Politica del territorio e immagine dell`area

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© SYMPHONYA Emerging Issues in Management, n. 1, 2004
www.unimib.it/symphonya
Politica del territorio e immagine dell’area
*
Nicola Bellini
Abstract
La questione dell’immagine di un’area (una regione, una città) è sempre più spesso evocata nella discussione delle strategie di sviluppo locale e nazionale.
Le politiche di sviluppo (locale e nazionale) dell’innovazione, componente essenziale di una moderna
politica dello sviluppo locale, è sempre meno espressione di ‘government’ e sempre più esercizio di ‘governance’. Il concetto che pare meglio descrivere il significato pratico e le implicazioni di un approccio di
governance è quello di ‘policy network’. La costituzione, la selezione e il mantenimento di relazioni con
altri attori all’interno di policy networks costituisce, in altre parole, l’essenza stessa del ‘fare politica’.
Keywords: Governance del territorio; Government del territorio; Policy-Network; Dimensioni cognitive di
Policy-Making; Area Image; Area Branding
1. Marketing, immagine e promozione del territorio
La questione dell’immagine di un’area (una regione, una città…) è sempre più spesso evocata nella discussione delle strategie di sviluppo locale
e regionale. Essa è usualmente associata alle problematiche di promozione del territorio ed in particolare alle esigenze di comunicazione che ne
1
derivano .
In questo paper intendo sviluppare alcune brevi riflessioni preliminari tese a collocare l’immagine dell’area all’interno delle politiche di sviluppo e
specialmente delle politiche di innovazione, a partire dalla considerazione
che l’immagine non è mai (solo) il risultato di azioni ad hoc, bensì riflette e
interpreta in termini strategici le realizzazioni effettive e la visione prevalente riguardo al futuro.
Ciò non significa “dimenticare il marketing”, ma – al contrario – rileggere
in modo potenzialmente innovativo i contributi alla riflessione ed all’azione
che esso offre.
Dopo aver sottolineato la rilevanza della dimensione cognitiva delle politiche in un’ottica di governance e il senso della metafora che sottende al
cosiddetto marketing territoriale, approfondirò il senso politico
dell’immagine dell’area ed in particolare: il rapporto e i possibili gap tra
immagine e realtà; la possibile coesistenza e concorrenza tra immagini
diverse.
2. Governance e dimensioni cognitive di intervento
La prassi della politica (locale e regionale) dell’innovazione, componente
essenziale di una moderna politica dello sviluppo locale, è sempre meno
espressione di government e sempre più esercizio di governance, adottandone filosofia e strumentazione. Con il termine governance, facciamo riferimento ad una varietà di meccanismi di guida e indirizzo di altri soggetti, il cui
*
Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese, Scuola Superiore Sant’Anna,
Pisa
Edited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
ISSN: 1593-0300
Bellini Nicola, Politica del territorio e immagine dell’area ,Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/sympho nya), n. 1, 2004, pp.23-35
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utilizzo non è necessariamente ristretto agli attori pubblici e che, in situazioni di "poliarchia" e di interdipendenza tra gli attori, mirano ad indirizzare
consapevolmente i processi sociali. Il concetto che pare meglio capace di
descrivere il significato pratico e le implicazioni di un approccio di governance è quello di "policy network", espressione con cui si identificano relazioni sociali più o meno stabili tra attori con riferimento a specifici pro2
blemi e/o programmi di policy . La costituzione, la selezione e il mantenimento di relazioni con altri attori all'interno di policy networks costituisce, in altre parole, l'essenza stessa del "fare politica".
L'esistenza di policy networks come "infrastruttura" delle politiche
industriali è da tempo nota almeno ad una parte della ricerca economica. È ad esempio presente in tutta la letteratura sui "sistemi nazionali dell'innovazione" e - probabilmente in modo più consapevole e
pertinente - in quella sui "sistemi regionali dell'innovazione". L'analisi
delle economie regionali e specialmente delle loro dinamiche innovative passa allora attraverso la valutazione del loro grado di institutional
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thickness e di "systemness” .
Qualche autore ha cominciato ad operazionalizzare questa visione, definend come "socio-technical constituency" del progettogli insiemi dinamici
di elementi tecnici (strumenti, macchine etc.) e sociali (persone e loro valori, interessi di gruppo etc.) i quali interagiscono e si adattano reciprocamente in un territorio durante il processo di creazione, produzione e diffu4
sione di una specifica tecnologia . È così possibile sia identificare i fattori
di partenza e le condizioni che permettono l'attivazione della sociotechnical constituency (ossia la percezione, le finalità, le azioni e le
risorse degli attori coinvolti nel progetto di innovazione tecnologica,
nonché la natura e la maturità della tecnologia), sia descrivere le dinamiche di allineamento e disallineamento delle diverse componenti rispetto
agli obiettivi comuni.
I policy network si caratterizzano allora per:
- l'interdipendenza tra gli attori e la sostanziale assenza (o la rilevanza solo parziale) dei rapporti gerarchici: all'interno del network gli attori non
possono conseguire i propri obiettivi se non utilizzando risorse altrui;
- la varietà ed (eventualmente) la numerosità degli attori, ognuno portatore
di un proprio set di obiettivi, valori, percezioni, modelli di comportamento
e risorse;
- la (maggiore o minore) stabilità nel tempo delle relazioni tra tali attori.
Nella misura in cui le interazioni si ripetono, esse influenzano non solo i
processi politici attuali, ma anche quelli futuri. Assistiamo cioè ad una loro progressiva istituzionalizzazione:"percezioni condivise, modelli di par5
tecipazione e regole di interazione si sviluppano e sono formalizzate" ;
- un ruolo dell'attore pubblico, che non è più preminente, ma che ha caratteristiche e abilità proprie e spesso non surrogabili da altri attori (specifica missione, specifiche risorse e conoscenze, legittimazione politica,
capacità di costruzione e gestione del consenso, etc.), oltre a vincoli particolari (legalità, social accountability, ridotte possibilità di selezione dei
propri interlocutori etc.);
- la presenza di attori (ad esempio, associazioni imprenditoriali, università
etc.) che non hanno esperienze né competenze specifiche nella gestione
di azioni collettive, ma che entrano in gioco per perseguire obiettivi partiEdited by: ISTEI - University of Milan-Bicocca
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colari, sviluppando progressivamente il necessario know-how relazionale
“politico”;
- la centralità dei processi interattivi di integrazione tra gli obiettivi, le percezioni e le risorse dei diversi attori;
- l’importanza del capitale sociale e quindi il miglioramento delle condizioni
nelle quali avvengono le interazioni tra gli attori nella gestione del policy
network.
Visti dalla parte degli attori pubblici, i policy network si contrappongono e
si sostituiscono alle tradizionali modalità di government (ed anche ad approcci contemporanei di public management) perché essi, attraverso la
realizzazione e la costruzione di “giochi a somma positiva”, permettono di:
- distribuire e quindi ridurre il sovraccarico decisionale e di implementazione;
- reperire risorse aggiuntive o poco disponibili, che possono essere di vario
tipo: finanziarie, politiche, umane e relazionali;
- attivare e gestire processi di apprendimento collettivo in condizioni in cui
non esista consenso sugli obiettivi della policy e/o esista incertezza sull’a6
deguatezza degli strumenti per il raggiungimento degli obiettivi .
La gestione dei policy networks può realizzarsi a due diversi livelli usando
set di strumenti sostanzialmente differenti. Da un lato, si può incidere sulla
struttura dei network, manovrandone ad esempio la composizione, la numerosità, il grado di apertura sull’esterno, le regole interne, l’introduzione
di nuovi attori e l’esclusioni di alcuni degli attuali etc. Dall’altro lato, si può
operare sulle dimensioni di ordine cognitivo, incidendo sulle percezioni,
sulle visioni e sulle aspettative dei partecipanti, prevenendo l’esclusione di
idee e visioni dissenzienti, facilitando interazioni e promuovendo linguaggi
comuni,introducendo momenti e luoghi di riflessione collettiva che impediscano lock-in cognitivi etc. Lo strumentario delle politiche di innovazione e
sviluppo territoriale tende così ad arricchirsi di strumentazioni di “seconda
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generazione” , che operano in misura prevalente (anche se non esclusiva)
sulle dimensioni cognitive dei network locali nel tentativo di governarne
l’evoluzione attraverso la formazione di percezioni ed aspettative. È a
questa prospettiva che ricolleghiamo l’uso “politico” dell’immagine di
un’area (una regione, una città…).
3. Il marketing territoriale: oltre la metafora
In un arco di tempo di almeno una ventina d’anni la promozione del territorio (place promotion) ha vissuto una stagione di grande e crescente attenzione, sia sul piano della prassi che – con esiti forse più modesti – sul
piano della ricerca sociale ed economica, ed oggi costituisce una componente immancabile dei processi di pianificazione strategica delle regioni e
delle città.
Azzardando una sintesi, questi processi hanno portato ad evidenza:
- l’importanza di suscitare e gestire vasti processi partecipativi, a monte
dei quali deve sussistere un certo grado di consenso su visioni di fondo e
valori costitutivi;
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- l’importanza – specie nei contesti urbani – di alcuni grandi eventi e di alcune grandi operazioni di ridisegno del tessuto del territorio, che induce
discontinuità nel cammino dello sviluppo;
- la rilevanza politica e sociale della revisione dell’immagine dell’area in
coincidenza con fasi di riconversione della struttura economica locale e
di riorganizzazione della struttura produttiva;
- l’importanza del tema dell’attrazione di risorse esterne (imprese, risorse
umane etc.), ma anche di risorse presenti ma suscettibili di emigrare (imprese, studenti etc.).
In questo contesto il cosiddetto marketing territoriale si inserisce proponendo essenzialmente una metafora. Suggerisce, in altri termini, di immaginare che l’autorità o l’agenzia competente debba “vendere” il territorio –
“prodotto” ad una gamma di “clienti” attuali e potenziali, tra cui tipicamente
i residenti, i turisti, gli investitori etc. Suggerisce allora di assumere (in modo non acritico!) tecniche e linguaggi del marketing di impresa, sia sul piano strategico (contribuendo ad una migliore comprensione dei punti di forza e di debolezza del prodotto, segmentando i mercati, identificando i
target delle attività promozionali etc.) sia sul piano operativo. La promozione territoriale non sostituisce e non dovrebbe sostituire la definizione
delle strategie di sviluppo, ma ne riceve come input i contenuti (gli assets
nuovi e vecchi del territorio, gli obiettivi condivisi di sviluppo, i vincoli e le
opportunità politico-istituzionali) restituendo un feed back di metodo, che è
esplicitamente customer-oriented, ossia mirato alla comprensione prioritaria dei livelli di soddisfazione degli utenti della città e della formazione delle aspettative, ed un contributo di competenze specifiche nella identificazione dei bisogni e nella comunicazione, sia sul piano dei contenuti che su
quelle delle metodologie e delle relazioni da attivare.
Inoltre l’adozione di un approccio di marketing territoriale, quando esso
viene perseguito con rigore e coerenza non solo di facciata, implica:
- il passaggio da un atteggiamento reattivo (ossia di risposta ex post ad
esigenze emergenti) ad uno pro-attivo ed interattivo, che permette di indirizzare e far aggiustare reciprocamente comportamenti ed aspettative;
- uno sforzo di finalizzazione e di superamento della settorialità delle visioni e delle funzioni, riportando ad unità le diverse dimensioni dello sviluppo (economica, sociale, culturale).
Quella del marketing è in effetti una metafora (il territorio non è in vendita), ma è straordinariamente potente, innanzi tutto perché integrata nella
più ampia metafora, ossia quella del “mercato” delle opportunità di sviluppo e della conseguente “concorrenza tra territori”, che coglie e traduce in
linguaggio moderno l’antica visione conflittuale dello sviluppo propria del
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mercantilismo ; il place marketing può contribuire a:
- abbandonare una visione gerarchica del rapporto tra Stato e industria a
favore di un atteggiamento cooperativo;
- enfatizzare, insieme all’aspetto competitivo, l’esigenza di una tensione
continua all’eccellenza degli asset territoriali;
- ordinare e proporre i comportamenti dei vari attori, evidenziandone le
interdipendenze;
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- nel suo riferirsi al paradigma del mercato entra in sintonia culturale con
le spinte alla professionalizzazione e alla imprenditorializzazione
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dell’urban management .
Aggiungiamo che la promozione del territorio si sintonizza bene anche
con le nuove visioni dello sviluppo locale che pongono la massima attenzione alle caratteristiche di attrattività del territorio, specie nei confronti
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delle risorse umane e di alcune in particolari .
Al tempo stesso, tuttavia, nel marketing territoriale sono riconoscibili
ambiguità pesanti, che appare rischioso sottovalutare. Da un lato, i paradigmi del marketing richiedono significativi adeguamenti, a cominciare
dall’impossibilità di essere orientato alla domanda in modo assolutamente
coerente. Anzi il marketing territoriale è chiamato semmai a cercare una
domanda adeguata ad un prodotto, che per definizione non è facilmente
modificabile (almeno nel breve periodo). Dall’altro lato, il rapporto con la
politica appare critico specie laddove quest’ultima (per malinteso neoliberismo o per finzione) tenta di esternalizzare ai “professionisti” scelte
strategiche di fondo che del marketing territoriale dovrebbero essere input
e non output, riducendo i processi politici (e le relative garanzie democra11
tiche) ad esercizi di ricerca di mercato e di analisi SWOT . Di queste ambiguità e tensioni è espressione il complesso tema dell’immagine dell’area.
4. L’immagine dell’area
L’immagine di un’area (regione, città) riflette la sua identità. È l’insieme
delle rappresentazioni affettive e razionali che di tale territorio vengono fatte da ciascun soggetto o gruppo di soggetti. In tali rappresentazioni si ritrovano i valori che i vari gruppi connettono al territorio, alle sue caratteristiche ed alla sua identità. Così facendo, questi gruppi si appropriano dello
spazio geografico, sintetizzando la loro lettura del territorio in stereotipi,
“etichette” e creando “miti” attraverso narrazioni selettive delle caratteristi12
che sociali, economiche e storiche del territorio .
Questa selettività serve, ad esempio, a mettere in luce quegli elementi
che supportano, secondo una vera e propria “ossessione” del cosiddetto
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marketing territoriale , la possibilità di definirsi come luogo centrale (“centro”,“capitale”, “cuore”, “gateway”) e non – come altri elementi, altrettanto e
forse più oggettivi (come la posizione geografica), farebbero ritenere –
luogo marginale e periferico. Ed è interessante rilevare come queste selezioni evolvano in una fase storica in cui il concetto di marginalità si ridefinisce non più in funzione delle gerarchie territoriali di tipo tradizionale, ma
in funzione dei posizionamenti di rete.Al tempo stesso la selettività può
comportare “silenzi” imbarazzati e magari inopportuni e dannosi, quando
miti patinati, business-friendly e tecnocratici tacciono su fenomeni di marginalità sociale, di disagio ed antagonismo o di insostenibilità ambientale.
Si tratta quindi di operazioni che hanno ben poco di tecnico, ma che sono
essenzialmente ed inequivocabilmente politiche. In particolare distinguiamo due componenti dell’immagine di un’area: una componente valutativa,
che riflette le esperienze e ciò che percepiamo essere la realtà, ed una
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componente preferenziale, che rappresenta desideri e motivazioni e quindi
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ciò che vorremmo che il territorio fosse . Ovviamente le due immagini si
mescolano spesso. Così ad esempio, una classica rappresentazione di
una struttura produttiva locale (la “valle”) può passare da una rappresentazione di risultati consolidati (“Silicon Valley”) ad una selettiva e programmatica (“Silicon Glen”) sino ad altre più spinte nel senso di delineare
un futuro ancora lontano e incerto (“Arnovalley”, “Etnavalley”). L’immagine
è d’altronde destinata – come ben ci insegna il marketing – ad avere effetti
importanti, che può essere pericoloso non monitorare e lasciare a se stessi. Per un territorio essa può anche non essere considerata strumento di
policy, ma effetti di policy (e di grande rilevanza) li avrà comunque. Infatti
essa:
- riflette e sintetizza le esperienze degli individui, di cui è funzione;
- comunica e dà forma alle loro aspettative su cosa il territorio può o dovrebbe dare loro: non solo aspettative esplicite (ossia quelle che, seppur non necessariamente realistiche, definiscono con chiarezza problemi
e soluzioni), ma anche quelle – ben più difficili da gestire – che sono
implicite (ossia date per scontate e non soggette a discussione) o addirittura fuzzy (in quanto schematiche, ideologiche, emotive, prive di riscontri
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razionali) ;
- è un filtro che influisce sulla percezione del territorio attuale, della qualità
di vita e dei servizi, del livello di sviluppo e delle prospettive future (individuali e collettive) e che ovviamente filtra anche le comunicazioni: un
immagine positiva rafforza la credibilità dei messaggi,mentre un’immagine negativa la diminuisce; un immagine positiva permette di non enfatizzare eventuali problemi minori, ma può contribuire a sottovalutare minacce emergenti, mentre un’immagine negativa può servire a dramma
tizzare oltre il dovuto questioni marginali, ma anche permettere di coglie
re per tempo segnali “deboli” di allarme;
- tende a rafforzare se stessa attraverso le azioni degli attori conformi alle
aspettative e attraverso le loro valutazioni, soggettivamente costruite sul
rapporto tra percezioni ed aspettative (Figura 1). Una volta consolidata,
l’immagine è destinata ad autorealizzarsi.
In questo paper si suggeriscono due direttrici di riflessione e di ricerca,
derivanti da due osservazioni fondamentali:
- l’immagine è un prodotto di percezioni, che sono il risultato di diversi fattori interagenti tra loro, ma anche delle azioni specifiche di comunicazione e di branding del territorio, che potranno riflettere ma anche discostarsi dalla realtà;
- l’immagine, proprio perché prodotto di percezioni, va sempre posta in relazione ad un “pubblico di riferimento”, così che dello stesso territorio
potranno esservi immagine diverse, anche contrastanti e – nel processo
politico – concorrenti.
4.1 Place branding
L’immagine è certamente il risultato finale di attività specifiche di “costruzione” dell’identità, che può avvenire sia sul piano della comunicazione di
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Figura 1: Immagine, aspettative e meccanismi di feedback
tipo più o meno tradizionale, sia (e in misura sempre più significativa) attraverso la gestione strategica di grandi eventi che segnino non solo la valorizzazione su scala più ampia (e specialmente su scala globale) degli
assets esistenti, ma anche momenti di grande e dichiarata discontinuità (si
pensi ai giochi olimpici per città come Barcellona o Beijing, ma anche per
la nostra Torino).
La costruzione di una nuova immagine è poi legata sovente ad addizioni
al “prodotto” – territorio, anch’esse portatrici di segnali di discontinuità.
Caso emblematico resta l’apertura nel 1977 del Museo Guggenheim di
Bilbao, punta di diamante di un’operazione più ampia di rinnovo e modernizzazione delle infrastrutture della città. Tuttavia è proprio il carattere culturale dell’investimento e la ricerca in esso di una elevata qualità artistica
intrinseca, tale da renderlo un instant landmark, che ha maggiormente segnato l’immagine della città, contribuendo a cancellare rapidamente una
visione depressa di luogo grigio di industria tradizionale e pesante ed affermando quella di una piccola metropoli moderna, orientata ai servizi ed
aperta al turismo. Colpisca nel caso di Bilbao la forza e soprattutto la rapidità dell’impatto, ma anche si deve prendere nota delle lezioni che ne derivano:
- l’immagine può essere in alcune fasi storiche determinata in misura significativa da un grande investimento nella cultura (e nella bellezza tout
court), ma a patto che l’investimento abbia una qualità riconoscibile su
scala globale;
- il messaggio del cambiamento difficilmente può essere affidato alla accademica riscoperta del passato, ma che anche la cultura deve condividere e far propri i valori della modernità, dell’apertura globale e della sfida
tecnologica.
La costruzione dell’immagine avviene dunque sì attraverso la comunicazione, il branding etc. ma nel modo più efficace e chiaro attraverso interventi
sostanziali, riempiti di significato strategico. È d’altronde la stessa letteratura
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di marketing che ammonisce da tempo che image is reality, che essa è
prima di tutto il riflesso della realtà del prodotto, di chi lo gestisce ed anche
del “club dei clienti” che lo utilizzano. Quindi, ripercorrendo la metafora,
diremo che l’immagine del territorio è innanzi tutto il riflesso della realtà:
- del “prodotto” – territorio (e quindi della qualità di vita e dello sviluppo
economico),
- del suo “management” (la politica, ma anche gli altri soggetti che partecipano alla governance dei processi di sviluppo) e
- del “club dei clienti” (ossia il contesto formato dai vari soggetti sociali ed
imprenditoriali che vi sono localizzati) (Figura 2).
Figura 2: Fattori che determinano l’immagine del territorio
È quindi centrale riflettere sulla coerenza o sulle incoerenze (intenzionali o
meno) tra “immagine” e “prodotto”. Un ovvio rischio è quello dell’iperbole,
che è talora il mediocre risultato di una visione superficiale e “pubblicitaria”
del marketing territoriale e da un eccessivo peso di logiche di comunicazione slegate da una valutazione realistica degli assets effettivi del territorio. Così facendo, si creano dei gap pericolosi tra “immagine” e “realtà” del
territorio, perché possono originare perdite di credibilità del territorio e delle sue prospettive di sviluppo in comunità di “clienti” che abbiano buoni
canali (sia formali che informali) di passaparola al loro interno (come cer16
tamente avviene nel turismo o tra i grandi investitori industriali ). In altri
casi, invece, la creazione consapevole di questo gap può essere giustificata dalla volontà di anticipare una evoluzione che non si è ancora realizzata, costruendo l’immagine di un luogo futuro (una città immaginata) verso il quale far tendere le energie e le progettualità dei vari attori locali. In
altre parole, l’immagine non serve tanto a definire una realtà da “vendere”,
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ma un’ideale situazione, collocata in un futuro ragionevolmente prossimo,
a cui gruppi sociali più o meno ampi vogliono tendere: quella di un’area
(regione, città) “migliore”, perché più vivibile e/o più ricco e/o più moderno
di quello che effettivamente è.
La imagery si fonde qui con la vision, che la società e la politica locale
17
esprimono e che si impegnano a realizzare .
Un gap tra immagine e realtà può realizzarsi tuttavia anche perché si vive una fase di mutamenti non ancora metabolizzati e non ancora percepiti
in tutta la loro rilevanza ed allora l’area (la regione, la città) risulta incompresa nella sua effettiva evoluzione. In altri termini, situazioni di lock-in politico e cognitivo in contesti territoriali “post-paradigmatici” (si pensi al caso
di alcuni distretti industriali italiani) possono produrre immagini stereotipate
nel riferimento alla struttura produttiva storicamente affermatasi, datate e –
quel che è peggio – penalizzanti le dinamiche innovative in atto, che non
vengono riconosciute, sono considerate estranee, quali fenomeni transitori
e non credibili ed affidabili come le configurazioni produttive conosciute.
Un ulteriore problema di coerenza riguarda poi l’immagine che viene comunicata all’esterno e quella comunicata all’interno del territorio, dove ritroviamo considerazioni familiari al marketing, in particolare alla questione
del cosiddetto “marketing interno”. Grande enfasi è oggi posta soprattutto
sulla prima, che si indirizza i nuovi potenziali “clienti”: agli imprenditori potenzialmente interessati ad investirvi, ai turisti interessati a visitare, agli
studenti interessati a venirvi a studiare ed a tutti coloro interessati a venirvi
ad abitare.
L’immagine è, in questa prospettiva, elemento essenziale dell’attrattività
18
o della “investibilità” del territorio ed ha un ruolo essenziale quando la
dimensione di esperienza fa premio, ad esempio nei confronti delle “classi
creative” protagoniste della “nuova geografia del talento”.
Ma l’immagine deve essere oggetto di attenzione anche in riferimento agli imprenditori esistenti (che devono almeno essere “dissuasi” dal ricercare localizzazioni alternative), dei nuovi imprenditori (che devono vedere
nel territorio un luogo in cui è possibile fare impresa) e dei cittadini (sia
nella loro generalità, sia considerando quei casi di cittadini provvisori, come gli studenti universitari, che sono stati attirati dall’offerta formativa e
che possono essere trattenuti, al termine del loro percorso di studio, come
risorse del territorio). Anzi per molti aspetti è proprio l’immagine interna
che dovrebbe essere studiata con particolare attenzione e per almeno tre
motivi: perché la qualità della vita personale e le opportunità di carattere
economico sono percepiti in modo più diretto e consapevole dai cittadini
attuali; perché i loro comportamenti tendono a rafforzare l’immagine (è difficile pensare di “vendere” all’esterno un’immagine che non è credibile al
proprio interno); perché gli elementi che costituiscono e sostanzialmente
coincidono con le motivazioni per cui i “non-cittadini” possono essere attirati.
4.2 La competizione tra immagini
Cosa accade però quando all’interno di un territorio coesistono immagini
diverse e configgenti? Immagini diverse possono emergere per l’inerzia di
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una comunicazione, rivolta a pubblici diversi e non coordinata. Nel caso
toscano, per molti versi esemplare, si è notato che” l’immagine “classica”
costruita intorno al mito turistico “nasconde”, per così dire, le molte sfumature dell’immagine nuova, industriale, tecnologica della Toscana del dopoguerra, come se la terna cultura – artigianato – turismo di pavoliniana
memoria avesse schiacciato solo sul passato e non nel presente e più ancora nel futuro l’attività manifatturiera richiamata dalla tradizione, invece di
attualizzarla nella continua innovazione tecnologica, di processo e di pro19
dotto che ha reso competitiva la struttura regionale .
È evidente tuttavia che ancora una volta non si tratta di un fatto meramente tecnico. Alla base di questi problemi stanno visioni effettivamente
divergenti del territorio, ad esempio la contrapposizione tra visioni neoindustriali e post-industriali. Ed è anche evidente che in fasi storiche di
transizione tra paradigmi produttivi e sociali diversi le varie immagini non
solo possono coesistere, ma possono competere per acquisire una egemonia. La politics della politica dell’innovazione territoriale può essere letta
proprio come rapporto competitivo tra possibili immagini, come lotta per
egemonizzare la rappresentazione del futuro del territorio.
20
Generalizzando i risultati di una recente analisi , suggeriamo qui – a mero titolo di esempio – che tre gruppi sociali (e tre corrispondenti immagini)
si contenderanno il campo:
- I visionari, espressione che utilizziamo nel senso inglese (positivo) del
termine (colui che ha una visione e quindi idee per il futuro) e non in quello
italiano (tendenzialmente dispregiativo), esprimono l’urgenza di un nuovo
slancio progettuale per lo sviluppo e premono per approcci innovativi, nei
confronti dei quali sono sinceramente e personalmente disposti ad impegnarsi. I loro “nemici” sono il provincialismo, la chiusura cognitiva,
l’angustia relazionale, così come il deficit di imprenditorialità nella società
e nell’economia. Da un punto di vista valutativo, essi temono lo svuotamento demografico e culturale dei centri urbani minori, che si manifesta
anche nell’impoverimento e omologazione delle funzioni commerciali. La
speranza sta nelle nuove energie e nei nuovi attori che emergono e possono emergere in futuro. Essi sono disposti a riconoscerli e valorizzarli,
ma lamentano l’incapacità di scelte forti e sottolineano le potenzialità inespresse, le aspettative deluse. Il nesso tra nuove tecnologie, internazionalizzazione, terziario, università / ricerca e prospettive di sviluppo è sentito
con forza anche sul piano strettamente economico e sono quegli gli elementi che definiscono la possibile immagine nuova della città.
- I rassegnati condividono in linea di principio l’orgoglio della propria identità territoriale e la consapevolezza di alcune potenzialità inespresse, che
farebbero fare al territorio un salto di qualità nel proprio sviluppo economico e sociale. Tuttavia essi sono sopraffatti dalle delusioni del passato, elencano le occasioni mancate, le potenzialità non sfruttate. Si abbandonano così al pessimismo ed allo scetticismo sulla tenuta delle nuove iniziative proposte. La loro visione è figlia anche della progettualità non realizzata, che finiscono per attribuire all’inadeguatezza dei gruppi dirigenti, ma
anche a motivazioni strutturali, culturali, quasi antropologiche: spirito
imprenditoriale mediocre, incapacità di aggregazione, etc. Di qui però
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anche i dubbi sulla ipotesi di una maggiore internazionalizzazione e sui
settori nuovi dell’economia e quindi la riproposizione di fatto del modello
tradizionale di sviluppo, enfatizzando le inefficienze da superare e le risorse non sufficientemente valorizzate. Se i grandi disegni appaiono irrealistici, allora la via di sviluppo del territorio deve essere pragmatica e risultare
dal miglioramento delle (molte) “piccole cose che non vanno”. L’immagine
preferenziale non è in discontinuità col passato, ma innova senza scossoni e con realismo, alla ricerca di uno scenario meglio gestibile.
- Gli impauriti vanno oltre il pessimismo. Sono sulla difensiva, perché la
loro visione è quella di un territorio che ha perso controllo del proprio destino, che è diventato incomprensibile, troppo complesso, troppo pericoloso. La questione dell’apertura è letta in termini negativi: il territorio è invaso. Dominano le percezioni di deterioramento della qualità del vivere sociale, a causa della necessità di convivenza con nuovi fenomeni di alta
marginalità. Ma non è solo l’invasione del diverso (l’extracomunitario), che
preoccupa. Anche turisti e studenti possono essere “invasori”: non portano
ricchezza, ma “consumano” la città e il territorio. La città e il territorio sono
abbandonati, sporchi, non curati, popolati di nuovi criminali e borseggiatori, con quartieri a rischio, un traffico impazzito e pericoloso, un sistema di
trasporti pubblici inefficiente. Gli impauriti “vivono difendendosi”.
5. Conclusioni
Ulteriori ricerche potrebbero essere sviluppate partendo da questo lavoro
preliminare:
- da un lato, vale la pena chiarire ulteriormente la connessione tra immagine e le strumentazioni di “seconda generazione”, sia teoricamente (definendo meglio la natura delle politiche basate sulle dimensioni cognitive)
sia concretamente (quando e come l’immagine è, o dovrebbe essere, una
priorità per i policy makers);
- dall’altro lato, un’analisi sistematica dovrebbe condurre a una miglior
comprensione dell’influenza che l’immagine del territorio ha sugli attori sociali e istituzionali, e della natura del gap tra immagine e realtà.
Da un punto di vista metodologico, questo lavoro sostiene l’idea che un
consistente e cauto uso degli strumenti di marketing è certamente utile per
un disegno e un’analisi politica, e che ulteriori passi possono essere ancora fatti in questa direzione. In ogni caso, questo non significa condividere
l’ambizione di alcuni studiosi di marketing di stabilire un nuovo campo di
applicazione di questa materia tra le strategie di pianificazione regionali.
Questa ambizione è attualmente sostenuta (in Italia e ovunque)
dall’entusiasmo di molti politici, dalla conseguente disponibilità di fondi e
dalle opportunità di consultazione. E ancora, per questo, dovremmo essere certi che i fondamenti intellettuali (ed ideologici) possano collocarsi esclusivamente in una sorta di riconoscimento del “mercato”, come un paradigma effettivo (e desiderabile) che spiega anche i fenomeni sociali e
politici.
Solo se abbiamo il mercato, allora avremo il marketing. Quando spingiamo
l’uso del mercato e del marketing oltre la linea di confine di un discorso stru-
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mentale e metaforico, è richiesto, per concludere, di riconoscere esplicitamente le implicazioni teoriche e prendere piena responsabilità per questa scelta.
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Note
1
Bellini N. (ed.) 2000, Il marketing territoriale. Sfide per l’Italia nella nuova economia, Milano, Franco Angeli; Caroli M. (ed.) 1999, Il marketing territoriale. Lineamenti teorici e
strumenti d’intervento, Franco Angeli, Milano; Ulagaa W., Sharmab A., Krishnanc R. 2002,
Plant location and place marketing: understanding the process from the business customer’s perspective, Industrial Marketing Management, 31, pp. 393– 401.
2
Kickert W., Klijn E.H., Koppenjan J. (eds) 1997, op. cit..
3
Braczyk H.L., Cooke P., Heidenreich M. (eds.) 1998, Regional Innovation Systems,
UCL Press, London.
4
Molina A., Kinder T. 2000, National systems of innovation, industrial clusters and con
stituency-building in Scotland’s electronics industry, in López-Martínez R., Piccaluga, A.
(eds.), Knowledge Flows in National Systems of Innovation. A Comparative Analysis of
Sociotechnical Constituencies in Europe and Latin America, Edward Elgar, Cheltenham.
5
Kickert W., Klijn E.H., Koppenjan J. (eds) 1997, op. cit., p. 6.
6
Cfr. Christensen K. 1999, Cities and Complexity. Making Intergovernmental Decisions,
Sage, Thousand Oaks.
7
Bruijn, J.A. de, and ten Heuvelhof, E.F., Instruments for Network Management, in Kickert et al. 1997, pp. 119-136.
8
Ma anche in questo caso – sia chiaro – rimane una metafora, che ha il limite tra l’altro,
enfatizzando in modo esasperato e persino caricaturale gli aspetti competitivi, di non
apprezzare l’importanza delle politiche di cooperazione tra territori.
9
Cfr. Caroli M. (ed.) 1999, Il marketing territoriale. Lineamenti teorici e strumenti d’intervento, Franco Angeli, Milano; Gold J., Ward S. (eds.) 1994, Place Promotion. The use ofpublicity and marketing to sell towns and regions, Wiley, Chichester.
10
Florida R. 2004, The rise of the creative class and how it’s transforming work, leisure
community and everyday life, Basic Books, New York.
11
Ham P. van 2002, Branding Territory: Inside the Wonderful Worlds of PR and IR
Theory, Millennium, 31, 2, pp. 249-269.
12
Questa definizione è ricostruita su spunti di: Jensen, 2005; Morelli, 2002; Grönroos,
2000; Kotler et al., 1993.
13
Ward S. 1998, Selling Places. The marketing and promotion of towns and cities 1850 –
2000, E & FN Spon, London.
14
Ashworth G.J., Voogd H. 1995, Selling the City: Marketing approaches in public sector
urban planning, Wiley, Chichester, pp. 77 ss..
15
Per questa tipologia di aspettative cfr. Ojasalo, 1999 and 2001a
16
Stopford J. 2000, L’attrazione degli investimenti e le regole dell’economia della conoscenza,in Bellini 2000, op. cit..
17
Cfr. Ward S. 1998, Selling Places. The marketing and promotion of towns and cities
1850 – 2000, E & FN Spon, London.
18
Begg I. 2002, ‘Investability’: The Key to Competitive Regions and Cities?, Regional
Studies, 36, 2, pp. 187-200.
19
Cavalieri A. 2001, L’immagine della Toscana all’estero, in Cavalieri A., Manuelli A.
(eds), Dall’immagine della Toscana all’analisi degli investimenti esteri. Un contributo alla
definizione del marketing territoriale della Toscana, IRPET, Firenze.
20
Trattasi di uno studio dell’immagine di una media città del Centro Italia, coordinata
dall’autore di questo paper.
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Bellini Nicola, Politica del territorio e immagine dell’area ,Symphonya. Emerging Issues in Management (www.unimib.it/sympho nya), n. 1, 2004, pp.23-35
(English Version: http://dx.doi.org/10.4468/2004.1.03bellini)
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