Lo sviluppo del pensiero antropologico 2. L’antropologia culturale americana Franz Boas: la specificità culturale Una forte critica alle teorie evoluzioniste viene sviluppata in ambito americano dall’antropologo di origine tedesca Franz Boas (1858-1942), il quale sostiene, da un lato, la necessità di studiare contesti geografici delimitati attraverso ricerche minuziose e, dall’altro, l’importanza di analizzare i processi storici che portano all’esistenza di specifici tratti culturali. Quando un tratto culturale – un elemento della cultura materiale, dell’organizzazione politica, dell’attività economica, delle pratiche religiose ecc. – si presenta simile in popolazioni distanti tra loro, è errato sostenere, come fanno gli evoluzionisti, che ciò sia dovuto al raggiungimento dello stesso grado di sviluppo; è necessario, invece, indagare i processi storici peculiari che l’hanno prodotto, anche perché tratti uguali possono avere significati diversi e origini profondamente dissimili. L’approccio boasiano, definito in seguito “particolarismo storico”, insiste sulla conoscenza approfondita della singola cultura e rifugge dalle comparazioni generalizzanti: il tratto culturale deve essere analizzato alla luce della società di riferimento, e non estrapolato dal proprio contesto. Boas conduce le proprie ricerche tra i kwakiutl della costa nord-occidentale del Pacifico avvalendosi della collaborazione di un informatore nativo, George Hunt, al quale Boas insegna le tecniche della rilevazione etnografica attraverso questionari. Un fenomeno sul quale Boas concentra la propria attenzione è il potlatch, un complesso insieme di attività cerimoniali che prevede la distruzione di beni di prestigio e che ha lo scopo di affermare il rango sociale; tale istituzione sociale sarà in seguito al centro della riflessione di Marcel Mauss sui concetti di dono e di reciprocità. Di Boas occorre inoltre ricordare la battaglia intellettuale contro il razzismo. Come osserva l’antropologo Ugo Fabietti, “I suoi impegni accademici e scientifici [insegnava alla Columbia University di New York ed era il curatore dell’American Museum of Natural History] non gli impedirono però di pubblicare, nel 1911, L’uomo primitivo, il quale è forse il primo libro scritto da un antropologo ‘culturale’ contro il 1 razzismo e a favore della tesi del carattere unitario, sia dal punto di vista biologico sia intellettuale, del genere umano. In questo libro Boas sostenne la mancanza di relazioni tra cultura e razza, dimostrando come le caratteristiche culturali di un popolo non avessero alcun rapporto con l’aspetto fisico dei suoi membri”. Gli allievi di Boas A Clark Wissler (1870-1947) si deve la prima elaborazione del concetto di “area culturale”, intesa come regione geografica all’interno della quale è possibile rilevare una omogeneità culturale e socioeconomica. Il concetto di area culturale si sviluppa in concomitanza con l’esigenza di individuare un nuovo assetto per la disposizione dei manufatti nei musei. Superato l’approccio evoluzionista, infatti, si rende necessario un allestimento che non collochi più nella stessa vetrina utensili provenienti da differenti aree geografiche sulla base della loro appartenenza al medesimo stadio di sviluppo: viene così individuata la soluzione di raggruppare i manufatti in base alle zone di provenienza, all’interno delle quali si ricostruisce poi la storia della loro diffusione. Allievo di Boas, Alfred Kroeber (1876-1960) concepisce i fenomeni culturali come appartenenti a un livello di realtà diverso rispetto a quelli biologici. Nel suo libro Il superorganico del 1917 Kroeber illustra l’autonomia della cultura con chiare metafore: “L’alba del sociale non è dunque un anello di una catena, un passo lungo un cammino, ma un balzo su un piano diverso […] Si potrebbe paragonare l’inizio della civiltà alla fine del lento processo di ebollizione dell’acqua […] In luogo di un fluido scintillante, che cola da ogni parte, si diffonde un gas volatile e invisibile. Non vengono violate né le leggi della fisica né quelle della chimica; la natura non viene spinta da parte; eppure si è verificato un salto: le lente transizioni accumulatesi da zero a cento vengono trascese in un istante, e la condizione di una sostanza caratterizzata da proprietà e possibilità nuove comincia ad apparire”. L’ipotesi dell’irriducibilità dell’ordine dei fenomeni culturali a quelli biologici permette a Kroeber di criticare le tesi del darwinismo sociale – che giustificano le disuguaglianze sulla base di una malintesa applicazione delle leggi della “selezione naturale” alla realtà sociale – e consente di legittimare la necessità di fare della cultura uno specifico oggetto di studio. Antropologia e psicanalisi Sempre nell’ambito della scuola americana si sviluppa l’approccio di “cultura e personalità”. Di questo indirizzo di studi, legato all’influenza di Boas e al crescente interesse per la psicoanalisi, una delle principali esponenti è Margaret Mead (19011978), un’altra allieva di Boas. In uno dei suoi libri più noti, L’adolescente in una 2 società primitiva, del 1928, Mead analizza l’adolescenza delle donne samoane (Polinesia) alla luce dell’influenza del contesto sociale e di quello educativo. Prima antropologa americana a svolgere ricerche in un altro continente, Mead deve la sua fortuna presso il vasto pubblico all’attenzione al tema della socializzazione e alla sottolineatura delle differenze tra i modelli di vita della società americana e quelli delle popolazioni che studia. Per quanto concerne il tema dell’adolescenza, ad esempio, Mead mostra come le giovani americane, se confrontate con le ragazze samoane, attraversino un periodo particolarmente traumatico non perché l’età adolescenziale sia problematica in sé, quanto perché nella loro società l’adolescenza è il periodo nel quale le giovani si trovano a dover scegliere tra una molteplicità di futuri possibili (lavorativi, matrimoniali, ecc.), laddove le loro coetanee samoane, avendo un orizzonte di possibilità più ristretto, non sono chiamate ad affrontare simili dilemmi. Mead mette in luce la specificità culturale dei modelli educativi e mostra come la formazione della personalità e l’identità di genere siano il risultato dell’influenza di tali modelli e non siano da ascrivere alla ‘natura’ umana: “Nella terza tribù, i Ciambuli [Nuova Guinea], abbiamo trovato il vero e proprio rovescio della nostra cultura, con la donna in veste di partner dominante, direttivo, impersonale, e l’uomo nella posizione di minore responsabilità e di soggezione sentimentale […] Se quegli elementi di temperamento che noi, per tradizione, consideriamo femminili – come la passività, la sensibilità, la propensione a curarsi dei bambini – possono tanto facilmente, in una tribù, entrare a far parte del carattere maschile, e in un’altra tribù essere invece esclusi sia dal carattere maschile sia da quello femminile, almeno per quanto riguarda la maggioranza degli uomini e delle donne, viene a mancarci ogni fondamento per giudicarli legati al sesso”. 3