“il procedimento amministrativo” (prima parte)

“IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO”
(PRIMA PARTE)
PROF.SSA CARMENCITA GUACCI
Università Telematica Pegaso
Il procedimento amministrativo (prima parte)
Indice
1
INTRODUZIONE -------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
LA NUOVA TEMPISTICA PER LA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO ------------------------------- 5
3
LA NUOVA AZIONE DI RISARCIMENTO DANNI PER IL RITARDO DEL PROCEDIMENTO
AMMINISTRATIVO ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 8
4
LA MANCATA CONCLUSIONE DEL PROCEDIMENTO NEI TERMINI: LA RESPONSABILITÀ
DIRIGENZIALE E LA TUTELA DEL CITTADINO ------------------------------------------------------------------------- 9
5
LE FASI DEL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO ------------------------------------------------------------ 10
6
I PRINCIPI FONDAMENTALI SANCITI DALLA LEGGE N. 241 DEL 1990 --------------------------------- 13
7
I NUOVI PINCIPI INTRODOTTI DALLA LEGGE N. 15 DEL 2005 --------------------------------------------- 14
8
LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO ---------------------------------------------------------------------- 16
9
COMUNICAZIONE DI AVVIO DEL PROCEDIMENTO ----------------------------------------------------------- 17
10
DIRITTI DI INTERVENTO E DI PARTECIPAZIONE-------------------------------------------------------------- 22
11
COMUNICAZIONE DEI MOTIVI OSTATIVI ALL’ACCOGLIMENTO DELL’ISTANZA ---------------- 24
12
IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO ------------------------------------------------------------------------- 27
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1 Introduzione
Il procedimento amministrativo consiste nel complesso di atti che nonostante la loro
autonomia (producono effetti propri e talora sono anche impugnabili ex se) e la loro eterogeneità
(gli atti che lo compongono infatti hanno una diversa natura giuridica , diversa funzione e sono
posti in essere
da differenti organi della pubblica amministrazione) sono coordinati
sequenzialmente tra di loro, e finalizzati alla emanazione di un provvedimento amministrativo, atto
unilaterale autoritativo ed esecutorio, con il quale Pubblica Amministrazione determina effetti
giuridici favorevoli o sfavorevoli nella sfera giuridica altrui.
La creazione da parte della dottrina e della giurisprudenza della figura del procedimento
amministrativo ha cercato di rispondere all’esigenza di assicurare la democraticità e la
controllabilità dell'esplicazione del potere amministrativo, nonché la comparazione tra tutti gli
interessi coinvolti, sia pubblici che privati.
Fino all’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, recante norme in materia di
procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi, nel nostro
ordinamento giuridico mancava una disciplina generale del procedimento amministrativo.
L’assenza di una regolamentazione generale del procedimento amministrativo comportava
un’ampia discrezionalità della Pubblica Amministrazione in sede di gestione del procedimento e il
non riconoscimento del diritto degli interessati a partecipare attivamente ai procedimenti che
portavano all’emanazione di provvedimenti variamente incidenti nelle loro sfere giuridiche.
Una soluzione definitiva al problema dell’assenza di una normativa generale sul
procedimento è stata conseguita solo grazie alla l. n. 241/1990. La legge 7 agosto 1990, n. 241,
novellata dalla l. n. 15/2005 e dalla l.n. 80/2005, nonché di recente dalla legge 18 giugno 2009, n.
69, contiene una disciplina generale ed esaustiva del procedimento amministrativo e sancisce regole
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generali valide per tutti i procedimenti amministrativi che si svolgono nell’ambito delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali
L’art. 29, della l. n. 241/1990, che definisce espressamente l’ambito di applicazione della
suddetta legge, dispone che anche le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle rispettive
competenze, regolano le materie disciplinate dalla presente legge nel rispetto del sistema
costituzionale e delle garanzie del cittadino nei riguardi dell’azione amministrativa, così come
definite dai princípi stabiliti dalla presente legge.
Tale normativa (l. n.241/1990) nel mettere a fuoco i principali istituti della fase istruttoria,
ha stabilito una serie di punti fermi. Il dovere delle pubbliche amministrazioni di dare
comunicazione dell’inizio del procedimento agli interessati. Il dovere di dare agli stessi la
possibilità di partecipare con proprie osservazioni e notazioni allegando propri documenti. Il dovere
e l’obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e motivato, sia nel caso in
cui lo stesso consegua ad una istanza del privato che nelle ipotesi in cui debba essere iniziato
d’ufficio.
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2 La nuova tempistica per la conclusione del
procedimento
L’art. 7 della l. n. 69 del 2009 ha completamente riformulato l’art. 2 della l. n.241 del 1990
dettando una nuova disciplina per quanto concerne i termini per la conclusione del procedimento.
Il legislatore ha reintrodotto il termine generale di 30 giorni per la conclusione del
procedimento. In particolare, la normativa prevede un termine generale di 30 giorni che può essere
portato a 90 giorni per le amministrazioni statali e gli enti pubblici nazionali e, sempre in relazione
a tali soggetti, in determinati casi, può arrivare ad un massimo di 180 giorni, previa adozione di un
regolamento ad hoc.
Con la circolare del 4 luglio 20101 - Attuazione dell’articolo 7 della legge 18 giugno 2009,
n. 69. (10A11680) il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e il Ministro per la
semplificazione normativa hanno chiarito che la legge disciplina compiutamente le conseguenze
della mancata adozione dei predetti provvedimenti nei termini di conclusione del procedimento.
Inoltre, secondo tale circolare, dal combinato disposto dell'art. 2, comma 2, della legge n.
241 del 1990 e dell’art. 7, comma 1, lettera b), n. 4, della legge n. 69 del 2009 si evince che, in
assenza di diversa disciplina regolamentare, tutti i termini superiori a novanta giorni cessino di
avere efficacia e, per i procedimenti interessati, si applichi il termine ordinario di trenta giorni. Tale
disposizione e la connessa riduzione dei termini procedimentali riguarda soltanto i procedimenti
amministrativi avviati successivamente alla scadenza del 4 luglio 2010. Per i procedimenti
amministrativi già in corso a tale data, il termine di conclusione rimane quello originariamente
previsto. Per i procedimenti che prevedono, invece, termini non superiori a novanta giorni,
continueranno ad applicarsi, in assenza di diversa disciplina regolamentare, le disposizioni vigenti
1
Circolare 4 luglio 2010 - Termini di conclusione procedimenti amministrativi:
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alla data di entrata in vigore della legge n. 69 del 2009, come previsto dall'art. 7, comma 3, terzo
periodo della stessa legge (…).
Nell’attuale disciplina viene stabilito, dunque, che, salvo diverso termine, stabilito per legge
o con diverso provvedimento, il termine generale per la conclusione del procedimento è di 30
giorni.
Per le amministrazioni statali, possono essere individuati termini non superiori a 90 giorni
per la conclusione dei relativi procedimenti, mediante decreti del Presidente del Consiglio dei
Ministri, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della l. n. 400/1988, su proposta dei Ministri
competenti e di concerto con il Ministro per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione e, il
Ministro per la semplificazione normativa.
In presenza di particolari presupposti e della particolare complessità del procedimento, il
termine di 90 giorni può essere ampliato, fino ad un massimo di 180 giorni, mediante i Decreti del
Presidente del Consiglio dei Ministri, per la conclusione dei procedimenti di competenza delle
amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali. Questa previsione non si applica ai
procedimenti di acquisto di acquisto della cittadinanza italiana e a quelli riguardanti
l’immigrazione.
Inoltre, la disciplina dei tempi del procedimento, non si applica ai procedimenti di verifica o
autorizzativi concernenti i beni storici, architettonici, culturali, archeologici, artistici e paesaggistici,
per i quali trovano applicazione le disposizioni di legge e di regolamento vigenti in materia
ambientale.
Secondo il nuovo disposto normativo, i termini potranno essere sospesi una sola volta e per
un periodo non superiore a 30 giorni quando sia necessario acquisire informazioni o certificazioni
relative a fatti, stati, qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o
non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni.
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In ipotesi di mancato rispetto del termine, indipendentemente dal fatto che l’atto sia stato
emanato successivamente alla scadenza, che sia positivo o negativo, che sia stato o meno attivato il
giudizio ex art. 31 del d.lgs. n. 104/2010 e senza che sia necessario svolgere la diffida
all’amministrazione ed attenere il decorso del termine dilatorio di 90 giorni prima dell’introduzione
del giudizio, sarà possibile agire contro la pubblica amministrazione al fine di ottenere il
risarcimento del danno. Inoltre, la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce
elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale.
La novella prevede, infatti, un’azione risarcitoria (esperibile innanzi al giudice
amministrativo nel termine di cinque anni) per il ristoro del “danno ingiusto” (in primis, ma non
esclusivamente, secondo il paradigma del c.d. “danno da ritardo”, elaborato dalla giurisprudenza7)
addebitabile ai pubblici funzionari che, con dolo o colpa (grave), non hanno rispettato i termini di
conclusione del procedimento.
Incomberà ovviamente sull’attore la (non facile) prova dell’ingiustizia del danno e
dell’addebito per dolo o colpa grave in capo al funzionario.
Il legislatore, inoltre, ha espressamente previsto l’obbligo per le Regioni e gli Enti locali di
adeguarsi , modificando i propri regolamenti alla tempistica stabilita per le amministrazioni statali e
gli enti pubblici nazionali entro il temine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente
legge (art.7, comma 3,l,n.69/2009).
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3 La nuova azione di risarcimento danni per il
ritardo del procedimento amministrativo
L’art. 2 bis della l. n. 241/1990, introdotto dall’art. 7, lett. c) della l. n. 69/2009, prevede
l’obbligo di risarcimento a carico della pubblica amministrazione e dei soggetti privati preposti
all’esercizio di attività amministrative, del danno ingiusto cagionato in conseguenza
dell’inosservanza dolosa o colposa dei termini di conclusione del procedimento amministrativo.
In altri termini, in caso di mancato rispetto del termine di 30 giorni, il cittadino può agire per
ottenere il risarcimento dei danni.
Il legislatore ha configurato l’azione di risarcimento danni in oggetto come illecito aquilano
derivante, quindi da responsabilità aquiliana e come tale sottoposta alla disciplina dell’art. 2043 c.c..
Ne deriva che i presupposti per il configurarsi di tale azione sono i seguenti: a) elemento
soggettivo: dolo o colpa, b) elemento oggettivo: ritardo, c)sussistenza di un danno derivante dal
mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento.
Tale azione risarcitoria, ai sensi dell’art. 30 del c.p.a. (codice del processo amministrativo) è
sottoposta al termine decadenziale di 120 giorni che non inizia a decorrere fino a quando perdura
l’inadempimento.
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4 La mancata conclusione del procedimento nei
termini: la responsabilità dirigenziale e la tutela
del cittadino
Il legislatore, con la l. n. 69 del 2009, ha introdotto all’art. 2 della l. n. 241/1990, una
specifica disposizione destinata a incidere sull’efficienza della pubblica amministrazione. Infatti, il
nuovo comma 9 della l. n. 241/1990 prevede che “la mancata conclusione del procedimento nei
termini costituisce elemento di valutazione della responsabiltà dirigenziale”.
Questa norma letta in stretto rapporto con la previsione di cui al comma 1, dell’art. 2 della l.
n. 241/1990 sembra sancire un vero e proprio diritto alla conclusione del procedimento.
Il rispetto dei tempi stabiliti per l’adozione del provvedimento finale assurge ad elemento di
valutazione dei dirigenti sia in senso premiale, in un’ottica meritocratica, che in senso
sanzionatorio, ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato.
Per quanto concerne la tutela del cittadino danneggiato dall’inerzia della pubblica
amministrazione, la disciplina contenuta nell’art. 2, comma 8, della l. n. 241/1990, che prevedeva il
ricorso giurisdizionale contro il silenzio dell’amministrazione inadempiente, oggi è confluita
nell’art. 31 del d.lgs n.104/2010, recante il Codice del Processo Amministrativo, che prevede che,
decorsi i termini per la conclusione del procedimento che vi ha interesse può chiedere
l’accertamento dell’obbligo della Pubblica Amministrazione di provvedere. L’azione può essere
proposta “fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei
termini di conclusione del procedimento”.
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5 Le fasi del procedimento amministrativo
Tradizionalmente si schematizzano quattro fasi del procedimento amministrativo: la fase
dell’iniziativa (quella con la quale la pubblica amministrazione intraprende il procedimento), la fase
dell'istruttoria (quella con la quale il responsabile del procedimento analizza la situazione concreta
alla quale si rivolge il provvedimento da emanare, ponendo in essere tutti gli atti che si rendono
necessari), la fase decisoria (quella con la quale viene assunta la determinazione relativa al
provvedimento da assumere), e la fase integrativa dell’efficacia (si tratta di una fase eventuale che
comprende una serie di atti che si rendono necessari per assicurare l’efficacia del provvedimento
amministrativo).
a) La fase di iniziativa:
La fase di iniziativa è la fase diretta ad accertare i presupposti dell’atto da emanare. Al
riguardo si possono avere procedimenti ad iniziativa privata, vale a dire procedimenti che vengono
instaurati con un atto propulsivo dell’interessato (istanze, denunce, ricorsi, ecc) oppure di ufficio,
cioè ad impulso della stessa amministrazione competente
per l’emissione del provvedimento
centrale o conclusivo.
Una volta aperta tale fase, la l n. 241 del 1990 ha previsto tre obblighi che fanno capo alla
pubblica amministrazione procedente: la previsione di un termine di conclusione dell’iter
procedimentali, la individuazione del responsabile del procedimento e la comunicazione dell’avvio
del procedimento agli interessati.
b) la fase istruttoria
La fase istruttoria è la fase nella quale sia acquisiscono e si valutano i singoli dati rilevanti ai
fini dell’emanazione dell’atto. Questa fase, che si caratterizza per un’attiva partecipazione dei
privati (principio del giusto procedimento), tende all’acquisizione dei fatti e degli interessi e
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all’elaborazione di fatti ed interessi. In questa fase riveste notevole importanza l’istituto della
conferenza di servizi di tipo istruttorio.
c) la fase decisoria.
La fase decisoria è la fase del procedimento in cui si determina il contenuto dell’atto da
adottare e si provvede alla formazione ed alla emanazione dello stesso.
Quando la pubblica amministrazione deve emanare un atto discrezionale, provvede ad
effettuare la comparazione tra gli interessi acquisiti e coinvolti nell’azione amministrativa.
Mentre in presenza di un atto vincolato, essa dovrà limitarsi a verificare unicamente la
sussistenza dei presupposti per l’adozione dei provvedimenti.
In questa fase, riveste importanza la conferenza di servizi decisoria che dà luogo a veri e
propri accordi sul contenuto del provvedimento
Al termine della fase costitutiva, l’atto è perfetto ma non è ancora efficace.
d) la fase integrativa dell’efficacia.
La fase integrativa dell’efficiacia è un momento solo eventuale che ricorre nelle sole ipotesi
in cui sia la stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione dell’atto, richiedendo il compimento
di atti istruttori e successivi atti od operazioni.
La ragione di tale previsione risiede nella necessità di valutare la legittimità o la congruità
del provvedimento adottato, che può richiedere di essere portato a conoscenza dei destinatari per
poter esplicare appieno i propri effetti giuridici
Rientrano in questa fase, tra gli altri: la comunicazione o pubblicazione, in varie forme,
dell’atto, quando questo è recettizio, ossia quando la sua efficacia è condizionata alla conoscenza da
parte del destinatario; i controlli preventivi nel corso dei quali un organo diverso da quello attivo
(detto organo di controllo) verifica la conformità dell'atto all'ordinamento (controllo di legittimità) o
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la sua opportunità (controllo di merito); l’esito positivo di tale verifica è condizione necessaria
affinché l'atto possa divenire efficace.
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6 I principi fondamentali sanciti dalla legge n. 241
del 1990
La legge n. 241/1990, in armonia con la Costituzione, disciplina il procedimento
amministrativo dettando regole generale ispirate al principio del giusto procedimento, che
garantendo il diritto di partecipazione degli interessati, consacra la dialettica tra interessi pubblici e
privati tendendo alla composizione dei rapporti concreti, il principio di trasparenza che prevede il
carattere obbligatorio della motivazione del provvedimento amministrativo e l’obbligo di
identificare preventivamente l’ufficio e il dipendente responsabile del procedimento e il diritto dei
cittadini interessati di accedere ai documenti amministrativi.
Il principio di semplificazione che introduce alcuni istituti diretti snellire e rendere più celere
l’azione amministrativa (silenzio assenso, conferenze di servizi, ecc.).
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7 I nuovi pincipi introdotti dalla legge n. 15 del 2005
Il legislatore con la legge n. 15 del 2005 integra i principi generali dell’azione
amministrativa con il principio di leale cooperazione istituzionale utilizzato nei rapporti fra i diversi
soggetti pubblici (art. 22, comma 5 della l. n.241 del 1990) al di là dei rapporti fra i diversi livelli
governativi come previsto a seguito della riforma ex lege cost. 3/2001. Viene, inoltre sancito il
principio generale secondo il quale le amministrazioni pubbliche, salvo che la legge non disponga
diversamente, agiscono secondo il diritto privato, e quindi, anche servendosi di moduli negoziali per
la realizzazione dei propri compiti istituzionali, cioè per la cura completa degli interessi pubblici a
queste affidati dalla legge.
Il nuovo art. 21 sexies della l. n.241 del 1990 prevede che il recesso unilaterale dai contratti
da parte della pubblica amministrazione sia ammesso nei soli casi previsti dalla legge o dal
contratto.
La disposizione è volta ad estendere all’attività negoziale dell’amministrazione il principio
di stabilità degli obblighi contrattuali per salvaguardare l’affidamento dei terzi che stipulano
contratti con la pubblica amministrazione e assicurare in tale modo, l’affidabilità del contraente
pubblico.
Infine, viene previsto il principio dell’informatizzazione dell’attività amministrativa laddove
si dispone il dovere delle pubbliche amministrazioni di incentivare l’uso della telematica sia nei
rapporti interni, tra le diverse amministrazioni sia tra queste e privati.
Il legislatore con la legge n. 15 del 2005 introduce nella disciplina del procedimento anche
principi di derivazione comunitaria.
Fra questi principi rileva il principio di certezza del diritto, diretto a garantire la prevedibilità
delle situazioni e dei rapporti giuridici rientranti nella sfera del diritto europeo, il principio di
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legittimo affidamento, volto alla protezione di situazioni consolidate a seguito di provvedimenti
emanati e illegittimamente revocati che hanno ingenerato un ragionevole affidamento nei
destinatari. Il principio di proporzionalità che implica che la pubblica amministrazione debba
adottare la soluzione idonea ed adeguata comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi
compresenti, il principio del giusto procedimento, vale a dire il diritto ad essere ascoltati nel corso
del procedimento amministrativo, ed infine, il principio di buona amministrazione che impone di
garantire la tempestività dell’azione amministrativa e, nella connessa accezione di imparzialità, di
evitare in casi analoghi trattamenti difformi senza adeguata motivazione o di rispettare criteri di
massima fissati in precedenza.
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8 La partecipazione al procedimento
Tra gli obiettivi perseguiti dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 sul procedimento
amministrativo, un ruolo di primo piano rivestiva – e a maggior ragione riveste tuttora dopo che la
novella n. 15 del 2005 lo ha espressamente codificato – l’attuazione del principio di trasparenza,
inteso nella duplice accezione di rendere conoscibile all’esterno l’iter seguito dalla P.A. al fine
dell’adozione del provvedimento, ma anche come espressione della volontà di rendere permeabile il
processo decisionale pubblico al contributo e alle istanze, e più in generale, alle sollecitazioni e
all’apporto collaborativo, dei privati. Ciò, all’evidente e benefico effetto di pervenire ad
un’amministrazione il più possibile concordata, e dunque condivisa, e di ridurre il contenzioso sul
provvedimento. In quest’ottica, la legge 241 disciplina al Capo III (artt. 7-13) la c.d. partecipazione
al procedimento, prevedendo una serie di istituti diretti a dare effettiva attuazione a tale metodo
d’azione.
Si tratta:
a) della comunicazione di avvio del procedimento (artt. 7 e 8);
b) dei diritti di intervento e di partecipazione (artt.9 e 10);
c) della comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (art. 10bis);
d) degli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento (art. 11);
e) della predeterminazione dei criteri per l’attuazione dei vantaggi economici.
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9 Comunicazione di avvio del procedimento
La comunicazione di avvio del procedimento trova la propria fonte nell’art. 7, il quale
prescrive che l’amministrazione deve, di norma, comunicare l’avvio del procedimento ai soggetti
nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti; a quelli che per
legge debbono intervenirvi; ed infine ai soggetti2 a carico dei quali il provvedimento può produrre
effetti pregiudizievoli.
La comunicazione è scritta e di norma personale, anche se, quando per il numero dei
destinatari tale tipo di comunicazione non sia possibile o risulti particolarmente gravosa,
l’amministrazione può avvalersi delle forme di pubblicità idonee di volta in volta da essa stessa
stabilite3.
Tuttavia, nell’ottica di una sempre più accentuata tendenza alla informatizzazione e
speditezza dell’attività amministrativa si ritiene che la comunicazione de qua possa essere inviata
anche attraverso procedure informatizzate.
Nella comunicazione debbono essere indicati tutti quegli elementi necessari all’esercizio dei
diritti di partecipazione e all’applicazione degli istituti di tutela, ossia, ai sensi dell’art. 8: a)
l’amministrazione competente; b) l’oggetto del procedimento promosso; c) l’ufficio e la persona
responsabile del procedimento; c-bis) la data entro la quale deve concludersi il procedimento; c-bis)
i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione; c-ter) nei procedimenti ad iniziativa di
parte, la data di presentazione della relativa istanza; ed infine d) l’ufficio in cui si può prendere
visione degli atti.
2
T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, 5 luglio 2011, n. 1755
3
Cons. Stato Sez. VI, 09-03-2011, n. 1468
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Va evidenziato in particolare come, lo scopo di tale previsione normativa è quella di porre il
privato nella condizione di poter effettivamente controllare l’esplicazione del potere amministrativo
nei termini di legge, ed in caso di riscontro negativo al fine di dotarlo di uno strumento idoneo a
sollecitare la definizione del procedimento. La giurisprudenza sul punto ha affermato che la ratio
dell’istituto consiste nel “consentire alla parte interessata di partecipare al procedimento
amministrativo fin dal momento del suo concreto avvio, o quantomeno, di inserirsi in una fase che
non sia avanzata o, peggio, conclusiva, altrimenti risultando del tutto eluse le finalità partecipative e
di trasparenza dell’azione amministrativa4”.
Fermo restando tale premessa, gli articoli 7 e 8 cercano tuttavia di mediare tra le esigenze di
partecipazione e di trasparenza, che inducono a conferire carattere tendenzialmente generale alla
comunicazione in commento, e quelle, parimenti espresse dalla disciplina sul procedimento, ma che
rispetto all’obbligo in esame si presentano come antitetiche, di economia e celerità procedimentale.
Esito di tale bilanciamento è la previsione secondo la quale la P.A. può legittimamente
pretermettere l’adempimento in oggetto allorquando il medesimo risulti eccessivamente gravoso o
dispendioso, o comunque incompatibile con particolari esigenze di celerità sussistenti nella
specifica circostanza5.
Alla stregua della ponderazione di tali contrapposte esigenze la comunicazione di avvio del
procedimento non integra dunque sempre un presupposto di legittimità del provvedimento finale,
potendo in particolare essere omessa in relazione all’esercizio di poteri d’urgenza, e nei confronti
dei soggetti diversi dai diretti destinatari ai quali il provvedimento stesso possa arrecare pregiudizio,
quando costoro non siano “individuati o facilmente individuabili”.
Peraltro, come chiarito dal secondo comma dell’art. 21octies, “Non è annullabile il
provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora,
4
Cons. Giust. Amm. Sic., 19 maggio 2011, n. 386
5
T.A.R. Veneto Venezia Sez. II, 19-05-2011, n. 862,T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, 4 maggio 2011, n. 773
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per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe
potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è
comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora
l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto
essere diverso da quello in concreto adottato”6. Al di là delle ipotesi già esaminate, dopo la novella
del 2005 l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento non è, dunque, ex lege, causa
di illegittimità del provvedimento, anche in una serie ulteriore di casi, in linea di massima
riconducibili al principio di “raggiungimento del risultato”, come in relazione ad attività
interamente vincolata dell’amministrazione; o nei casi in cui sia stato in qualsiasi altro modo
realizzato lo scopo della partecipazione; o ancora quando l’interessato abbia avuto per altra via
sicura conoscenza dell’apertura del procedimento (ad esempio, per averlo attivato con la propria
istanza, o perché conseguente ad altro procedimento di sua conoscenza) . Tale esito, che come
quello fondato sulla lettera degli articoli 7 e 8 potrebbe apparire criticabile per l’ulteriore
attenuazione dell’ambito applicativo dell’obbligo di comunicazione considerato, codifica in verità
principi, come quello della prova della resistenza, conservazione degli atti, strumentalità delle
forme e raggiungimento dello scopo7 – già diffusamente applicati in giurisprudenza- i quali
presentano come elemento comune la tendenza ad applicare le norme sul procedimento “…non in
modo acritico o formalistico, ma alla luce dei criteri generali che governano l’azione
amministrativa”. Detto altrimenti, essa appare proprio ragionevole ed equilibrata espressione di quei
canoni di ragionevolezza, logicità, adeguatezza, e soprattutto di proporzionalità, che inducono ad
escludere l’applicazione degli istituti di partecipazione allorché i medesimi appesantiscono
inutilmente l’iter procedimentale. Previsione, da leggere in stretta connessione con l’art. 8, comma
6
T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, 7 aprile 2011, n. 611, T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 6 aprile 2011, n. 3057
7
Cons. Stato Sez. IV, 3 maggio 2011, n. 2630
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4, per il quale “L’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal
soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista.”
Da ultimo, nonostante non siano espressamente menzionati, si deve ritenere che alcuni
procedimenti siano per loro natura sottratti all’adempimento in oggetto, risultandone in caso
contrario del tutto frustrati i relativi obiettivi. Così, per esempio, può supporsi in ordine ai
procedimenti “segreti”, ossia aventi ad oggetto la “segregazione” di atti o documenti perché coperti
dal segreto di Stato (ex l.801/1977). O ancora rispetto ai procedimenti “riservati”, il cui risultato
pratico verrebbe senz’altro vanificato dalla comunicazione agli interessati, e dalla susseguente
partecipazione al procedimento.
Pur mancando una univocità di orientamenti sul punto m una parte della più recente
giurisprudenza amministrativa8, ammette la necessità della comunicazione de qua anche nei
confronti del procedimenti preordinati all’emanazione di atti vincolati ( come ad esempio in materia
edilizia ed urbanistica), atteso che comunque si tratta di provvedimenti destinati ad incidere
sfavorevolmente sulla situazione soggettiva del privato il cui intervento può essere proficuo per
l’attività istruttoria posta in essere dalla pubblica amministrazione.
La mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, laddove non ricorra una delle
ipotesi un cui non è previsto tale obbligo, provoca, l’illegittimità del provvedimento finale per vizio
di violazione di legge, la relativa illegittimità può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui
interesse la comunicazione è prevista (invalidità relativa) e non da chiunque ne abbia interesse.
Tuttavia tale regola non ha carattere assoluto. A tal proposito è necessario rapportare la normativa
sulla comunicazione di avvio all’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, che, al comma 2,
prevede discipline parzialmente diverse per il caso della violazione di norme procedimentali e per la
ipotesi della omissione della comunicazione.
8
T.A.R. Friuli-Venezia Giulia Trieste Sez. I, 10 giugno 2010, n. 372, T.A.R. Sardegna Cagliari Sez. I Sent., 5 maggio
2008, n. 869
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Infatti, la norma dopo aver stabilito al primo comma che è annullabile il provvedimento
amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o da incompetenza,
dispone che “ Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento
o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento sia palese che il suo
contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il
provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio
del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del
provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In altri termini,
non tutte le violazioni procedimentali debbano automaticamente dare luogo alla annullabilità del
provvedimento, in quanto il giudice, in sede di esame del vizio sul contenuto del provvedimento
impugnato, non deve procedere all’annullamento laddove emerga che il vizio non abbia inciso in
maniera significativa sull’assetto di interessi contenuto nel dispositivo.
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10 Diritti di intervento e di partecipazione
La disciplina dei diritti di intervento e di partecipazione recata dalla legge 241/1990
concerne in special modo due aspetti, non toccati dalla revisione del 2005: soggetti titolari e
contenuto. Quanto ai primi, i soggetti portatori di interessi suscettibili di essere incisi dall’adozione
del provvedimento, individuati, di norma, dalla stessa amministrazione procedente ai sensi dell’art.
7, diventano parti del rapporto pubblicistico nel quale il procedimento stesso consiste, ed assumono
la facoltà di parteciparvi rappresentando ed esprimendo i propri interessi. La legge 241 del 1990
assegna tuttavia il diritto di partecipare al procedimento, esercitando i diritti elencati all’art. 10, non
soltanto a tali soggetti (coinvolti, come si è detto, doverosamente, dall’amministrazione procedente
ai sensi dell’art. 7), ma anche a coloro che decidono, spontaneamente e di propria iniziativa, di
interloquire col soggetto pubblico in modo da condurlo all’adozione di una decisione in linea con i
propri interessi. La legge, come chiaramente recita l’art. 9, attribuisce infatti la facoltà di intervenire
nel procedimento a “qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori
di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal
provvedimento”. Tale potere di intervento è peraltro subordinato a due specifiche condizioni – che
spetterà al responsabile del procedimento verificare. Da un lato, il fatto che colui che interviene nel
procedimento possa subire un pregiudizio dall’adottando provvedimento, sicché, sotto tale profilo,
sembra opportuno sottolineare la minor dilatazione del novero dei potenziali interventori rispetto a
coloro ai quali, in base all’art. 7, deve essere comunicato l’avvio del procedimento. Mentre infatti in
questo secondo caso la norma si riferisce ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale
è destinato a produrre “effetti diretti”, che ben possono essere sia favorevoli che sfavorevoli, l’art. 9
circoscrive la facoltà di cui stiamo parlando solo ai soggetti suscettibili di venir lesi nei propri
interessi dal provvedimento conclusivo del procedimento. Dall’altro, il fatto che l’interventore si
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ponga sul piano giuridico come portatore di interessi pubblici, ovvero portatore di interessi privati,
o ancora portatore di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.
Detto questo, il contenuto della partecipazione procedimentale si articola, ai sensi
dell’art.10, in due aspetti. Da un lato, il diritto di prendere visione degli atti del procedimento, salvi
i limiti generali del diritto d’accesso; dall’altro, la rappresentazione scritta di fatti ed interessi propri
(attraverso le “memorie”), anche mediante l’esibizione dei pertinenti documenti, dei quali
l’amministrazione deve tenere conto ai fini della decisione da assumere.
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11 Comunicazione dei motivi ostativi
all’accoglimento dell’istanza
Particolare rilievo nel contesto degli istituti di partecipazione ha la prescrizione, introdotta
dall'articolo 6 della legge n.15 del 2005, relativa alla comunicazione dei motivi ostativi
all'accoglimento dell'istanza. La norma – art.10bis - introduce, nei procedimenti ad istanza di parte,
una nuova fase partecipativa, alla quale si deve dar corso tutte le volte in cui l’amministrazione,
esaminata la domanda dell’interessato e conclusa la fase istruttoria, giunge alla determinazione di
non accoglierla. In tal caso, prima di emanare il provvedimento negativo, l’amministrazione
procedente è infatti tenuta a comunicare i motivi che ostano all’accoglimento dell’istanza. Si apre
così, sulla base di tale comunicazione si apre una nuova fase istruttoria, nella quale i predetti
soggetti sono ammessi a rappresentare le loro osservazioni e a depositare documenti entro il termine
di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione
La comunicazione dei motivi ostativi interrompe i termini per concludere il procedimento
che iniziano nuovamente a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza,
dalla scadenza dei termine di cui al secondo periodo. Dell’eventuale mancato accoglimento di tali
osservazioni è data ragione nella motivazione del provvedimento finale.
Con tale istituto, il legislatore, alla luce della ratio dell’istituto, da identificare con la volontà
di realizzare un contraddittorio utile, efficace, e proporzionato agli interessi in gioco, media tra
l’esigenza di consentire comunque il contraddittorio tra le parti, e le note istanze di celerità e di non
aggravamento del procedimento . La disposizione limita in primo luogo il nuovo obbligo di
comunicazione ad alcune categorie di procedimenti, cioè a quelli attivati su iniziativa di parte. Tra
questi, l’istituto pare poi applicabile solo ai procedimenti a carattere discrezionale, nei quali la
partecipazione degli interessati può apportare elementi utili alla decisione, con esclusione, quindi,
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dei procedimenti a carattere vincolato, cui si aggiungono, presumibilmente con l’intento di evitare il
rischio di paralisi a causa del loro elevato numero, quelli volti all’accertamento di diritti a contenuto
patrimoniale. In secondo luogo, la possibilità di partecipare al supplemento di istruttoria non viene
estesa a tutti gli interventori (necessari o facoltativi) del procedimento, ma è circoscritta agli istanti,
ossia a coloro che, attraverso la propria domanda, hanno messo in moto il procedimento
amministrativo, e che vi hanno un interesse qualificato.
Si discute sull’applicabilità dell’istituto anche alla segnalazione certificata d di inizio attività
(s.c.i.a.) che ha sostituito la denuncia di inizio attività. Infatti, la s.c.i.a. si qualifica come un atto di
semplificazione procedimentale che permette al privato di conseguire un titolo abilitativo con
riferimento ad una attività edilizia. Proprio in ragione della natura del suddetto atto che si configura
come ad iniziativa di parte, si ritenuto che il preavviso di rigetto potesse essere astrattamente
applicabile alla s.c.i.a.
Per la dottrina e la giurisprudenza il preavviso di rigetto può essere considerato un atto
endoprocedimentale, visto che la sua funzione è quella di avvisare il privato dell’intenzione
dell’amministrazione di adottare un provvedimento a lui sfavorevole. Di conseguenza non è
possibile ammettere una autonoma impugnabilità del preavviso di rigetto, stante il suo carattere di
atto non immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche soggettive dei privati.
La comunicazione di preavviso di rigetto è sottoposta al medesimo regome stabilito per la
comunicazione di avvio del procedimento, ciò significa che la sua omissione, ai sensi dell’art. 21
octies della l. n. 241 del 1990 non comporta l’annullabilità dei procedimenti vincolati, qualora sia
palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto
adottato e, per i provvedimenti discrezionali, qualora la pubblica amministrazione dimostri in
giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato.
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Secondo l’opinione maggioritaria in giurisprudenza9, infatti, la violazione dell’art. 10 bis
della legge sul procedimento amministrativo non produce ex se l’illegittimità del provvedimento
terminale, dovendo la disposizione sul cd. preavviso di diniego essere interpretata alla luce del
successivo art. 21 octies della l. n. 214/1990, secondo cui, laddove il ricorrente sollevi determinati
vizi di natura formale, è imposto al giudice di valutare il contenuto sostanziale del provvedimento e,
quindi, di non annullare l’atto nel caso in cui le violazioni formali non abbiano inciso sulla
legittimità sostanziale del provvedimento impugnato.
9
Cons, di Stato, sez. IV, 12-09-2007, n.4828
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12 Il responsabile del procedimento
Il capo II (articoli 4 – 6) della legge n. 241 del 1990 regolamenta la figura del responsabile
del procedimento, a cui affida la gestione del procedimento amministrativo.
Attraverso l’introduzione della figura del responsabile del procedimento, il legislatore del
1990 ha inteso rompere definitivamente il muro di anonimato e irresponsabilità che consentiva alla
pubblica amministrazione di sfuggire alle conseguenze di propri comportamenti omissivi o arbitrari
e delle relative lesioni cagionate ai privati.
La ratio dell’introduzione della figura del responsabile del procedimento può allora,
rinvenirsi nell’esigenza di attuazione dei principi di trasparenza ed efficienza dell’azione
amministrativa, unitamente alla piena responsabilizzazione degli amministratori preposti alla
gestione del procedimento.
L’art. 6 della l. n. 241 del 1990 prevede una serie di compiti attribuiti al responsabile del
procedimento, prevalentemente finalizzati alla cura della fase istruttoria del procedimento, nonché,
laddove ne abbia la competenza, all’effettiva adozione del provvedimento finale.
I compiti che gli sono attribuiti sono indicati dall’articolo 6 della citata legge n. 241:
iniziativa ed impulso; avvisi e comunicazioni; verifica, formazione e acquisizione di fatti, atti ed
interessi; eventuale adozione del provvedimento finale. Si tratta, in sostanza, di compiti di impulso,
di direzione e di coordinamento dell’istruttoria procedimentale e, solo in via eventuale, di decisione.
La materia del responsabile del procedimento è stata interessata dal d.lgs. n. 29 del 1993,
successivamente novellato dal d. lgs. n. 80 del 1998 e poi recepito dal d. lgs. n. 165 del 2001,
recentemente novellato dal d.lgs n.150 del 2009 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni).
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Per quanto riguarda la individuazione del responsabile del procedimento, il referente
normativo è costituito dall’articolo 5, comma 1, della richiamata legge n. 241, il quale espessamente
prevede che il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro
dipendente addetto all'unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il
singolo procedimento nonché, eventualmente, dell'adozione del provvedimento finale.
Pertanto, il dirigente assume la veste di responsabile di tutti i procedimenti che rientrano
nella competenza funzionale dell’unità organizzativa, dal loro impulso, alla loro conclusione, alle
relative comunicazioni.
Può, tuttavia, nominare un funzionario per provvedere alle relative incombenze,
conferendogli la qualifica di responsabile del procedimento, fermo restando che l’adozione del
provvedimento finale è riservata alla sua competenza esclusiva.
Quindi, in caso di designazione, da parte del dirigente preposto all’unità organizzativa, del
responsabile del procedimento, su quest’ultimo viene ad incentrarsi ogni incombenza connessa
all’impulso, agli avvisi, all’istruttoria e alla comunicazione del provvedimento finale. Al proponente
è però riservata l’emanazione del provvedimento finale, in quanto è dalla legge chiamato a
rispondere della gestione complessiva della struttura organizzativa.
Inoltre, è previsto che l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove
diverso dal responsabile del procedimento, non possa discostarsi dalle risultanza dell’istruttoria
condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione del provvedimento
finale.
Il designato responsabile del procedimento non è tuttavia un mero esecutore materiale delle
direttive impartite dal dirigente, in quanto egli è investito di ampia autonomia operativa tecnicodiscrezionale.
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Uno degli obiettivi principali che il legislatore ha inteso conseguire attraverso l’emanazione
della legge sul procedimento amministrativo è stato quello della responsabilizzazione dei funzionari
della pubblica amministrazione. La responsabilità può essere di tre tipi penale, civile e
amministrativa.
Per quanto concerne la responsabilità penale, è da osservare che il responsabile del
procedimento può incorrere nella fattispecie delineata dall’art. 328, comma 2, c.p., in materia di
omissione di atti di ufficio; ciò secondo dottrina e giurisprudenza, sia in caso di omissione
ingiustificata di adottare l’atto conclusivo, sia nella ipotesi in cui non vengano posti in essere gli atti
dovuti menzionati nell’art. 6 della l. n. 241 del 1990.
Per quanto riguarda, invece la responsabilità civile, si applica l’art. 28 della Cost. secondo
cui i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili
secondo le leggi civili, penali e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti e,
dall’altro, dall’art. 22 del d.p.r. n. 3/1957 (T.U. impiegati civili dello Stato), il quale dispone che
l’impiegato che, nell’esercizio delle attribuzioni ad esso conferite dalle leggi o dai regolamenti,
cagioni ad altri un danno ingiusto con dolo o colpa grave è personalmente obbligato a risaricirlo.
L’azione di risarcimento nei suoi confronti può essere esercitata congiuntamente con
l’azione diretta nei confronti dell’amministrazione qualora in base alle norme ed ai principi vigenti
dell’ordinamento giuridico, sussista anche la responsabilità dello Stato.
Il danneggiato avrà la facoltà di agire sia nei confronti dell’amministrazione oppure nei
confronti del funzionario responsabile.
Infine, per quanto concerne la responsabilità amministrativa contabile e disciplinare, sono le
responsabilità nelle quali può incorrere il responsabile sia per i danni cagionati su di lui, secondo
quanto previsto dalle leggi e dai contratti collettivi.
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