La mente è un libro chiuso o un foglio bianco? di Fabio Cioffi Che consapevolezza abbiamo del funzionamento dei nostri sensi, della struttura della nostra ragione? L'essere umano nasce già dotato di predisposizioni linguistiche, percettive, razionali? Oppure esse sono il risultato delle esperienze condotte nell'età evolutiva, dell'educazione ricevuta, dell'interazione con l'ambiente in cui si è inseriti? Vi proponiamo di riflettere su queste domande, sollevate dalla filosofia moderna tra Seicento e Settecento, e oggi riproposte, con teorie diverse e a volte contrastanti, dalle scienze contemporanee. > Come funziona la nostra mente? > Come conosciamo le cose? ESPOSIZIONE DEL PROBLEMA Ragione ed esperienza: il dibattito sull’origine della conoscenza Il problema della conoscenza è uno dei problemi chiave della filosofia moderna. Esiste un modo universale e necessario di conoscere e di avere certezze intorno alla realtà? Esiste un accordo tra gli uomini sulle strutture della nostra intelligenza? Quanto nel processo conoscitivo viene dall'esperienza, e in particolare dall'esperienza sensibile, e quanto, invece, proviene dalla pura attività della ragione? Esistono idee innate, oppure, all'inizio, la nostra mente é vuota e tutto il sapere proviene dall'esperienza? Il rapporto fra soggetto e oggetto Nella considerazione di queste domande le filosofie del Seicento e del Settecento, pur nelle differenze, hanno un elemento comune: ritengono evidente, ossia non sottoposta a dubbio, l' esistenza di un soggetto conoscente e di un mondo esterno oggetto delle sue rappresentazioni. Sia che tale convincimento risulti fondato intuitivamente, per esempio sulla base di quanto spontaneamente crede il senso comune, sia che venga ottenuto come il risultato di una dimostrazione razionale, esso è il presupposto comune di una ricerca intorno all' origine, i limiti, le capacità dell'intelligenza umana. Mentre le gnoseologie antiche e medievali avevano considerato l'oggetto come qualcosa di "dato", indipendente dal soggetto che lo "apprende", la filosofia moderna tende a non accogliere l'esistenza della realtà esterna come un presupposto indiscutibile, come una verità certa. Di conseguenza, essa tende piuttosto a trovare nel soggetto il fondamento del conoscere, il principio che costituisce e ordina il mondo oggettivo. Ciò trova la sua formulazione più chiara nella teoria cartesiana del cogito. La prima soluzione al problema della conoscenza: l'innatismo Il problema del rapporto fra conoscenza sensibile e conoscenza razionale, già discusso in età antica e medievale, viene affrontato nella filosofia moderna attraverso le due grandi prospettive dell' innatismo e dell' empirismo. Il termine innatismo indica quelle filosofie di segno razionalistico, per le quali la realtà è conoscibile in primo luogo con il pensiero, ossia attraverso principi di tipo intellettuale. Nella filosofia moderna, a partire da Cartesio, l'innatismo fonda l'universalità e la necessità della conoscenza sul patrimonio originario delle idee innate di cui l'uomo è dotato fin dal momento della nascita. Per l'innatismo, la garanzia della verità della conoscenza si basa infatti sull'esistenza di idee innate indipendenti dall'esperienza e capaci di orientare e interpretare l'esperienza sensibile. Secondo la via inaugurata da Cartesio e proseguita da Leibniz, per conoscere la realtà che sta al di là dell'esperienza, ossia al di là delle nostre rappresentazioni sensibili, non dovremo mai basarci sulle rappresentazioni stesse. Il sapere vero verrà invece costruito sulla base di principi non attinti dall'esperienza, su principi a priori. La seconda soluzione al problema della conoscenza: l'empirismo Il termine empirismo deriva dal greco empeiria e designa quelle filosofie che: 1. individuano nell'esperienza l'origine della conoscenza, negando quindi la presenza nella mente di idee innate; 2. assumono il principio metodogico secondo cui la conoscenza procede dalla sensazione al concetto, come aveva affermato il motto scolastico nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu. Con l’espressione “empirismo”, nella filosofia moderna, viene indicata quella corrente filosofica che ha in Locke, Berkeley e Hume i maggiori rappresentanti. Per l'empirismo, le sensazioni sono l'unico strumento attraverso il quale possiamo sapere qualcosa intorno al mondo esterno. Esse sono l'unico legame fra l'ambito delle nostre rappresentazioni soggettive e quello della realtà in se stessa. I filosofi empiristi rifiutano sia l'apriorismo, sia l'innatismo e criticano la pretesa di fondare la conoscenza su postulati di qualsiasi tipo, teologici o metafisici. DISCUSSIONE QUESTIONE 1 L’esperienza è essenziale per lo sviluppo dei processi conoscitivi? Oppure , al di là di ogni esperienza possibile, la conoscenza vera si fonda su principi razionali e concetti generali, a priori? Quelle che abbiamo sopra enunciate sono questioni non solo filosofiche, ma anche relative alla vita quotidiana. Proviamo dunque ad affrontare il problema in modo “prefilosofico”, rispondendo alle seguenti domande: Quando dovete risolvere un problema o affrontare una questione qual è il vostro approccio? Siete portati a muovervi in fretta, formulando subito la risposta, sulla base di una intuizione? Oppure vi muovete passo passo, compiendo esperienze e verifiche, in modo analitico, fino ad arrivare a una conclusione? Di fronte a un meccanismo sconosciuto, a un oggetto ignoto (per esempio, un gioco elettronico nuovo) qual è la vostra procedura conoscitiva? Leggete prima le istruzioni e poi vi accostate al meccanismo? Oppure cominciate subito a "usarlo", "manipolarlo" imparando le regole via via, per tentativi ed errori? Le persone che frequentate hanno il vostro stesso approccio conoscitivo? Le eventuali diversità, a vostro parere, da che cosa dipendono: età, sesso, educazione, altro? Ripensate alla vostra infanzia, alla vostra evoluzione fisica, mentale, psicologica. Cercate di ricordare i momenti più significativi della vostra crescita, anche, se vi sembra opportuno, intervistando i vostri genitori. Sulla base di questa "anamnesi", come rispondereste alle domande poste all’inizio? QUESTIONE 2 La mente è una tabula rasa? Esistono le idee innate? Il testo originario dell'innatismo è il Teeteto di Platone, in cui si afferma che ciò che conosciamo con i sensi ha significato in quanto viene assunto da un'"anima" già in possesso di idee a priori. La conoscenza consiste nel ricordare le idee contemplate dall'anima nell'iperuranio, prima della sua caduta nel corpo. Essa è reminiscenza di nozioni che non provengono all'anima dall'esperienza sensibile, che è imperfetta, ma che sono in lei fin dalla nascita. I sensi hanno la funzione di risvegliare il ricordo delle nozioni ideali: come una sorta di "libro chiuso", l'anima si apre mostrando le sue nozioni in occasione di un'esperienza sensibile. Per Aristotele, invece, non si può avere conoscenza delle cose senza averne avuto sensazione. La sensazione è il punto di partenza del conoscere, poiché attraverso di essa entriamo i contatto con le cose. All'aristotelismo risale la metafora dell'anima come una tabula rasa, come un foglio bianco su cui, all'inizio, nulla è scritto. Essa possiede tuttavia attitudini potenziali, originarie: le facoltà dei sensi, appunto, e l'intelletto, che agisce sui materiali offerti dai sensi stessi "estraendone" il nucleo intelligibile, il concetto. Nascere senza idee innate è come nascere senza un piede La più chiara formulazione dell'innatismo, in epoca moderna, è della "scuola platonica di Cambridge”: Dio ha lasciato la sua impronta nella mente umana, nella forma di "nozioni universali" che le appartengono originariamente e le consentono la conoscenza del mondo esterno. Si tratta dei postulati fondamentali dell’intelletto, principia sacrosancta. Immutabili nel tempo e comuni a tutti, queste verità sono: l'idea di Dio, la sua infallibilità, le regole morali fondamentali, i principi logici e matematici, come quello di non contraddizione o la regola che il tutto è maggiore delle sue parti. Esse sono "scritte" nel libro dell'intelletto prima di qualsiasi esperienza e ci appartengono di natura. Come ebbe a dire un vescovo innatista inglese, nascere senza idee innate è "come nascere senza un piede". La mente all'inizio, dunque, non è una tabula rasa, ma contiene un sapere a priori. Anche quando crediamo di affermare un giudizio sulla base di una semplice sensazione, siamo in realtà guidati da principi razionali innati. Anche Cartesio accetta l'idea dell'esistenza di idee innate, le idee delle sostanze (Dio, il pensiero, l'estensione) e i principi matematici. In Cartesio è tuttavia presente anche la concezione per cui le idee innate non sono vere e proprie nozioni, ma facoltà, disposizioni originarie costitutive della mente umana. Senza esperienza la mente non ha nulla da pensare Critico dell'innatismo, Locke afferma che se gli uomini avessero idee innate, esse dovrebbero essere uguali per tutti. Ciò tuttavia non accade. Non esiste, infatti, un "consenso universale" attorno a queste idee. Locke adopera tre argomenti contro l'innatismo: 1. L'idea di Dio non è uguale per tutti: per tacere delle diverse confessioni europee, i popoli primitivi hanno idee di Dio diverse e spesso anche strane; alcuni popoli, poi, ne sono addirittura privi. 2. I principi morali e religiosi, che potremmo essere indotti a credere innati, ci sono stati in realtà insegnati durante la prima educazione, spesso senza che noi potessimo averne consapevolezza. Il fondamento della morale non è dunque naturale, assoluto, ma relativo alla società cui apparteniamo: i principi morali di alcuni popoli all'europeo appaiono infatti ripugnanti. 3. I principi logici e matematici non solo sono sconosciuti ai bambini piccoli e agli "idioti", ma vengono anche ignorati da coloro che non hanno avuto l’occasione di apprenderli. Come, dunque, potrebbero risultare innati? L'innatismo è dunque una teoria inutile, se vogliamo indagare sull’intelligenza umana. Infatti, la conoscenza deriva dai sensi e ciò che è al di fuori della nostra esperienza non è conoscibile. All'inizio, la mente è simile a un foglio bianco, privo di ogni carattere: essa è senza idee; non contiene alcuna nozione a priori e non ha nulla da pensare, se prima l'esperienza non le ha fornito le idee sulle quali riflettere. Locke opera tuttavia una concessione agli innatisti. Egli, infatti, è disposto ad ammettere che nell'anima "facoltà naturali" comuni a tutti gli uomini e il cui uso consente l'acquisizione delle conoscenze. Per esempio, l'inclinazione naturale della mente a riflettere sulle operazioni che essa stessa compie circa le idee offerte dai sensi. Leibniz contro Locke Leibniz muove una critica originale a Locke. “Io - afferma - sono per i princìpi innati, contro la sua tabula rasa. Nel nostro spirito non c'è infatti solamente una facoltà, ma anche una disposizione alla conoscenza, dalla quale possono essere ricavate le conoscenze innate”. Per Leibniz, la sola esperienza non è sufficiente a spiegare come operi la conoscenza umana. Basti considerare la matematica: se ogni nozione matematica dovesse derivare dai sensi, infatti, non sarebbe possibile ottenere la dimostrazione neppure di un solo teorema. I sensi forniscono alla mente solo verità particolari e contingenti (verità di fatto). Vi sono invece nozioni generali, verità necessarie e di ragione - quelle logiche e matematiche, le idee di essere e di Dio - che nessuna esperienza potrà dare all'uomo e che appartengono solo all'intelletto, il quale non è un puro ricettacolo passivo di dati sensibili, ma è dotato di disposizioni, cognizioni innate, di cui noi diventiamo consapevoli in occasione dell'esperienza (nel senso che l'esperienza è l'esplicarsi di queste disposizioni e il loro emergere alla coscienza). La mente non è dunque una tabula rasa, ma un principio attivo a priori. Sulla base di questa concezione, Leibniz corregge il motto della scolastica nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu con l'aggiunta excipe: nisi ipse intellectus . La mente pensa sempre? Locke non era ignaro di queste argomentazioni. E vi aveva mosso la seguente obiezione: se esistono delle verità innate, dal momento che la mente non ne ha sempre coscienza, come è possibile affermare che una verità è nella mente senza che la mente stessa la concepisca? Poiché non si può pensare qualcosa senza averne coscienza, le idee innate non esistono. A questo argomento Leibniz risponde con la tesi, già cartesiana, secondo cui l'anima "pensa sempre". Anche se noi non siamo sempre coscienti di tale attività, questo non significa che nell'anima si trovi solo ciò di cui abbiamo immediatamente coscienza. Il pensiero cosciente non esaurisce affatto l'attività della mente, che può essere anche inconscia. Essa ha una gran quantità di percezioni "oscure" - che Leibniz chiama piccole percezioni - le quali, considerate singolarmente, non superano la soglia della coscienza, mentre producono una percezione cosciente quando si sommano insieme in gran numero. La nostra anima è pervasa in ogni istante da questi stimoli, senza che noi se ne abbia una coscienza chiara e distinta. La mente è un blocco di marmo? La mente, per Leibniz, non può dunque essere intesa come una pura facoltà, una "facoltà nuda". L'anima non è un foglio bianco che, come una tavola di cera, ha una disposizione indeterminata a ricevere forme e impronte. La mente è piuttosto come un blocco di marmo, le cui "venature" prefigurano, per esempio, la statua di Ercole. Senza l'esperienza sensibile, le sue attitudini rimangono virtuali, così come senza lo scalpello dello scultore la figura di Ercole non emergerà dal marmo. La conoscenza consiste nel portare alla chiarezza ciò che è virtualmente contenuto nell'anima. Il che avviene attraverso una sorta di anamnesi platonica, in cui l'anima scopre in sé delle verità che non traggono la loro validità da nessuna esperienza sensibile. Tale patrimonio innato appartiene all'uomo solo in forma potenziale. E' attraverso l'esperienza sensibile che esso si manifesterà alla coscienza in maniera chiara e distinta. Soffermatevi sugli argomenti di Locke contro l'innatismo. Vi sembrano persuasivi? Se sì, ipotizzare una possibile risposta da parte degli innatisti. Se no, motivate la vostra insoddisfazione, assumendo il punto di vista di Leibniz. Per Locke la mente riceve passivamente le idee dai sensi, ma poi agisce su queste idee, componendole, confrontandole. La mente possiede dunque facoltà che non derivano dall'esperienza. Non assomiglia questa concezione a quella sostenuta da Cartesio per cui la mente umana é dotata di disposizioni originarie costitutive della mente umana? Non troviamo così un punto di contatto tra innatismo ed empirismo?