Quadro sinottico
1780\1830
Rivoluzione industriale in Inghilterra
1787 Mozart : Don Giovanni
1814\15
Congresso di Vienna: le principali potenze europee ridisegnano i confini degli Stati
1819
Shopenhauer: Il Mondo come volontà e rappresentazione
1827
Manzoni: I promessi Sposi
1830
Rivoluzione di Luglio in Francia
1831
Leopardi: Canti
1830\40 Legge di Faraday sull’elettrolisi
1838
Dickens : le avventure di Oliver Twist
1839: Daguerre- prime fotografie
1841
Feuerbach: L’essenza del cristianesimo
1842
Gogol: il cappotto e le anime morte
1843
Kierkegaard: Enter Eller ; Timore e Tremore
1845
Stirner: l’unico e la sua proprietà
1848
Manifesto del partito comunista : Marx ed Engels
1848
Moti rivoluzionari europei; 1848\66 Guerre di indipendenza in Italia
1852
Napoleone III fonda il secondo Impero Francese
1850
Dickens David Copperfield: 1851 Melville Moby Dick; 1857 Baudelaire I Fiori del male
1851
Foucault dimostra il moto di rotazione della terra ; 1859: Darwin: L’origine della specie
1881
Unita d’Italia; 1864 - Londra: Internazionale dei lavoratori guidata da Marx\Engels
1866
Dostoewskij: Delitto e castigo; 1869 Tolstoj: Guerra e Pace
1867
Marx: il Capitale
1865
Leggi dell’ereditarietà di Mendel
1870
Conflitto franco\prussiano; 1871 Unificazione della Germania: Guglielmo I Imperatore
1871
Comune di parigi
1872
Nietzsche: La nascita della Tragedia
1885
Nietzsche: Così parlò Zarathustra
1889
Parigi: seconda Internazionale socialista
1891
Enciclica Rerum Novarum –Leone XIII
1894
Affaire Dreyfus
Le trasformazioni dell’Ottocento
In ordine al quadro sinottico presentato sopra, possiamo vedere come le opere degli autori di
questo nuovo percorso- Shopenhauer, Kierkegaard, Feuerbach, Marx, - attuano la loro riflessione
in un arco di tempo abbastanza ampio. Mentre l’opera di Shopenhauer, il Mondo come volontà e
rappresentazione, vede la sua apparizione nel 1819, in un epoca che aveva visto da poco la fine del
dominio napoleonico - in pieno Idealismo e Romanticismo1 - l’attività teorico\politica di Marx si
colloca oltra la metà del secolo, in una realtà pienamente mutata; in piena industrializzazione di
paesi come Francia e Germania, già in atto in Inghilterra sin dalla fine del secolo precedente2.
In questo contesto economico e politico, oltre che storico – Vormarz - ossia prima delle
sollevazioni popolari del marzo del 1848 - prende avvio il ripensamento critico dei fondamenti
della filosofia hegeliana dal quale scaturiscono l’opera di Feuerbach, Marx e Kierkegaard, quasi
accomunati da una medesima tensione che percorre tutta la letteratura del periodo.
Tale ripensamento è normalmente assunto, per quanto in stili diversi, come critica e
dissoluzione del sistema hegeliano che, secondo Karl Lowit, conduce all’abbandono nietzscheano
dello storicismo:
 che prevede un senso ed un fine per la vita gli uomini, che invece è irrazionale
(Shopenhauer);
 che ha il torto di voler inserire in una vicenda collettiva – l’umanità – problemi che
il singolo deve risolvere autonomamente (Kierkegaard).3
Nello specifico, negli anni trenta e quaranta, la filosofia hegeliana godeva di indiscusso
prestigio, nonostante la sua suddivisione in Destra e Sinistra hegeliana. Ora, la filosofia degli autori
presi in esame, rivela il debito comune con Hegel, del quale contestano la pretesa di fare dello
Spirito il Soggetto assoluto della storia. La filosofia assume allora :
 il punto di vista del Singolo in Kierkegaard ;
 il punto di vista dell’uomo concreto in Feuerbach;
 il punto di vista della Storia economico\materiale in Marx.
Diversa la radice dall’anti-hegelismo in Shopenhauer, che prende avvio da un ripensamento
del trascendentalismo di Kant.
In particolare Shopenhauer si oppone alla razionalismo di Hegel ossia alla Ragione che
domina tutti gli aspetti della Realtà affermando che essa è dominata da un principio irrazionale cui
dà il nome di volontà: l’impulso cieco della vita. Kierkegaard, oppone invece l’idea che la vita
1
Geymonat, Il pensiero filosofico e la società, Garzanti, Novara, 2015.
Ibidem.
3
Ibidem.
2
umana non sia determinata da una necessità dialettica ma dalla “possibilità”, legata alle scelte
dell’individuo. Il richiamo richiamo ai bisogni e punti di vista dell’individuo, accomuna il pensiero
di Shopenhauer e Kierkegaard, sebben con esiti diversi. Nel primo autore, il singolo è assogettato ad
un principio infinito, (come nell’idealismo) per cui la sua realizzazione diventa assai problematica;
nel secondo autore – in una prospettiva cristiana come scelta di vita – l’individuo è affermato come
irriducibile, ossia come l’unico punto di vista da cui affrontare i problemi della filosofia.
In quanto esposto possiamo dunque trovare quegli aspetti di antistoricismo, irrazionalismo,
individualismo, che saranno approfonditi in tutto l’Ottocento e Novecento.
Shopenhauer
Nel sistema shopenhaueriano il Mondo, da un lato è rappresentazione, in quanto si articola
in una serie inesauribile di fenomeni, dall’altro è Volontà inteso come principio unico del reale.
Più articolatamente, l’esposizione del sistema inzia con la celebre frase: il mondo è una mia
rappresentazione: il mondo, in quanto oggetto del conoscere, non è qualcosa che sussista in sè, ma
un insieme di contenuti rappresentativi condizionati dal soggetto e dalle sue forme a priori. La realtà
in sè rimane invece qualcosa di inconoscibile. Ora, se la realtà è qualcosa di inconoscibile, S. si
distingue anche dall’idealismo: dalla filosofia che pretende di risolvere tutta la realtà nell’Io
negando sussistenza a ciò che non cade nell’ambito della coscienza. In buona sostanza, le forme a
priori di Kant, sono applicabili solo ai fenomeni e non hanno alcun valore al di fuori del mondo
fenomenico. Nè per S. ha senso affermare che la vera realtà sia la materia sebbene questa occupi un
posto di primo piano nel campo fenomenico (condizioni materiali – fisiologiche del prodursi delle
sensazioni).
Tanto l’idealismo che il materialismo falliscono quindi nel loro tentativo di chiarire il rapporto fra
soggetto ed oggetto:
1) L’idealismo riduce l’oggetto nel soggetto
2) Il materialismo riduce il soggetto nel soggetto.
Piu determinatamente, S. ripropone la tematica kantiana delle forme a priori corredandola però di
alcuni aspetti innovativi:
1) Le forme a priori sono solo tre: spazio, tempo, causalità (il mondo delle rappresentazioni è
strutturato secondo nessi causali , Kant ne enumera dodici);
2) Tutte queste tre forme dipendono dall’intelletto che opera secondo l’intuizione (sebbbene
l’intelletto sia attivo). Viene quindi cancellata la distinzione kantiana tra forme a priori
dell’intuizione e dell’intelletto;
3) Il processo intellettuale è una funzione cerebrale che ha, come già le sensazioni, una base
fisiologica. Ora, se l’intelletto svolge, opera, in modo intuitivo ed immediato, ne consegue
che il collegamento causale non è limitato alla sola sfera dei concetti ma una legge generale
della rappresentazione
4)
Principio individuationis e di ragion sufficiente
Secondo Shopenhauer l’affermazione “l’epressione generale di tutte quelle forme dell’ oggetto
delle quali noi siamo consapevoli a priori” si riferisce alla formulazione del Principio di ragion
sufficiente: quel principio generale che consente al soggetto conoscente di formarsi rappresentazioni
del Mondo (relazionandosi così ai fenomeni).
Con tale affermazione quindi, S. intende che affermare che l’attività rappresentativa del
soggetto, che si rapporta così al Mondo, si esplica in quattro modi differenti secondo cui si articola
il principio formulato da Leibniz:
1) Una ragion sufficiente del divenire, applicata al mondo dei fenomeni, che coincide con la
legge di causalità;
2) Una ragione sufficente del conoscere secondo cui i giudizi sono connnessi o legati da
premesse e conseguenze del ragionamento;
3) Una ragione sufficiente dell’essere, che esprime la concatenazione degli enti matematici;
4) Una ragion sufficiente dell’agire, mediante la quale si stabilisce la dipendenza delle azioni
dell’uomo dai motivi corrispondenti.
In questo senso allora, Il Mondo non è mai indipendente dal soggetto conoscente ma coincide in
tutto e per tutto con le rappresentazioni che il soggetto ne ha4. Rappresentazioni articolate
causalmente secondo lo spazio ed il tempo, secondo il principio leibniziano esposto. Ancora,
spazio, tempo e causalità, consentono anche la percezione della distinzione degli enti tra loro: lo
loro funzione funzione è allora quella di consentire l’individuazione degli enti rappresentati –
Principio individuationis.
Intelletto e ragione: l’illusione del Mondo
Il principio di ragion sufficiente esprime la forma generale attraverso la quale si svolge la funzione
conoscitiva dell’intelletto. In particolare, l’intelletto applica le forme a priori al materiale grezzo
delle sensazioni, dando luogo a conoscenze. Diversamente, la ragione elebora i concetti a partire
dalle rappresentazioni già ben costitutite, concetti che poi fissa in parole e dispone in giudizi e
sillogismi. I concetti quindi sono ricavati per astrazione dalle rappresentazioni, senza valore se non
rinvianti a tali rappresentazioni, e comunque senza poter mai uscire dal mondo fenomenico. In
misura maggiore rispetto a Kant però, il mondo fenomenico è sinonimo di illusorio o meglio
4
Ibidem.
ingannatore, in quanto tale mondo è il Velo di Maya: il potere espresso dall’Essere supremo,
secondo l’induismo, che fa apparire e scomparire tutte le cose agli occhi dell’uomo. Tale aspetto,
apparentemente banale, dell’illusorietà dei fenomeni, conduce S. sulla scia di Kant ad un altro
importante risultato: la vera realtà oltre il Mondo dei fenomeni. Realtà che Kant non indica: la Cosa
in sè è inconoscibile per Kant.
La cosa in sé
Qual è dunque la via d’accesso alla cosa in sè?
Ciò che è accessibile in modo immediato , che ciascuno di noi scopre, si riferisce ad un doppio
aspetto dell’essere: da un lato noi intuiamo il nostro organismo ; dall’altro si intuisce la volontà,
come insieme di bisogni, sentimenti oscuri, impulsi di autoconservazione, che insieme compongono
la nostra vita interiore. Si tratta a questo proposito, dell’intuizione diretta del proprio corpo,
qualcosa che non passa attaverso la rappresentazione: in effetti tale intuizione non è esattamente
rappresentabile allo stesso titolo di tutti gli altri corpi secondo il principio di ragion
sufficiente(forme del tempo, spazio, causalità).
In effetti la volontà sfugge , nella sua più intima essenza, alle tre forme a priori della
rappresentazione: la scoperta della volontà è per S. la verità filosofica per eccellenza. Ora,
l’esperienza del proprio corpo, per analogia secondo S., può essere estesa a tutta la natura, sebbene
gli altri oggetti con cui ci rapportiamo possano essere solo rappresenati e non intuiti. La volontà
dunque è la cosa in sè di Kant, colta da ognuno nella propria interiorità: il noumeno. Non
sottostante al principio di individuazione, nè moltiplicata nei vari esseri, ma una sola in tutti.
Peraltro assolutamente libera, agnte senza alcuna motivazione: quasi un cieco impulso primordiale
alla vita che si manifesta anche nelle piante, nella forza che forma il cristallo, o che indirizza l’ago
nella bussola. Che non tende ad alcun fine generale, ma che afferma solo se stessa: un principio
metafisico rigorosamente unitario privo di scopo e giustificazione. La volontà come principio
universale e noumenico si distingue poi dalla volontà fenomenica: il manifestarsi di quella volontà
nel singolo fenomeno concreto; sino a manifestarsi nella sua forma più compiuta nell’uomo, il
grado più elevato dell’oggettivazione della volontà: nell’uomo la volontà diventa cosciente di sè.
Una consapevolezza non esente dalla presenza di conflittualità: l’oggettivarsi della volontà nei
singoli infatti, reca con sè, inevitabilmente l’egoismo personale di ognuno, una lotta irriducibile e
senza pietà di ognuno con gli altri quindi. A ben vedere qui si presenta allora una anticipazione
della tematica darwiniana: la selezione naturale della specie.
La lacerazione della volontà
L’oggettivazione della volontà è dunque accompagnata da conflitti ( si ricordi l’hobbesiano
Homo homini lupus): una lacerazione profonda della volontà noumenica. Un arresto quindi dello
slancio di ognuno nel vivere i propri bisogni, desideri, mancanze.
A livello particolare, questo continuo arresto dello slancio della volontà si manifesta nei
singoli come dolore, mancanza. E’ il dolore che assume allora l’aspetto di stato positivo della
realtà, di struttura della realtà: il piacere non è che il provvisorio appagamento di un bisogno, solo la
momentanea cessazione del dolore che innerva la vita di ognuno.
In effetti, afferma S., è il desiderio lo stato preliminare dell’appagamento e della gioia. Ma
con l’appagamento cessa anche il desiderio e quindi anche la gioia. Dunque la soddisfazione, la
felicità, si riducono in fondo alla liberazione di (assenza di) un dolore e da un bisogno: per tale
motivo la felicità non ha nulla di positivo ma per natura è essenzialmente negativa.
In misura ancora maggiore, se dopo l’appagamento di un bisogno non interviene un nuovo
desiderio da appagare subentra la noia: la vita allora, tremenda ed incantevole, oscilla
continuamente tra bisogno ed aspirazione ad una liberazione da esso. Alla fine, in tale prospettiva,
la volontà tesse la trama di una tragedia infinita.
La liberazione dal Dolore
La contemplazione estetica costituisce per S. la prima via di liberazione dal dolore: S.
riprende qui la tematica della critica del giudizio inerente il carattere disinteressato della
contemplazione estetica. Dinteressato è colui che quindi, negando il principio di individuazione, si
eleva al di sopra delle lotte e dei conflitti, del dolore, per contemplare come puro soggetto
conoscente e limpido occhio del mondo, le idee: i modelli universali del mondo fenomenico.
Arte eccelente è la musica, oggettivazione diretta della volontà quanto le idee (le Idee
platoniche). Il genio musicale secondo l’autore ci manifesta l’essenza intima del mondo,in un
linguaggio però che la ragione non intende. Però tale liberazione dell’arte dal dolore è solo
transitoria: l’etica consente maggiormente di comprendere e superare la volontà di vivere come il
male da superare. Nello specifico in S.:
1. il primo livello della giustizia, come argine della lotta tra individui;
2. il secondo livello della compassione, come comprensione dell’unità di tutti gli esseri,
della intima vicinanza dell’uomo all’uomo, del patire insieme;
3. il terzo livello dell’ascesi; come esterema riduzione possibile della volontà di vivere,
come liberazioni dalle illusioni del mondo empirico, come ripugnanza del vivere;
come soppressione quindi e non annullamento nel suicidio, della volontà di vivere,
manifesta il più alto grado di pratica ascetica di indifferenza alla vita.
Kierkegaard
La storia del pensiero idealistico fino a Hegel si presenta come una filosofia di tipo
razionalistico, che si arroga orgogliosamente la pretesa di andare oltre la ragione
limitata dell’Illuminismo e del criticismo, quel criticismo di origine razionalista ed
empirista che in Kant segna il limite alla ragione, l’impossibilità di andare oltre il noumeno,
sebbene pensato come il non definibile. E’ bensì vero che nel Kant della ragione pratica
l’Io morale si trova a postulare l’esistenza della libertà come essenza dell’uomo, ma resta
l’impossibiità per la ragione di accedere a quel noumeno, a quel concetto limite che segna
recisamente l’intrapassabilità del soggetto che conosce.
Viceversa, la filosofia dell’idealismo è una filosofia di una razionalità superiore
a quella illuministica. L’idealismo, con lo slancio titanico della ragione, vuol cogliere
infatti anche l’infinito ossia il senso di quella realtà che supera infinitamente il
soggetto e che Kant nega recisamente come possibilità di conoscenza. (Hegel parla
di finito e non-finito, come realtà distinte e non separate, manifestazione entrambe
dell’Assoluto)
Questa filosofia di tipo idealistico\ razionalista trova il suo culmine in Hegel, nella sua
affermazione per cui tutto il reale coincide con il razionale: al di sotto delle apparenze
e dei fenonemi sussiste la ragione e l’infinito, di cui i fenonemi sono manifestazione finita.
Il singolo dunque è finito come espressione finita dell’infinito: come momento finito del
processo dell’Assoluto che si manifesta nella Storia: al cuore della realtà c’è dunque il
logos5, la ragione dialettica, la razionalità di tesi\antitesi\sintesi, che il singolo scopre alla
fine del processo dialettico, sebbene esso processo sia determinato sin dall’inizio nel suo
manifestarsi.
Hegel viene considerato l’ultimo dei Greci6. L’ultimo in quanto dopo di lui si manifesta
un’incrinatura della fiducia nella ragione. Una branca dell’hegelismo è il marxismo: nel
marxismo la pretesa razionale rimane, ma per Marx la filosofia deve diventare economia
politica: il metodo per cogliere lo sviluppo dialettico della realtà, la dialettica di stampo
hegeliano, viene applicata alla realtà materiale, alla concreta e fattiva modalità e tipologia
di soddisfazione dei bisogni materiali dell’uomo, che si concretizzano in determinate
realtà economico\materiali che si succedono nella storia secondo un processo razionale.
Si tratta di un’applicazione parziale, (Hegel direbbe applicata al finito), limitata al mondo
della produzione materiale dei beni e delle merci, cioè al mondo dell’economia.
5
6
Cfr. Gargani, Kiergegaard
Ibidem.
Con
Kierkegaard,
Schopenhauer
e
Nietzsche
ci
ritroviamo
invece
nel
pieno
dell’irrazionalismo: al cuore della realtà non si ritrova piú la ragione, bensí qualche
cosa di oscuro ( in Freud al cuore della relaltà soggettiva esiste l’inconscio, l’inconoscibile
per defnizione), di inafferrabile, di misterioso:
1. per Kierkegaard può essere raggiunto con il salto della fede; L’esistenza è qualche
cosa di oscuro, di intraducibile in parole, qualche cosa di inafferrabile. Hegel
ha negato l’esistenza in nome dell’essenza, ha negato il singolo in nome
dell’universale, ha cancellato l’irripetibilità del singolo. Kierkegaard si qualifica
come il filosofo del singolo: il singolare è il contrario del plurale, indica qualche cosa
che non ha alcun termine di paragone con nient’altro, è un unico. Hegel è il
filosofo dell’essenza.
2. Ancora, per Kierkegaard la verità consiste in qualche cosa che appare a me
personalmente, ma non è di per se stessa evidente. «Senza rischio non vi è fede.
La fede è appunto la contraddizione tra l’infinita passione dell’interiorità e la
incertezza obiettiva. Se posso cogliere Dio obiettivamente, vuol dire che non
credo». Senza rischio non vi è fede, quanto piú rischio, tanto piú fede; quanto piú
fiducia obiettiva, tanto meno interiorità: quanto meno fiducia obiettiva, tanto piú
profonda l’interiorità possibile». Per K. quindi, l’imprevedibilità del divenire
assicurata dall’epistème, dall’edificazione del sistema filosofico razionale, va
negata: per K, il divenire è imprevedibile ed affidarci alla fede è un rischio. Una
possibilità per l’uomo, una pura possibilità. La categoria più dura: tutto è possibile,
anche gli eventi più negativi ( il nulla come categoria che emerge nella possibilità),
per cui la realtà è di gran lunga più leggera della possbilità. In effetti, per K.
l’angoscia, a differenza del timore di alcunchè di determnato, non si riferisce a nulla.
Esso è il puro sentimento della possbilità.7 Se ascoltiamo Cristo infatti, nelle sue
ultime parole rivolte a Giuda, Egli afferma non tanto “Dio perchè mi hai
abbandonato” (espressione di sofferenza per ciò che accade), piuttosto : “Ciò
che tu fai affrettalo” (angoscia per ciò che può accadere
3. per Schopenhauer, al cuore della realtà c’è la volontà, la cieca volontà di vivere,
7
Cfr. Abbagnano, cit. Pag. 52. riflettiamo: il possibile coincide col nulla perchè è assolutamente imprevedibile. Ogni
evento proviene dal nulla e nel nulla ritorna. Ancora, ogni evento potrebbe restare nel nulla ossia non realizzarsi. In
questo senso, all’uomo non resta altro che rischare: non il rischio scientifico che prevede e controlla il futuro, non il
rischio cristiano che consola. Bensì il rischio della fede che non consola ma richiede impegno e testimonianza e quindi
una verità, quella della fede, che assume un altro significato: impegno verso un Assoluto senza ragioni epistemiche,
senza rassicurazione. Anche Cristo infatti, per K., è frutto di una possibilità, di una interpretazione: i testi storici sono
infatti suscettibili di interpetazione, non constatabili percettivamente. Solo con la Fede è possibile allora l’approccio
all’Assoluto. Un assoluto che è contraddizione, cosa in sè assolutamente inconoscibile e contraddittorio da punto di
vita del finito. Ma appunto, qusta contradditorietà dell’Assoluto è sintomo, per K., della finitezza della coscienza finita
dell’uomo. Una finitezza che l’uomo può superare con la fede: fede nell’assoluta diversità che si rivela nell’uomo
senzq svelarsi; fede nell’unica possibilità che l’uomo ha di uscire dalla contraddizione verso un Altro assolutamente
diverso ed inconciliabile con la ragione umana.
4. per Nietzsche c’è la volontà di potenza.
La fede di Kierkegaard, la volontà di vivere di Schopenhauer, la volontà di potenza in
Nietzsche non hanno a che fare con la ragione: la ragione è stata spodestata dal ruolo
centrale che ricopriva nell’hegelismo.
Secondo Kierkegaard, la dimensione fondante dell’esistenza è l’agire, in
contrapposizione alla dialettica hegeliana –tesi\antitesi\sintesi, giudicata dal filosofo un
puro formalismo. A questo proposito K. Introduce la distinzione tra pensiero oggettivo,
quello della metafisica, di contro al pensiero soggettivo : la riflessione filosofica dedicata
all’individuo ed al suo agire nel compiere scelte. In questo senso, per K. la verità risiede
nella soggettività del Singolo, e nella sua interiorità. Diversamente, il cosiddeto pensiero
oggettivo, ha di mira solo se stesso e l’universale. La conseguenza di tale metodo è la
riduzione del singolo ad alcunchè di indeterminato in contrapposizione alla sua
concretezza . Concretezza di un essere diveniente e particolare e non di un essere in
generale. Tale essere è, di contro ad Hegel, solo una astrazione di un singolo che si
trova in situazione: compiendono scelte spesso difficili o irrevocabili. La scelta è dunque
una categoria dell’esistenza (divenire dell’uomo) che non si può pretendere di ridurre alle
presunte leggi della ragione dialettica.8 La scelta dunque non è la semplice
manifestazione di una personalità, piuttosto è la stessa personalità:
l’individuo è ciò che sceglie di essere. La rinuncia alla scelta peraltro, è anch’essa
scelta.
Le opere di Kierkegaard che si contrappongono ad una visione dialettica dell’esisitenza
sono, inizialmente, Aut Aut e Timore e Tremore: esse mettono dunque in discussione il
ruolo della ragione sistematica e totalizzante mediante la scelta dell’esisitenza tra il
piacere, l’ebbrezza, il godimento e dall’altra parte la vita etica .
L’emblema del piacere, è storicamente determinato da Don Giovanni: seduttore
affascinante emblema della modernità. Eppure il suo destino è tragico: divertito e
divertente, sino a quando il dolore che inevitabilmente provoca alle donne sedotte non lo
tocca profondamente . Egli seduce indefinitamente teso al piacere di quest’atto, alla
ripetizione di quest’atto senza una realizzazione della seduzione in qualcos’altro di
8
Filosofia, cultura cittadinanza, vol 3, Trabattoni.
concreto e profondo, quasi una condanna al dover sedurre per vivere. Ogni giornata è
quindi come la precedente, senza un progetto, un cammino, una realizzazione, ma solo
la noia della ripetizione incessante tesa alla ripetizione di sè. La disperazione che ne
consegue può consegnare il singolo veramente a se stesso, ispirandosi però all’ideale
etico: un ruolo sociale riconosciuto, un progetto condiviso, un impegno intrapreso.
Ma tale passaggio, per Kierkegaard non si realizza senza soluzione di continuità, è
piuttosto frutto di un salto, perchè troppo diverse sono le dimensioni da conciliare. Ora,
nella vita etica, il seduttore realizza la disperazione dell’inconsistenza della vita estetica,
della noia della ripetizione tesa alla conferma di sè, del male. Male riconosciuto come tale
contrapposto al bene della vita etica.
Eppure anche la vita etica non è esente dal peccato di una vita sbagliata e senza Dio: la
persona etica infatti tende ad affidarsi alle norme delle moralità comune, a vivere
secondo modelli generali, in un parola a conformarsi all’universale: in un battuta
moralismo. E’ la morale del “tu devi” di stampo kantinao secondo K., morale che se
precede lo stadio etico ne snatura il senso e l’obiettivo. Alla fine, se l’esteta nega se stesso
perchè non consapevole di sè, l’individuo etico nega se stesso in quanto si snatura
nell’universale anonimo. Ancora, l’individuo etico moralista può alimentare la presunzione
di sentirsi un giusto che ha guadagnato la salvezza di fronte a Dio e questo è il più terribile
dei peccati. 9 Ancora, il moralista, che si sente giusto, o meglio nel giusto, non comprende
neanche di aver bisogno della grazia di Dio : pensa infatti di trovare in sè il fondamento
della propria salvezza appelllandosi al senso del divino, dei precetti e delle regole, ma
andando verso Dio.
Alla fine, per K. Risulta necessario abbandonare anche la scelta etica al fine di
abbracciare l’ideale religioso: non si tratta di un processo, di un ragionamento dialettico,
ma di nuovo di una scelta: la sclta della fede in Dio. Una fede assurda, se misurata con le
regole del mondo, o folle, se misurata con le regole della ragione. E folle è il tema
dell’incarnazione , tema che fa vacillare il pensiero, di un Dio che si è fatto uomo,
paradosso della ragione calcolante. A ben vedere la fede non è poi così consolante ma
getta nello sconforto: siamo soli, nella nostra interiorità, di fronte a Dio, senza garanzie ma
sprofondati nella fede.
Ragione e Fede
Anche per Kierkegaard allora, la percezione immediata, l’esperienza è indubitabile,
come nell’idealismo e nel realismo: il contenuto immediato della coscienza è l’essere
come in Hegel ed Aristotele, non la semplice rappresentazione dell’essere. Ma appena
sorpassata la coscienza immediata e sensibile, sorge il dubbio sulla validità del contenuto
di tale coscienza. La ragione dialettica pretende di risolvere il dubbio nell’Idea e nella
Logica dialettica.
Kierkegaard diversamente, ritiene che il dubbio che ci deriva da ogni riflessione
della ragione sul senso dell’essere, non si risolva nell’Assoluto hegeliano, bensì nella fede.
9
ibidem
Al di là della coscienza immediata QUINDI, per K., c’è L’Ignoto, di cui non ha senso
dimostrare l’esistenza, come in Kant. In effetti, anche per K. come per Kant, l’Ignoto è
l’assolutamente al di là della coscienza, che l’uomo non può assolutamente intendere. E
non puo intendere l’Ignoto perche Esso, come in Fichte, è assolutamente contraddittorio:
da un lato Esso è pensato all’interno della coscienza e quindi posto dalla coscienza,
dall’altro Esso è assolutamente al di là della coscienza ossia non posto dalla coscienza.
Questo smarrimento della coscienza, lo stare nello smarrimento ( al cui livello teorico
Fichte si arresta) porta Kierkegaard a pensare al senso cristiano dell’Ignoto: se l’uomo
non può intendere l’Ignoto, per K. significa che l’uomo sta, risiede nella non verità, ossia
nel peccato. Un peccato che per K. consiste appunto nell’incomprensione dell’Ignoto. Il
superamento di tale incomprensione, consiste per K. nel passaggio dalla non verità alla
verità:
la comprensione dell’Assoluta Diversità da Dio e di Dio, esprime per K. il
passaggio dal peccato alla verità.
L’unica possibilità per l’uomo, che lo porta nella verità, ed avviene ad un certo unto della
propria vita interiore, consiste allora nel comprendere che tale diversità incommensurabile
è appunto tale per Rivelazione e non per iniziativa umana. Non si tratta allora, in questo
caso, di un Maestro come nella Grecia classica, che ci consente di ricordare quanto già
sappiamo (Socrate\Platone), bensì di un Salvatore che, a differenza del Maestro (che ci
suggerisce i contenuti della verità in cui e presso cui abitiamo), ci consente di
comprendere (ossia determina la nostra condizione di esseri che comprendiamo) il senso
dell’Assoluta diversità ed uscire dalla contraddizione di cui sopra: la Rivelazione divina. K.
sa bene che tale passaggio è solo una possibilità per l’Uomo in quanto la Rivelazione
offre una possibilità al Singolo, che può e non deve scegliere: la scelta si diceva è la
categoria dell’esistenza. Una scelta decisiva ( e quindi libera) che consente all’uomo di
uscire dalla contraddizione dialettica ed avvicinarsi a Dio. Ma, si badi, il cristianesimo di K.,
critico con le forme storiche del cristianesimo assunte nell’epoca, non è consolatorio,
semplicistico, ma appunto è una possibilità per l’uomo, non una certezza sistematica
(sistema è appunto uno stare insieme in forma organica degli elementi del sistema)
come quella hegeliana. Ecco allora che solo l’uomo singolo, non lo Stato, la Chiesa, il
Popolo, il Genere, possono porsi in rapporto autentico col cristianesimo: un rapporto di
fede. Una fede che non cancella l’imprevedibilità dell’esistenza ma ne annuncia la
possibilità estrema ed i rischio estremo: il rapporto con l’Ignoto. Un salto appunto, una
decisione per la vita.
In buona sostanza, in K., l’uomo non affronta l’assoluta diversità con l’Ignoto, con i meodi
tradizionali: sapere razionale e relativa contraddizione di una Cosa in sè (Ignoto) che
però è pensata – ossia non è più in sè - Tale contraddizione infatti, non significa per
Kierkegaard che l’Assoluto non esiste, piuttosto indica la finitezza della coscienza umana:
l’incapacità della coscienza finita di accedere all’infinito. Ora, l’assoluta diversità dell’Ignoto
non può essere originata nella coscienza, dalla coscienza : è l’assoluto che si annuncia
nella coscienza. Ma questa assoluta diversità, condizionata dall’offrirsi di Dio, non si
rispecchia nella conoscenza assoluta dell’assoluto. In misura diversa piuttosto , l’uomo
può comprendere che la vita assume anche un altro significato: quello di un Dio che, ad
un certo momento dell’esistenza, si rivela - e non si svela - come possibilità.
Possibilità di un senso che è assolutamente diverso, Ignoto, non indagabile ma che
mi offre una possibilità: il passaggio dalla non verità - dal peccato – alla verità .
L’umanismo di Fuerbach (cenni)
La dialettica non è un monologo del pensiero speculativo con se stesso, ma un dialogo tra
pensiero speculativo e realtà empirica. In questa frase di Fuerbach contrappone alla razionalità
hegeliana, presupposta nel suo sviluppo dall’inizio, il ruolo della realtà sensibile. Si tratta quindi di
rovesciare l’hegelismo e di assumere il finito quale momento iniziale della riflessione filosofica.
“l’inizio della filosofia non è Dio, l’Assoluto, non è l’essere come predicato dell’Assoluto o
dell’Idea, l’inizio della filosofia è il finito, il determinato, il reale”. Piuttosto Fuerbach rivendica la
centralità dell’uomo nella riflessione filosofica: l’umanismo di Fuerbach.
Marx: la critica ad Hegel
Marx eredita da Hegel la concezione dialettica della realtà in continuo movimento.
Movimento regolato dalla contraddizione. Contraddizione non intesa come alcunchè di
irrazionale bensì come forza interna (concezione della negatività come motore dello sviluppo che
Marx prende da Hegel) dalla quale dipende la concatenazione razionale di tutte le cose.
La dialettica marxista rovescia però il punto di vista hegeliano: le contraddizioni interne alle cose
non possono essere dedotte a priori dalle leggi del pensiero: dall’Idea o dallo Spirito Assoluto.
In questo senso le cose, i fatti, o meglio le diverse epoche storiche si succedono contraddicendosi
(fasi dello sviluppo) sino all’avvento del Comunismo relizzando quel progresso storico che in
Marx culmina con l’avvento della società comunista.
Più nello specifico, riferendosi agli antecedenti più prossimi, di tipo diverso, ma anch’esso
profondamente metafisico, era stato il concetto di progresso nell’idealismo hegeliano, dove
appare connesso alla nozione di dialettica: ogni momento del divenire della realtà è superato
da un momento successivo che conserva quanto lo precede10.
Costitutiva della più profonda natura della realtà, la dialettica opera per Hegel anche, e soprattutto,
nella storia, concepita come un processo dialettico teleologicamente orientato nel quale l’essere
(Sein) coincide col dover essere (Sollen); da questo punto di vista il processo dialettico è per
Hegel fondamentalmente sviluppo dello spirito attraverso l’opera, anche inconsapevole, degli
individui e dei popoli che di volta in volta lo incarnano («astuzia della ragione») e il suo fine è la
realizzazione della libertà, di cui lo Stato ottocentesco è il maggiore esempio.
Influenzato dal concetto hegeliano di dialettica, e poi anche dalle concezioni
positivistiche, è il marxismo, che, almeno nelle formulazioni dottrinarie, ha visto nella
storia un’evoluzione inevitabile e orientata al meglio, per quanto riguarda le condizioni
materiali e spirituali, verso la società comunista, che si realizzerebbe con la rivoluzione
10
Cfr. TRECCANI
proletaria soltanto dopo il raggiungimento del maggior livello di ricchezza, che è anche il
maggior livello di sfruttamento delle forze di produzione, da parte delle società industriali.
L’esperienza
Con il termine “esperienza” Marx intende riferirsi a quell’insieme di dati di fatto
puramente constatabili per via empirica. Tali “fatti” sono il contenuto immediato della
coscienza. Coscienza intesa come constatazione di tali fatti. Possiamo anche parlare di
Coscienza come
“osservazione empirica”, “Manifestazione” e non come
speculazione – il vero processo conoscitivo della filosofia secondo Hegel . Ora, Marx
intende restare fedele ai fatti, all’osservazione empirica, al fine di rendere evidente il
senso dei fatti che riguardano l’uomo: il suo divenire. Un divenire che, dal principio, vede
secondo Marx un uomo che inizia a produrre i propri mezzi di sussistenza (abitazione,
cibo, etc.) in modo sociale. Tale modo si catterizza per determinati rapporti : “rapporti di
produzione che corrispondono ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive
materiali dell’uomo”. Ora, i rapporti di produzione sono immediatamente percepibili nei
rapporti di proprietà ossia nei rapporti che si instaurano nella società per il fatto ed in
relazione al modo in cui l’uomo possiede il proprio lavoro , i propri strumenti, i
prodotti del proprio lavoro11.
Se volessimo tentare una breve sintesi : modo di produzione
1. asiatico;
2. grecoromano,
3. feudale ;
4. borghese.
Ossia un modo di produzione rispettivamente:
1. tribale : proprietà comune ;
2. statale : prime forme di proprietà privata, i “liberi” sono propieteri degli
schiavi;
3. feudale: campagna come centro economico e contadini come schiavi
asserviti al padrone; in questo stadio l’uomo è passivo e ricettivo (tecnica
ricettiva di coltivazione , produzione) nei confronti della natura, considerata
elemento ultimo di riferimento dell’azione dell’uomo.
11
Severino, cit. Pag. 63 e sgg.
4. borghese: proprietà privata dei mezzi di produzione e dellavoro degli
operai – in quanto merce - da parte del capitalista, che detiene il potere del
capitale. L’uomo è attivo nei confronti della natura: la natura diventa
strumento nelle mani dell’uomo (tecnica costruttiva). Come sosteneva
Cartesio , “Padrone e possessore del mondo”.
La produzione
Marx parte dall’assunto che l’uomo, l’essenza dell’uomo consiste nel produrre: ma se è
così, ciò che l’uomo è dipende dal modo in cui produce ed anche da ciò che produce.
L’uomo allora è condizionato dal modo di produzione in cui si trova a rapportarsi ad
altri uomini: struttura economica della società. Ora, tale struttura non è data una volta
per tutte; tale cambiamento indica il senso del succedersi dei diversi periodi storici.
Si comprende allora come per Marx sia la struttura economica ad essere quella base
reale su cui viene a determinarsi la coscienza . Coscienza qui intesa come cultura di una
società, insieme delle leggi, degli atteggiamenti, delle modalità spirituali.
In buona sostanza per Marx, attraverso l’osservazione empirica, la constatazione dei
fatti, la manifestazione dei modi di produzione e dei rapporti di produzione tra gli
uomini, è possibile comprendere la cultura di una società, la coscienza sociale. Ecco che
allora Marx capovolge la speculazione idealistica: attraverso l’osservazione empirica che
coglie gli individui nella loro attività pratica di produzione, è possibile comprendere lo
sviluppo delle loro idee.
Morale, metafisica, etica, diritto, sono quindi solo sovrastrutture o meglio, nel suo
complesso, - ideologia , che non ha una propria vita autonoma bensì consegue al modo
pratico attraverso cui l’uomo, producendo avvalendosi di
mezzi di produzione
12
determinati, trasforma il mondo .
Vita : la scienza reale e positiva
La struttura economica è per Marx la vita che determina la coscienza: in questo
Marx è vicino a Schopenhauer, ma la vita per M. non è pura irrazionalità bensì vita
illuminata dalla scienza reale e positiva. Una scienza che illumina anzitutto il senso
dell’uomo: l’uomo non deve essere pensato a partire da una sovrastruttura ideologica ma
dalla sua attività pratica osservabile empiricamente. E tale osservazione porta
inevitabilmente a pensare che l’uomo è sempre stato sottoposto a ad un Potere ad esso
estraneo, un Potere che non può semplicemente essere smantellato decostruendo la
sovrastruttura ideologica di un determinato periodo storico: è necessario smantellare la
struttura economica che crea una determinata ideologia.
Scrive in proposito Marx: “Gli uomini non cominciano affatto a stare in un
rapporto teoretico con le cose, gli uomini cominciano come ogni animale a bere,
12
Ibidem.
mangiare, e dunque non a stare in rapporto teoretico con le cose, bensì a
comportarsi attivamente con le cose del mondo al fine di soddisfare i propri
bisogni. (essi cominciano dunque con a produzione). Con la ripetizione di questo
processo, la proprietà di queste cose di soddisfare i bisogni si imprime nella mente
degli uomini; gli uomini
come gli animali imparano anche a distinguere
teoreticamente da tutte le altre quelle cose esterne che servono a soddisfare i loro
bisogni. Ad un certo stadio della loro evoluzione, quando si sono moltiplicati e
sviluppati ulteriormente i loro bisogni e le attività per soddisfarli, gli uomini daranno
un nome ad intere classi di queste cose, che l’esperienza ha insegnato loro a
distinguere dal resto del mondo esterno. Questo fenomeno ha luogo
necessariamente, poichè nel processo di produzione, ossia nel processo di
appropriazione di queste cose, gli uomini stanno cotinuamente in rapporti di lavoro
tra loro, e con le cose stesse. Ben presto entreranno anche in conflitto tra loro, con
gli altri uomini, per il possesso delle cose stesse.Ma questo dar nome alle cose,
esprime soltanto in forma di rappresentazione ciò che una ripetuta verifica ha reso
esperienza e cioè che a certi uomini che vivono già in un contesto sociale, e questo è un
presupposto già necessario per l’esistenza del linguaggio, certe cose esterne servono per
il soddisfacimento dei loro bisogni”
In questo senso allora Marx ritiene che prima di parlare di a- priori kantiano, di
aspetti gnoseologici, sia necessario rifersi agli aspetti fondanti della prassi attraverso cui
gli uomini trasformano il mondo e se stessi.
Contraddizione e dialettica
Le forze produttive materiali della società cambiano ossia si sviluppano: il
cambiamento delle forze produttive materiali entra necessariamente in conflitto con
l’organizzazione sociale (rapporti di produzione e di proprietà) del lavoro che ha reso
possibile un determinato periodo storico sociale ed economico. Le forme produttive che
rendono possibile una determinata fase delle sviluppo storico si oppongono anche al
cambiamento : da condizioni diventano catene (da condizione tribale a mondo antico,
etc.). Così è anche per la borghesia che ha reso possibile il mondo e la società civile
dell’epoca. Una società che al suo interno prevede una forza produttiva – il proletariato che entra in conflitto con la borghesia. La forza produttiva del proletariato allora si sviluppa
e cosi facendo entra in contaddizione con quella borghesia che gli ha concesso di
esistere: una contraddizione che deve essere risolta mediante una atto pratico e non
teorico. Nello specifico lo Stato non va riformato ma abolito.
L’uomo produce ciò che bisogno – cibo, abiti, etc. – il cui valore risiede nell’uso che
egli ne fa. Ma nella società capitalistica le cose prodotte sono separate dal loro uso o
meglio dalla loro utilità; hanno piuttosto un valore di scambio : sono merce . Ora il
lavoro dell’uomo – operaio salariato - è anch’esso sottoposto alle leggi del mercato in
quanto è comprato dal capitalista a cui è venduto: il lavoro è merce. In questo senso,
l’uomo è separato dal prodotto del proprio lavoro. Un prodotto che acquisisce vita
autonoma e separata dall’uomo che lo HA PRODOTTO. In tale aspetto di separazione,
sia dal prodotto del proprio lavoro che dagli altri individui e dalla società che organizza il
modo di produzione capitalista, risiede l’alienazione dell’uomo. (la sua mancata
realizzazione). Ma tale alienazione non può che essere tolta per M. dal comunismo:
nessuna separazione dal prodotto del proprio lavoro, nessuna separazione dall’altro
uomo. In effetti, il capitalista non compra più il lavoro del salariato, le cose
necessarie alla vita dell’uomo non sono merce e la proprietà dei mezzi di
produzione è Comune, nè la vita degli operai è proprietà del capitalista.
Alienazione: il mondo delle merci
Vediamo meglio, secondo Marx: “nella manifattura e nell’artigianato l’operaio si
serve dello strumento, nella fabbrica è l’operaio che serve la macchina.Là dall’operaio
parte il movimento del mezzo di lavoro, il cui movimento qui egli deve eseguire. Nella
manifattura l’operaio costituisce l’articolazione di un meccanismo vivente. Nella fabbrica
esiste un meccanismo morto indipendente da essi, e gli operai gli sono incorporati come
appendici umane”
Capitale e merce
Ora, Marx intende confutare la tesi che il sistema borghese-capitalista sia un fatto
naturale ed irrinunciabile, vuole sottolinearne la perversa mistificazione di fondo: se il
valore di scambio delle merci è superiore al valore della sua produzione, da qualche
parte nel processo emerge il plusvalore: “chiamo plusvalore [...] questa eccedenza sul
valore originario” Si tratta del valore aggiunto nel processo di produzione di un bene,
fornito dalla forza-lavoro dell’operaio salariato, e il cui “saggio” (cioè il rapporto tra il
plusvalore totale e il capitale investito dall’industrale borghese nella forza-lavoro) dà la
misura dello sfruttamento capitalistico.
In questo rapporto tra i diversi attori del sistema produttivo - di cui Marx analizza anche le
diverse fasi storiche, dall’emergere della divisione del lavoro, alla manifattura,
all’industria delle macchine e all’affermazione del lavoro parcellizzato - si possono così
notare alcune evidenti contraddizioni. Il sistema capitalista, per sua intima natura, tende
infatti costantemente al superamento dei propri limiti, nella direzione dell’accumulo
perpetuo:
Il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è questo: che il
capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come un punto di partenza e un punto
di arrivo, come motivo e scopo della produzione; che la produzione è solo
produzione per il capitale, e non il contrario: [...]. Il mezzo - lo sviluppo
incondizionato delle forze produttive sociali - viene permanentemente in conflitto
con il fine ristretto, la valorizzazione del capitale esistente.
Il contrasto latente tra la natura sociale della produzione e il fatto che il “fine ristretto”
segua le logiche dell’accumulazione privata diventa palese durante le crisi di
sovrapproduzione che ciclicamente colpiscono l’economia borghese:
“le medesime circostanze che hanno accresciuto la forza produttiva del
lavoro, aumentato la massa dei prodotti, ampliato i mercati, accelerato
l’accumulazione di capitale come massa e come valore, e diminuito il saggio di
profitto, hanno creato una sovrapproduzione relativa e creano continuamente una
sovrapproduzione di operai, che non possono venire assorbiti dal capitale in
eccesso”. Da qui la spiegazione marxista che evidenzia il “conflitto” tra soddisfazione di
bisogni e produzione di utili, e tra domanda e offerta:
Poiché il capitale non ha come fine la soddisfazione dei bisogni ma la produzione
del profitto, e poiché può realizzare questo fine solo usando metodi che regolano la
massa dei prodotti secondo la scala della produzione e non inversamente, si deve
necessariamente venire a creare un continuo conflitto fra le dimensioni limitate del
consumo su basi capitalistiche ed una produzione che tende continuamente a
superare questo limite che le è assegnato.
Il progresso della storia e dell’umanità, che pure ha avuto dalla civiltà e dalla cultura
borghese un’accelerazione decisiva, deve ora superare secondo Marx questo stadio
socio-economico, per svincolarsi definitivamente dalla logica dell’appropriazione
capitalistica: non viene prodotta troppa ricchezza. Ma periodicamente viene prodotta
troppa ricchezza nelle sue forme capitalistiche, che hanno un carattere antitetico.
Qual è la dinamica dello sviluppo del plusvalore?
Marx afferma che il Capitale si articola in capitale costante, pagato per l’acquisto
dei mezzi di produzione e della materia prima, e capitale variabile, destinato ad
acquistare la forza –lavoro . Solo da quest’ultima si origina il plusvalore: il profitto del
caopitalista.
Lo sviluppo della produzione ed il basso costo della forza lavoro favoriscono
l’aumento costante del capitale ma generano anche fenomeni di concorrenza che
impongono al detentore del capitale di accrescere la capacità produttiva delle proprie
macchine (capitale costante) riducendo i costi della forza lavoro (capitale variabile).
Storicamente, l’evoluzione
del capitale segna
una progressiva trasformazione
nella composizione del capitale, in quanto il capitale costante assume sempre più
peso rispetto al capitale variabile. Ciò genera quanto Marx definisce : caduta tendenziale
del saggio di profitto, in quanto è proprio nello sfruttamento della forza lavoro che il
capitalista
basa il suo profitto. La variazione del capitale genera inoltre la
sovrapproduzione delle merci, crisi e disoccupazione, che costituiscono il declino del
capitalista.
Cosa afferma il materialismo storico?
Esso afferma che la storia umana è caratterizzata dall’attività mediante cui l’uomo produce
i propri mezzi di sussistenza per soddisfare i propri bisogni. Ora, secondo Marx , la vita
delle comunità umane è organizzata in:
- strutture: organizzazioni economiche e materiali per la sopravvivenza (organizzazione
del lavoro);
- sovrastrutture: fattori di carattere culturale, giuridico, religioso e politico, che si
sovrappongono ai fattori strutturali dipendendone in notevole misura.
Secondo Marx, la tesi del Materialismo storico assegna un netto primato alle
forze materiali ed alle forme organizzative delle produzione del lavoro, il cui sviluppo
influenza il mutamento di tutti gli elementi sovrastrutturali. Egli inoltre sostiene che la storia
è storia di conflitti di classe. Tra classi dominanti, che detengono la proprietà dei mezzi di
produzione, e classi subalterne, che sottostanno ai modelli organizzativi imposti. Per
comprendere la dialettica di tale processo occorre considerare che la struttura economica
è costituita in primo luogo da determinati rapporti di produzione, ossia una certa
organizzazione della proprietà dei mezzi di produzione, ed in secondo luogo da un certo
grado di sviluppo delle forze produttive (forza lavoro umana, mezzi di produzione,
conoscenze scientifiche e tecniche). In determinate fasi della storia, le forze produttive
entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, in quanto questi ultimi non
sono più in grado di favorire lo sviluppo delle forze stesse: trasformazione del sistema.
Cosa caratterizza il ciclo economico del capitalismo?
Secondo Marx, il ciclo economico del capitalismo è finalizzata all’accumulo di
denaro e non tanto al consumo. In effetti secondo l’autore, se nel ciclo precedente, lo
schema era merce\denaro\merce, (un contadino vende il grano per acquistare un
vestito), nel capitalismo il ciclo è piuttosto denaro\merce \più denaro: il capitalista investe
denaro in una merce per ottenere più denaro. Tele aumento del denaro è ottenuto per
Marx con lo sfruttamento della forza lavoro dell’operaio. Ora, nello specifico, se il
capitabile variabile è quello inverstito nei salari, mentre quello fisso è investito nei mezzi di
produzione, il saggio del plusvalore sarà definito dal rapporto tra plusvalore e capitale
variabile, mentre invece il saggio di profitto sarà definito dal rapporto tra plusvalore e
capitale fisso + capitale variabile.
Ora il problema a cui va incontro il sistema capitalistico o meglio la contraddizione del
sistema capiatalistico risiede nelle crisi di sovrapproduzione conseguenti all’aumento
della produttività, aumento necessario nel sistema capitalistico con l’introduzione delle
macchine, che consentono di aumentare la produzione ed abbattere i costi di produzione.
Marxismo
Analisi globale della
società finalizzata alla
prassi
Critica dell’hegelismo
mediante il capovolgimento
tra essere e pensiero .Si badi:
la legge dell’esperienza, in
Hegel, esperienza del divenire
si intende, è l’Idea. La quale si
costituisce
indipendentemente
dall’esperienza: l’idea è sintesi
dello Spirito, autoriflessione
dell’Idea
Critica dello Stato modern
dell’econmia borghese per
culminare nel comunismo
tramonto della proprietà
privata, tramonto della vi
alienata dell’operaio salaria
Il Comunismo allora è
liberazione concreta
dell’individuo umano. In He
diversamente, La legge de
Spirito Assoluto è La Legge
quale ogni individuo uman
deve assogettarsi.
Materialismo
storico:
Concepisce la storia come processo
dialettico retto dall’opposizione tra
sfruttatori ed oppressi
La società come distinta in
struttura e sovrastruttura
(formazioni culturali determinate
dai rapporti strutturali)
Il Comunismo,
Assoluto hegelia
dello sviluppo sto
cui sono tolte le
precedenti, qu
avvolto, via vi
economica d
Max Weber (1864\1920)
I contributi principali di W. in campo sociologico sono rappresentati dall’indagine
dei rapporti tra forme religiose e forme economiche, a partire dalla ricerca Über die
protestantische Ethik und den Geist des Kapitalismus per finire allo studio comparato delle
religioni orientali (taoismo, confucianesimo, induismo, buddismo, giudaismo), nell’intento di
mostrare, contro le interpretazioni correnti di derivazione marxista, l’irriducibilità del
comportamento sociale a cause puramente economiche13.
Celebre la sua tesi che fa risalire la formazione dello «spirito» capitalistico (Geist
ossia l’imprenditorialità razionale ) all’influenza delle posizioni etiche calvinistiche, che
concepivano il lavoro come vocazione, ascesi intramondana14.
Particolarmente importante l’impostazione data alla ricerca sociologica, secondo cui
al centro dell’analisi esiste:
-
-
-
l’azione individuale provvista di senso ( Senso - Sinn; onde la
necessità di una verstehende – comprensione - Soziologie
o sociologia della comprensione);
la definizione dell’azione nella sua dimensione individuale e
sociale,
le indagini sui processi di formazione dei gruppi sociali sulla
base di interessi materiali (ricomprendendo in quest’ambito
anche le classi sociali) e di affinità di credenze e valori,
lo studio delle relazioni sociali basate sull’autorità (tipologia
dell’autorità e delle forme di potere: carismatica, tradizionale,
legale).
Nel campo metodologico W. ha formulato il concetto di «tipo ideale» (Idealtypus) come
strumento della conoscenza storica: concetto-limite che deve servire a ordinare i dati
empirici. Nel campo metodologico W. Infatti, ha formulato il concetto del "tipo ideale"
13
14
Cfr. Treccani.
Ibidem.
(Idealtypus) come strumento della conoscenza storica: concetto-limite che serve a
ordinare e pensare i dati di fatto empirici; analogo ai concetti dell'economia classica, e di
cui la realtà è un'approssimazione o una deviazione.
Così nella storia religiosa W. ha indicato i "tipi ideali" di chiesa, setta, ordine,
mago, sacerdote. Ancora, il sociologo può parlare di borghesia, chiesa, etc., ben
sapendo che, nello specifico, ogni singolo comportamento umano può differire dal “tipo
ideale”, sebbene presenti molte analogie con il tipo ideale. Tale concetto è utile al
sociologo per fare confronti, comparazioni, stabilire relazioni, tra i divesi fenomeni sociali.
Se dovessimo fare un esempio, il sociologo, secondo Weber, si interessa di quelle
azioni sociali che non solo solo intenzionali, ma che hanno uno scopo sociale, ossia sono
influenzate dalla presenza e dalla relazione con altri individui (che si aspettano un
comportamento dal soggetto agente) Aprire un ombrello ha un significato :
1. logico: se apro l’ombrello allora piove – se P allora Q;
2. intenzionale: apro l’ombrello per ripararmi dalla pioggia;
3. sociale: apro l’ombrelo pee ripare una signora senza ombrello dalla pioggia
LA SOCIOLOGIA
La sua sociologia, concepita come scienza pura, è immune da concetti
naturalistici e da costruzioni speculative: polemico al tempo stesso contro
positivismo e storicismo, W. si proponeva di studiare le azioni tipiche, le probabilità
calcolabili nel comportamento degli uomini, non i valori soggettivi determinanti nella realtà,
le azioni; onde la legittimità di una ricerca dei nessi mezzi-fine, non in vista di un giudizio
di valore sui fini stessi, ma in vista dell’adeguatezza dei mezzi dati a conseguirli
(Wertfreiheit «libertà dai valori»).
In sintesi, potremmo dire che per Weber, la Sociologia, non si occupa di “cose” , di
semplici strutture sociali, ma azioni umane, di cui è necessario comprenderne il senso e
non solo spiegarne le cause materiali od efficienti. Esiste infatti un soggetto cosciente
che:
1.
2.
3.
4.
compie azioni intenzionali,
rivestite di significato attribuito dal soggetto agente ,
volte a fini,
impiegando mezzi adeguati o meno.
Enorme la sua influenza, in particolar modo sulla sociologia statunitense (Parsons,
Ch. Wright Mills).
La Razionalizzazione
Secondo Weber, sulla scorta di Marx, l’età moderna è incentrata sul senso della
razionalizzazione: ogni cosa può esser dominata dalla Ragione. In questo senso Weber
parla del disincantamento che consengue dall’uso della Ragione: cadono i miti, le
religioni,mentre la realtà è sempre più incentratata sull’aspetto della tecnica e della
manipolazione tecnica della realtà.
In sintesi: se esistono limiti alla conoscenza umana, in seguito la Ragione e la
Tecnica potranno superarli. Ancora, l’apparato statale moderno, il cui aspetto burocratico
ed organizzativo esprime sempre di più il senso della risposta ai bisogni degli individui.
Vediamo meglio: per 'razionalizzazione' si intende l'affermarsi della razionalità nei
più diversi ambiti della vita. Il termine 'razionalità' in questo contesto non significa
semplicemente 'ragione', ma va inteso in una accezione doppiamente specifica. In primo
luogo, esso non si riferisce alla razionalità scientifica o teorica, ma alla razionalità
dell'agire. A sua volta l'agire razionale è definito non tanto da quelle caratteristiche più
generali alle quali di solito si pensa quando si qualifica un'azione come 'razionale' sensatezza, comprensibilità, logicità, - bensì da elementi quali la regolarità, la
ripetibilità, la controllabilità, la dominabilità dei corsi dell'azione, e soprattutto la
conformità allo scopo sulla base di criteri soggettivi, in cui emerge in primo piano
l'aspetto dell'efficienza calcolabile (conformemente all'etimologia latina: ratio =
calcolo, computo, e in senso lato raziocinio).
Così nell'accezione moderna 'razionalità' significa primariamente 'razionalità
rispetto allo scopo', che Max Weber definisce nel modo seguente: " Agisce
in
maniera razionale rispetto allo scopo colui che orienta il suo
agire in base allo scopo, ai mezzi e alle conseguenze
concomitanti, misurando razionalmente i mezzi in rapporto agli
scopi, gli scopi in rapporto alle conseguenze, e infine anche i
diversi scopi possibili in rapporto reciproco" (v. Weber, 1922; tr. it., vol.
I, p. 23).
È importante in questo contesto la contrapposizione tra razionalità rispetto allo
scopo e razionalità rispetto al valore: "Agisce in maniera puramente razionale
rispetto al valore colui che - senza riguardo per le conseguenze
prevedibili - opera al servizio della propria convinzione relativa a ciò che
ritiene essergli comandato dal dovere, dalla dignità, dalla bellezza, dal
precetto religioso, dalla pietà e dall'importanza di una 'causa' di
qualsiasi specie" (ibid., p. 21). Il concetto moderno di razionalità non include la
valutazione razionale di questi orientamenti verso valori e scopi superiori, che attengono
alla sfera puramente soggettiva di una decisione in ultima istanza privata; in questa
prospettiva l'agire razionale rispetto al valore va considerato sostanzialmente irrazionale.
Il concetto di razionalità così inteso è circoscritto di conseguenza al rapporto ottimale tra
determinati scopi, i mezzi a disposizione e le conseguenze prevedibili, dove anche gli
scopi possono essere oggetto di una valutazione critica per quanto riguarda la
raggiungibilità in rapporto ai mezzi a disposizione, il grado di desiderabilità in rapporto
alle conseguenze negative, e infine la compatibilità con altri scopi.
Comprensione vs. Spiegazione
Per Weber le scienze sociali ricercano le cause di un fenomeno (ciò che è
ossevabile empiricamente): la spiegazione è dunque il loro obiettivo primario. Così,
nell'Etica protestante, egli si interroga sulle cause che determinarono lo sviluppo del
capitalismo moderno. Ma poiché le cause ultime dei fenomeni collettivi risiedono in:
1. azioni,
2. atteggiamenti
3. credenze individuali;
la spiegazione di un fenomeno non è completa se non rende conto di tali fattori.
Comprendere
un'azione,
'renderne conto',
significa certo ritrovarne le cause,
ma si deve subito aggiungere che per Weber tali cause coincidono con il senso che
l'azione ha per l'attore individuale. Così, la causa del fatto che io taglio della legna
è che desidero farla bruciare per scaldarmi. La spiegazione sociologica è dunque
completa allorché il sociologo è riuscito a portare alla luce il senso per gli attori degli
atteggiamenti, azioni e credenze individuali che sono le cause del fenomeno che egli
cerca di spiegare.
Nietzsche e la critica della morale15
Le prima grandi opere di Nietsche sono: La nascita della tragedia, in cui l’autore propone
una nuova visione della grecità classica, Considerazioni inattuali, Umano Troppo Umano.
Successivamente, le opere della maturità: La gaia Scienza, Zarathustra (critica della
razionalità), Ecce Homo (annuncio del Nichilismo e tematica dell’eterno ritorno), Nietsche
contro Wagner.
La filosofia di Nietzsche, si caratterizza sin dall’inizio, per una ammirazione per l’opera di
Wagner e l’interesse per la fascinazione del mondo greco, aspetto questo comune al clima tedesco
dell’epoca.
L’interesse per Shopenhauer, diversamente, ha a che fare con la tematica dell’impotenza
della ragione a conoscere la tematica dell’Essere. Tali aspetti non stanno insieme facilmente:
aspetto filologico classico, l’arte bella greca, con aspetto pessimistico della tragedia. Nietsche
combina questi due aspetti in modo particolare: da un lato, l’aspetto formale hegeliano della bella
arte greca, gli Dei appaiono e dialogano con l’uomo, dall’altro un timbro dionisiaco di tipo tragico
shopenhaueriano (la volontà di vita è tragedia, vivere è già peccato16, e solo sciogliendo questo
nodo di volontà di vita è possibile sperare la liberazione). Ecco, tutti questi temi sono presenti nella
prima opera di Nietzsche in modo irrisolto: ciò costitutisce il fascino e la difficoltà della lettura di
quest’opera.
Per altro verso, nelle opere più mature, nella Gaia Scienza, in Ecce Homo, si affaccia il tema
della irrazionalità di Nietzsche come antiscientificità: in realtà Nietsche si interessa molto della
rivoluzione scientifica e dei suoi risultati; risultati che utilizza a volte contro l’Idealismo . Piuttosto
Nietzsche è interessato ad una scienza antideterministica ed anticonvenionale.
15
16
Massimo Cacciari. Critica della morale
Ibidem.
Ancora, nelle opere più mature quali Ecce Homo, si affaccia il tema dell’antimetafisica di Nietzsche
unitamente alla critica della morale cristiana : Nietzsche parla della morale dell’impoteza e del
debole, del risentimento. Di difesa del più debole dal più forte. La volontà di vita allora, in quanto si
esprime in volontà di vita, di sapere, non vuole allora soggiagere ai valori dominanti, imperanti. In
questo senso la morale cristiana, per Nietsche sarebbe la morale del debole, di colui che si ribella
alla forza. Questo per quanto riguarda una prima lettura più superficiale: più determinatamente 17, la
tematica del Valore è avversata come tale da Nietzsche. Ciò che è ritenuto degno di valore cade
inevitabilmente sotto la soggettività di chi valuta: questa è la Trasmutazione di tutti i valori. Forse,
la Trasmutazione di tutti i valori, il suo messaggio consiste proprio nel fatto che dobbiamo evitare
di attribuire valore alle cose affinchè le cose stesse manifestino il loro valore. Le cose insomma
hanno in sè un valore.
Apollineo e dionisiaco
Nel 1872, Nietzsche pubblica la nascita della tragedia dallo spirito della musica. Scritto
influenzato dalla propria visione di Wagner e Shophenhauer. In quest’opera Nietsche ribalta
l’immagine del mondo greco inteso come simbolo della misura e del razionalismo, simbolo
rapresentato dai grandi sistemi filosofici di Platone ed Aristotele, oltre al razionalismo socratico.
Piuttosto, secondo Nietzsche, i principi che riflettono il mondo greco sono espressi dalla coppia
Apollineo\Dionisiaco. Il primo ha a che fare con la Poesia, l’arte; il secondo con la musica.
Vediamo:
 secondo Nietzsche, lo sviluppo della cultura greca e classica sarebbe caratterizzata da una
profonda scissione. Nell’universo religioso della grecia antica infatti, sussisteva un culto
delle divinità olimpiche (Apollo) ed un culto misterico e sotterraneo, sovente espresso in
contesti rituali che comportavano un vero e proprio rovesciamento dei ruoli sociali e
convenzionali (Dioniso). Se Apollo,in quanto figura del mondo olimpico, è il Dio della
bellezza, dell’apparenza e della individuazione, della misura e della compiutezza formale, il
culto di Dioniso rimanda piuttosto all’eccesso, l’eterno divenire di ogni determinazione
finita in cui ogni forma scompare;
 Il principio apollineo è ricondotto da N. al sogno, all’illusione offerta dalla “bella
apparenza”. Per converso, l’aspetto dionisiaco, può esser compreso pensando all’ebbrezza,
come rottura della vita ordinaria, alle sue regole di comportamento. In questa direzione
agiscono la musica e la danza. Nelle feste dionisiache infatti, si rompono le barriere sociali,
in vista di una superiore comunicazione tra gli uomini. 18Una vera e propria riconciliazione
con la natura, quella unità originaria intesa in analogia con Shopenhauer come volontà di
17
18
Ibidem.
Cfr. Geymonat, cit. pagg. 225 e sgg.
vita che, in quanto principio metafisico, è soggetto alla lacerazione ed individuazione nel
mondo delle apparenze fenomeniche;
 Per quanto afferisce l’ambito filosofico, Nietzsche scorge soprattutto nella figura di Socrate
l’inugurazione di quella linea razionalista che domina tutto il pensiero occidentale. In una
battuta Socrate contrappone alla vita la riflessione sulla vita. Per Nietzzsche quindi si tratta
di ripercorrere il pensiero pre-socratico in direzione di quell’arte tragica professata da
Parmenide ed Anassimandro, nucleo centrale della visione tragica del mondo. Di più,
Dioniso trova nel suo seguace (il Sileno) una affermazione che ricorda all’uomo cosa
veramente è: Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perchè mi
costringi a dirti quel che per te è vantaggiosissimo non sentire?Il meglio è per te
assolutamente irragiungibile: non essere nato, non essere niente. Ma la cosa
assolutamente migliore per te è morire presto (La nascita delle Tragedia).Con queste
parole Nietsche vuole avvisarci che, come vuole la Tragedia greca, l’esistenza umana, l’eksistere (lo stare fuori dal ciclo della natura per individuarsi come colui che sporge sul
genere umano) aperta al senso per il naufragio di ogni senso: 19la contraddizione
dell’esistenza. Ciò che Nietzsche ci ricorda riguarda il punto di vista del nostro intendere la
vita: non dall’individuo verso l’apertura del suo senso ma dalla natura che, senza senso e
senza scopo, guarda gli individui come sue creazioni20.si tratta allora di seguire Dioniso nel
mutamento di prospettiva: la cancellazione della visione antropomorfica dell’esistenza
(tempo lineare e progettuale) IN FAVORE DI UNA VITA CHE DIVORA LE SUE
FORME, come potenza che ne crea sempre di nuove,
senza fedeltà e senza memoria.
L’esistenza individuale allora, ascoltando Dioniso, non si percepisce più come memoria e
ricordo, come costruzione di identità nel progetto di una vita, bensì come illusione ed
apparenza.21
La critica alla cultura : Umano Troppo Umano Gaia Scienza
Nella seconda fase del suo pensiero Nietzsche mette in questione la metafisica
shopenhaueriana, che attraversava la Nascita della Tragedia, inclusa l’idea che l’arte potesse
superare l’apparenza fenomenica per approdare all’in sè o i modelli eterni ai quali attinge la natura
nelle sue continue metamorfosi. Nietzsche è sempre più convinto allora che larte non possa
rappresentare una via d’uscita dalla crisiin cui versa la cultura moderna, una vera decadenza della
civiltà occidentale. Nello specifico la metafisica platonico-cristiana e la secolare affermazione della
morale assogettano la vita a presunti valori di ordine superiore e trascendente. Si tratta allora di
riflettere sul senso e sull’origine della tradizione metafisica al fine di scorgerne genealogicamente il
19
Cfr. Galimberti, cit. pagg. 75 e sgg.
Ibidem.
21
Ibdem.
20
punto d’avvio: la base istintuale dell’uomo quale quella composta da bisogni, istinti, pulsioni,
ambizioni. Una “faccenda” per così dire Umana troppo umana.
Nietzsche procede quindi ad una critica della morale in quanto essa non condiziona solo
l’agire dell’uomo, ma anche la sfera conoscitiva e pratica. Non ultima la dimensione religiosa ed
artistica. Come se, in ottica più antropologica, la dimensione morale sublimasse gli impulsi primari
dell’uomo: la ricerca del piacere e l’istinto di autoconservazione. Per altro verso Nietzsche parla di
autoscissione dell’uomo, secondo cui comportamenti apparentemente disinteressati quali
l’altruismo, la rinuncia, sono solo modi di dare soddisfazione alle proprie aspirazioni più intime.
L’amore di sè per intendersi. Più specificatamente, Nietzsche cerca di individuare quale sia il
fondamento di tutti i sistemi morali che pongono quali valori metafisici – e quindi con dignità
metafisica – norme e valori per la società. In buona sostanza, l’amore per il prossimo, Dio, la
giustizia stessa, sono considerati veri in senso assoluto. E’ quindi l’impulso alla verità che deve
essere indagato. Ancora, donde nasce la verità? La verità o meglio le parole ed i concetti di cui è
intessuta la verità costituiscono solo l’illusione di accedere al reale mentre invece non abbiamo
accesso che ai fenomeni intesi come eventi organici (la parola è la raffigurazione di un suono e di
uno stimolo nervoso). La verità allora, dal punto di vista gnoseologico è illusoria. Si tratta quindi di
indagarne l’origine, l’impulso. Impulso, per Nietzsche, teso alla conservazione dell’individuo: come
le corna ed i morsi aguzzi degli animali. In misura allora ribaltata rispetto alla tradizione metafisica
precedente, per Nietzsche la verità è quel genere di errore senza cui un determinato genere di esseri
viventi non potrebbe vivere. La verità in sintesi è uno strumento di conservazione dell’individuo.
In questa fase del pensiero nietzscheana la scienza assume una certa rilevanza: egli vede in
essa una minore compromissione con la metafisica e la morale. E’ il periodo illuministico di
Nietzsche.
Ora, in questa fase del pensiero nietzscheana, il modello delle scienze naturali assume un
valore particolare: un sapere che gli appare meno compromesso con i presupposti metafisici che
operano nella morale, nell’arte e nella filosofia. Si tratta del periodo illuministico di Nietzsche,
sebbene per il filosofo tale interesse non si tramuta nell’assolutizzazione del pensiero positivista.
In effetti, il filosofo ritiene che anche la scienza non possa proporsi come modello esclusivo
di conoscenza. Si tratta piuttosto di pensare come complementari arte e scienza nel conoscere
dell’uomo.
Il nichilismo
Nell’ultima fase del pensiero nietscheano prendono forma alcuni concetti capitali: il
nichilismo, la volontà come errore e l’oltreuomo.
La critica effettuata dal filosofo negli anni precedenti e la riflessione inaugurata dallo
Zarathustra si possono congiungere nel concetto di nichilismo: per un verso tale concetto esprime il
sinificato della crisi dei valori già analizzata da N. in precedenza ossia il nichilismo passivo; per
altro verso, si tratta di comprenderne il significato antimetafisico, al fine di svolgerne le premesse
ed individuarne le future linee di tendenza. E’ questo il nichilismo attivo.
“Che cos’è il conoscere? Il riportare qualcosa di estraneo a qualcosa di noto e familiare.
Prima proposizione: ciò a cui siamo abituati non viene più da noi considerato un enigma, un
problema. Smussamento del sentimento del nuovo e dello strano: tutto ciò che accade regolarmente
non ci sembra più problematico. Perciò quello di “cercar la regola” è il primo istinto di chi conosce,
mentre naturalmente per il fatto che si sia trovata la regola niente è ancora conosciuto. Di qui la
superstizione dei fisici : dove posso perseverare, ossia dove la regolarità dei fenomeni consente di
applicare formule abbreviate, credono che sia conosciuto. Sentono sicurezza, ma dietro questa
sicurezza intellettuale sta l’acquietamento della paura: vogliono la regola, perchè essa toglie al
mondo il suo aspetto pauroso. La paura dell’incalcolabilecome istinto segreto della scienza”.22
Ecco che allora, ciò che sta a fondamento del ragionare scientifico per N., è la paura
dell’incalcolabile che contesta al mondo ed alla vita il suo carattere inquietante ed enigmatico23.
22
23
Cfr. Galimberti, cit.pag392.
Ibidem.
Heidegger
La concezione
heideggeriana, rispetto all’Io trascendentale husserliano, è quella
dell’Esserci. Il Dasein in “Essere e Tempo” è fondamentaleme l’erede del concetto dell’Io
trascendentele husserliano.