PREGABALIN E LEVETIRACETAM COME ADD-ON IN PAZIENTI CON CRISI PARZIALI: HEAD-TO-HEAD IN PARITÀ 22 giugno 2014 Pregabalin non è inferiore, e ha una tollerabilità simile, a levetiracetam come terapia additiva per la riduzione della frequenza delle crisi nei pazienti con epilessia parziale. Lo dimostra un ampio studio i cui risultati sono stati presentati online su Epilepsia. «Il trattamento degli attacchi inizia tipicamente con un singolo farmaco antiepilettico (AED) ma circa una metà dei pazienti non rispondono alla prima monoterapia e richiedono una terapia additiva per il controllo delle crisi» premettono gli autori, costituiti da un gruppo internazionale di ricercatori coordinati da Gaetano Zaccara, direttore dell’Unità Operativa di Neurologia dell’Azienda Sanitaria di Firenze. «Nonostante sia disponibile un grande numero di AED, approssimativamente il 30% dei pazienti con attacchi parziali rimane resistente al trattamento con una terapia sia singola che di combinazione» continuano. «Pregabalin e levetiracetam sono farmaci considerati bene come terapia aggiuntiva per pazienti con crisi parziali, e dotati di un profilo di tollerabilità favorevole». «Entrambe le terapie sono approvate come add-on dell’epilessia a esordio parziale. Inoltre, è stato proposto per entrambi i farmaci un meccanismo d’azione differente da quello degli AED meno recenti, con minore probabilità di interferire con la farmacocinetica degli altri comuni trattamenti per epilessia parziale» proseguono Zaccara e collaboratori. «I due farmaci finora non sono però mai stati messi a confronto direttamente in questi pazienti. Né è mai stata determinata la loro efficacia come add-on in pazienti che non sospendono il trattamento». È stato quindi avviato un trial randomizzato (1:1) di non inferiorità, in doppio cieco, a dose flessibile, a gruppi paralleli su pregabalin e levetiracetam come trattamento aggiuntivo in pazienti adulti con epilessia parziale refrattaria. Lo studio ha incluso una fase di 6 settimane di base, una seconda fase di 4 settimane con aumento del dosaggio e una terza fase di 12 settimane di mantenimento. L’endpoint primario era rappresentato dalla quota di pazienti con riduzione di almeno il 50% della frequenza degli attacchi in 28 giorni durante il periodo di mantenimento di 12 settimane, in confronto al basale. La non inferiorità del pregabalin sarebbe stata dichiarata se il limite inferiore dell’intervallo di confidenza (CI) al 95% per la differenza nel tasso dei pazienti responsivi fosse stata superiore al margine predeterminato di non inferiorità di -12%. Un endpoint-chiave secondario era costituito dalla modificazione percentuale dal basale nella frequenza delle crisi in 28 giorni durante le fasi sia di titolazione che di mantenimento. Nel complesso, 509 pazienti sono stati randomizzati a ricevere pregabalin (n=254) o levetiracetam (n=255) e 418 (208 nel gruppo pregabalin, 210 in quello levetiracetam) hanno portato a termine la fase di mantenimento. Sia con pregabalin sia con levetiracetam la quota di pazienti con riduzione di almeno il 50% del tasso di frequenza degli attacchi si è attestato a 0,59 (differenza tra gruppi [95% CI], 0,00 [da -0,08 a 0,09]). Poiché il limite inferiore del 95% CI è risultato maggiore del margine prespecificato di non inferiorità di -12%, pregabalin si è dimostrato non inferiore a levetiracetam. Non si sono rilevate differenze significative tra pregabalin e levetiracetam come cambiamento percentuale nella frequenza di crisi in 28 giorni (differenza mediana [95% CI], 4,1 [da -2,6 a 10,9], p=0,3571). In un’analisi post-hoc la quota di pazienti risultati liberi da crisi nella fase di mantenimento è risultata inferiore nel gruppo pregabalin (8,4%) rispetto al gruppo levetiracetam (16,2%), p=0,0155. I profili di sicurezza dei due farmaci sono apparsi simili e in linea con le risultanti di trial precedenti. «Le sospensioni del trattamento con pregabalin» fanno notare gli autori «hanno avuto maggiore probabilità di avvenire durante la fase di aumento del dosaggio mentre, all’opposto, quelle relative a levetiracetam sono sembrate più probabili nella fase di mantenimento. Questa differenza può riflettere i differenti tipi di eventi avversi più comunemente legati alla cessazione del primo farmaco (vertigini e sonnolenza) o del secondo (modificazioni dell’umore) e il tempo che occorre a ognuno di tali disturbi per emergere. I tassi di discontinuazione sono risultati, nell’ordine, di 18,1% e 17,6%, ovvero nel range di quanto già noto da studi pregressi. I criteri usati dallo studio “head-to-head” – sottolineano gli autori – hanno permesso di evidenziare alcuni vantaggi di pregabalin e levetiracetam rispetto ad altri AED: entrambi hanno dimostrato di non avere importanti interazioni con altri AED e di possedere un rischio molto basso di sviluppare eventi avversi idiosincrasici immunomediati. Nell’ambito del concetto secondo cui le migliori associazioni di AED sono quelle basate su farmaci con diversi meccanismi d’azione, gli autori ricordano che pregabalin agisce presumibilmente legandosi in sede presinaptica alla subunità alfa2-delta dei canali ionici del calcio regolati dal voltaggio con conseguente modulazione sul rilascio di neurotrasmettitori eccitatori, mentre levetiracetam probabilmente regola la proteina 2A delle vescicole sinaptiche. «Entrambi i trattamenti dimostrano una tollerabilità favorevole» concludono Zaccara e colleghi. «Questi dati suggeriscono che pregabalin, insieme a levetiracetam, dovrebbero essere considerati precocemente nel paradigma del trattamento aggiuntivo per pazienti con crisi parziali». Arturo Zenorini Zaccara G, Almas M, Pitman V, et al. Efficacy and safety of pregabalin versus levetiracetam as adjunctive therapy in patients with partial seizures: A randomized, double-blind, noninferiority trial. Epilepsia, 2014 Jun 5. [Epub ahead of print]