N. 73
25 ottobre 1999
ALLARME BENZODIAZEPINE?
Le benzodiazepine occupano la scena terapeutica dagli anni ‘60. Attualmente risultano tra i farmaci più prescritti,
nonostante sia ancora aperto il dibattito sulla loro sicurezza relativa ed esistano chiare raccomandazioni per un uso
mirato e di breve durata. In Italia il consumo di benzodiazepine è tra i più alti d’Europa: le impiega un adulto su 10, ma
la percentuale sale ad uno su 4 quando si indaga la popolazione oltre i 65 anni di età e, tra gli utilizzatori anziani, 3 su 4
(più spesso donne con problemi di insonnia) le assumono da più di un anno. A destare le maggiori preoccupazioni, sia
in termini di salute pubblica che di gestione del singolo paziente, non è solo il fatto che tante persone assumono
benzodiazepine, ma anche e soprattutto che si tratta di un uso prolungato nel tempo. Tutti gli effetti indesiderati e le
loro possibili gravi conseguenze sono infatti connessi all’uso cronico di questi farmaci. I rischi legati al trattamento
continuato e alla dipendenza hanno indotto il Ministero della Sanità ad adottare un provvedimento di revisione dei
foglietti illustrativi delle benzodiazepine (decreto del 3/6/1999 GU 3/8/1999). Il fenomeno è complesso e molti fattori
hanno concorso a determinarlo, ma per risolverlo tutti devono fare la loro parte, autorità regolatorie, medici, farmacisti
e pazienti. L’informazione rappresenta la condizione essenziale per una piena assunzione di responsabilità da parte di
ciascuno.
Attività farmacologiche e impieghi clinici
Le benzodiazepine (BDZ) sono sostanze che a dosi crescenti sono in grado di produrre sedazione dell’ansia (effetto
ansiolitico), ridurre l’ipereattività e l’eccitazione (effetto sedativo), facilitare l’insorgenza e il mantenimento del sonno
(effetto ipnotico). L’ansiolisi, la sedazione e l’ipnosi rappresentano stadi di profondità crescente di una progressiva
depressione del sistema nervoso centrale. Ad un grado ancora più elevato di depressione si ottiene uno stato di anestesia
generale. Le BDZ non inducono tuttavia una anestesia generale completa, ma trovano impiego come preanestetici,
anche per la loro capacità di produrre amnesia retrograda. Le BDZ esercitano inoltre un effetto miorilassante centrale
(utile nel trattamento della spasticità muscolare) e un effetto anticonvulsivante (limitato però dal rapido sviluppo di
tolleranza).Tutte queste azioni sono dovute al potenziamento dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA), il principale
neurotrasmettitore endogeno con funzioni inibitorie. Legandosi ad un recettore specifico, le BDZ facilitano l’accesso
del GABA al proprio recettore. Quest’ultimo evento provoca l’afflusso di ioni cloro all’interno della cellula con
conseguente riduzione dell’eccitabilità. Il fatto che l’azione delle BDZ non sia dovuta a proprietà deprimenti dirette sul
SNC spiega la loro notevole sicurezza nel sovradosaggio acuto; la depressione neuronale da esse indotta è infatti
autolimitante in quanto dipende dalla liberazione del GABA. Le BDZ esercitano modesti effetti, tranne che in caso di
intossicazione grave, sulla funzione respiratoria e sul sistema cardiovascolare.
Lo sviluppo delle diverse molecole si è orientato a sfruttare le parziali differenze farmacologiche (potenza relativa,
cinetica, metabolismo), così da costruire profili “specifici” per l’uno o l’altro principio attivo. Per quanto riguarda le
indicazioni più diffuse, le BDZ vengono classificate in ansiolitiche e ipnotiche; in realtà ogni BDZ possiede, a seconda
della dose, un effetto ansiolitico o ipnotico. La scelta viene determinata dalla condizione clinica e dalle caratteristiche
farmacocinetiche delle varie BDZ. Nell’insonnia, vengono preferiti i composti a breve emivita, eliminati tramite
glucuroconiugazione epatica diretta. Solo nei pazienti che, oltre a difficoltà di addormentamento, lamentano numerosi
risvegli notturni e hanno difficoltà a riprendere sonno, possono essere giustificate BDZ a più lunga durata d’azione;
queste ultime sono in genere meno indicate perché sono responsabili di una eccessiva sedazione diurna e danno luogo a
metaboliti attivi che tendono ad accumularsi nell’uso cronico o negli anziani. Nel trattamento dei disturbi d’ansia, fatta
eccezione per il solo triazolam che, per l’emivita brevissima, non si presta all’uso come ansiolitico diurno, tutte le altre
BDZ possono essere utilizzate allo scopo.
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lunga emivita (>40 h)
clorazepato (Transene)
diazepam (Valium)
flurazepam (Flunox)
pinazepam (Domar)
prazepam (Prazene)
quazepam (Quazium)
media emivita (24-48h)
flunitrazepam (Roipnol)
nitrazepam (Mogadon)
breve emivita (<20 h)
alprazolam (Xanax)
bromazepam (Lexotan)
lorazepam
(Tavor)
estazolam
(Esilagan)
oxazepam
(Serpax)
temazepam (Euipnos)
ultrabreve emivita(2-5h)
triazolam (Halcion)
Effetti indesiderati e dipendenza
Le maggiori preoccupazioni riguardano, come detto, i possibili danni legati all’uso prolungato delle BDZ. Su questo
principio si basano le cause di risarcimento intentate all’industria farmaceutica da parte di consumatori americani. Il
caso più eclatante è stato quello dell’Halcion- accusato di provocare alterazioni imprevedibili del comportamento- dove
le cause legali hanno portato ad una rivalutazione globale del profilo beneficio/rischio del farmaco, che si è conclusa
con la sua sospensione da alcuni mercati europei e con la riduzione della posologia nei paesi dove il farmaco è rimasto
in commercio.
La consapevolezza dei rischi legati alle BDZ è avvenuta tardivamente per ragioni culturali (dei medici, dei pazienti,
della società) e per astuzie commerciali (delle ditte), ma anche per la difficoltà di identificare come tali molti degli
effetti indesiderati di questi farmaci. Le reazioni avverse delle BDZ infatti, si confondono con il loro effetto terapeutico
(l’eccesso di sedazione e le sue conseguenze) o con la condizione del soggetto trattato (disturbi della memoria,
alterazioni dell’umore e del comportamento) o infine, nel caso delle reazioni di astinenza, con la ripresa dei disturbi
d’ansia che erano stati la ragione del trattamento. Il fatto che tuttora non si riesca a quantificare in modo preciso gli
effetti indesiderati delle BDZ deriva proprio dal loro contorno sfumato. E’ certo, comunque, che le BDZ possono
ostacolare i processi mnemonici, in particolare per quanto riguarda la memoria a breve termine e quella di avvenimenti
il cui ricordo richiede uno sforzo attivo del soggetto. Questo effetto è dose-dipendente, sembra variare da farmaco a
farmaco e tende ad essere più accentuato negli anziani. L’uso cronico di BDZ viene anche ritenuto responsabile di vari
disturbi dell’umore e del comportamento, ma le evidenze disponibili, per quanto suggestive, non possono essere
considerate conclusive. E’ infine ben dimostrata la correlazione tra impiego di BDZ nell’anziano, cadute a terra e
fratture del femore.
L’uso di BDZ può condurre allo sviluppo di dipendenza fisica e psichica. Il rischio aumenta con la dose e la durata del
trattamento. Una volta che la dipendenza si sia instaurata, la brusca sospensione del trattamento è accompagnata da
sintomi da astinenza quali ansia e insonnia di rimbalzo, cefalea, dolori muscolari, nervosismo, agitazione, irritabilità;
nei casi più gravi si possono manifestare sintomi psicotici e convulsioni (da qui la necessità di una progressiva
riduzione del dosaggio). L’insonnia da rimbalzo si associa più frequentemente con le BDZ a emivita breve; quelle ad
emivita brevissima (triazolam) possono causare effetti rebound durante l’ultima parte della notte e nelle prime ore del
mattino.
La reale presenza di fenomeni di tolleranza negli utilizzatori cronici di BDZ è invece controversa. Esistono infatti
numerosi studi epidemiologici che hanno documentato l’uso di dosi moderate di BDZ per molti anni con una
percezione soggettiva di benessere (senza necessità quindi di aumentare le dosi). D’altronde esiste anche l’evidenza in
molti pazienti di un effetto benefico nei primi giorni di trattamento e di una successiva perdita di efficacia.
Che fare in futuro?
Il medico dovrà seguire le raccomandazioni di riservare l’impiego delle BDZ ai casi più gravi, per non più di 10-15
giorni nell’insonnia (con un’assunzione intermittente, ovvero 2-3 volte alla settimana) e non più di 4 settimane nei
disturbi d’ansia, coinvolgendo il paziente in questa scelta. Un paziente ben informato sui benefici, sui rischi e la durata
del trattamento prima del suo inizio, ne accetta più facilmente la riduzione dopo breve tempo e la sospensione. Gli
effetti indesiderati della BDZ, in particolare negli anziani, giustificano un tentativo di sospenderle in chi le assume da
tempo. Prima di farlo, il medico dovrà considerare le motivazioni di ogni singolo paziente, insieme ai rischi potenziali
legati alla prosecuzione della terapia e alla possibilità di strategie alternative (es.psicoterapia). Nel caso dei principali
utilizzatori di BDZ (donne e anziani) le condizioni di malessere sono spesso legate a situazioni familiari e sociali e le
alternative non sono, purtroppo, sempre disponibili o possibili. Il farmacista, a sua volta, dovrà mantenere un
atteggiamento rigoroso nella dispensazione di questi farmaci. Lungi dall’essere un atto puramente burocratico, un
approccio simile, quando accompagnato da adeguate informazioni e spiegazioni, diventa un pilastro in un contesto
educativo globale volto a responsabilizzare il paziente per un uso corretto delle BDZ.
Bibliografia. Goodman & Gilman. Le basi farmacologiche della terapia 1992- Parma E et al. Uso delle benzodiazepine nella
popolazione italiana. Ricerca & Pratica 1995; 11:229-Coen D. Benzodiazepine: possiamo farne a meno? Ricerca & Pratica 1995;
11:223.
A cura del dott. Miselli M., Farmacie Comunali Riunite, Reggio Emilia.
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