Antropologia – Schede Autori Louis-Françoise Jauffret fonda a Parigi, nel 1799, la Società degli osservatori dell’uomo: essa si propone di abbandonare o ridimensionare la pura speculazione teorica, propria delle precedenti indagini antropologiche, adottando il metodo sperimentale delle scienze naturali. La cultura illuministica progetta così un’indagine razionale della realtà umana tramite l’osservazione sistematica (che del resto sarebbe stata sinora impossibile) di culture diverse da quella occidentale. La Società ebbe breve durata, anche perché poco in sintonia con la politica napoleonica, e fu chiusa nel 1805. Si trattò di un’occasione perduta: dopo la caduta di Napoleone presero forza le tesi reazionarie (alla Joseph de Maistre) che consideravano i popoli “selvaggi” come forme pervertite di umanità, decadute in seguito al peccato originale. Lewis Morgan (n. 1818) riporta la questione su di un piano scientifico, adottando la teoria evoluzionistica [v. Charles Darwin, n. 1809]. Siamo nella prima fase del pensiero positivistico, in cui si prospetta uno sviluppo delle scienze umane sul modello di quelle naturali (considerate come conoscenza assoluta e globale della realtà). Morgan supera l’etnocentrismo reazionario della tradizione, interpretando le culture “primitive” come una fase immatura della civiltà occidentale. Le sue tesi sul collettivismo primitivo hanno avuto influenza su Marx & Engels. Opere di Morgan: La Lega degli Irochesi (1851); La Società antica (1877). Edward Tylor (n. 1832) aderisce pure all’evoluzionismo, inteso come verità scientifica indiscutibile, e all’idea di un’unica Cultura umana di cui ciascuna civiltà rappresenterebbe una tappa (cfr. Cultura primitiva, 1871). La visione di Tylor è ottimistica (come quella di Comte o di Spencer): lo sviluppo storico dell’umanità è un continuo progresso verso il meglio – con eventuali residui o “sopravvivenze” di elementi evolutivi meno maturi. James Frazer (n. 1854) propone un criterio positivistico-evoluzionistico per cui le civiltà passerebbero da uno stadio magico, ad uno religioso, ed infine ad uno scientifico. Opera fondamentale: The Golden Bough (1890 → 1915). Il ramo in questione è quello usato da Enea per accedere agli inferi – e difatti l’intera opera ruota attorno al tema della morte / rinascita, a partire dai miti connessi al “Rex Nemorensis”, secondo i quali, nella zona di Nemi, il sovrano veniva sacrificato quando raggiungeva un’età avanzata (a simboleggiare la morte del Dio, che risorgeva quindi nel nuovo sovrano). Wittgenstein critica il modello schematico e riduzionistico di Frazer, considerandolo assai più grezzo delle culture “primitive” da lui indagate. Franz Boas (n. 1858) contribuisce in modo decisivo a fare dell’antropologia una scienza empirica, rifiutando ogni generalizzazione apriori ed anzitutto la tesi di un processo di sviluppo unitario e necessario, che caratterizzava l’evoluzionismo unidimensionale di Tylor. Egli sostiene (L’uomo primitivo, 1911) la molteplicità delle culture e la loro iniziale indipendenza reciproca – anche se esse possono influenzarsi nel corso della storia. Boas analizza la complessità di certe strutture (p. es. linguistiche) delle civiltà cosiddette “primitive”, mostrando che esse non possono assolutamente essere ridotte a fasi “immature” della civiltà occidentale. La diffusione delle idee di Boas è legata anche all’importanza di alcuni suoi allievi: Alfred Kroeber, Ruth Benedict, Margaret Mead (vedi più avanti). Lucien Lévy-Bruhl (n. 1857) approda alla riflessione antropologica dopo un percorso storico-filosofico. Negli stessi anni in cui Boas sviluppa le proprie teorie, anch’egli respinge le generalizzazioni evoluzionistiche e propone di considerare il mondo “primitivo” come una realtà non riducibile ai parametri logici etici etc. dell’Occidente (v. Psiche e società primitive, 1910). Marcel Mauss (n. 1872), individua nelle diverse comunità umane alcuni elementi ricorrenti (v. il Saggio sul Dono, 1926), ma li intende solo come regolarità empiriche, da non generalizzare per forza. Come Boas e Lévy-Bruhl, egli nega che la “cultura primitiva” costituisca un stadio immaturo o imperfetto di quella “evoluta”. La sua analisi delle strutture simboliche, che condizionano le azioni degli individui, spesso senza che questi siano consapevoli del loro significato e della loro funzione sociale, fa di Mauss un anticipatore delle tesi strutturalistiche (e lo collega a correnti socio-psicologiche quali l’interazionismo simbolico o la psicoanalisi). Leo Frobenius (n. 1873) è un esponente delle tesi diffusionistiche, cioè di quell’indirizzo (inaugurato dal geografo tedesco Friedrich Ratzel e ripreso dall’etnologo e sacerdote austriaco Wilhelm Schmidt ) che, contro le semplificazioni evoluzionistiche, mette in luce la contingenza storica degli sviluppi culturali e delle conseguenti influenze reciproche tra comunità umane. Queste ultime spiegherebbero certe affinità tra usanze, credenze, e rituali presenti in civiltà diverse. Egli considera le culture studiate (soprattutto africane) nella loro specificità ed autonomia. Alfred Kroeber (n. 1876) concepisce per primo l’Antropologia Culturale come scienza specifica, distinguendola dagli studi biologici, ma anche psicologici, sociologici etc. sull’uomo. Allievo di Boas, egli si rifà anche a Durkheim intendendo la “cultura” come realtà strutturale indipendente dalla psiche e dalle intenzioni coscienti degli individui. Kroeber è padre della scrittrice di fantascienza Ursula Le Guin, le cui opere (v. La Mano sinistra delle Tenebre; I Reietti dell’altro Pianeta) propongono modelli utopici – o distopici – di società. Bronisław Malinowski (n. 1884) riprende pure il modello funzionalistico di Durkheim, studiando le civiltà umane come organismi globali, nel rispetto della loro specificità e reciproca differenza. A differenza di Kroeber e di Boas, egli ritiene irrinunciabile il contributo e la vicinanza delle altre scienze umane, psicoanalisi compresa, nel quadro di una visione globale. Quest’ultima non ha tuttavia pretese di assolutezza, ma si orienta verso un’osservazione partecipante cioè empatica, comprendente (cfr. Dilthey) rispetto alle culture studiate. I suoi prolungati soggiorni nelle isole oceaniche (vedi: Argonauti del Pacifico occidentale, 1922) esprimono un “funzionalismo” che affronta dall’interno le strutture oggetto di ricerca. Alfred Radcliffe-Brown (n.1881) è, insieme a Malinowski, il maggior esponente dell’indirizzo funzionalistico. Rispetto ai modelli strutturalistici che si svilupperanno alcuni anni più tardi, egli sottolinea gli aspetti empirici e contingenti di ciascuna cultura, diffidando delle schematizzazioni astratte. Margaret Mead (n. 1901). Allieva di Boas, ha indirizzato le sue ricerche soprattutto sui comportamenti sessuali (v. L’adolescenza in Samoa, 1928). Donna di mentalità emancipata e aperta, la Mead si è sposata più volte (in particolare con Gregory Bateson) ed ha avuto un legame sentimentale anche con la Benedict. Claude Lévi-Strauss (n. 1908), il maggior rappresentante dell’indirizzo strutturalistico, si propone di individuare, appunto, le strutture che dirigono l’agire (in genere non consapevole, vedi Durkheim / teorie linguistiche) dei soggetti: si tratta di schemi formali di tipo logico-matematico, indagabili secondo i criteri delle scienze naturali – concepite ancora come “esatte” e riferite ad una realtà “oggettiva”. Clifford Geertz (n. 1926) si collega a Weber ed al pensiero ermeneutico: se da un lato egli critica l’approccio di Malinowski, considerandolo troppo emotivo e soggettivo, dall’altro rifiuta la concezione “epistemica” di Lévi-Strauss. La cultura va intesa come una rete continuamente ridefinita di significati e interpretazioni (v. Interpretazione di culture, 1973). La presenza e l’esperienza diretta sul campo di ricerca (tipiche della concezione veni, vidi, vici) non bastano a garantire l’accesso ad una cultura: occorre una comprensione anche teorica del sistema di significati che definisce il senso della vita in una data società. Tale comprensione, tuttavia, non è mai definitiva e totalizzante: la “verità” è una costruzione, più che una scoperta. Antropologi italiani: Carlo Tullio-Altan (padre del celebre vignettista Francesco); Ernesto De Martino (Il mondo magico, 1948).