Sarajevo è un locus teologicus fondamentale per il

annuncio pubblicitario
«Sarajevo è un locus teologicus fondamentale
per il dialogo»
- Andrea Oskari Rossini *, SARAJEVO,06.06.2015
Intervista. Franjo Topi, presidente di Napredak e storico delle religioni
La visita di papa Francesco in Bosnia Erzegovina come messaggio di pace in un luogo simbolo del
dialogo interreligioso nel mondo. Ne parliamo con Franjo Topi, presidente dell’associazione culturale
Napredak e autore di saggi sulla storia delle religioni, in particolare dell’Islam.
Qual è il significato di questa visita?
Un significato straordinario. È il secondo paese che il Santo Padre visita in Europa, dopo l’Albania,
ed è un paese che vede la presenza di tre grandi comunità religiose, i cattolici, gli ortodossi e i
musulmani. Ritengo che la Bosnia Erzegovina (BiH) sia locus teologicus fondamentale per il dialogo
e l’ecumenismo. Il pericolo di una guerra tra le religioni è, purtroppo, un tema di grande attualità,
dopo gli attentati di Parigi e alla luce di quanto avviene in Nigeria, in Iraq e Siria. Il Santo Padre ha
già più volte ricordato che non si può uccidere in nome di Dio e della religione, e credo che lo
ripeterà anche qui, a Sarajevo.
Ma questo paese simbolo del dialogo ecumenico è stato anche simbolo del suo fallimento,
negli anni ’90
È chiaro che qui non si è sempre vissuto bene in termini di relazioni tra diverse religioni, purtroppo
esiste anche una dimensione politica che esercita la sua influenza. La religione è stata usata anche
come strumento per portare alla guerra, qui religione e identità nazionale sono praticamente la
stessa cosa: quasi tutti i croati sono cattolici, e lo stesso si può dire per i serbi, ortodossi, e per i
bosgnacchi, musulmani.
Quanti sono oggi i cattolici in Bosnia Erzegovina e come vive la Chiesa?
Un terzo della popolazione cattolica non c’è più, proprio a causa della guerra degli anni ’90. In
alcune zone del nord, oggi Republika Srpska, dove c’era una grande presenza di cattolici, oggi
praticamente non c’è più nessuno. La gente ha trovato una nuova vita altrove, i cattolici soprattutto
in Croazia, e ormai, a 20 anni dalla guerra, non c’è più ritorno. Altrove però la situazione è diversa.
Un anno fa è stato fatto il censimento della popolazione, ci sono risultati non ufficiali secondo cui in
BiH ci sono 3.800.000 abitanti, di cui 550.000 sarebbero cattolici. Alcuni politici parlano di cifre
inferiori. In ogni caso, è certo che nel ’91, all’ultimo censimento prima della guerra, eravamo
760.000. Detto questo, la nostra Chiesa vive molto bene e ha una grande vitalità. Abbiamo molti
seminaristi, con numeri superiori a quelli di molti paesi europei, 840 sacerdoti, 540 suore, 4 giornali
mensili e un settimanale, 19 radio e 3 tv private. L’organizzazione che dirigo, Napredak, che non è
ufficialmente un’associazione cattolica ma è vicina al mondo cattolico, non ha cessato di operare
neanche durante la guerra. Oltre a sostenere la popolazione di Sarajevo e del resto del paese con gli
aiuti umanitari, abbiamo continuato a organizzare concerti, 80 durante la guerra, mantenendo il
nostro profilo, che è soprattutto culturale.
La comunità cattolica accoglierà il Pontefice con grande entusiasmo. E il resto dei bosniaci?
Mi sono incontrato con il Gran Muftì della Bosnia Erzegovina, il reis Kavazovi. Il leader della
comunità islamica bosniaca ha espresso fin dall’inizio il suo sostegno a questa visita, dicendo che la
sua comunità farà tutto il possibile per appoggiarla. I bosniaci aspettano il Papa con cuore aperto,
direi con amore, ci sono stati anche diversi sondaggi in questo senso. Forse una parte della politica
serba in Bosnia Erzegovina non è entusiasta della visita, ma credo che la maggioranza dei serbi del
paese riceveranno con simpatia il Pontefice. È importante ricordare che il Santo Padre non viene
solo per i cattolici, ma anche in quanto capo di Stato per tutta la Bosnia Erzegovina e per i suoi
cittadini. Tutti sanno che il Vaticano ha sempre appoggiato la Bosnia Erzegovina, in ogni istanza
internazionale. Pensiamo a Giovanni Paolo II, oggi Santo, che ha parlato ben 263 volte della Bosnia
Erzegovina. Se guardiamo al miliardo e 200 milioni di cattolici del mondo, noi non significhiamo
nulla. Eppure p««apa Wojtyla ha anche nominato un cardinale a Sarajevo quando noi, viste le
dimensioni della nostra comunità, non meriteremmo neppure un vescovo ausiliario (sorride).
Una questione divide il Vaticano da una parte della comunità cattolica in Bosnia
Erzegovina: Medjugorje, visitata da milioni di fedeli da tutto il mondo, che il Vaticano però
non riconosce.
È vero che una parte della Chiesa in Bosnia Erzegovina è divisa su questo. Alcuni si sono espressi
sostenendo la soprannaturalità del fenomeno, altri in senso contrario. È chiaro che Medjugorje è ora
uno dei più grandi fenomeni cattolici al mondo, è un luogo visitato da molta gente, ed è chiaro che
non si tratta di una questione semplice, dato che il fenomeno dura ancora e ci sono i cosiddetti
segreti dei veggenti. Ma dobbiamo ricordare che il Vaticano ha già creato una commissione
internazionale, guidata dal Cardinale Ruini, che ha da poco ultimato i propri lavori e consegnato le
conclusioni alla Congregazione per la Fede e al papa.
* Osservatorio Balcani e Caucaso
© 2017 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE
Scarica