Jaspers
Nietzsche e Kierkegaard profeti dell'esistenzialismo
Quale sia il significato di Kierkegaard e di Nietzsche sarà spiegato in
quanto si dirà in seguito. L'efficacia di entrambi è grande e
incalcolabile - più grande ancora per la cultura in generale che per
l'ambito proprio della filosofia - ma infinitamente ambiguo. [...]
Nella filosofia moderna mediante Kierkegaard si sono introdotte
risolute stimolazioni per una riflessione nuova. Concetti essenziali
della filosofia d'oggi risalgono a Kierkegaard, specialmente in
Germania: a Kierkegaard, il cui pensiero sembra dissolvere
interamente la precedente filosofia sistematica, che rigetta ogni
speculazione e che quando mostra di apprezzare la filosofia, dice al
massimo: «La filosofia può richiamare su di noi l'attenzione, ma non
può nutrirci».
Quale sia il significato di Nietzsche riesce ancora meno chiaro di
quello di Kierkegaard. La sua incidenza in Germania non è stata
raggiunta da nessun altro filosofo. Sembra che ogni atteggiamento,
ogni Weltanschauung, ogni sentimento, risalga al suo pensiero. Può
darsi che non sappiamo ancora che cosa questo pensiero racchiuda in
sé e che cosa procuri.
Da ciò l'impegno per chi vuole rifarsi all'influsso di Kierkegaard e di
Nietzsche di chiarire in qual senso egli concordi propriamentecon essi
e attinga al loro pensiero, e che cosa i due filosofi rappresentino per
lui.
Il fatto che essi abbiano in comune nella loro efficacia di incantare e
poi deludere, di prendere e poi lasciare insoddisfatti, come se mani e
cuore rimanessero vuoti, è solo la chiara espressione di quello che
essi vogliono: l'importante è che chi legge ricavi da sé, per sua
iniziativa interiore, qualcosa dalla loro opera - se non trova altro che
lo appaghi come, altrimenti, mediante certe conoscenze, o mediante
un sistema filosofico o mediante l'accettazione di una profezia
religiosa. Essi rinunciano a ogni soddisfazione.
Essi sono di fatto pensatori eccezionali, senza costituire modello per
i successori. Se qualcuno ha voluto imitare Kierkegaard e Nietzsche,
anche solo nello stile, è diventato ridicolo. Già il loro pensiero aveva
in qualche momento rasentato il limite - dove ciò che è sublime
diventa ridicolo -: quel che essi hanno operato era possibile solo a
loro. Ogni grandezza è rara ed è di tale unicità che non può mai
essere ripetuta in modo identico. Ma c'è in rapporto a questa unicità
qualcosa di essenzialmente nuovo, se in un rinnovamento di noi
stessi ci rifacciamo ad essa a distanza, qualcosa che ci trasforma, ma
insieme ci allontana.
Essi ci liberano senza darci una meta e senza imporci determinati
compiti. Ognuno può diventare pienamente se stesso, secondo il loro
pensiero. Ma che cosa questo significhi per i loro seguaci, non si sa
fino ad oggi. Il problema è come dobbiamo vivere noi che non siamo
esseri d'eccezione, ma che in considerazione di tali eccezioni
cerchiamo la nostra via interiore.
Noi siamo in una situazione spirituale in cui solo la deviazione da
questa prospettiva è già in germe una disonestà. E come se solo essi
ci strappassero dal vuoto che sembra persistere ancora nello studio
dei grandi filosofi. Noi non possiamo più procedere tranquillamente
nel perpetuare temi tradizionali. Poiché attraverso Kierkegaard e
Nietzsche è divenuto efficace un modo di intendere l'esperienza
speculativa dell'esistenza, le cui conseguenze non sono ancora
apparse sotto ogni aspetto palesemente. Essi hanno posto un
problema insolubile, ma tangibile, che rimane ancora aperto. Hanno
portato alla coscienza la considerazione che non c'è più per noi alcun
terreno sicuro. Non c'è un fondo intoccato del nostro pensiero.
Nell'occuparsi di essi c'è per ognuno il pericolo, ugualmente grave,
di lasciarsi prendere e di non prenderli seriamente. E perciò
inevitabile un rapporto ambivalente con loro. Ambedue non hanno
costruito un mondo nuovo; sembra che neghino tutto e tuttavia sono
spiriti positivi. Si deve creare un rapporto più nuovo e più vero nei
riguardi di un filosofo che medita, se vogliamo avvicinarci veramente
ad essi, un rapporto diverso da quello con tutti i grandi.
Riguardo all'epoca e al pensiero elaborato da Kierkegaard e
Nietzsche si pone la domanda: che cosa c'è (Was nun?). Kierkegaard
rimprovera l'assurdità del cristianesimo stabilito, davanti al quale il
mondo si inchina; Nietzsche indica da lontano l'indeterminato, che
non appare come sostanza per la quale noi potremmo vivere.
Nessuno ha accettato le loro risposte, esse non sono le nostre. A noi
rimane da vedere che cosa, in considerazione del loro pensiero,
possiamo ricavare mediante noi stessi; ma questo in nessun modo
prima di progettare una vera conoscenza di essi. [...]
Nessuno può sviluppare totalmente in modo determinato i compiti
che incombono al pensiero. Noi viviamo quasi tra i marosi delle
possibilità, continuamente minacciati d'essere rovesciati, ma,
nonostante ciò, sempre pronti a sollevarci di nuovo - pronti nella
ricerca a ricavare, in ciò che è messo in questione, i nostri veri
pensieri, cioè quelli che formano l'essere uomo, che ci sono possibili
se l'orizzonte diviene sconfinato, la realtà chiara, le domande
veramente intelligibili. Dagli scopi che così si impongono al pensiero
io ne ricavo uno per le tre lezioni che qui seguono: l'antichissimo
problema filosofico della relazione di ciò che è razionale con ciò che è
l'irrazionale, che deve essere riproposto dopo Kierkegaard e Nietzsche
in una forma nuova.
Noi formuliamo questo problema fondamentale così: ragione ed
esistenza. La formula abbreviata non vuole significare un'antitesi, ma
piuttosto comune appartenenza che si rivela insieme nei due termini.
Le parole ragione ed esistenza sono scelte perché in esse ci sembra
abbordare, nel modo più incisivo e più puro, la domanda sulla
possibilità di illuminare ciò che è oscuro nella conoscenza dell'origine
da cui deriva la nostra vita, senza che essa possa perciò rendersi
trasparente, sebbene essa pretenda il massimo di razionalità.
(da K. JASPERS, Ragione ed esistenza, a cura di A. Lamacchia,
Marietti, Torino 1971, pp. 42-7 passim)