l`esercizio consensuale della potestà amministrativa

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“L’ESERCIZIO CONSENSUALE DELLA
POTESTÀ AMMINISTRATIVA”
PROF.SSA CARMENCITA GUACCI
Università Telematica Pegaso
L’esercizio consensuale della potestà amministrativa
Indice
1
GLI STRUMENTI DELLA SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA ----------------------------------------- 3
2
GLI ACCORDI TRA LE PP.AA. E I PRIVATI ------------------------------------------------------------------------- 4
3
GLI ACCORDI PROCEDIMENTALI E GLI ACCORDI SOSTITUTIVI ---------------------------------------- 6
4
TUTELA DEI TERZI E PROFILI GIURISDIZIONALI -------------------------------------------------------------- 8
5
NATURA GIURIDICA DEGLI ACCORDI PROCEDIMENTALI E SOSTITUTIVI -------------------------- 10
6
ACCORDI TRA AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE --------------------------------------------------------------- 14
7
SOGGETTI NEGLI ACCORDI DI PROGRAMMA ------------------------------------------------------------------ 16
8
IL PROCEDIMENTO -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 18
9
GLI EFFETTI ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 19
10
TUTELA DEI TERZI -------------------------------------------------------------------------------------------------------- 24
11
CONVENZIONI EX ART. 30 DEL D.LGS. N. 267 DEL 2000 E ACCORDI DI PROGRAMMA ------------ 25
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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1
L’esercizio consensuale della potestà amministrativa
Gli strumenti della semplificazione
amministrativa
Il capo IV della legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990) contiene una
serie di disposizioni di notevole rilievo, dirette a snellire l’azione amministrativa e di, conseguenza,
ad uniformare la stessa ai principi di economicità e di efficacia di cui all’art. 1 della suddetta legge.
Una vera e propria semplificazione dell’attività amministrativa è avvenuta ad opera della
legge n. 59/1997, che ha previsto una delegificazione e una contrazione dei tempi e delle fasi del
procedimento amministrativo, e dalla legge Bassanini bis, l. n.127 del 1997, in tema di
potenziamento di istituti quali gli accordi tra le PP.AA. e i privati, gli accordi tra le P.P.AA. la
conferenza di servizi e l’autocertificazione,
Nella lezione odierna ci soffermeremo sugli accordi tra le PP.AA. e i privati
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2 Gli accordi tra le PP.AA. e i privati
La legge sul procedimento amministrativo ha sancito il principio di contrattualità dell’azione
amministrativa, ossia il principio in forza del quale il modulo convenzionale di regolazione dei
rapporti tra amministratori ed amministrati assurge a strumento imprescindibile dell’azione dei
pubblici poteri.
In quest’ottica di democratizzazione dell’azione amministrativa, “l’accordo tra P.A.: e
privati è concepito non già come una rottura del procedimento, come una soluzione eccezionale ed
anomala dei problemi aperti dall’iniziativa del procedimento, ma come uno sbocco alternativo
all’atto e come questo direttamente e coerentemente, discendente dallo sviluppo dello stesso
procedimento” (NIGRO).
Orbene, l’art. 11 della legge sul procedimento amministrativo segna l’istituzionalizzazione
del modulo convenzionale nell’attività amministrativa. Per la prima volta, attraverso il suddetto
articolo si accede, ad un modulo utilizzabile in via generale, attraverso cui l’amministrazione
procedente acquisisce in via preventiva il consenso del privato, raggiungendo un assetto di interessi
concordato che costituirà il contenuto del provvedimento, o, in casi tassativamente individuati dal
legislatore, sostituirà il provvedimento stesso.
Tale modulo convenzionale presenta considerevoli elementi di difformità, rispetto a quello
dei contratti di diritto comune stipulati dalla p.a., anche rispetto alle ipotesi connotate dalla presenza
di una procedura di evidenza pubblica.
Nei contratti di diritto comune la pubblica amministrazione agisce jure privatorum e, quindi,
è equiparata al privato contraente; l’istituto degli accordi, invece, evidenzia una situazione del tutto
distinta, che vede l’amministrazione andare alla ricerca del consenso del privato per l’esercizio di
un potere del quale era solita far uso in forma unilaterale.
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In particolare, l’art. 11 prevede che:
a)
in accoglimento dei osservazioni e proposte presentate a norma dell’art. 10,
l’amministrazione procedente può concludere, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e
in ogni caso nel perseguimento del pubblico interesse, accordi con gli interessati al
fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale ovvero in
sostituzione di questo;
b)
gli accordi in questione debbono essere stipulati, a pena di nullità, per atto scritto,
salvo che la legge disponga altrimenti;
c)
ad essi si applicano, ove non sia diversamente previsto, i principi del codice civile in
quanto compatibili;
d)
gli accordi sostitutivi di provvedimenti sono soggetto ai medesimi controlli previsti
per questi ultimi;
e)
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse l’amministrazione può recedere
unilateralmente dall’accordo, salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un
indennizzo in relazione ai eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato;
f)
le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi in
esame sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
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3 Gli accordi procedimentali e gli accordi sostitutivi
L’art. 11 prevede due forme di accordi, gli accordi procedimentali e gli accordi sostitutivi.
Gli accordi procedimentali
sono conclusi dall’amministrazione procedente con gli
interessati al fine di determinare il contenuto del provvedimento.
In questa prima fattispecie rimane ineludibile la presenza di un provvedimento che recepisca
il contenuto dell’accordo tra la p.a. e privato.
Mentre gli accordi procedimentali precedono il provvedimento e ne determinano il
contenuto, gli accordi sostituitivi sono stipulati in sostituzione del provvedimento amministrativo.
Si pensi ad esempio alla cessione volontaria in tema di esproprio: il privato, piuttosto che risultare
destinatario di un provvedimento di esproprio, cede volontariamente il bene espropriando attraverso
un accordo.
Altro esempio è dato dalle convenzioni di lottizzazione, con cui il privato e la p.a. adottano
convenzionalmente un atto di programmazione urbanistica che va a sostituire il corrispondente
piano attuativo urbanistico.
Il legislatore con la legge n. 15 del 2005 ha provveduto a generalizzare l’uso degli accordi
sostitutivi in quanto non è più previsto che alla loro conclusione si possa addivenire nei soli casi
previsti dalla legge.
La disposizione è collegata al principio sancito dal nuovo art. 1 bis della legge n.241 del
1990 in forza del quale la pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non autoritativa
agisce secondo le norme di diritto privato.
La legge n.15 del 2005 introduce all’art.11 della legge n.241 del 1990 un comma 4 bis che
prevede che la stipulazione dell’accordo, procedimentale o sostitutivo sia sempre preceduta da una
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determinazione dell’organo competente per l’adozione del provvedimento. Ciò a garanzia
dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa.
La determinazione che occorre per esplicitare i motivi che spingono l’amministrazione a
concludere l’accordo, ricorda la determinazione a contrarre ex art. 197 del d.lgs. n. 267 del 2000, e
apre una parentesi pubblicistica in un contesto negoziale.
La disposizione, oltre ad esplicitare una regola di condotta per l’amministrazione, chiarisce
la natura pubblicistica e discrezionale della fase di formazione degli accordi, sebbene ciò fosse già
ricavabile dalla sistematica complessiva dell’art. 11.
Un problema applicativo inerisce al tipo di provvedimento per il quale può maturare
l’accordo, ossia se l’accordo sia ammissibile solo in presenza di provvedimenti a contenuto
discrezionale (alla stregua della lettera della legge) o anche in presenza di provvedimenti a
contenuto vincolato.
La soluzione può essere formulata sulla scorta delle utilità che possono discendere
dall’accordo stesso.
In caso di provvedimenti a contenuto vincolato, la suddetta utilità è di norma inferiore, ma
non può essere esclusa in radice. Ad esempio, l’accordo che interviene per un provvedimento a
contenuto vincolato potrebbe avere l’effetto di accelerarne l’adozione e di escludere eventuali
profili contenziosi.
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4 Tutela dei terzi e profili giurisdizionali
Un aspetto importante concerne i rapporti con i terzi. In particolare il comma 1, dell’art. 11
stabilisce che l’amministrazione può concludere accordi senza pregiudizio dei diritti dei terzi. La
formula riecheggia quella di alcune clausole che vengono inserite nei provvedimenti di concessione
edilizia sulla scorta di una identica previsione legislativa.
Il senso della clausola, in quest’ultimo caso, è che, se ad esempio la p.a. rilascia una
concessione ad edificare irrispettosa, delle distanza minime tra gli edifici, ciò non toglie che il terzo
potrà adire il giudice per ottenere la riduzione in pristino. Nel caso degli accordi, pertanto, la
clausola va letta nel senso che tali accori non possono essere direttamente lesivi della sfera dei terzi,
ma al limite possono produrre verso costoro solo effetti favorevoli, anche in linea con quanto
dispone l’art. 1411cc. La regione che ha spinto il legislatore ad utilizzare tale formula ossequiosa
del principio di relatività dei contratti ai sensi dell’art. 1372 cc. può essere rinvenuta, aderendo alla
tesi pubblicistica della natura dell’accordo, nella possibilità che l’accordo sostitutivo, facendo leva
sul carattere autoritativo del poter, possa produrre effetti lesivi nei confronti dei consociati alla pari
di un qualunque provvedimento amministrativo.
Per quanto attiene ai profili di tutela del terzo, occorre distinguere a seconda che gli stessi
lamentino la lesione di diritti soggettivi ovvero di interessi legittimi.
Nel primo caso, essi saranno alla stregua dei principi generali, legittimati a ricorrere al g.o. il
quale, laddove ne ricorrano i presupposti, potrà disapplicare l’accordo limitatamente alla parte
lesiva dei diritti medesimi.
In caso di lesione di interessi legittimi, i terzi potranno, invece, adire il g.a. impugnando
l’accordo ovvero il provvedimento recettivo dello stesso.
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È evidente che la possibilità di impugnare direttamente l’accordo sussisterà, solo in tema di
accordi sostitutivi, atteso che solo questi si palesano idonei ad incidere direttamente nella sfera
giuridica dei terzi.
Per quanto concerne gli accordi procedimentali, aventi carattere non autonomamente
produttivo di effetti esterni, il terzo dovrà attendere l’emanazione del provvedimento e, quindi,
impugnare quest’ultimo, congiuntamente all’accordo relativo.
L’art. 11, quarto comma, sancisce la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo delle controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi
procedimentali e sostitutivi
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5 Natura giuridica degli accordi procedimentali e
sostitutivi
Affrontiamo ora lo spinoso tema della natura giuridica degli accordi. Due sono le teorie che
si contendono il campo. Secondo una prima tesi (privatistica), si tratta di contratti di diritto comune,
ad oggetto pubblico caratterizzati dalla presenza di posizioni giuridiche di diritto - obbligo. Una
volta perfezionato l’accordo, e salvo il diritto di recesso della p.a. ai sensi dell’art. 11 della legge
n.241 del 1990, entrambe le parti sarebbero impegnate all’esecuzione del contratto.
All’impegnativa del contratto non sarebbe opponibile il permanere della discrezionalità della
p.a. in quanto detta discrezionalità sarebbe stata spese in sede di decisione di stipulare e non sarebbe
utilizzabile al fine di rimuovere o disattendere l’accordo. In altri termini, dopo la stipula del
contratto la p.a. e il privato sono sullo stesso piano, di conseguenza la p.a. non può incidere sulla
sorte del contratto.
Secondo altra tesi (pubblicistica) si tratterebbe di contratti aventi natura pubblicistica. Si
tratta di un modulo di attività amministrativa alternativo al provvedimento, con cui viene esercitato
il potere amministrativo in senso oggettivo.
Secondo tale tesi, la P.a., anche dopo la stipula, rimarrebbe titolare di un potere pubblicistico
a fronte del quale il privato sarebbe in ogni caso titolare di una posizione di interesse legittimo. In
particolare, il diritto soggettivo del privato al rispetto dell’impegno sarebbe suscettibile di
affievolimento in caso di esercizio di un potere autoritativo in senso opposto. In buona sostanza,
ferma restando la possibilità di recedere, la p.a. potrebbe annullare in sede di autotutela l’accordo –
precisamente la propria determinazione amministrativa che è alla base dell’accordo sostitutivo o che
recepisca l’accordo procedimentali - dove ne apprezzi l’illegittimità senza dovere a tal fine
impugnare l’accordo avanti al g.a..
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In sostenitori della tesi privatistica e della tesi pubblicistica portano a sostegno delle proprie
posizioni argomenti in qualche misura equivalenti e contrapposti.
I primi, in particolare, si soffermano sulla lettera della norma che parla di accordo anche se il
legislatore non ha utilizzato l’espressione contratto, ha comunque scelto di usare il termine accordo
che rappresenta l’elemento centrale del contratto ai sensi dell’art.1325 c.c..
Un secondo argomento è dato dal rinvio che opera l’art. 11 alle norme del codice civile. Il
rimando ai principi del codice civile, in caso contrario non avrebbe senso. Se in capo
all’amministrazione rimanesse il potere di emanare il provvedimenti contrastanti con l’accordo in
presenza di un interesse pubblico, vorrebbe dire che sostanzialmente l’accordo non è vincolante. La
tesi privatistica, in altri termini, fornisce al privato maggiori garanzie, atteso che non riconosce alla
p.a. poteri autoritativi attraverso i quali sottrarsi agli obblighi derivanti dall’accordo stesso e
assoggetta la p.a. alle regole del diritto civile (responsabilità per inadempimento, esecuzione in
forma specifica ai sensi dell’art. 2932 c.c.).
La tesi pubblicistica, dal canto, suo evidenzia elementi di segno opposto. Da un lato un
elemento di tipo terminologico: il non aver utilizzato il termine contratto ma quello di accordo è
sintomatico della particolarità con cui il legislatore ha voluto caratterizzare l’istituto in questione.
Un secondo argomento, anch’esso contrario a quello precedentemente esposto, risiederebbe
nel fatto che il legislatore, lungi dal rinviare semplicemente alle norme del codice civile, ha operato
un rimando non alle singole norme del codice civile ma ai principi, perché consapevole
dell’eterogeneità tra accordo e contratto, che deve essere apprezzata dall’interprete nel ponderare
l’applicabilità delle norme relative al contratto alle fattispecie di accordi.
Un terzo argomento a sostegno di tale tesi è dato dal riconoscimento testuale, da parte del
legislatore, del potere di autotutela, nella parte in cui si ascrive alla p.a. il potere unilaterale di
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ripudiare l’accordo. Il comma 4, dell’art. 11, infatti, prevede la possibilità per la p.a. di recedere
unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di interesse pubblico.
In definitiva, al di là del nomen, ci troveremmo dinanzi ad un potere pubblicistico di revoca,
che si giustifica in quanto, pur in presenza di uno schema consensuale, si riconosce all’accordo
natura pubblicistica.
L’ultimo argomento poggia sull’incompatibilità della natura civilistica con la centralità che,
nell’economia della fattispecie, riveste l’interesse pubblico, centralità dalla quale discende anche il
potere di recedere dall’accordo.
A tale rilievo, i sostenitori della tesi privatistica controbattono che, il diritto di recesso si
atteggerebbe alla stregua di diritto potestativo di marca privatistica; e che la rilevanza dei motivi del
pubblico contraente ben si coniuga con l’istituto privatistivo della presupposizione.
Alla questione della natura giuridica degli accordi di cui all’art. 11 della l. n..241 del 1990 è
collegato il rilevante problema dell’attivibilità, da parte del privato, in particolare in tema di accordi
procedimentali, del rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre in caso di
mancata adozione, da parte della p.a .procedente,del provvedimento concordato.
Alla luce del rinvio dell’art. 11 alla normativa regolatrice di obbligazioni e contratti, deve
ritenersi, secondo parte della dottrina, l’operatività dell’art. 2932 c.c. alla stregua del quale è
possibile ottenere da parte del contraente non inadempiente una sentenza che produca gli stessi
effetti del contratto non concluso.
In altri termini, si deve concludere, ad avviso dei sostenitori di tale approccio ermeneutico,
che laddove la p.a. non ritenga di avvalersi, in presenza dei relativi presupposti giustificativi, della
potestà di recesso per sopravvenuti motivi di interesse pubblico di cui al sopraindicato comma
quarto, non potrà sottrarsi all’adempimento coatto statuito dall’art. 2932 c.c., in tema di esecuzione
di obbligo a contrarre. Diversamente opinando, ossia se si ritenesse possibile per il contraente
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pubblico l’elusione dell’aspettativa del privato in ordine al rispetto degli impegni assunti, anche al
di fuori del ricorso ai sopravvenuti interessi pubblici giustificanti l’esercizio della facoltà di recesso,
si violerebbe, in modo macroscopico, il principio di effettività della tutela giurisdizionale, di cui
all’art. 24 della Cost., che, nel garantire a tutti la possibilità di agire in giudizio in difesa dei propri
interessi, evidenzia una scelta di sicuro a favore verso ogni forma di esclusione privilegiata
dell’amministrazione dalla legittimazione processuale passiva.
Quanto, invece, all’ipotesi di accordo infedele rispetto alle pattuizioni procedimentali, i
sostenitori della teoria contrattualistica ritengono che il privato potrà ottenere una condanna ad
adempiere o, in alternativa, l’annullamento della clausola difforme.
In senso contrario, i fautori della tesi pubblicistica affermano che:
a)
se la p.a. recede unilateralmente senza che sussistano gli estremi del pubblico
interesse o comunque non emana il provvedimento concordato, il privato può solo
adire il g.a. per vedere tutelato il suo interesse legittimo all’emanazione del
provvedimento, secondo lo schema tipico del silenzio rifiuto;
b)
se il provvedimento risulta, invece, difforme dal contenuto concertato, il privato può
impugnarlo per eccesso di potere nell’ordinario termine di decadenza.
Il potere di revoca, per essere legittimamente esercitato, deve, infatti trovare una congrua
esplicitazione in sede motivazionale. Mentre, infatti in un’ottica privatistica, i motivi che spingono
la parte alla stipulazione non rivestono un rilievo laddove non vengano esplicitati in clausole
contrattuali; nell’accordo di cui all’art. 11, per converso, i fini perseguiti dal pubblico contraente,
andando a d esternare l’interesse pubblico perseguito, finiscono per rappresentare, in conformità ad
un’ottica pubblicistica, la causa stessa del contratto. La mancata perseguibilità dell’interesse
pubblico finisce allora per comportare la caducazione, o addirittura, la nullità degli accordi
medesimi
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6 Accordi tra amministrazioni pubbliche
Nell’ambito delle nuove forme consensuali di esercizio della potestà amministrativa
rientrano, oltre gli accordi procedimentali e sostitutivi tra P.a. e privati, anche gli accordi tra
pubbliche amministrazioni, con cui queste ultime concordano le modalità di programmazione e di
esecuzione di interventi pubblici, coordinando le rispettive azioni. Il referente normativo degli
accordi tra le PP.AA. è costituito dagli artt. 27 della legge n. 142 del 1990 e succ. mod. (ora
confluito nell’art.34 del d.lgs. n 267 del 2000) e l’art. 15 della legge n. 241 del 1990. Entrambe
queste norme sono espressione di una generalizzazione del principio dell’esercizio consensuale
della potestà amministrativa, la cui applicazione risulta più radicata in formule che riguardano le
sole amministrazioni, piuttosto che quelle riferibili ad amministrazione e privati.
Per quanto concerne l’accordo di programma, (classico esempio di accordo tra le PP.AA.) si
tratta di uno strumento duttile di azione amministrativa preordinato, senza rigidi caratteri di
specificità, alla rapida conclusione di molteplici procedimenti tutte le volte in cui il loro ordinario
svolgimento richiederebbe l’espletamento di più subprocedimenti, indispensabili per la
ponderazione di interessi pubblici concorrenti.
Tale istituto espressamente disciplinato dall’art. 34 del d.lgs .n. 267 del 2000 riguarda
specifiche tipologie di interventi mentre l’art. 15 costituisce una norma di carattere generale aperta
ad un qualsiasi contenuto. Il rapporto fra le due norme e i due istituti, di conseguenza, è
evidentemente un rapporto di genere a specie, dove gli accordi organizzativi sono la figura generale
e gli accordi di programma ne costituiscono una sottocategoria, caratterizzata dai soggetti, per lo più
Enti locali, e soprattutto dagli oggetti, che sono opere pubbliche di una certa complessità e rilievo
politico sociale.
Anche per questo tipo di accordo si è posto il problema della loro natura giuridica.
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Tre sono le tesi che si contendono il campo: la tesi privatistica, la tesi pubblicistica e la tesi
del tertium genus. Da un lato vi è una tesi che attribuisce ai suddetti accordi natura negoziale,
assimilandoli ai contratti di diritto privato, sulla scorta del dato legislativo di cui all’art, 15, comma
2, della l n.241/1990, che con un rinvio all’art. 11 della stessa legge li sottopone alle norme del
codice civile in materia di obbligazioni. A sostegno della loro natura negoziale può essere utilizzata
l’infelice espressione “concordare l’accordo” usata dal legislatore nel comma 3, dell’art. 34 del,
d.lgs n.267/2000 per indicare la genesi degli accordi di programma. Ma soprattutto, mediante gli
accordi, le amministrazioni concordanti dispongono di interessi pubblici come le parti fanno per i
loro interessi privati.
Dall’altro lato la dottrina maggioritaria nega la natura contrattuale degli accordi,
rivendicandone il carattere pubblicistico.
L’accordo, di conseguenza, sarebbe uno strumento tipico e specifico per il contemperamento
degli interessi pubblici e privati in gioco, quando questi si presentino diversi e potenzialmente
configgenti.
La diversità fondamentale con i contratti di diritto privato sarebbe in ciò, che nei negozi
privati possono formare oggetto della contrattazione gli stessi interessi perseguiti dalle parti;
nell’accordo di programma, invece, il perseguimento degli interessi pubblici è doveroso, per cui
soltanto le sue modalità possono essere concordate liberamente dagli stipulanti. Infatti, mentre
l’autonomia negoziale privata può disporre totalmente dei propri interessi, la discrezionalità
amministrativa è limitata dalla legge che ne individua le finalità, lasciando alle pubbliche
amministrazioni soltanto la scelta sul modus operandi.
Una terza tesi attribuisce a tale istituto la qualifica di istituto autonomo, che non si piega ad
essere ricondotto in nessuna delle due figure, dovendosi di volta in volta ricorrere alle norme del
codice civile ovvero a quelli che regolano l’agire della p.a.
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7 Soggetti negli accordi di programma
Venendo ai soggetti, mentre l’art. 15 della legge n. 241, non contiene alcuna specificazione
circa i soggetti legittimati ed il relativo ruolo procedurale, l’art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000
contiene prescrizioni dettagliate e limitative.
Gli accordi di programma vengono promossi dai Presidenti delle Regioni, delle Province o
dai Sindaci che abbiano competenza primaria sull’opera da eseguire (soggetti necessari), i quali
hanno il potere di iniziativa e possono invitare i rappresentanti di altri enti locali ovvero di altre
amministrazioni interessate (soggetti eventuali).
Per quanto concerne la partecipazione dei privati, emerge la tesi secondo cui l’organo
promotore può invitare anche altri soggetti pubblici e privati, il cui contributo informale apporti
chiarificazioni, o comunque strumenti collaborativi, senza rilevare per il consenso finale.
Destinatari degli accordi sono le amministrazioni che prendono parte all’accordo e devono
provvedere alla sua attuazione. Anche i privati possono essere toccati dall’accordo sia pure
incidentalmente. Di conseguenza i privati, in quanto non portatori di diritti soggettivi nascenti
dall’accordo ma di meri interessi legittimi al corretto esercizio del potere amministrativo, possono
impugnare gli accordi, o meglio, gli atti di approvazione degli stessi, innanzi al g.a. secondo le
regole ordinarie in tema di giurisdizione di legittimità.
Quanto all’oggetto, l’art. 34 concerne la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di
programmi di intereventi, che richiedano, ai fini della completa realizzazione, le attività coordinate
di alcuni dei soggetti necessari. Caratteristica degli accordi di programma è che il legislatore
prevede sia uno strumento privilegiato per la realizzazione di opere pubbliche che interessano una
pluralità di enti locali. Tali interventi incidono in modo significativo sul territorio, tanto che per
realizzarli spesso è necessario modificare i piani regolatori in vigore. Al fine di accelerare le
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procedure, il comma 4, dell’art. 34 prevede allora che l’accordo, qualora sia adottato con decreto
del Presidente della Regione, produca gli effetti dell’intesa di cui all’art. 81 del d.p.r. n. 616 del
1977 determina le eventuali conseguenti variazioni degli strumenti urbanistici e sostituendo le
concessioni edilizie, sempre che vi sia l’assenso del comune interessato.
Il quinto comma, chiarisce che le variazioni degli strumenti urbanistici, anche se la
manifestazione di volontà è di fatto operata dal Sindaco, rimangono di competenza dei Consigli
comunali, chiamati alla ratifica.
In merito alla possibilità di praticare accordi di programma per realizzare opere private di
interesse pubblico, alcuni la escludono, mentre altri ritengono sufficiente, in assenza di un divieto
espresso, che l’opera abbia una pubblica finalità.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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8 Il procedimento
Anche per il procedimento il legislatore degli enti locali prevede una disciplina molto
dettagliata nell’art. 34, mentre l’art. 15 è del tutto generico.
L’iniziativa, come detto spetta all’organo apicale dell’ente portatore dell’interesse
prevalente, l’istruttoria si fonda sulla conferenza di servizi, ed il consenso deve essere manifestato
ancora dall’organo apicale.
Tale soluzione, però, pone un problema di coordinamento tra il potere gestionale
amministrativo che spetta al dirigente ed il potere di indirizzo che spetta all’organo politico.
In particolare, per gli accordi di programma si avverte un’esigenza opposta rispetto alla
regola che conferisce ai dirigenti il potere di esternare la volontà dell’ente ( a seguito dell’accordo
sarà compito dei dirigenti emanare in ogni caso gli atti esecutivi dell’accordo di programma).
Si può comunque ritenere, per conciliare dette indicazioni legislative, che il Sindaco o il
Presidente della Provincia, nel siglare l’accordo, debbano comunque godere dell’assenso espresso
dal dirigente, ove l’accordo di programma sia già sostitutivo di determinazioni puntuali di
competenza dirigenziale.
Sono poi applicabili agli accordi di programma, in quanto rientranti nell’ampio genus degli
accordi organizzativi di cui all’art. 15 della l. n.241 del 1990, i commi 2, 3, 5 dell’art. 11 della
stessa legge, appare subito chiaro che non sono applicabili agli accordi né la norma sulla forma, né
quella sui controlli per gli accordi sostitutivi. Sono, invece, applicabili la norma sulla giurisdizione
esclusiva del g.a. (comma 5) e la disposizione che fa rinvio ai principi del codice civile in materia di
obbligazioni e contratti in quanto compatibili.
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9 Gli effetti
L’accordo di programma ha una sostanziale effetto giuridico, che è quello di obbligare le
parti stipulanti, l’una verso l’altra, ad ottemperare agli impegni assunti con l’accordo medesimo.
L’obbligatorietà dell’accordo trova conferma nell’art. 34 nella parte in cui prevede la possibilità per
le amministrazioni stipulanti di istituire forme di arbitrato, commissioni di vigilanza ed interventi
surrogatori. E’ evidente, quindi, che l’inosservanza degli impegni assunto costituisce
inadempimento di obblighi vincolanti.
I rimedi all’inadempienza di un soggetto sono i seguenti: silenzio rifiuto, se l’autorità
competente non emana l’atto formale di approvazione dell’accordo; l’impugnazione degli atti
difformi alle prescrizioni dell’accordo (viziati da eccesso di potere); l’arbitrato (se previsto),
l’intervento sostitutivo ( in seguito a verifiche del collegio di vigilanza, se previsto); l’eccezione di
inadempimento e la responsabilità contrattuale, per quella parte della dottrina che le ammette
ritenendo il carattere privatistico degli accordi.
Come abbiamo già detto, i privati, in quanto esterni all’accordo, non possono far valere
diritti soggettivi derivanti dallo stesso, ma solo impugnare l’atto di adozione innanzi al giudice
amministrativo in caso di lesione di interesse legittimo.
Ci si chiede nel silenzio della norma se la p.a. abbia la potestà di recedere discrezionalmente
da un accordo di programma. In particolare, la vicenda scaturisce dal mancato richiamo,
nell'accordo di programma de quo, dell’art. 15 l. 241/90, norma generale sugli accordi fra pubbliche
amministrazioni, della disposizione dell’art. 11, comma 4, della medesima legge, che, disciplinando
l’accordo tra amministrazione e privato, prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere
dall’accordo salva corresponsione di un indennizzo.
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Il mancato richiamo dell’art. 15 a tale disposizione ha fatto ritenere ad alcuni che
nell’accordo tra le amministrazioni pubbliche non sia possibile il recesso (T.A.R. Lazio, sez. I, 3
ottobre 1997, n. 1434: “l'accordo di programma acquisisce definitiva efficacia al momento del
valido incontro delle volontà delle parti. Ne consegue che non può configurarsi, in apice, un potere
di recesso unilaterale di una delle parti che revochi tale ratifica”), mentre ha indotto altri a sostenere
che il recesso sarebbe sempre possibile per l’inesauribilità della funzione pubblica (T.A.R. Marche
19 settembre 2003, n. 1015: “l'assenza nell'art. 15, l. 7 agosto 1990 n. 241 di un richiamo al comma
4 del precedente art. 11, che espressamente consente il recesso - previo indennizzo - dall'accordo
per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, non esclude la possibilità per l'Amministrazione di
recedere dall'accordo, considerato che è proprio della funzione d'amministrazione attiva il generale
potere di revoca del provvedimento amministrativo, del quale l'accordo ha il contenuto ed al quale è
sottesa la cura di un pubblico interesse, per cui è affievolita la forza vincolante di una convenzione
sottoscritta da soggetti pubblici ed è reso inapplicabile il principio civilistico per il quale il contratto
ha forza di legge tra le parti, e che la previsione dell'art. 11 comma 4, è confermativa e non
derogatoria di detta regola generale”).
Secondo questa opinione il mancato richiamo all’art. 11, comma. 4, starebbe solo a
significare che – a differenza di quanto accade negli accordi tra privati - il recesso non deve essere
bilanciato dalla corresponsione di un indennizzo (C. Conti reg. Puglia, sez. giurisd., 21 marzo 2003,
n. 244).
Non mancano, inoltre, posizioni intermedie che hanno ritenuto possibile il recesso solo se
specificamente previsto in convenzione (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 8 novembre 2004, n.
5620: “lo scioglimento unilaterale del vincolo è ammissibile solo se sia stato previsto il diritto di
recesso ai sensi dell'art. 1373 c.c.”).
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Il Tribunale Amministrativo bresciano ha affrontato la problematica muovendo dalla
constatazione che in vicende quale quella in esame vengono in considerazione (da un lato) la
inesauribilità della funzione amministrativa, che non tollera l’imposizione di un vincolo a non
riesaminare l’assetto di interessi concordato alla luce delle sopravvenienze nell’interesse pubblico, e
(dall’altro) la necessità di attribuire un senso agli accordi di programma che, se fossero liberamente
recedibili, sarebbero sostanzialmente privi di rilevanza giuridica, in quanto la stessa possibilità di
giuridicizzare l’inadempimento degli stessi con la sola domanda di danni finirebbe per rendere tali
accordi di programma, più che strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa affidata a
più amministrazioni, meri strumenti di moltiplicazione del contenzioso tra amministrazioni
pubbliche.
D’altronde, il tipo di interessi sotteso ad un procedimento amministrativo regolato da un accordo di
programma è, per definizione, non disponibile da una sola amministrazione proprio perché il
legislatore ne ha attribuito la competenza in modo ripartito ad una pluralità di esse.
La non disponibilità da parte di una singola amministrazione degli interessi pubblici sottesi
all’azione amministrativa esercitata in forma consensuale, è, per definizione, pertanto caratteristica
degli accordi di programma.
Con la sentenza in commento, il T.A.R. di Brescia va nel solco della ricordata pronuncia del
T.A.R. di Milano n. 5620/04, ritenendo che “salva l’ipotesi di specifica previsione in convenzione,
il mancato richiamo dell’art. 15 l. 241/90,(norma generale sugli accordi di programma, alla
disposizione dell’art. 11, co. 4, stessa legge, che regola invece l’accordo tra amministrazione e
privato e prevede la possibilità per l’amministrazione di recedere dall’accordo salva corresponsione
di un indennizzo), induce a ritenere che, salvo il caso in cui siano state le stesse parti a prevedere il
diritto di recesso nel momento in cui hanno concordato tra loro il regolamento pattizio, il contenuto
dell’accordo sia modificabile solo mediante una nuova determinazione espressa da tutte le
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amministrazioni contraenti che giungono ad una nuova sistemazione concordata dell’assetto degli
interessi sottostanti all’azione amministrativa (T.a.r Lombardia, Brescia, Sez. I - 30 aprile 2010, n.
1635)
La Corte Costituzionale ha, infatti, anche di recente evidenziato che nel caso in cui il
legislatore abbia previsto lo strumento dell’accordo di programma è “incompatibile con il regime
dell’intesa, caratterizzata dalla paritaria codeterminazione dell’atto” attribuire ad una di esse un
ruolo preminente, in quanto “il superamento delle eventuali situazioni di stallo deve essere
realizzato attraverso la previsione di idonee procedure perché possano aver luogo reiterate trattative
volte a superare le divergenze che ostacolino il raggiungimento di un accordo” (Corte Cost. 26
marzo 2010, n. 121). Ciò non significa che l’amministrazione pubblica che intenda sciogliersi
dall’accordo ex art. 15 l. 241/90 sia priva di strumenti di tutela di fronte al rifiuto delle altre
amministrazioni di modificare l’assetto degli interessi a seguito delle intervenute sopravvenienze
negli interessi pubblici sottesi all’azione amministrativa.
La volontà delle altre amministrazioni non è, infatti, come si diceva prima, una volontà
negoziale fondata sull’autonomia privata, ma una volontà discrezionale funzionalizzata alla tutela
degli interessi pubblici.
Ne consegue che l’amministrazione che intende recedere dall’accordo potrà censurare in
sede giurisdizionale il rifiuto delle altre parti di modificare l’assetto degli interessi originariamente
concordato, qualora tale rifiuto non sia conforme al principio di leale cooperazione tra gli enti
pubblici che deve informare i rapporti tra le amministrazioni pubbliche per effetto della sentenza
303/2003 della Corte Costituzionale.
In definitiva, l’accordo tra amministrazioni pubbliche non modifica l’ordine delle
attribuzioni della funzione amministrativa, perché non è altro che un modulo organizzativo
dell’azione amministrativa che sostituisce la sequenza procedimentale destinata a sfociare
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nell’accordo alla pluralità di procedimenti condotti in modo autonomo dalle diverse
amministrazioni e destinati a sfociare in provvedimenti diversi ma tra loro strettamente collegati.
L’inscindibilità degli interessi pubblici sottesi all’azione consensuale delle pubbliche
amministrazioni, se non muta l’ordine delle competenze delle stesse, preclude, però, che una
singola amministrazione possa decidere unilateralmente di tornare al modello della amministrazione
per singoli provvedimenti, e finisce per imporre pertanto alle stesse un vincolo a continuare a
regolare gli interessi pubblici disciplinati dall’accordo mediante l’utilizzo del modulo organizzativo
consensuale.
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10 Tutela dei terzi
Per quanto concerne la tutela dei terzi (privati o P.A.), questa può assumere due traiettorie, a
seconda che il privato abbia interesse a che l’accordo vada a buon fine, ovvero che vanti nei
confronti di questo un interesse oppositivo.
Nel caso vantino un interesse legittimo oppositivo perché per effetto dell’accordo subiscono
un pregiudizio, l’impugnazione potrà essere proposta nei confronti del provvedimento che recepisce
l’accordo se l’accordo ha natura meramente preparatoria, se, invece, l’effetto lesivo è
immediatamente riconducibile all’accordo stesso, l’impugnazione avrà ad oggetto l’accordo.
Altra possibilità è che dall’accordo discenda un vantaggio per il privato: in questo caso la
posizione giuridica sarà riconducibile alla formula dell’interesse pretensivo che legittima a
evidenziare inerzie e ritardi.
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11 Convenzioni ex art. 30 del d.lgs. n. 267 del 2000 e
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Un altro esempio di accordo tra le PP.AA. è la convenzione tra enti locali prevista dall’art.
30 del d.lgs. n. 267 del 2000 che rappresenta una delle formule associative che il testo unico sugli
enti locali, mette a disposizione delle amministrazioni per la gestione associata di funzioni e servizi.
La convenzione, al pari dell’accordo di programma consente di realizzare sull’elemento in
forma consensuale determinati obiettivi. Vediamo quali sono le differenze tra i due istituti giuridici.
Le differenza fondamentale possono essere rinvenute, da un lato, nelle esigenze che mirano
a soddisfare. Infatti, le convenzioni tendono a soddisfare problemi contingenti legati alle difficoltà
di mezzi, che un ente locale può affrontare predisponendo in comune la produzione e l’erogazione
di servizi e funzioni. Un’altra differenza è rinvenibile nell’individuazione dei soggetti legittimati ad
utilizzare lo strumento della convenzione ex art. 30, che sono soltanto gli enti locali, a differenza di
quanto accade negli accordi di programma ex art. 34, che vedono protagonisti anche la Regione e lo
Stato. Ulteriori diversità sono rinvenibili nel procedimento di adozione dei due strumenti che nel
caso dell’art. 34, risulta fortemente tipizzato e nella possibilità in caso di convenzione che la stessa
preveda per la realizzazione dell’obiettivo ivi contenuto la costituzione di specifici uffici.
Quanto alla disciplina entrambi gli istituti sono assoggettati alla disciplina di diritto comune
soltanto per quanto attiene alla fase di esecuzione dell’accordo e con l’eccezione del riconoscimento
degli strumenti di autotutela, mentre la fase della formazione rimane a pieno titolo disciplinata dalle
regole del diritto pubblico.
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