4. Altri due proemi liviani T. Livi Ab urbe condita Liber XXI [1] In parte operis mei licet mihi praefari, quod in principio summae totius professi plerique sunt rerum scriptores, bellum maxime omnium memorabile quae unquam gesta sint me scripturum, quod Hannibale duce Carthaginienses cum populo Romano gessere. [2] Nam neque validiores opibus ullae inter se civitates gentesque contulerunt arma neque his ipsis tantum unquam virium aut roboris fiut; et haud ignotas belli, et adeo varia fortuna belli ancepsque Mars fuit ut propius periculum fuerint qui vicerunt. [3] Odiis etiam prope maioribus certarunt quam viribus, Romanis indignantibus quod victoribus victi ultro inferrent arma, Poenis quod superbe avareque crederent imperitatum victis esse. [4] Fama est etiam Hannibalem annorum ferme novem, pueriliter blandientem patri Hamilcari ut duceretur in Hispaniam, cum perfecto Africo bello exercitum eo traiecturus sacrificaret, altaribus admotum tactis sacris iure iurando adactum se cum primum posset hostem fore populo Romano. [5] Angebant ingentis spiritus virum Sicilia Sardiniaque amissae: nam et Siciliam nimis celeri desperatione rerum concessam et Sardinam inter motum Africae fraude Romanorum, stipendio etiam insuper imposito, interceptam. [2] His anxius curtis ita se Africo bello quod fuit sub recentem Romanam pacem per quinque annos, ita deinde nouem annis in Hispania augendo Punico imperio gessit ut appareret maius eum quam quod gereret agitare in animo bellum et, si diutius vixisset, Hamilcare duce Poenos arma Italiae inlaturos fuisse qui Hannibalis ductu intulerunt. A questo punto della mia opera, come è solita dichiarare la maggior parte degli storici all’inizio di ogni argomento principale, mi sia permesso preannunziare che io sto per scrivere la storia della guerra degna di memoria sovra tutte le altre che mai furono combattute, quella guerra che i Cartaginesi, sotto il comando di Annibale, condussero contro il popolo romano. Infatti, né città né stirpi combatterono fra loro con mezzi più potenti, né mai poterono disporre di forze così vigorose; e non guerreggiavano tra loro usando modi di combattere sconosciuti, ma metodi già sperimentati nella prima guerra punica; tanto varia fu la fortuna della guerra e così incerto il suo esito che quelli che vinsero furono più vicini alla rovina. Combatterono infatti quasi più con l’odio che con le forze, pieni di sdegno i Romani perché i Cartaginesi, pur vinti, provocarono per primi ancora a battaglia i vincitori; indignati i Cartaginesi perché ritenevano che i vincitori si fossero comportati con superbia e durezza verso i vinti. Si racconta anche che Annibale all’età di circa nove anni, pregando con carezze come fanno i bambini il padre Amilcare, gli chiedesse di condurlo in Spagna; mentre faceva sacrifici, sul punto di far passare l’esercito in Spagna, si dice che Amilcare, fatto avvicinare Annibale agli altari e toccati gli oggetti sacri, gli abbia imposto di giurare che, appena gli fosse possibile, sarebbe stato nemico del popolo romano. La perdita della Sicilia e della Sardegna tormentava quell’uomo fiero e magnanimo: infatti la Sicilia era stata ceduta a causa di un troppo avventato sgomento, mentre la Sardegna era stata occupata dai Romani con la frode durante la ribellione dei mercenari d’Africa; per soprappiù era stata anche imposta un’indennità di guerra. (Trad. Bianca Leva) T. Livi Ab urbe condita Liber XXX, 1 1. Me quoque iuvat, velut ipse in parte laboris ac periculi fuerim, ad finem belli Punici pervenisse. Nam etsi profiteri ausum prescripturum res omnes Romanas in partibus singulis tanti operis fatigari minime conveniat, tamen, cum in mentem venit tres et sexaginta annos – tot enim sunt a primo Punico ad secundum bellum finitum – aeque multa volumina occupasse mihi quam occupaverint quadrigenti duodenonaginta anni a condita urbe ad Ap. Claudium consulem qui primum bellum Carthaginiensibus intulit, iam provideo animo, velut qui proximis litori vadis inducti mare pedibus ingrediuntur, quidquid progredior, in vastiorem me altitudinem ac velut profundum invehi et crescere paene opus, quod prima quaeque perficiendo minui videbatur. Pacem Punicam bellum Macedonicum excepit, periculo handquaquam comparandum aut virtute ducis aut militum robore, claritate regum antiquorum vetustaque fama gentis et magnitudine imperii, quo multa quondam Europae, maiorem partem Asiae obtinuerant armis, prope nobilius. Ceterum coeptum bellum adversus Philippum decem ferme ante annis triennio prius depositum erat, cum Aetoli et belli et pacis fuissent causa. Vacuos deinde pace Punica iam Romanos et infensos Philippo cum ob infidam adversus Aetolos aliosque regionis eiusdem socios pacem, tum ob auxilia cum pecunia nuper in Africam missa Hannibali Poenisque preces Atheniensium, quos agro pervastato in urbem compulerat, excitaverunt ad renovandum bellum. I. Mi rallegro anch’io, quasi fossi stato a parte io pure della fatica e del pericolo, d’essere giunto al termine della guerra Punica. Infatti, quantunque non sia il caso che, avendo osato professare di volere scrivere tutti i fatti dei Romani, io mi stanchi in nessuna parte di così grande opera, nondimeno, quando mi sovviene, che sessantatre anni (che tanti intercorrono dalla prima guerra Punica alla fine della seconda) mi occuparono un numero di volumi uguale a quello che mi hanno occupato gli anni quattrocento ottantotto dalla fondazione di Roma fino al console Appio Claudio, che primo mosse guerra ai Cartaginesi, già prevedo col pensiero, come coloro, che messo il piede nei guadi prossimi al lido, entrano in mare, che quanto più mi inoltro, in tanto più vasto fondo sono balzato, e quasi in un abisso, e scorgo quasi crescermi fra le mani il lavoro, che nel compiere successivamente le prime parti, sembrava diminuire. La pace Punica fu immediatamente seguita dalla guerra Macedonica, non paragonabile all’altra né quanto al pericolo, né quanto all’abilità del comandante ed al valore dei soldati, ma quasi più illustre per la grandezza di antichi re, e per la fama della nazione e l’ampiezza della dominazione con la quale un tempo avevano, con le armi, occupato gran parte dell’Europa, e più gran parte dell’Asia. Del resto, la guerra incominciata da quasi dieci anni prima contro Filippo, era stata da tre anni tralasciata, essendo stati gli Etoli cagione e della guerra e della pace. Poi le preghiere degli Ateniesi, che Filippo, saccheggiato il loro contado, aveva confinati nella città, mossero i Romani a rinnovare la guerra, disoccupati, com’erano, per la pace Punica, e maldisposti contro Filippo sia per la pace male osservata contro gli Etoli, e contro gli altri alleati di quel paese, sia per gli aiuti, anche di danaro, ultimamente mandati in Africa ad Annibale ed ai Cartaginesi.