Nella totale assenza di particolari ritmici canonici, senza un climax che dia alla musica una destinazione precisa e rapiti da un senso di spaesamento che fa dell'attesa il solo canone interpretativo possibile. Un'architettura in bilico tra macchine e chitarre definita dalla continuità dei suoni, dalla coerenza dei timbri e dallo sviluppo di un fluire difficilmente etichettabile. Contatti: www.boringmachines.it Fabrizio Zampighi Pagina 43 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Majakovich Man Is A Political Animal By Nature Anti.Dot/Goodfellas Rock robusto e contaminato? Per quanto un po' vaga, una definizione di questo tipo crediamo possa agevolmente fare al caso di chi voglia farsi un'idea sommaria del territorio in cui si muove questo terzetto. Una band dal sound compatto, i Majakovich, una compattezza e una potenza di tiro messa a punto e assecondata nel migliore dei modi da Giulio “Ragno” Favero al Blocco A: una garanzia, insomma, per chiunque ami i suoni pesanti e ragionati. I riferimenti all'interno delle singole canzoni vanno da uno stoner che si muove in direzione rock'n'roll (sarebbe ipocrita non riconoscere parentele con i Queens Of The Stone Age in “I Could Take A Light”, posta in apertura) ad un post-hardcore affilato e denso nelle tessiture (“Leonard's Smile (Part One)”, che punta in direzione At The Drive-In), passando per un la title track che pare omaggiare, rileggendolo alla luce della modernità, certo hard rock d'antan, e approdando, ai margini estremi, ad uno spazio concesso senza compromessi alla pura sperimentazione sonora (i field recordings spiazzanti de “L'era della massoneria”). Queste le direttrici di un disco che fila liscio come l'olio sui binari che si era prefissato di percorrere fin dall'inizio, un lavoro ispirato e solido, ancora un po' ancorato ai riferimenti ma di grana pregevole. Contatti: www.myspace.com/majakovichterzet Alessandro Besselva Averame Pagina 44 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Maria Lapi Ignote melodie Effettonote/Edel Arriva da Milano, ma scorrendole nelle vene sangue pugliese, messo in evidenza dai suoi colori mediterranei sia di lineamenti che di timbriche e sonorità musicali, la giovane cantautrice Maria Lapi, accompagnata da un tenue e intelligente utilizzo del mezzo web, con sito, Facebook, MySpace, a suo tempo anche diario Splinder, quello dell'uscita nel 2008 del suo primo singolo, “Luna nascente”, per l'Effettonote di Mattia Panzarini. Ha continuato a credere in lei, Panzarini, a questo giovane avvocato, che, tentata anche la strada della magistratura, ha deciso invece di deviare rivolgendola alla musica, quella che aveva iniziato a frequentare fin da giovanissima, tramite i tasti di un pianoforte, per fare il salto di qualità creativo proprio quando iniziò a brandire la sua chitarra e a comporre testi e melodie. Le ha dato fiducia, e ora la Lapi si ritrova tra le mani il suo primo album, “Ignote melodie”, 10 brani a cui si deve aggiungere la bonus track, il singolo recuperato e ridonato agli ascoltatori. Tutti scritti e musicati da lei, eccezion fatta proprio per il brano omonimo all'album, scritto a quattro mani con Cristiano Bacherotti, anche alle batterie. Con alla produzione artistica proprio Mattia Panzarini assieme a Andrea Rizzardo, si aggiungono, agli strumenti e arrangiamenti della Francesco Mantero&Band, Lele Palimento al basso, Matteo Giudici alle chitarre, Simone Bollini al pianoforte e tastiere, in una virata melodica, che definita acustico/folk/pop su pagina Facebook, spazia tra jazz, musica d'autore, easy listening e funk. Altra carta per lei vincente la voce, leggera e piena di colori, quelli che ha potuto coltivare grazie all'incontro col canto lirico e Daniela Panetta, sua insegnante, come in altre realtà di Milano, ma anche e soprattutto collaboratrice di Paolo Conte (“Ratzmataz” e “Reveries”). Tutte fortunate coincidenze a cui ha dato una bella mano Maria Lapi, che già dalla copertina dell'album dimostra la sua carta vincente, una freschezza e generosità complice, lei in copertina. Avendo come influenze musicali ideali, dichiarate in precedenti interviste, tanto per gradire, per la chitarra Ani Di Franco, per la voce sia Ella Fitzgerald che Jeff Buckley, alle melodie Mario Venuti, ai testi Samuele Bersani, arrivando anche al rock duro e alla musica classica, ecco servito “Ignote Melodie”, che risulta godibile all'ascolto, piacevole sottofondo, con guizzi che rimangono incisi con più decisione quali i brani “Mani”, “Il Tempo”, proprio il primo singolo “Luna nascente”, che aveva giustamente convinto nell'arrischio Panzarini. Come tutti gli altri brani che con loro, in un buon prodotto, sicuramente ben confezionato, voce luminosa, all'ascolto rinnovato dell'album saranno capaci di far intuire però oltre al sorriso anche quell'ombra che si nasconde, si deve nascondere inevitabilmente, dietro di esso. Così da far librare più netta al di sopra del magma del “bello” Maria Lapi, dando spazio fino in fondo alla personalità che dimostra di avere. Ma si è solo agli inizi. E c'è da ben sperare per il futuro, che in quanto tale è alle porte. Contatti: www.marialapi.com Giacomo d'Alelio Pagina 45 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Mario Mariani Utopiano Vivirecords/Self Forse per il grande pubblico è più conosciuto con l'immagine di lui elmetto da speleologo in testa, luce accesa, seduto a un pianoforte all'interno della Grotta dei Prosciutti, nell'Appennino umbro-marchigiano, a oltre mille metri nel Monte Nerone, provincia di Pesaro-Urbino, dove si è rintanato per quattro settimane l'estate scorsa a creare, ripreso tra l'altro dagli schermi di Repubblica Tv. Si sta parlando di Mario Mariani, compositore e pianista, classe 1970, originario proprio di Pesaro. Proveniente da un'esperienza che prende i primi passi dal Conservatorio di Musica “G.Rossini” della sua città, ha spaziato nella sperimentazione, trovando conforto artistico nell'incontro con il teatro, la performance live, il cinema. Proprio con il cinema negli ultimi anni ha lavorato con costanza, componendo la colonna sonora portante non solo per i film di Vittorio Moroni, con lui a breve anche a teatro, ma anche per il Festival di Venezia (1999/2001 e 2005/2007), intrufolandosi pure nel piccolo schermo, componendo musiche per spot. Alternando a questo anche un'attività concertistica (tanto per godersene una è da cercare in rete il suo divertissement su “The Goldrake Variations”, facendo chiaramente il verso, rispettoso, a ben più alte e nobili variazioni...), e live, non ultima la recente “Mandala”, performance a Pesaro con sabbia, pianoforte e schermo, compiuta con Piero Ottoni (precursore italiano della “sand art”), ha raccolto le energie creative fin qui spese e le ha incanalate nell'uscita del suo primo album per solo pianoforte, “Utopiano”. Sette brani dove il pianoforte a corda è utilizzato come se fosse una moltitudine di strumenti, interagendo, attraverso gli oggetti più disparati, con le corde stesse del piano, direttamente là dove il suono prende vita. Così creando, come lui stesso ama dichiarare, un' “utopia del suono”, sfruttando al meglio le caratteristiche intime, di cui è capace il piano, delineando mondi ricchi di sfumature ed emozioni. Richiamando idealmente gli esperimenti del Maestro John Cage, Mariani cerca di comporre in tempo reale, catturando quelle idee che, accese dalla scintilla creativa nata in quelle quattro settimane in grotta, hanno portato a pezzi come “Cagliostro” e “Bitume sonata”, pezzi agli antipodi, ma che per respiro, e peculiarità, sono il cuore pulsante dell'album. Tanto infatti “Cagliostro” procede classico, con improvvise variazioni, quanto “Bitume sonata” è tagliato da continue incursioni nella ricerca e spinta sonora delle possibilità che lo strumento pianoforte, in quanto tale e struttura, può creare se ben solleticato ed esplorato nella sua interezza meccanica. Producendo un'ottima spinta a cercare di percorrere assieme a lui le strade inaugurate di questo “non suono” o “suono ideale”, e farlo più volte. Contatti: www.mariomariani.com Giacomo d'Alelio Pagina 46 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Maxpicchiatoda3 Maxpicchiatoda3 Green Fog/Venus A metà strada tra un certo intimismo ad alto volume che ci riporta alla mente i C.O.D., il powerpop carico di parole incastonate tra fraseggi di chitarra dei Numero6, una spensieratezza dalle lontane origini britpop e una immediatezza “da stadio” che cerca di parlare la stessa lingua dei Subsonica più ecumenici, gli astigiani (con elementi genovesi) Maxpicchiatoda3 cambiano nome (erano Polish Child fino a qualche tempo fa) e lingua, passando dall'inglese all'italiano, e incidono l'omonimo debutto con un entusiasmo che fuoriesce nettamente dalle casse, pur senza essere sospinto in tutti i brani da eguale tensione creativa. Ci pare tuttavia che il tentativo di trovare una propria via tra i possibili appigli e riferimenti esterni di cui si diceva in apertura abbia già dato risultati più che buoni, in particolare in una “Poveri diavoli” che è vintage e contemporaneamente immersa nel 2011, con quei suoi ritmi dispari intrecciati ad una vena squisitamente melodica e a coretti stereolabiani. È solo un esempio, non l'unico, di quello che ci sembra, in sostanza, un buon disco, collocato all'interno di un percorso di crescita in divenire già piuttosto avviato, con un background piuttosto corposo e l'umiltà di voler intraprendere nuove strade senza muoversi su terreni troppo stabili. Contatti: www.maxpicchiatoda3.it Alessandro Besselva Averame Pagina 47 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Micha Soul MICHA SOUL Seven Soul Sins Semai È sempre cosa rara imbattersi nell'underground italiano in produzioni soul. Sarà che la musica black è sempre stata una nicchia della nicchia qui dalle nostre parti, sarà che cantare certe cose e certi vocalizzi è un po' più difficile che fare il verso a PJ Harvey o a Laura Pausini (più tutto quello che ci sta in mezzo) – ci vuole allenamento, ci vuole tecnica, ci vuole voglia di calarsi in un universo estetico altro rispetto a quello che si sente per i sotterranei e le realtà indipendenti in Italia. Al contrario, soul e hip hop sono una grammatica forte nel mainstream. E questa è la zavorra principale di un lavoro di per sé più che discreto come “Seven Soul Sins”: Micha Soul si ispira nei modi e nei suoni al soul contemporaneo, musica da tempo tarata per cavalcare contesti più simili a MTV che al “Miami”. Ci si abitua a sentirla curata, anzi, laccata, uscita da processi produttivi costosi. “Seven Soul Sins” suona bene, ma giocoforza non suonerà mai bene come un disco di Mary J. Blige o di qualunque stellina dell'r'n'b contemporaneo... non c'è lo stesso budget alle spalle. E quindi, hai sempre l'impressione che manchi qualcosa, più che concentrarti sul fatto che questo per essere un disco praticamente autoprodotto italiano ha una pasta di notevole qualità. Anche perché succede poi che pure i brani, che sono ben costruiti, vanno ben dritti nel solco di quello che c'è già: non ci sono cioè attimi spiazzanti o sorprendenti. Micha canta bene, il suo inglese è inappuntabile (lei d'altro canto nasce poliglotta), i brani sono buoni, c'è pure la voglia di trasformare la tracklist in una specie di concept sui peccati capitali, ottimo; eppure riesce difficile innamorarsi davvero dell'album. È educato ed appropriato, è meglio di quanto mai fatto assieme alla sua crew abituale Fuoco Negli Occhi, ma ci sarebbe piaciuto di più un suo cugino più sporco, maledetto e sghembo. Contatti: www.myspace.com/michasoul Damir Ivic Pagina 48 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Patto MC Vado bene così La Grande Onda/Self Piotta ormai esplora territori musicali sempre più vasti, stilisticamente parlando, ma con la sua label personale – La Grande Onda – non manca mai e non mancherà mai di dare spazio all'hip hop puro. Senso di appartenenza ad una scena. Anzi: giusto senso di appartenenza ad una scena. Ad avvalersi della piattaforma produttiva della label è stavolta il campano Patto MC, uno che è in giro già da tempo nelle faccende di rap (con tra l'altro una buona fama da fresstyler, da improvvisatore) ma che solo ora arriva al traguardo del primo album. Ci arriva maturo: il rap è tecnicamente buono, le metriche si succedono in modo liscio ed interessante, pure i testi non sono malaccio pur senza raggiungere eccellenze particolari. Ecco, visto che si tratta di un rapper con buoni mezzi già di partenza sarebbe stato ancora meglio avere un album musicalmente più incisivo di questo “Vado bene” così che in realtà solo in parte va bene così; nel senso che alcuni contributi di Musta (beatmaker italiano che ha inciso pure per l'americana Babygrande) sono un po' asettici, pure fra gli altri producer non sentiamo odor di scintille. Patto avrebbe avuto bisogno, secondo noi, di maggior varietà sonora a fargli da background, anzi, su cui appoggiarsi con convinzione. Quando lo fa, quando il flow si compenetra bene con la parte ritmico-musicale come nella ottima “Per gentleman & ladies” (in cui fanno belle apparizioni Clementino e Paura), si intravedono le reali sue potenzialità. Che non sono mica male. Contatti: www.myspace.com/pattomc Damir Ivic Pagina 49 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Resurrextion Elettro Sud Relief Records Europe/Audioglobe Esistono dischi che sembrano volere mettere i puntini sulle ‘i’, altri che se ne fregano e preferiscono fare il punto e andare a capo. Poi ci sono dischi che fanno entrambe le cose, come “Elettro Sud” dei campani Resurrextion. Se da un lato il gruppo formato dagli MC Jen-One e Marsu, il breaker Keezy e DJ Spider è riuscito a sfruttare anni di esperienza e intensa attività live per raccogliere suoni e umori tra i più attuali, dall’altro ha deciso di risalire alle radici dell’Hip-Hop, quando alla forma si abbinava pure un contenuto. Miscela perfetta che non sa tenere a bada la lingua e tantomeno il piede, “Elettro Sud” è un lavoro generoso. DJ Spider ha lavorato di cesello su beat e sintetizzatori per garantire ai propri compagni una validissima ed evocativa tavolozza sonora. L’impianto è volutamente cupo, a tratti claustrofobico; l’ideale compagnia per il profluvio rabbioso di parole in cui l’ascoltare si imbatte lungo tutto il disco. I testi, in dialetto ma perfettamente e dolorosamente comprensibili, sono lo schiaffo in faccia che ci meritiamo per avere pensato – magari anche solo per qualche minuto – che le rime egoriferite con cui veniamo imboccati quotidianamente fossero minimamente rivoluzionarie. Dall’apertura spaccamusi di “Napoli primo round” all’asso pigliatutto di “Sonano ‘e vàsule” (gia nell’omonimo EP del 2009), fino alla conclusiva “E Mo Basta!” si coglie tutta l’urgenza e la necessità espressiva con cui la crew racconta disagi ed aspirazioni, i loro e i nostri. Non è poco. Contatti: www.myspace.com/resurrex Giovanni Linke Pagina 50 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Rhyme Fi(r)st BaganaAudioglobe Si può ancora rimanere stupiti dopo molte migliaia di ascolti? Direi proprio di si, anche perché personalmente m'è successo ascoltando il primo (vero) album dei Rhyme. Innanzitutto rimango impressionato di come un gruppo al proprio esordio, con un cantante Gabriele Gozzi, dal curriculum davvero notevole, tra l'altro - in formazione da nemmeno un anno sappia esprimere con tale chiarezza il proprio mondo sonoro, ovvero un robusto hard rock che guarda ai miti del passato cercando di riproporli in una chiave moderna. Una personalità ben definita non si può costruire in uno studio di registrazione, e non bastano nemmeno i nomi importanti coinvolti nel missaggio e nel mastering, ci vogliono idee chiare e tanta esperienza, e se per caso vi siete imbattuti nel singolo "Step Aside" potreste già pensarla come il sottoscritto. Del resto con una voce del genere le cose sono già più semplici, basta prendere un pezzo come "Hiding From The Dark" che è un po' il bignami dei Rhyme: la ricerca del riff perfetto si alterna a momenti quasi acustici, il cantato viaggia su note altissime senza cedimenti e c'è pure l'assolo di chitarra epico. Piacevole nel suo essere insieme già sentito e nuovo. E mentre nel mondo delle rockstar nascono e muoiono supergruppi senza alcun stimolo creativo quaggiù sulla terra nascono ancora gruppi capaci di farci credere che questa musica avrà ancora una lunga, ed eccitante, vita. Contatti: www.myspace.com/rhymeband Giorgio Sala Pagina 51 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 San La Muerte San La Muerte Gas Vintage/Self Dietro il progetto San La Muerte si nasconde, senza troppi veli, il cantautore capitolino Leo Pari, noto ai più per le sue costanti collaborazioni col riccioluto Beppe Grillo, come compositore ed esecutore del suo cavallo di battaglia “Ho un grillo per la testa”, assieme a svariate partecipazioni ad altrettanti V-Day. Nella sua carriera solista, il prode Leo si distingue per la miscela originale che mescola hip hop e cantautorato impegnato, peculiarità scarnificata o meglio, accantonata, nel progetto blues on the road San La Muerte, nato da un viaggio negli Stati Uniti assieme al chitarrista Renzo Fiaschetti, e che mette in scena quanto di più semplice si possa fare con chitarra, basso e batteria: rock’n’roll stradaiolo e senza troppe pretese. Dove la sfilata di luoghi comuni al rovescio della traccia d’apertura “Viva San La Muerte”, e le scorribande rock latineggianti assumono contorni fin troppo prevedibili, è nei frangenti più blues che Leo Pari riesce a bilanciare al meglio la sua anima più carnale (il falsetto di “Domani Smetto” mette in luce il suo timbro graffiante che sfiora Gianni Donzelli, e non c’è da vergognarsene) e il blues torrido, come in “Ghost And Machine” o “Mr. Even”, aggrappate a scale blues-rock classiche dall’innocuo mordente, in cui sporcarsi le mani dovrebbe essere un dovere morale verso il sacro fuoco del Rock. È proprio in questa latenza di aggressività la pecca maggiore di un progetto onesto, un rock dalle tinte blues latine e dai testi di denuncia sociale che sono un compendio del pensiero-sostenibile, ma che non sforano dai confini del semplice divertissement e agitatore di (in)coscienze, nulla di più. Contatti: www.myspace.com/wsanlamuerte Luca Minutolo Pagina 52 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Smart Cops Per proteggere e servire La Tempesta/Venus Non cambierò mai. Già per il fatto che in questo "Per proteggere e servire" il brano più lungo non arrivi a tre minuti mi rende subito simpatici gli Smart Cops. E anche se loro ci tengono a far sapere che il gruppo si sarebbe formato a seguito di un concorso in polizia andato male io non ci credo; non mi sembra plausibile che gente come il fondatore della Hell, Yes! Records (Mojomatics, Movie Star Junkies) ed i suoi sodali tra un disco dei Dead Boys e degli Stooges abbiano pensato all'arruolamento. Tant'è, meglio così, perché altrimenti ci saremmo persi questa miscela assurda di rock'n’punk cantata in italiano che a tratti ricorda gli Hives registrati peggio con i testi di un gruppo degli anni 60 che prende in giro divise e malcostumi assortiti. Una cosa così non s'era mai sentita, anche perché a tentarla nove volte su dieci ti verrebbe male, e per fortuna che qui i poliziotti sono intelligenti e ci possiamo sollazzare e ballare! - con "La legge del più debole" o "Vesciche in guerra", ridendo delle umane debolezze e sbeffeggiando il potere con la p minuscola. Ora, se proprio vogliam spaccare il capello in quattro direi che con una produzione un po' più variegata il risultato era più godibile, ma questo è proprio il tratto distintivo di un certo revival per cui o si ama o si odia, inutile discutere. Io, al posto loro, eviterei altre figuracce ai concorsi pubblici e mi focalizzerei sugli strumenti: non avremo mai la controprova, ma personalmente è meglio così. Contatti: www.myspace.com/smartcops Giorgio Sala Pagina 53 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Syndone Melapesante Electromantic Music/Ma.ra.cash Negli anni Novanta i Syndone, erano stati una delle band che avevano illuminato i cieli del progressive italiano, dipanando la speranza che per questo genere potesse esserci una seconda stagione di gloria, dopo i fasti dei Settanta. E per un momento, grazie anche al supporto di numerosi appassionati e ad una rete di radio, etichette e siti web specializzati, l’illusione si era quasi trasformata in realtà; poi però tutto è andato scemando, e di quel fulgido periodo è rimasto poco, se non il ricordo e lo zoccolo duro, alimentato da eroici sostenitori del genere. Porta quindi una ventata di ottimismo il ritorno dei piemontesi Syndone, che di quel periodo di riflusso furono tra i protagonisti. La formazione è rinnovata, ma alla guida vediamo sempre Nik Comoglio, tastierista, ma soprattutto compositore di colonne sonore, musical, balletti e spettacoli teatrali, noto negli ambienti della musica colta da cui proviene, nonostante la sua cultura classica, sia poi stata contaminata dalla passione per il jazz. Ma questo terzo album dei Syndone (che segue gli storici “Spleen” e “Inca”) dove si colloca? Lo stile arioso del passato, pur mantenendo le medesime caratteristiche, è più legato alla forma canzone, con la voce di Riccardo Ruggeri, sempre sicura e padrona, con la sua impostazione ferma e melodica. L’album, impreziosito dalla presenza di numerosi ospiti, è un concept che gravita intorno alla mela, vista sotto vari aspetti ed è ricco di sfumature e dettagli, che confermano la padronanza assoluta in fase di scrittura di Comoglio e farà sicuramente la felicità di tutti gli appassionati di progressive, anche quelli più smaliziati ed esigenti. Contatti: www.syndone.it Gianni Della Cioppa Pagina 54 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Synusonde Yug Minus Habens/Family Affair In un mondo ossessionato spesso più dal nome delle etichette che da quello dei gruppi o dei singoli artisti come quello dell'elettronica, capita che si prendano topiche non da poco. Una di queste, dimenticarsi come la Minus Habens sia stata assolutamente fondamentale per il diffondersi di una sensibilità all'ascolto di una musica elettronica o comunque non canonica. Ad un certo punto è la Minus Habens stessa che ha deciso di sfilarsi dal gioco dell'attualità, nascondendosi nell'ombra e/o ritagliandosi attività più redditizie (leggi colonne sonore). Ora però con questo “Yug” torna alla ragione sociale originaria: musica un po' scura, con qualche rimando al lato più colto ed altezzoso della new wave anni 80 e molta voglia di parlare il linguaggio del digitale. Ben fatto. Anche e soprattutto perché questo progetto a firma Synusonde (che poi è l'unione del sound designer Paolo F. Bragaglia col pianista Matteo Ramon Arevalos) mette in campo solida qualità, di quella in grado pure di raggiungere vette notevoli (quale ad esempio la traccia “Mahler”, da ascoltarsi e godersi in primis nei particolari minimi). Forse ogni tanto l'architettura generale è un po' troppo geometrica e drammatica al tempo stesso, siamo convinti che un po' di leggerezza in più (meno Nyman e più IDM liquida e giocosa) avrebbe giovato al risultato finale, ma sono critiche non sostanziali. La sostanza, dice bene. La sostanza parla di un progetto solido, epico e cinematico, non datato nei suoni, con una direzione chiara e ben percorsa. Ben fatto. Contatti: www.myspace.com/synusonde Damir Ivic Pagina 55 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Telesplash Bar Milano For Ears/Family Affair Vedi la copertina gustosamente vintage, con quella inconfondibile scritta “Stereo”; vedi le foto promozionali, con il gruppo seduto ai tavolini di un bar; leggi Arezzo, che forse non sarà la provincia più profonda ma di certo non è la metropoli, e la prima cosa che viene in mente è :“Baustelle”. Nel secondo album dei Telesplash troviamo indubbiamente delle assonanze con una certa sensibilità che media tra passato musicale nostalgico (magari mai vissuto, e per questo motivo più affascinante) e presente fatto di piccole storie provinciali rivissute con una certa ironia di fondo; “Gli stimoli”, d'altra parte, davvero un bel pezzo, potrebbe quasi stare su “La malavita” di Bianconi & co. Ma ci sono anche parecchie differenze, e non sempre vanno in una direzione nettamente positiva: a tratti l'idea di pop chitarristico della band, piuttosto efficace in sé, non è sorretta dalle canzoni irresistibili che dovrebbe (o potrebbe) supportare, e questa idea di l'idea di pop, un po' sofisticata e un po' popolare, sfugge un po' di mano, facendosi un po' troppo rarefatto. La pur divertente title track, ad esempio, va in direzione Lunapop più che dalle parti degli Amor Fou. Per riassumere: un poco troppo leggeri, a tratti frizzanti, nel compenso piacevoli ma ancora in attesa di solidificare la propria personalità musicale. Contatti: www.myspace.com/telesplash Alessandro Besselva Averame Pagina 56 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Tenedle Grancassa UdU Squilli di trombe e rullo di... “Grancassa”: tre anni dopo “Alter” e a sette dal debutto (“Psicfreakblusbus”), torna Tenedle, al secolo Dimitri Niccolai, con un album che nel riconfermare la statura compositiva dell’artista mette in evidenza il desiderio di una costante ricerca verso nuove strade, influenze e sperimentazioni. Chi tra di voi ha amato le precedenti prove del compositore fiorentino troverà in “Grancassa” lo stesso mood liquido e notturno, qui ingentilito da una malinconia sospesa, un’ironia arrendevole. La fusione tra elettronica e canzone d’autore risulta particolarmente compiuta, anche grazie a melodie oblique, mai smaccate, ma al contempo incredibilmente azzeccate. Non c’è brano che non si aggiri indisturbato negli archivi della memoria già dopo un primo ascolto (“Hikikomori”, “Ideale”, “Le cose infinite”, per citarne una manciata). Pure numerose le sorprese inaspettate, a partire dall’uso di voci altre (Marydim, Silvia Vavolo, Vanessa Tagliabue Yorke), che in un incastro di linee vocali aggiungono nuovi significati a testi già di per sé densi di stimoli. Allo stesso modo risulta notevole l’apporto di Rocco Brunori alla tromba, ideale pennello con cui disegnare ombre e mostrare vie di fuga inaspettate. La sorpresa più gratificante è però la più rara: scoprire di avere tra le mani un album con una solida idea di partenza, non tradita nel suo sviluppo; ogni canzone fa storia a sé e allo stesso tempo racconta un comune sentire in cui prendono vita micromondi di solitudine a cui è difficile dirsi estranei. È nella loro poesia che risiede la forza di farli collidere e deflagrare. Con un colpo di... grancassa. Contatti: www.tenedle.com Giovanni Linke Pagina 57 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Versus Retròattivo Mescal/Universal “Retròattivo” potrebbe far parlare soprattutto perché sulla carta è improbabile che una band all’esordio riesca a coinvolgere Franco Battiato. Succede in “Cosa ti aspetti da questa notte”, scritta a quattro mani con LeLe Battista, autore persino di “Profondamente dentro", contenuta in origine nel suo “Nuove esperienze sul vuoto”. C’è da dire che i Versus hanno sempre avuto le idee chiare, tanto da non farsi problemi nell’elencare i propri punti di riferimento: Pink Floyd e a seguire King Crimson, Kraftwerk, David Bowie, Air, Morricone e lo stesso Battiato. L’esperto Daniele “Megahertz” Dupuis (voce, basso, farfisa, theremin e sintetizzatore), Sandro Martino (sintetizzatori, hammond, piano elettrico), Francesco Costantino (chitarre) e Andrea Dupuis (batteria) non si sono fatti problemi nemmeno nel puntare subito in alto, realizzando un concept: il desiderio di sperimentare non va comunque mai a discapito della forma-canzone e ne è una prova il fatto che tutto si concentri in circa trentasei minuti di durata, preservando non poche eccentricità ma aggirando divagazioni eccessivamente progressive. Si inizia con il semi-strumentale “Titoli di coda” - dove fiati bandistici accompagnano la presentazione delle tematiche del disco, dalla tecnologia al consumismo - e si prosegue con l’orecchiabile singolo “Torre di controllo”, la programmatica “Meloy Pops”, la straniante “Stare alzati”, l’intimista “Frasi a metà”. Si pensa a formazioni dall’estetica molto caratterizzata come Bluvertigo - segnaliamo, tra l’altro, le partecipazioni di Andy e Sergio Carnevale - o La Sintesi, ma nel complesso il lavoro si contraddistingue per ingegno e notevole cura sonora. Una delle migliori uscite Mescal degli ultimi tempi. Contatti: www.myspace.com/versusband Elena Raugei Pagina 58 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Videomind Afterparty Relief Così nuovo da essere old school. Questo il divertente paradosso che riassume al meglio “Afterparty”, lo sforzo congiunto di Tayone, Clementino e Paura, tre nomi che già da tempo nell'underground hip hop hanno il loro peso (più di tutti Tayone, che come turntablist è uno dei più grandi talenti mai espressi dalla nostra scena). E invece di rifugiarsi nella loro casetta stilistica d'appartenenza, i tre hanno puntato decisi verso una costruzione che incorpori electro, reggae, pop intelligente, sintetizzatori e quant'altro. Una specie di fiera del modernariato vintage, dove una qualità sonora davvero anni duemila (l'album suona benissimo, complimenti a chi l'ha fatto, a chi l'ha mixato e a chi ne ha fatto il mastering) va a ripescare una varietà stilistica molto anni 80, sia nelle intenzioni che nei suoni. Il rap di Paura e Clementino nell'andare decisamente oltre i canoni dell'hip hop tradizionale, perché è palese l'intenzione progressista, finisce coll'assomigliare spesso a certi esperimenti di parlato/cantato a ruota libera possibile ancora quando il rap era solo una cosa misteriosa cosa da ghetto newyorkese di cui si orecchiava e basta e che si poteva rifare, come dire?, a naso, ottenendo dei risultati per altro accattivanti. Complessivamente ogni tanto si sente la mancanza di un po' di spessore nel contenuto delle liriche, mentre la parte musicale trovandosi a metà fra appunto pop intelligente, funk digitale e nu electro non stringe in mano bene né l'uno, né l'altro, né l'altro ancora; però il giudizio finale è positivo, questo album merita decisamente un ascolto. Ha personalità, ha idee definite, ha idee non uguali alla musica-che-gira-attorno pur essendone intelligentemente ispirato. Contatti: www.myspace.com/videomind Damir Ivic Pagina 59 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Vishu Flama Vishu Flama autoprodotto Con un vezzo da rockstar i veronesi Vishu Flama, dieci mesi dopo l’esordio, pubblicano un secondo album, mantenendo il medesimo titolo, ovvero nessun titolo. Ci sono invece nuovi percorsi per quanto riguarda la musica. Se nel primo lavoro l’approccio era istintivo e legato ad un suono tra garage e rock’roll, tra i solchi di queste undici canzoni emerge l’amore, in passato dichiarato solo a voce, anche per il funk e il r’n’b, con una maggior cura per gli arrangiamenti, in cui le due chitarre giocano a rincorrersi tra ritmiche e soliste melodiche, con parti vocali ad ampio respiro, che addobbano con istinto ed eleganza “La torta”, “Bellissima”, “Derive” e la curiosa “Plin plon”, che chiude il CD. Ciò che trovo interessante nei Vishu Flama e la loro assoluta estraneità a tutto ciò che ci circonda. La loro musica sembra provenire solo dall’ascolto di vecchi vinili, messi su senza una logica precisa,alla rinfusa, che esclude tutto ciò che è stato prodotto negli ultime due, forse tre, decenni. In un’opera di selezione assolutamente alla rinfusa, ma che di fatto è efficace e che trasferisce nelle canzoni dei Vishu Flama una gioiosa ingenuità che conquista. Scarna ed essenziale come sempre la copertina. La band ora deve carburarsi sul palcoscenico, luogo perfetto dove dovrebbero farsi apprezzare questi quattro (ex) ragazzi! Contatti: www.myspace.com/vishuflama Gianni Della Cioppa Pagina 60 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it Numero Febbraio '11 Verme Non è che ci sia molto da dire, tante battute da sprecare, per annunciare al mondo l'ennesima uscita dei Verme. Ormai siamo tutti lì – e con tutti intendo (almeno) tutti i cervelli assuefatti all'emocore italiano, come dire, da combattimento e DIY fino al midollo – siamo tutti lì, dicevo, ad attendere la nuova uscita dei Verme, a cercare di indovinare quale copertina verrà parodiata (meglio: omaggiata) dalla costola dei Fine Before You Came, a chiudere gli occhi e alzare le corna al cielo o stringere i pugni con ansia per quello sciabordio fortunatamente consueto di chitarre, batterie picchiate per bene e ugole al massimo. Ed eccoci di nuovo, quindi, con “Bad Verme”, registrato il 21/12, a un anno esatto da “Un verme resta un verme”, e due tracce soltanto: “Tutto va malone” e “Tutto va marchette”. Non è che ci sia molto da dire, dunque, tante battute da sprecare. Basta mettersi lì ad ascoltare. Basta mettersi lì e aspettare la prossima uscita dei Verme, il prossimo, consueto sciabordio, la prossima copertina, le prossime corna levate alle stelle. Contatti: verme666.wordpress.com Marco Manicardi Pagina 61 Fuori Dal Mucchio è a cura di Federico Guglielmi e Aurelio Pasini - online at http://www.ilmucchio.it