A Psicopatologia e Clinica relazionale a cura di Paolo Gritti Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: ottobre Indice 7. Introduzione Paolo Gritti Note sull’andar per il mare della clinica relazionale PARTE I La psicologia relazionale fra Natura e Cultura 23. Gianluca Resicato La psicogenesi dei disturbi psichici:sinergie ed antitesi tra teorie sistemiche e stili di attaccamento 45. Isabella Lo Castro Il matrimonio interculturale:una variante a più colori del matrimonio fra famiglie PARTE II La sofferenza psichica nello sviluppo della persona 61. Berniero Ragone I disturbi pervasivi dello sviluppo tra vincolo biologico e relazioni affettive 81. Laura Melara Il rischio psichico in adolescenza:figli difficili nella cultura dell’antistato 5 6 Indice PARTE III Mente e corpo nella prospettiva relazionale 107. Donatella Bottiglieri L’arcipelago delle relazioni omosessuali 121. Ester Livia Di Caprio L’anoressia mentale: fuga dall’ horror vacui familiare 139. Maria Rosaria Marra, Marinella Rotondo Il lavoro sistemico con l’handicap: sfruttare le risorse relazionali Psicopatologia e Clinica relazionale ISBN 978-88-548-6496-2 DOI 10.4399/97888548649621 pag. 7–22 (ottobre 2013) Introduzione Paolo Gritti Note sull’andar per il mare della clinica relazionale. A tai memorie il Laerziade, preso L’ampio ad ambe le man purpureo manto, Sel trasse in testa, e il nobil volto ascose, Vergognando, che lagrime i Feaci Vederserlo stillar sotto le ciglia. Omero, Odissea, Libro VIII 1. Un periglioso viaggio Venti anni or sono, siamo nel 1992, quattro terapeuti e didatti di psicoterapia della famiglia e della coppia decidono di incontrarsi per discutere di casi clinici. Il loro incontro non è casuale. Uno di loro, il più anziano, è stato, in passato, il loro formatore. In seguito è divenuto il collega degli altri tre. Un consolidato legame affettivo li unisce. E’ lui che promuove questa iniziativa, mossa solo dal desiderio di evitare le secche di una attività professionale intensa ma sterile di nuovi stimoli culturali per avventurarsi nel mare aperto della ricerca clinica. Cosicché i quattro prendono l’abitudine di incontrarsi periodicamente narrandosi casi clinici, semplici o complessi, tuttavia intriganti. Essi si danno un nome: Nexus. Il nome designa lo scopo del gruppo. Indagare la trama che connette storie cliniche, vite vissute, esperienze affettive, relazioni terapeutiche con l’ordito della cultura di cui ciascuno dei personaggi raccontati e dei clinici in conversazione è portatore. Dunque, il Gruppo Nexus si designa come fautore di una versione culturalista della cura della parola. La cultura è intesa come matrice primigenia di significati, trasmessa e modulata dalle comunità umane, la famiglia in primo luogo. In questa cornice di senso, prendersi cura della sofferenza delle persone significa esplorare le cornici culturali, personali e collettive, 7 8 Gritti entro le quali si esprime tale sofferenza. Di una esplorazione, infatti, si tratta, perché non può darsi per inteso di conoscere tali premesse, proprie e altrui. Esse ci attraversano, ci governano nostro malgrado. La consapevolezza delle proprie matrici culturali è flebile ma soprattutto ingannevole perché crediamo erroneamente di poterci affrancare da esse mentre, al contrario, ne siamo attori e divulgatori accaniti, sovente in assoluta cecità. Il Gruppo Nexus indaga le storie cliniche nella posizione dell’antropologo che esplora comportamenti, rituali, affetti, organizzazioni umane per provare a descrivere ed intendere, per la prima volta, una cultura a lui solo affine o del tutto estranea. Il sintomo diviene espressione di una specifica struttura culturale trasmessa, condivisa, trasformata nelle generazioni e nelle comunità e la psicopatologia dell’uomo assume anche il carattere di una mappa descrittiva di un territorio variegato, complesso ed ancora sconosciuto. Nexus ha la necessità preliminare di riconoscere le proprie matrici culturali e le ravvede nelle culture mediterranee che hanno colonizzato il mare di mezzo fino a lambire la rocca di Partenope. Culture votate alla navigazione, alla inquieta peregrinazione, alla inesausta curiosità , alla scelta di vite mutevoli, al conflitto, ai legami lontani, agli incontri rischiosi. L’odissea del ritorno a casa di Ulisse diviene per Nexus la trama narrativa idonea a collegare fra loro le storie cliniche raccolte nel corso della navigazione nelle acque profonde della psicopatologia. I quattro si convincono, finanche, che l’Odissea medesima sia una sorta di trattato di psicopatologia descrittiva ante litteram e che i casi clinici che si vanno narrando possono essere meglio compresi se a quel testo commisurati. Ognuno dei pazienti incontrati diviene epigono dei ben noti interlocutori di Ulisse ed egli medesimo viene inteso come il prototipo delle umane fragilità psichiche. I membri del gruppo si convincono infine che la varietà delle condizioni cliniche descritte può essere ricondotta ad alcune strutture psicologiche descritte dal cantore omerico e che, nella connessione fra cultura, personalità e biografia, sia possibile intendere qualcosa in più dei nostri pazienti e delle loro trame relazionali. Con l’andar del tempo e del viaggio, il gruppo Nexus si fortifica di esperienze cliniche condivise e matura la consapevolezza di poter rendere partecipi giovani colleghi delle competenze acquisite in mare anche sulla terraferma di un istituto di formazione dedicato alla clinica Note sull’andar per il mare 9 delle relazioni umane secondo il modello sistemico-relazionale. Nasce così Ecopsys, acronimo anglosassone del Collegio Europeo di Scienze Psicosociali. Il riferimento ai contesti interpersonali non è casuale. E’ nel campo psicosociale che la salute e la sofferenza del soggetto si intrecciano con le vite altrui, con il tramite del dialogo, della parola spesa nell’incontro o nel conflitto ed è in esso che si situa il lavoro clinico di Ecopsys. La conversazione terapeutica con le famiglie, con le coppie e con i pazienti sembra a questi naviganti la migliore opportunità per indagare i nessi esplicativi fra soggettività e relazione e fare di questo intreccio la matrice di mutamenti interni ed interpersonali forieri di maggiore consapevolezza ma anche di guarigione. Ecopsys inizia le proprie attività didattiche solo nel 2006. La gestazione è stata lunga e complessa ed ha imposto anche la rinuncia ad una perenne navigazione senza scalo. Da allora, tuttavia, l’andar per il periglioso mare della clinica appassiona un numero sempre maggiore di neofiti. Gli studenti di Ecopsys, guidati dai loro didatti, ripercorrono rotte già note della psicopatologia ma altre, del tutto nuove, né esplorano. Queste sono le forme del malessere che attraversano la nostra epoca, da alcuni definita ipermoderna. Nuove versioni di malattia ma anche nuove patologie mutuate dalla cultura dell’immagine, del qui e ora, della fruizione immediata dell’oggetto, della virtualità dei legami. L’equipaggio si accresce e diversifica i ruoli. Il nocchiero arruola giovani e brillanti didatti, anch’essi sopravvissuti alle intemperie della formazione clinica e didattica con lui. Tutti costoro, i vecchi e nuovi compagni di avventura, condividono anche l’attenzione alle categorie dell’inconscio, frutto delle proprie esperienze come pazienti in analisi, nel convincimento che intrapsichico ed interpersonale sono vasi comunicanti della identità personale e collettiva. 1.1 Siamo ad oggi. La prima testimonianza del lavoro formativo e clinico di questi primi cinque anni di vita di Ecopsys è questo testo, tratto dalle relazioni dei didatti della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Famiglia presentati e discussi in occasione della Summer School 2010 di Ecopsys, centrata sulla psicopatologia delle relazioni. Essi vertono sul tema della dimensione relazionale della psicopatolo- 10 Gritti gia ma includono, altresì, riflessioni sulla pertinenza del pensiero sistemico-relazionale nella declinazione del rapporto fra salute e sofferenza. La collana di studi e ricerche di Ecopsys si apre, quindi, sul tema centrale della psicologia e della psicoterapia sistemico-relazionale, nonché sulla questione che né segna le origini e lo sviluppo storico: la riflessione sulla natura contestuale del sintomo e della malattia non viene corroborata da analogo impegno nella esplorazione dei contesti relazionali che promuovono la salute. Questa omissione orienta tutti gli scritti dei pionieri del modello, condiziona le ricerche empiriche degli esordi e permea la clinica psicoterapeutica al punto da generare, nel tempo, una distorsione culturale. Anche il processo terapeutico viene condizionato da questa originaria omissione, nella misura in cui prende spesso la via della riparazione o, se si vuole, della restitutio ad integrum, inficiando così la natura trasformativa della cura psicologica dei contesti interpersonali che pure è dichiarata nelle premesse epistemologiche del modello. Solo nella metà degli anni ottanta la ricerca empirica, più che la pratica clinica, torna a interrogarsi sul pattern che connette le risorse e i vincoli relazionali nella modulazione del benessere e del disagio soggettivo. 1.2 Nel testo la psicopatologia e la clinica sistemico-relazionale sono presentate e discusse nella variante antropologico-culturale elaborata dai didatti e dai clinici di Ecopsys. Essa riconosce il proprio retaggio culturale nelle opere di Bowen, Framo, Boszormeniy-Nagy, Minuchin, Whitaker ma valorizza, altresì, i contesti e i meta contesti antropologici, culturali, valoriali entro i quali si organizzano ed evolvono i sistemi umani nella salute e nella sofferenza secondo il magistero di Lévi-Strauss, Bateson, De Martino. Icona del volume e metafora della posizione terapeutica, è Ulisse, nel suo peregrinare alla riconquista delle proprie radici, mosso dal tormento inesausto della conoscenza, sempre tentato dalla seducente opportunità di rinunciare al ritorno a casa, eppure sempre pronto a riprendere il viaggio periglioso e osteggiato dagli Dei. Ulisse è l’uomo moderno, consapevole della centralità del soggetto nelle sue declinazioni intersoggettive e del potere mutativo della parola e Note sull’andar per il mare 11 dell’azione,ma anticipa anche l’uomo postmoderno, volta a volta sconfitto dalla propria onnipotenza progettuale, spesso sottoposto al primato del somatico sullo psichico, un fragile vascello preda dei tempestosi flutti dell’esistenza che rischiano di affogarlo nel dolore del corpo e dell’anima. La memoria della terra natìa, degli affetti privati, la responsabilità di salvaguardare le vite di chi gli si affida nell’angoscia e nel dubbio, il folle ottimismo e la inestinguibile curiosità sono le sue qualità umane più genuine, ben più utili della competenza, della intelligenza, della arguzia, della sagacia con la quale governa tanto il timone quanto l’incontro con l’altro. In un dipinto di Hayez: “Ulisse alla corte di Alcinoo”, custodito presso il Museo di Capodimonte in Napoli è racchiusa la sintesi del processo terapeutico. Questa immagine rappresenta, a mio avviso, il momento topico della vicenda epica e mitica del personaggio. Il sovrano invita Demodoco a cantare le gesta della guerra di Troia ed Ulisse, finora protetto dall’anonimato “il mio nome è nessuno”, scoppia in pianto nel rivivere ciò che ha vissuto da protagonista. L’ascolto della propria storia, narrata da altri, produce in lui un esito catartico che ne rivela le fragili sembianze umane. Credo che la scena sia affatto simile a quanto accade nella relazione terapeutica allorché nel narrare di sé e nell’ascoltare una diversa versione della propria biografia offerta dal terapeuta il soggetto si riappropria della sofferenza che ha prima vissuto poi relegato nei meandri della mente ma guadagna anche il senso di tale sofferenza, il suo valore esistenziale, le sue potenzialità di riscatto dalla ignoranza di se stesso. Tale è il processo terapeutico per la persona e per le sua rete relazionale nel modello clinico e formativo di Ecopsys. Ulisse istituisce una cultura mediterranea, nella quale si riconoscono i didatti di Ecopsys, che accomuna ai terapeuti i pazienti, le coppie, le famiglie che essi incontrano nella pratica clinica. Dunque solo la ricerca delle proprie radici nel mare di mezzo consente, nel modello teorico-clinico di Ecopsys, di inscrivere la propria singolarità in una matrice storica e antropologica che include il familiare ma non si esaurisce in essa. Per il ricercatore e clinico sistemico, come per Ulisse, il ritorno alle origini e la tessitura di contesti di senso divengono vela e timone che tracciano la rotta delle proprie esperienze umane e professionali. 12 Gritti 2. I contesti del sintomo: la psicopatologia contemporanea ed il pensiero sistemico-relazionale. Se si pone come data di esordio del pensiero sistemico il 1971, con il suo testo fondativo “Pragmatica della comunicazione umana”, risulta istruttivo un confronto fra i tre maggiori modelli teorico-clinici sul tema della ricerca in psicopatologia nel corso di quattro decadi a partire dai contributi sistemico-relazionali (Gurman e Kniskern, 1995; Malagoli Togliatti et al, 2005). La riflessione psicoanalitica si mantiene, per lungo tempo, ben distante e distinta da qualsivoglia interesse verso le relazioni attuali del paziente e solo con la intersoggettività di Stolorow e Atwood (1979) intravede lo spazio delle relazioni di vita come fattore esplicativo della sofferenza. Il cognitivismo approda alla lettura dei contesti con i contributi sul social learning di Bandura e con la versione postrazionalista di Guidano. Dunque gli orientamenti delle psicoterapie maggiori si qualificano come originali e solidi contributi alla conoscenza della matrice sociale della psicopatologia. Al confronto la psicopatologia sistemicorelazionale sembra povera e confusa perché si limita a reiterare le intuizioni cliniche delle origini piluccando costrutti dai modelli concorrenti. La psicopatologia delle relazioni e dei contesti di vita si ritrova,così, ad essere “vaso di coccio fra vasi di ferro” e si incrina progressivamente. A mio avviso c’è dunque un urgente necessità di tornare a riflettere sui patterns e sui contesti della sofferenza psichica mantenendosi fedeli al modello ma sperimentando anche un ibridazione feconda da matrici dottrinarie diverse. In tal senso la strada più promettente sembra la riflessione cliniche sulle nuove patologie contemporanee. Nelle righe che seguono proverò a riconsiderare alcuni di questi passaggi storici e teorici per dare conto al lettore della nostra scelta di dedicare un contributo di scuola al tema della psicopatologia relazionale. Note sull’andar per il mare 13 2.1 La psicopatologia dei contesti soffre dunque nel confronto con altri modelli psicopatologici ma tale confronto dovrebbe suscitare oggi un rinnovato spirito di ricerca piuttosto che strategie di evitamento fobico. Leggere o rileggere opinioni altrui, difformi dalle nostre, genera il desiderio di cimentarsi sullo stesso terreno. Accade anche che queste letture ci suggeriscano quanto e come posizioni teoriche così distanti convergano, più spesso di quanto non si creda, verso una rappresentazione del mentale complessa e plurideterminata. Proverò a corroborare questa tesi con il ricorso ad una rilettura di tre autori di difficile accostamento dottrinario e di diversa collocazione storica: Freud, Bowlby e Bateson. La posizione di Freud rispetto alla interferenza dei familiari nella cura psicoanalitica è ben nota:“vorrei soprattutto mettere in guardia contro il tentativo di ottenere consenso o appoggio da parte di genitori o parenti…il più delle volte questo passo…è sufficiente a far scoppiare prima del tempo l’opposizione naturale e inevitabile dei parenti al trattamento psicoanalitico di un loro congiunto…per ciò che si riferisce al trattamento dei parenti confesso la mia totale perplessità e ripongo in generale scarsa fiducia in un loro trattamento individuale” (Freud, 1912). Essa si riassume nella metafora chirurgica:”Provate un po’ a domandarvi quante di queste operazioni avrebbero buon esito se dovessero aver luogo alla presenza di tutti i membri della famiglia, che ficcassero il naso sul tavolo operatorio e ad ogni taglio di bisturi si mettessero a strillare”. Freud denomina questi fenomeni come “resistenze esterne” alla cura psicoanalitica. Eppure proprio le numerose osservazioni cliniche al riguardo, contenute nel testo freudiano, indicano il nesso fra psicopatologia individuale e relazioni familiari:”Nei trattamenti psicoanalitici l’intrusione dei congiunti costituisce appunto un pericolo…i congiunti del paziente sono refrattari ad ogni spiegazione…non si deve mai far causa comune con loro…si corre il pericolo di perdere la fiducia dell’ammalato…chi ha un idea delle discordie da cui sono spesso lacerate le famiglie non può essere sorpreso di accorgersi che i parenti più prossimi rivelano scarso interesse al fatto che il loro 14 Gritti congiunto guarisca piuttosto che resti come è. Dove, come tanto spesso avviene, la nevrosi è connessa con conflitti fra membri della famiglia, il parente sano non esita a lungo nella scelta fra il suo interesse e quello di far guarire l’ammalato”. La pratica clinica freudiana si attiene rigorosamente a questo principio. Fornirò qui un solo esempio. Nella ultima lezione della “Introduzione alla psicoanalisi” (Freud, 1915-1917), Freud annota brevemente la vicenda clinica di una giovane donna che viene a lui inviata in consultazione per un disturbo che egli diagnosticherà come angoscia agorafobica. Nel corso dei primi incontri la paziente acquista fiducia nel suo interlocutore fino al punto di confidargli il segreto che le causa tanta sofferenza. Ella è venuta a conoscenza della affettuosa relazione che la madre intrattiene con un amico di famiglia. Avverte l’esigenza di mantenere il segreto in famiglia eppure il suo crescente malessere la obbliga a richiedere la presenza costante della madre accanto a sé per poter dominare i suoi sintomi. Freud scrive che la fanciulla asseriva “di non voler essere protetta da nessun altro all’infuori di lei contro l’angoscia di star sola, e sbarrandole angosciata la porta allorché (la madre) voleva uscire di casa”. Per noi lettori adusi al pensiero relazionale è ben chiara la funzione del sintomo. Tuttavia è sorprendente quanto tutto ciò sia chiaro anche a Freud. Egli,infatti, registra anche la strategia difensiva della madre che ben comprende quanto il sintomo della figlia ostacoli i suoi proposti. La madre sottrae la figlia al trattamento analitico e né impone il ricovero in “un istituto per malattie nervose”. Anni dopo Freud viene informato del fatto che la figlia è ancora ricoverata mentre la relazione della madre è divenuta di dominio pubblico con il tacito consenso del marito: “A questo segreto, dunque, era stato sacrificato il trattamento”. Le annotazioni freudiane, qui riportate, ed altre ancora, disperse nei suoi scritti, ci danno conto non solo dell’acume clinico del fondatore della psicoanalisi ma anche della ineludibilità di una riflessione clinica sui contesti relazionali dei disturbi psichici qualunque sia il vertice teorico di riferimento. John Bowlby descrive le interviste familiari congiunte come ausilio per le sedute individuali alla Tavistock Child Guidance Clinic.La “joint interview tecnique” viene descritta e commentata in un contributo del 1949. Il lavoro terapeutico, per Bowlby, rassomiglia al pro- Note sull’andar per il mare 15 cesso susseguente ad una frattura ossea.: “Non si ripara l’osso ma si aspetta che l’osso ripari se stesso”Ne consegue un orientamento della cura centrato sulle risorse psicosociali:”Il nostro obiettivo è promuovere le condizioni nelle quali le forze costruttive latenti nei gruppi sociali possano entrare in gioco”. Nello scritto Bowlby descrive il caso di Henry, un ragazzo tredicenne in perenne conflitto con la madre, una donna “molto infelice”. I comportamenti ribelli di Henry erano iniziati cinque anni prima, alla nascita della sorella. Bowbly decide “erroneamente”di prendere in terapia individuale Henry. Dopo due anni di terapia individuale a cadenza settimanale, Bowlby decide di convocare padre, madre e figlio per una seduta congiunta. La fase iniziale dell’incontro è segnata da sentimenti di rabbia e rancore. Poi gli interventi del terapeuta mutano l’atmosfera emotiva: “…dopo novanta minuti l’atmosfera cambiò in maniera davvero impressionante e tutti e tre cominciarono a mostrare comprensione per la situazione degli altri … si trovarono a cooperare nell’onesto tentativo di trovare nuove tecniche per vivere assieme … i modi con cui avevano affrontato questo problema in passato si erano dimostrati sbagliati.”. Bowlby osserva anche che le sedute individuali successive furono molto più fruttuose. Egli suggerisce di includere nel programma di trattamento almeno una sessione con la famiglia cui dovrebbero partecipare gli operatori che hanno in carico il caso: “Per quanto noi la impieghiamo raramente più di una o due volte in uno stesso caso , stiamo arrivando ad usarla quasi di routine dopo il primo colloquio e prima dell'inizio del trattamento vero e proprio”. In “Epidemiologia della schizofrenia”, testo breve tratto da una conferenza del 1955, Bateson riflette sulla patogenesi comunicativa dei disturbi schizofrenici. Ciò che, però, sembra più originale sono le osservazioni cliniche tratte dalle sue conversazioni con i pazienti. Qui si colgono due aspetti rilevanti. Il primo concerne la visione olistica della patogenesi che include fattori biologici predisponenti il disturbo comunicativo.La “debolezza dell’ego” per Bateson consiste nella “difficoltà nell’ identificare e nell’interpretare quei segnali che dovrebbero dire all’individuo di che genere è un messaggio”. Tale difficoltà attiene a “caratteristiche e potenzialità ereditarie”.”Per far confusione sui tipi logici è presumibile che un individuo debba essere abbastanza intelligente da capire che c’è qualcosa che non va ,ma non tanto in- 16 Gritti telligente da poter vedere di che cosa si tratti. Avanzo l’ipotesi che queste caratteristiche siano determinate ereditariamente”. Un Bateson determinista incline a ridurre la schizofrenia ad un difetto intellettivo? Niente di tutto ciò, perché nel testo è ben chiaro che tale “difetto” necessita di una specifica esperienza “traumatica” per esprimersi come schizofrenia. Il trauma consiste in un ambiente comunicativo che distorce sistematicamente i messaggi del paziente e lo induce ad una risposta cronica modulata sulle varianti cliniche della malattia. Ad un estremo del continuum clinico si collocherebbero, per Bateson, “individui più o meno ebefrenici per i quali nessun messaggio è di un tipo definito”. All’altro estremo sarebbero i pazienti che “tentano di ultra-identificare” il genere di ogni messaggio collocandosi nelle varianti cliniche paranoidee. Il secondo aspetto rilevante di questo testo consiste nel prezioso resoconto di conversazioni con pazienti che lasciano almeno intendere una solida competenza clinica dell’autore. Bateson sembra far ricorso a significanti simbolici per decodificare il discorso del paziente né disdegna di interrogarsi sulla dimensione inconscia dei loro atti comunicativi.Si leggano i riferimenti al paziente che dichiara che “qualcosa si era mosso nello spazio” e Bateson interpreta lo “spazio” come “madre” ottenendo dal paziente il seguente commento: “Lo spazio è la madre”. O,ancora, la tecnica utilizzata per guadagnarsi la collaborazione del paziente, rincorso dai propri fantasmi persecutori. E,infine, la cronaca dell’incontro con la madre del paziente, decisivo al fine della formulazione di una diagnosi sul caso. Cosa accomuna autori così distanti e all’apparenza incompatibili come Freud, Bowlby e Bateson? Di certo la intelligenza per non lasciarsi ingabbiare dal sintomo bensì la ricerca di fattori psicosociali che lo sostengono o lo determinano e che sono rilevanti nel trattamento psicologico al punto, almeno in Freud, da invalidare il processo terapeutico. Per essi guardare oltre il sintomo significa imbattersi in fattori relazionali, in ambienti affettivi e comunicativi, in vicissitudini di vita intessute di legami significativi a partire dai quali è possibile una ricostruzione di senso che operi come traccia del percorso di cura con la parola. Ma vi è un altro aspetto di questi contributi che merita di essere evidenziato. Pur così distanti fra loro, questi scritti lasciano intendere una costante attenzione degli autori alla comprensione della sof- Note sull’andar per il mare 17 ferenza del paziente nei suoi contesti di vita con la ineludibile conseguenza che le categorie esplicative della soggettività e delle esperienze di relazione possono essere integrate in una visione complessa e multidimensionale della psicopatologia. 2.2 La nuova psicopatologia delle relazioni si nutre oggi di radicali mutamenti della cultura occidentale. Essi concorrono tutti, a mio modo di vedere, nella mortificazione del valore della soggettività. Ripropongo alcune considerazioni al riguardo tratte da un mio precedente contributo. Il primato dell’immagine implica un declino della parola che diviene “sporadica, sintetica, estensiva. Il conversare cede il posto al guardare, l’ascolto si fa passivo perché non si può replicare a ciò che si ascolta”. Ne consegue,spesso, che “l’unica scelta di salvaguardia psichica per il soggetto rimanga il negarsi ad ogni rapporto”. Il primato della proprietà sull’identità privilegia l’oggetto sul soggetto. Gli oggetti surrogano l’identità personale e collettiva e la persona si misura dalla proprietà di oggetti. Il primato del soma sul corpo rende invisibile il corpo naturale, soggetto al trascorrere delle età. Il corpo malato, il corpo anziano, il corpo morente sono negati mentre si afferma un soma violentato, falsificato dalla chirurgia plastica e bariatrica, dalle diete anoressizzanti, dal trapianto. Il primato della cronaca , sulla storia valorizza solo il tempo presente, consuma gli eventi in una perenne diretta televisiva. Cosicché la memoria del passato si offusca fino all’amnesia. Il primato del risultato sul progetto valorizza efficacia ed efficienza a scapito della fantasia e dell’utopia.”L’espressione artistica diviene inutile” o peggio uno “status symbol da ostentare nel salotto di casa”. Infine il primato della menzogna sulla verità si nutre della antitesi fra vero e falso. Il politico potente, il giornalista influente, lo scienziato illustre rivendicano per sé il possesso della verità oggettiva mistificando le coscienze con la squalifica di ogni opinione avversa, del punto di vista dell’altro invalidato nella sua soggettività. Questi fenomeni culturali originano nuove forme di legami sofferenti inscritti nella normalità della vita quotidiana. La dipendenza, il controllo o la violenza sull’altro diventano pattern relazionali costanti nella vita del- 18 Gritti le persone, tanto più nocivi quanto più idonei a mantenere una esistenza scevra di ogni consapevolezza. 2.3 Occorre, infine, commentare qualcosa sui nessi fra psicopatologia e nosografia. Nell’ultimo trentennio del ‘900 la psicopatologia clinica diviene debitrice della urgenza oggettivante di apparati nosografici descrittivi come il DSM e il ICD. La psicopatologia clinica, nel valorizzare il legame sempre più solido con la psichiatria, si depaupera della sua identità osservativa ed ermeneutica per ridursi a mera elencazione descrittiva di categorie sindromiche. La affermazione dell’apparato diagnostico DSM trasforma il pensiero ipotetico-deduttivo della psicopatologia in un protocollo valutativo orientato da criteri di inclusione/esclusione dei sintomi con un format che vorrebbe essere multidimensionale ma che spesso si riduce al solo piano sintomatologico. La psicopatologia DSM diviene un “letto di Procuste” dove la singolarità del paziente della sua sofferenza viene soggiogata alla chiarezza ed alla condivisione diagnostica. Tuttavia nel DSM IV (1994) nonché nel DSM IV-TR (2000) compaiono, sia pure in asse aggiuntivo, categorie di orientamento relazionale descritte come:”Problemi relazionali”. Essi includono “modalità di interazione tra i membri di un gruppo relazionale”, sono associati a “compromissione clinicamente significativa del funzionamento o sintomi in uno o più membri dell’unità relazionale o compromissione del funzionamento dell’unità relazionale stessa”. Una descrizione del tutto sintonica con il pensiero e la pratica sistemico-relazionale. Si aggiunga che è specificato che i problemi relazionali possono essere del tutto indipendenti da condizioni cliniche nonché “oggetto principale della attenzione clinica” da elencare in asse I. Tali problemi includono la “relazione genitore-bambino”, la “relazione tra partner” e “la relazione tra fratelli”. Dunque una enfasi sulle relazioni familiari anche se manca una variante diagnostica inclusiva di tutto il sistema familiare. Si noti che problemi di ordine relazionale sono descritti anche nella categoria denominata “Problemi correlati a maltrattamento o abbandono”. Note sull’andar per il mare 19 La valutazione clinica di questi problemi veniva supportata dal ricorso alla GARF (Global Assessment of Relational Functioning Scale) originariamente elaborata da Lyman Wynne. Tuttavia le premesse per un utilizzo frequente e talvolta esclusivo di queste valutazioni diagnostiche del DSM-TR furono vanificate nel tempo. Di certo la diffidenza del clinici sistemici verso questa opportunità ha giocato un ruolo decisivo ed oggi riesce veramente difficile integrare il pensiero sistemico-relazionale con gli orientamenti culturali della psichiatria (Bertrando, 2009).Una unica eccezione è rappresentata dal poderoso lavoro di elaborazione teorica nonché di raccordo con la psichiatria clinica americana ad opera di Florence Kaslow . Il suo volume “Handbook of Relational Diagnosis and Dysfunctional Family Patterns” (1996) rappresenta il miglior tentativo di coniugare categorie relazionali della diagnosi con la nosografia psichiatrica. Nei capitoli clinici di questo trattato sulla diagnosi relazionale vengono indagati i problemi inerenti la diagnostica in età evolutiva, le diagnosi focalizzate sulle relazioni di coppia nonché le diagnosi inerenti il sistema familiare a partire dal presupposto di poter distinguere i disordini relazionali propriamente detti da quelle condizioni cliniche nelle quali un problema individuale è associato ad un disturbo della relazione oppure da quei disturbi individuali che si giovano, nella diagnosi e/o nel trattamento, di una valutazione del contesto relazionale del paziente. Nel testo è ben chiarito che il ricorso ad un sistema categoriale mal si coniuga con il pensiero clinico sistemico ma che lo scopo dei contributi che vi sono inclusi è di gettare un ponte culturale fra la psichiatria e la psicoterapia delle relazioni. Il valore euristico di questo volume poggia sui risultati allora conseguiti da una agguerrita task force di clinici americani con l’inserimento nel DSM IV di specifiche categorie nosografiche relazionali. Circa tre lustri dopo questo risultato di allora è del tutto vanificato nella nuova versione del DSM V che verrà pubblicato nel 2014. Ogni riferimento alle dimensioni relazionali della psicopatologia è scomparso. 20 Gritti 3. Ancora un volta in viaggio Questo testo collettivo va letto come un approdo solo temporaneo nel lungo e insidioso viaggio della conoscenza della nostra e altrui sofferenza. La tela dell’esperienza clinica si tesse e si sfila dal giorno alla notte in ogni nuovo incontro con i pazienti e le loro famiglie. Sfida la nostra presunzione di sapere dell’altro o degli altri prima che sia istituito il dialogo nel qui e ora dell’incontro. Ci suggerisce che volta a volta possiamo allontanarci dalla rassicurante terraferma del già visto e già vissuto per avventurarci nel mare aperto della ricerca di senso e della cura con la parola. Questa scelta ci impone di accettare con noi stessi la possibilità di una comprensione ex post di ciò che accade, nutrita dalla costanza con la quale ci interroghiamo sulle tracce relazionali che l’incontro clinico elìcita in noi stessi. La urgenza di comprendere o di descrivere è una cattiva consigliera. Al contrario la paziente curiosità batesoniana dell’antropologo che osserva, scevro di pregiudizi, le forme di vita altrui risulta la migliore premessa di conoscenza e di proficuo intervento. Il terapeuta-antropologo dovrà solo consentirsi di star lontano da Itaca per ritornarvi solo quando la sua esperienza sarà compiuta. Solo allora parole come casa, famiglia, coppia, legame avranno conquistato un senso per lui. Sempre devi avere in mente Itaca Raggiungerla sia il tuo pensiero costante. Soprattutto, però, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull'isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo in viaggio: che cos'altro ti aspetti? K. Kavafis, Itaca Note sull’andar per il mare 21 Bibliografia Bateson G.: Epidemiologia della schizofrenia in Bateson G.:Verso un’ecologia della mente, Adelphi Edizioni, Milano, 1976 P. Bertrando “Surviving in psychiatry as a family therapist”,The Australian and New Zealand Journal of Family Therapy 30:3,160–172 2009 Bowlby J.:The study and reduction of group tensions in the family Human Relations, 2: 123-128, 1949 Freud S.: Consigli al medico nel trattamento psicoanalitico in S. Freud: Opere 1910-1912, Vol VI, Boringhieri Editore, Torino, 1976 Freud S.: Introduzione alla psicoanalisi in S. Freud: Opere 19151917, Volume VIII, Boringhieri Editore, Torino, 1976 Gritti P.,Di Caprio E.L. eds.: Le nuove prospettive della psicoterapia sistemico-relazionale,Armando Editore, Roma, 2006 Gurman A.S., Kniskern D.P. eds.: Manuale di terapia della famiglia Bollati Boringhieri, Torino, 1995 Kaslow F.W. ed.: Handbook of relational diagnosis and dysfunctional family patterns, John Wiley & Sons, New York, 1996 Malagoli Togliatti M., Telfner U. eds.: Dall’individuo al sistema:Manuale di psicopatologia relazionale” Bollati Boringhieri, 2002 Pindemonte I. Odissea di Omero, Rizzoli Editore, 1993 R.D. Storolow, G.E. Atwood. I contesti dell’essere. Le basi intersoggettive della vita psichica Bollati Boringhieri, 1995