Evoluzione della situazione politica nella regione del Sangiaccato serbo di Paolo QUERCIA Il Sangiaccato di Novi Pazar rappresenta una regione della Serbia centrale tuttora rilevante negli equilibri etnici e politici interni della Serbia ma anche del Montenegro e della Bosnia Erzegovina. Il Sangiaccato non rappresenta oggi una specifica regione amministrativa ma una regione etnico – storica, che fa riferimento al periodo della dominazione ottomana. La sua posizione strategica risiede nel fatto che essa è sede di un’importante minoranza religiosa mussulmana che caratterizza l’identità della regione abitata da una popolazione di etnia slava e di lingua serbo croata e che si definisce, in maniera similare a quanto avviene in Bosnia Erzegovina, bosniacca. Questa popolazione svolge da secoli una funzione di frontiera etnica tra popolazioni mussulmane e cristiane e tra popolazioni slave e albanofone. Inoltre, oggi – dopo i mutamenti territoriali avvenuti in seguito al processo di dissoluzione della ex Jugoslavia, il Sangiaccato – a sua volta diviso in una parte in territorio serbo e una parte in territorio montenegrino – rappresenta un’importante zona strategica di collegamento tra Montenegro, Albania, Kosovo, Serbia e Bosnia Erzegovina. Mappa del Sangiaccato storico e confini statali nella parte centrale dei Balcani occidentali Negli anni della dissoluzione della ex Jugoslavia il Sangiaccato serbo ha riprodotto in piccola scala molte delle tensioni e delle contrapposizioni che deflagravano in maniera violenta nel resto della federazione: tentazioni secessioniste, contrapposizioni etniche, scismi religiosi, radicalizzazione politica etc. Durante la guerra in Bosnia Erzegovina il Sangiaccato ha vissuto un aumento del controllo di polizia e della repressione del dissenso, la popolazione mussulmana è stata guardata con crescente sospetto mentre le forme di organizzazione identitarie, religiose e culturali furono fatte oggetto di forte controllo statale e di attenzione da parte degli apparati repressivi. Dopo la guerra in Bosnia Erzegovina, e in particolare dopo la democratizzazione della Jugoslavia avvenuta in seguito alla caduta di Milosevic la situazione del Sangiaccato ha conosciuto un temporaneo miglioramento salvo deteriorarsi nuovamente nel 2007 – 2008, anche in concomitanza e in conseguenza dei processi di secessione del Montenegro e del Kosovo dalla Serbia. In particolare il processo di secessione del Montenegro ha prodotto in entrambe le due metà del vecchio Sangiaccato un aumento delle richieste di autonomia regionale, sostanziale e normativa, mentre la secessione del Kosovo e i successivi riconoscimenti internazionali e della Corte internazionale di Giustizia ha fornito un ulteriore presa di coscienza della fattibilità di una secessione attuabile non solo lungo le linee amministrative che separavano gli Stati federali della ex Jugoslavia, ma anche lungo altri confini. L’aumento della conflittualità recente nel Sangiaccato risale dunque agli sviluppi regionali degli ultimi due - tre anni, secondo un trend diverso da quello che si è sperimentato in altre aree della regione in cui l’esaurimento della conflittualità della ex jugoslavia e l’affermarsi nei Balcani occidentali dell’azione esterna della UE ha contribuito a stabilizzare e deconflittuare i principali focolai di tensione. Le ultime tensioni ed incidenti, di non elevata gravità ma sintomo di un perdurante clima di tensione, sono recenti, avvenuti nel corso del 2009 e 2010, in concomitanza di importanti appuntamenti internazionali, come la visita del premier turco Erdogan, del Presidente serbo Tadic, dell’Ulema di Sarajevo Ceric. Altre recenti cause di tensione e di violenza sono avvenute a causa di fattori più locali, come le manifestazioni di protesta da parte della comunità mussulmana contro le autorità municipali di Novi Pazar spesso per questioni relative al possesso di immobili di culto o religiosi. Tali incidenti sono il sintomo di una permanente conflittualità e radicalizzazione all’interno della comunità mussulmana che vede, come in passato, mescolarsi il gioco politico nazionale a Belgrado con questioni di natura economica affaristica, con le politiche etnoidentitarie e sempre più con il radicalismo religioso. In particolare, negli ultimi tempi, alcune tematiche appaiono essere maturate profondamente, al punto da poter essere considerate linee evolutive di conflitto nel caso di un ulteriore deteriorarsi della situazione. L’elemento caratterizzante il conflitto nel Sangiaccato è sicuramente quello relativo alla profonda spaccatura esistente all’interno della comunità islamica, oggi plasticamente riflesso nell’esistenza di due antagoniste comunità islamiche in Serbia: la Islamic Community of Serbia e la Islamic Community in Serbia. La prima è sostenuta e riconosciuta dal governo centrale e la seconda vanta tanto un reale supporto alla popolazione quanto una legittimazione “internazionale” nel mondo islamico e in particolare nella vicina Bosnia Erzegovina. Pertanto, la situazione sul terreno vede oggi una comunità islamica divisa tra “lealisti” nei confronti di Belgrado e di “internazionalisti” che si rifanno ad una lettura più pura dell’Islam portata quindi a trascendere la dimensione nazionale e prediligere l’unitarietà della ummah. Tale situazione si è creata dopo la scissione avvenuta nella comunità mussulmana del Sangiaccato del 2007, quando la fazione dei lealisti riconosciuti dal Mufti di Belgrado si separarono e trovarono nell’Ulema Zilkic la propria guida politico religiosa. Il fronte dei lealisti, ad ogni modo, a sua volta non è compatto anzi è attraversato da un ulteriore divisione di carattere politico, che coinvolge i due politici forti della regione Sulejman Ugljanin (SDA) and Rasim Ljajic (SDP), alla guida di due partiti antagonisti nel cercare di coagulare la rappresentanza politica mussulmana e in competizione, anche violenta, tra loro. Tale dualismo precede l’attuale spaccatura di natura prevalentemente religiosa territoriale e risale al periodo in cui esisteva una forte contrapposizione politica a Belgrado all’interno del fronte dei partiti nati dall’opposizione al regime di Milosevic e in particolare tra le due figure politiche emergenti Kostunica e Djindjic (poi Tadic). Il conflitto interno alla comunità mussulmana del Sangiaccato si è alimentato anche di questa lotta politica nazionale con l’affiliazione del SDA al movimento di Kostonica e del’SDP al partito di Tadic. E’ chiaro che in un tale contesto la visita del Reis-Ul-Ulema Muasafa Ceric di Sarajevo nel Sangiaccato ha rappresentato un ulteriore fonte di conflittualità tra governo centrale, amministrazione locale e le due comunità islamiche contrapposte, anche in ragione della opposizione che il governo serbo ha fatto a tale visita. In questo scenario di latente conflittualità si è invece inserito, per il momento in maniera positiva, il ruolo della Turchia, che ha contribuito alla stabilizzazione del conflitto ufficialmente sostenendo la comunità mussulmana riconosciuta dal governo di Belgrado. In tale contesto si inquadra la visita del premier turco Erdogan e di Tadic a Novi Pazar nel luglio scorso, visita che ha segnato un importante passo distensivo da parte del governo che ha puntato ad utilizzare il ruolo di soft power culturale della Turchia nei Balcani e sulle popolazioni islamiche per aumentare la propria presa sulla popolazione della regione. Nonostante la mediazione turca, con Ankara che anche nel Sangiaccato si sta ponendo come un utile ed imprevisto alleato tattico per Belgrado, la situazione a Novi Pazar resta esplosiva. La vittoria dei seguaci di Zukorlic alle elezioni per il consiglio della comunità nazionale mussulmana dimostra il successo della strategia di radicalizzazione del conflitto da parte di Zukorlic, che vede alternarsi confronti e violenti scontri con le forze di polizia questioni locali di ordine più materiale, e strategie di natura più spirituale e religiosa di carattere internazionale per esportare il conflitto fuori dai confini serbi. In tale scenario, sicuramente il tema della regionalizzazione della Serbia potrà esser in futuro uno dei fattori di rinnovamento del conflitto e la tendenza di Zukorlic a soffiare sul fuoco della rivolta unita alla scarsa capacità degli apparati statali serbi di gestire le tematiche di contestazione e rivolta delle minoranze entro i confini del diritto e del rule of law tipica della prassi degli Stati democratici rischiano entrambi di essere fattori di riattivazione del conflitto. Tuttavia, un ruolo chiave nella vicenda lo detiene la vicina Bosnia Erzegovina alle cui vicende interne è collegata anche la questione della stabilità del Sangiaccato nel breve periodo. Dalla vicina Bosnia possono difatti giungere sia segnali di conciliazione e moderazione (in particolare dalla componente bosniacca della presidenza e dalle istituzioni religiose del paese), ma anche fattori di mobilitazione e di escalation, come possono essere considerati i movimenti secessionisti della Repubblica Srpska o le pericolose sovranità religiose transnazionali che, nel contesto della ancora delicata transizione serba, rischiano di essere fattori esplosivi.