Casi particolari di - Farmacovigilanza Calabria

Paracetamolo
È un efficace analgesico e antipiretico, ma ha solo un debole effetto antinfiammatorio.
E’ in commercio in numerose associazioni con FANS (Algopirina®, …), antistaminici
(Triaminic®, Zerinol®,…), vitamina C (Tachiflu®,), codeina (Co-efferalgan®, Tachidol®,..) altri
analgesici ( Saridon®,…)
E’ preferibile l’uso come singolo principio attivo (eccezione con la codeina per il dolore
neoplastico).
Alle dosi terapeutiche consigliate è di solito ben tollerato e non si verificano danni gastrointestinali.
La dose terapeutica è di 325-1000 mg ogni 4-6 ore. Si consiglia di non somministrare più di 4 g al
giorno per adulto.
Il paracetamolo è il farmaco analgesico-antipiretico di scelta nei bambini. Non antagonizza l’azione
del probenecid e può essere usato nei pazienti con gotta. Si può usare nei pazienti con disturbi
gastrici.
Ben assorbito dal tratto gastrointestinale, viene inattivato dal fegato mediante coniugazione con
glucuronico o solforico. Una frazione di paracetamolo è idrossilata con formazione di N-acetilbenzochinonimina che reagisce con i gruppi sulfridilici del glutatione formando una sostanza non
tossica. Il paracetamolo ed i suoi metaboliti sono escreti nelle urine.
Il più grave effetto tossico è la epatotossicità, dose-dipendente, potenzialmente fatale. Può
verificarsi nell’adulto dopo una dose singola di 10-15 g, ma anche a dosi inferiori.
Ciò è dovuto al fatto che a dosi elevate il glutatione disponibile nel fegato si esaurisce e l’N-acetilbenzochinonimina reagisce covalentemente con i gruppi sulfidrilici delle proteine delle cellule
epatiche causando necrosi epatica.
La N-acetilcisteina,per via endovena, entro 10 ore dall’intossicazione, rappresenta un farmaco
salvavita in quanto donatore di gruppi SH e quindi facilita la formazione di glutatione.
Fattori che influenzano la tossicità del
paracetamolo
Quantità ingerita
Dose assorbita
Attività dei sistemi di glicurono e sulfo coniugazione
Attività del sistema ossidativo microsomiale
Riserve di glutatione epatico
Tab. 1.5. Fattori che influenzano la tossicità del paracetamolo(acetaminofene).
Caso Nimesulide
Sicuramente il caso dell’epatotossicità da nimesulide, seppur rara, ha rappresentato uno dei più
importanti casi di farmacovigilanza generale.
Da recenti studi è stato suggerito che la nimesulide è associata a maggiore epatotossicità rispetto
agli altri antinfiammatori, anche se le reazioni epatiche sono molto rare. Ecco perché se ne
sconsiglia l’uso in pazienti con pregresse epatiti, storia di abuso di alcool, uso concomitante di
farmaci epatotossici.
Attualmente tutti i farmaci a base di nimesulide vengono dispensati dietro ricetta medica non
ripetibile con validità di 30 giorni. Lo scopo è stato quello di restringere il campo di prescrizione del
farmaco ed evitare l’uso indiscriminato e l’abuso, perciò, che si è fatto del farmaco.
L’epatotossicità si manifesta con danno epatico o epatite acuta, epatopatia tossica o ittero
epatocellulare.
In Finlandia le segnalazioni post-marketing a carico del distretto epatico hanno rappresentato il 60%
delle segnalazioni totali. In tre casi vi è stato un esito fatale. Dalle analisi condotte, l’insorgenza
media di epatotossicità si è verificata dopo 50,8 giorni di terapia (il 27% dopo 7 giorni dall’inizio
del trattamento; il 35% dopo 8-29 giorni, il 38% dopo 30 giorni); per le altre reazioni avverse, il
tempo di insorgenza medio è stato di 7,7 giorni. Attualmente in Finlandia la nimesulide è stata
ritirata (Traversa et al., 2002).
In seguito l’EMEA ha incaricato l’Italia, in qualità di paese con il più elevato consumo di
nimesulide, e la Finlandia di stendere un rapporto sul profilo di sicurezza del farmaco (Traversa et
al., 2003).
 E in Italia?
In Italia, gli episodi di tossicità epatica segnalati a carico della nimesulide rappresentano il 5% del
totale. Inoltre da un confronto all’interno della classe dei FANS, è emerso come il rischio di
epatotossicità per questa classe sia di 1.4; questo tasso diventa 1.3 per la nimesulide per tutte le
epatopatie e 1.9 per i danni epatici più gravi.
La discrepanza fra Italia e Finlandia è probabilmente da ricondursi al diverso uso del farmaco. In
Italia, infatti, la prescrizione della nimesulide ha prevalentemente carattere acuto (l’80,6% dei
fruitori ha ricevuto una sola prescrizione) (Traversa et al., 2002).
Il Comitato per i medicinali ad uso umano (CHMP) dell'Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA)
ha giudicato favorevole il rapporto rischio/beneficio della nimesulide, ma ha ristretto le indicazioni
terapeutiche (trattamento del dolore acuto, dell’osteoartrite e della dismenorrea) e ha definito il
dosaggio massimo (200 mg/die).
Attualmente la prescrizione di nimesulide a carico del SSN prevede una specifica nota restrittiva,
nota 66, per casi di infiammazione acuta o cronica grave. L’EMEA ha emanato un comunicato
stampa di conferma della maggiore epatotossicità della nimesulide rispetto agli altri FANS ed ha
ribadito le indicazioni terapeutiche, il dosaggio massimo e la durata massima della terapia fissata a
15 giorni (AIFA, 2007) .
Fotosensibilità da Ketoprofene
Le forme farmaceutiche a base di ketoprofene hanno determinato una tossicità dermica importante.
Il ketoprofene, infatti, è responsabile di una dermatite da contatto di natura fotoallergica (Suzuki et
al., 2003). Questo tipo di reazioni sono più comunemente riportate con le formulazioni topiche a
causa della più alta concentrazione di farmaco a livello della cute.
E' stato riportato nel Bollettino AIFA del 11 aprile 2009 il caso di una ragazza (età: 26 anni) che, a
seguito di una contusione al braccio, ha utilizzato un gel a base di ketoprofene sulla parte contusa;
dopo pochi giorni, con l'esposizione solare, si è manifestata dermatite bollosa allergica da
fotosensibilizzazione (ustione di I e II grado) con danno funzionale, trattata con cortisone,
antibiotico e antistaminico. I fenomeni di fotosensibilizzazione possono verificarsi anche con altri
FANS, ma per il ketoprofene la frequenza sembra essere più alta.
Le reazioni cutanee da ketoprofene sono da attribuire alla sua struttura chimica (funzione
carbonilica) che, in seguito a fotoesposizione, subisce una degradazione chimica che porta alla
formazione di radicali e di specie ossigenate reattive responsabili dei fenomeni fototossici (Klefah,
Musa et al., 2007). Studi di spettroscopia hanno infatti dimostrato che in seguito a esposizione alla
luce il ketoprofene subisce un processo di decarbossilazione, dal quale si originano radicali (il
principale è il benzoilfeniletano) che provocano un’azione litica a livello delle membrane cellulari,
spiegando così gli effetti collaterali associati all’assunzione del ketoprofene, in particolar modo
quando questa è accompagnata da esposizione ai raggi ultravioletti .
Il ketoprofene può dare anche dermatiti da contatto di natura fotoallergica alla base delle quali vi è
una risposta di ipersensibilità ritardata mediata dai linfociti T. Dal 1989, diversi casi di questo tipo
di reazione avversa sono stati riportati con ketoprofene, soprattutto in paesi mediterranei come la
Spagna e l’Italia con una alta esposizione al sole. Questo tipo di reazione si verifica in soggetti
precedentemente sensibilizzati e richiede un periodo di latenza. Le lesioni sono polimorfe,
eczematose e contrariamente a quelle da fototossicità sono dose dipendenti e possono estendersi
anche ad aree non irradiate.
Generalmente la durata della reazione di fotosensibilizzazione dopo la sospensione del ketoprofene,
può variare da pochi giorni a qualche settimana, ma sono stati riportati anche casi di maggiore
persistenza.
I
MEDICINALI CONTENENTI IL PRINCIPIO ATTIVO KETOPROFENE:
Alket, Artrosilene, Dolgosin, Euketos, Fastum, Flexen, Ibifen, Isofenal, Keplat, Ketartrium,
Ketofarm, Ketodol, Ketoplus, Ketoprofene Almus, Ketoprofene Doc Generici, Ketoprofene
Eurogenerici, Ketoprofene Sandoz, Ketoprofene Teva, Ketoprofene Union Health, Ketoselect,
Ketum,Lasoartro, Lasonil, Liotondol,Meprofen,Oki,Orudis, Reuprofen
Diclofenac
Indicato nel trattamento del dolore e dell'infiammazione in patologie reumatiche croniche quali
artrite reumatoide, osteoartrite, artrosi, reumatismo extra-articolare, reumatismi dei tessuti molli,
spondilite anchilosante, stati dolorosi da flogosi di origine extra-reumatica o post-traumatica, in
caso di sintomatologia dolorosa dei denti o dolore chirurgico minore.
Attualmente il diclofenac viene somministrato per via topica nei casi di dolori osteo-articolari
(Voltaren Emulgel). La forma topica è sicuramente da preferire a quella intramuscolare od orale,
perché determina minori danni a livello gastrico.
Là dove la terapia topica (pomate, cerotti trans-dermici) non abbia apportato benefici o non possa
essere effettuata, si può ricorrere ad altra via di somministrazione. Indicato nel trattamento delle
coliche renali e biliari.
Il diclofenac viene anche indicato nel trattamento della cefalea e dell'emicrania.
E’ stata riscontrata una indicazione off-label per il diclofenac: utilizzato sottoforma di gel nella
terapia con ultrasuoni (El-Hadidi, El-Garf, 1991).
Soprattutto all'inizio del trattamento con diclofenac possono verificarsi disturbi gastrointestinali
come nausea, vomito, diarrea, flatulenza. Sono stati segnalati casi isolati di ulcera peptica perforata
e disturbi del colon. E’ sempre bene, perciò, fare uso di un gastro-protettore (lansoprazolo,
omeprazolo etc).
Uno studio ha dimostrato gli effetti cardiovascolari con etoricoxib e diclofenac in pazienti con
osteoartrite e artrite reumatoide: sono stati arruolati 34.701 pazienti (24.913 con osteoartrite e
9.787 con artrite reumatoide). La durata media del trattamento è stata di 18 mesi: in 320 soggetti
del gruppo etoricoxib ed in 323 del gruppo diclofenac si sono verificati eventi trombotici
cardiovascolari (1,24 e 1,30/100 pazienti/anno, rispettivamente). La percentuale di eventi avversi
del tratto gastrointestinale (GI) superiore (perforazione, sanguinamento, ostruzione, ulcera) è
risultata minore con etoricoxib contro diclofenac (0,67 vs 0,97/100 pazienti/anno) mentre quella
di eventi GI complicati è stata simile tra i 2 farmaci (0,30 vs 0,32) (Cannon et al., 2006).
E in gravidanza?
Una delle principali preoccupazioni che affligge le donne che hanno saputo di essere incinte
riguarda l'assunzione dei farmaci in gravidanza.
Sono due i tipi più diffusi di condotta femminile in gestazione rispetto all'assunzione di farmaci
durante il periodo della gravidanza: alcune donne li eliminano del tutto mentre altrettante
continuano ad usarli senza criterio. La mancanza di preparazione e la disinformazione possono
causare, nelle donne in attesa di un figlio, gravi dubbi, che quasi sempre restano tali e vengono
risolti con metodi 'fai da te', i più pericolosi in una situazione delicata come la gravidanza.
L’impiego dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) durante il terzo trimestre di
gravidanza è stato associato al rischio di ipertensione arteriosa polmonare neonatale con chiusura
prematura del dotto arterioso e di insufficienza renale. Alla fine del 2003 l’Agenzia Regolatoria
Francese ha inviato agli operatori sanitari una lettera che ricordava che l’impiego dei FANS in
gravidanza è controindicato. Il Centro Regionale di Farmacovigilanza di Tolosa ha esaminato la
frequenza di prescrizioni di FANS nella regione dei Medi Pirenei, confrontando 22.180 gestanti con
54.574 donne non gravide, in base ai dati presenti nel database delle assicurazioni sanitarie .
Ha ricevuto almeno 1 prescrizione di un FANS il 16,9% delle gestanti, contro il 33,2% delle altre
donne. I FANS (solitamente l’ibuprofene), durante il terzo trimestre, sono stati prescritti al 4,7%
delle donne. La lettera dell’agenzia regolatoria sembra avere avuto un piccolo impatto, se si tiene
conto che prima dell’avviso è stato esposto a FANS durante il terzo trimestre il 4,8% delle donne,
mentre dopo l’avviso il 4,3%. L’esposizione si è verificata durante il secondo trimestre nel 5,9% dei
casi. I pericoli associati all’impiego dei FANS sono tali che alle pazienti si dovrebbe ricordare di
assumere, quando è possibile, preferibilmente il paracetamolo che è efficace per la madre e sicuro
per il nascituro.
Paracetamolo in gravidanza e dispnea nei neonati
Da studi condotti sull’utilizzo di paracetamolo, è stato dimostrato che l'uso frequente del farmaco
nel terzo trimestre di gravidanza può determinare un incremento del rischio di dispnea nel neonato e
questo effetto potrebbe essere responsabile di circa l'1% della prevalenza di dispnea nella prima
infanzia.
L'uso frequente del paracetamolo durante le fasi tardive della gravidanza può aumentare il rischio di
dispnea persistente.
Quali sono le indicazioni all’uso degli
antinfiammatori e degli antipiretici
nella sindrome influenzale per fascia di età e
condizione di rischio?
L’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITA’ ha emanato “linee guida”, intese come raccomandazioni
di comportamento, messe a punto mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e
delle opinioni di esperti, che possono essere utilizzate come strumento per operatori sanitari per
migliorare la qualità dell’assistenza e razionalizzare l’utilizzo delle risorse.
Visto il notevole ricorso all’auto prescrizione, i cittadini devono essere informati sulla natura
sintomatica di queste terapie e sull’opportunità di fare ricorso ai farmaci solo quando si ritiene
necessario ridurre il malessere e la sintomatologia dolorosa. Sono state considerate le due fasce più
a rischio di eventi avversi: bambini e donne in gravidanza, che possono più facilmente andare
incontro ad episodi influenzali.
I bambini
L’acido acetilsalicilico è controindicato nei bambini per l’evidenza di associazione con la sindrome
di Reye.
I due farmaci più largamente usati e studiati nelle sperimentazioni cliniche pediatriche, e scelti
come riferimento per la loro minore gastrolesività, sono l’ibuprofene e il paracetamolo
(Antalfebal®,Tachipirina®, Nurofen® ).
 Da recenti dati di letteratura, possiamo essere certi della quasi sostanziale equivalenza di
questi farmaci nel trattamento della patologia algica e febbrile.
 Il paracetamolo e l’ibuprofene sono utilizzabili per il trattamento al bisogno della febbre e
della sintomatologia dolorosa del bambino.
 Nei bambini al di sotto dei 12 anni è controindicato l’uso di acido acetilsalicilico per la
possibile associazione con la sindrome di Reye.
 Ai genitori deve essere sconsigliato di usare formulazioni per adulti di paracetamolo che non
consentano di adattare il dosaggio all’età e al peso del bambino.
 Il paracetamolo, l’ibuprofene e il diclofenac sono utilizzabili per il trattamento al bisogno
della febbre e della sintomatologia dolorosa degli adulti.
 Nei soggetti ad aumentato rischio cardiovascolare, per il trattamento della febbre e del
malessere nella sindrome influenzale è raccomandato l’uso del paracetamolo.
 Per i soggetti già in terapia con aspirina a basso dosaggio è un’alternativa l’incremento della
dose di acido acetilsalicilico fino a raggiungere la dose minima necessaria per ottenere
l’effetto antipiretico e analgesico desiderato.
 Allo stesso modo, per soggetti ad aumentato rischio cardiovascolare che non siano già in
trattamento con basse dosi di acido acetilsalicilico, può essere considerato l’uso di
naprossene.
Donne in gravidanza
Per le donne in gravidanza il paracetamolo è il farmaco di elezione in casi si influenza e stati
febbrili. Inoltre, è stata evidenziata un’associazione tra difetti del tubo neurale e utilizzo di
antipiretici nel periodo preconcezionale.
BIBLIOGRAFIA
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