Quadro sinottico 1780\1830 Rivoluzione industriale in Inghilterra 1787 Mozart : Don Giovanni 1814\15 Congresso di Vienna: le principali potenze europee ridisegnano i confini degli Stati 1819 Shopenhauer: Il Mondo come volontà e rappresentazione 1827 Manzoni: I promessi Sposi 1830 Rivoluzione di Luglio in Francia 1831 Leopardi: Canti 1830\40 Legge di Faraday sull’elettrolisi 1838 Dickens : le avventure di Oliver Twist 1839: Daguerre- prime fotografie 1841 Feuerbach: L’essenza del cristianesimo 1842 Gogol: il cappotto e le anime morte 1843 Kierkegaard: Enter Eller ; Timore e Tremore 1845 Stirner: l’unico e la sua proprietà 1848 Manifesto del partito comunista : Marx ed Engels 1848 Moti rivoluzionari europei; 1848\66 Guerre di indipendenza in Italia 1852 Napoleone III fonda il secondo Impero Francese 1850 Dickens David Copperfield: 1851 Melville Moby Dick; 1857 Baudelaire I Fiori del male 1851 Foucault dimostra il moto di rotazione della terra ; 1859: Darwin: L’origine della specie 1881 Unita d’Italia; 1864 - Londra: Internazionale dei lavoratori guidata da Marx\Engels 1866 Dostoewskij: Delitto e castigo; 1869 Tolstoj: Guerra e Pace 1867 Marx: il Capitale 1865 Leggi dell’ereditarietà di Mendel 1870 Conflitto franco\prussiano; 1871 Unificazione della Germania: Guglielmo I Imperatore 1871 Comune di parigi 1872 Nietzsche: La nascita della Tragedia 1885 Nietzsche: Così parlò Zarathustra 1889 Parigi: seconda Internazionale socialista 1891 Enciclica Rerum Novarum –Leone XIII 1894 Affaire Dreyfus Le trasformazioni dell’Ottocento In ordine al quadro sinottico presentato sopra, possiamo vedere come le opere degli autori di questo nuovo percorso- Shopenhauer, Kierkegaard, Feuerbach, Marx, - attuano la loro riflessione in un arco di tempo abbastanza ampio. Mentre l’opera di Shopenhauer, il Mondo come volontà e rappresentazione, vede la sua apparizione nel 1819, in un epoca che aveva visto da poco la fine del dominio napoleonico - in pieno Idealismo e Romanticismo1 - l’attività teorico\politica di Marx si colloca oltra la metà del secolo, in una realtà pienamente mutata; in piena industrializzazione di paesi come Francia e Germania, già in atto in Inghilterra sin dalla fine del secolo precedente2. In questo contesto economico e politico, oltre che storico – Vormarz - ossia prima delle sollevazioni popolari del marzo del 1848 - prende avvio il ripensamento critico dei fondamenti della filosofia hegeliana dal quale scaturiscono l’opera di Feuerbach, Marx e Kierkegaard, quasi accomunati da una medesima tensione che percorre tutta la letteratura del periodo. Tale ripensamento è normalmente assunto, per quanto in stili diversi, come critica e dissoluzione del sistema hegeliano che, secondo Karl Lowit, conduce all’abbandono nietzscheano dello storicismo: che prevede un senso ed un fine per la vita gli uomini, che invece è irrazionale (Shopenhauer); che ha il torto di voler inserire in una vicenda collettiva – l’umanità – problemi che il singolo deve risolvere autonomamente (Kierkegaard).3 Nello specifico, negli anni trenta e quaranta, la filosofia hegeliana godeva di indiscusso prestigio, nonostante la sua suddivisione in Destra e Sinistra hegeliana. Ora, la filosofia degli autori presi in esame, rivela il debito comune con Hegel, del quale contestano la pretesa di fare dello Spirito il Soggetto assoluto della storia. La filosofia assume allora : il punto di vista del Singolo in Kierkegaard ; il punto di vista dell’uomo concreto in Feuerbach; il punto di vista della Storia economico\materiale in Marx. Diversa la radice dall’anti-hegelismo in Shopenhauer, che prende avvio da un ripensamento del trascendentalismo di Kant. In particolare Shopenhauer si oppone alla razionalismo di Hegel ossia alla Ragione che domina tutti gli aspetti della Realtà affermando che essa è dominata da un principio irrazionale cui dà il nome di volontà: l’impulso cieco della vita. Kierkegaard, oppone invece l’idea che la vita 1 Geymonat, Il pensiero filosofico e la società, Garzanti, Novara, 2015. Ibidem. 3 Ibidem. 2 umana non sia determinata da una necessità dialettica ma dalla “possibilità”, legata alle scelte dell’individuo. Il richiamo richiamo ai bisogni e punti di vista dell’individuo, accomuna il pensiero di Shopenhauer e Kierkegaard, sebben con esiti diversi. Nel primo autore, il singolo è assogettato ad un principio infinito, (come nell’idealismo) per cui la sua realizzazione diventa assai problematica; nel secondo autore – in una prospettiva cristiana come scelta di vita – l’individuo è affermato come irriducibile, ossia come l’unico punto di vista da cui affrontare i problemi della filosofia. In quanto esposto possiamo dunque trovare quegli aspetti di antistoricismo, irrazionalismo, individualismo, che saranno approfonditi in tutto l’Ottocento e Novecento. Shopenhauer Nel sistema shopenhaueriano il Mondo, da un lato è rappresentazione, in quanto si articola in una serie inesauribile di fenomeni, dall’altro è Volontà inteso come principio unico del reale. Più articolatamente, l’esposizione del sistema inzia con la celebre frase: il mondo è una mia rappresentazione: il mondo, in quanto oggetto del conoscere, non è qualcosa che sussista in sè, ma un insieme di contenuti rappresentativi condizionati dal soggetto e dalle sue forme a priori. La realtà in sè rimane invece qualcosa di inconoscibile. Ora, se la realtà è qualcosa di inconoscibile, S. si distingue anche dall’idealismo: dalla filosofia che pretende di risolvere tutta la realtà nell’Io negando sussistenza a ciò che non cade nell’ambito della coscienza. In buona sostanza, le forme a priori di Kant, sono applicabili solo ai fenomeni e non hanno alcun valore al di fuori del mondo fenomenico. Nè per S. ha senso affermare che la vera realtà sia la materia sebbene questa occupi un posto di primo piano nel campo fenomenico (condizioni materiali – fisiologiche del prodursi delle sensazioni). Tanto l’idealismo che il materialismo falliscono quindi nel loro tentativo di chiarire il rapporto fra soggetto ed oggetto: 1) L’idealismo riduce l’oggetto nel soggetto 2) Il materialismo riduce il soggetto nel soggetto. Piu determinatamente, S. ripropone la tematica kantiana delle forme a priori corredandola però di alcuni aspetti innovativi: 1) Le forme a priori sono solo tre: spazio, tempo, causalità (il mondo delle rappresentazioni è strutturato secondo nessi causali , Kant ne enumera dodici); 2) Tutte queste tre forme dipendono dall’intelletto che opera secondo l’intuizione (sebbbene l’intelletto sia attivo). Viene quindi cancellata la distinzione kantiana tra forme a priori dell’intuizione e dell’intelletto; 3) Il processo intellettuale è una funzione cerebrale che ha, come già le sensazioni, una base fisiologica. Ora, se l’intelletto svolge, opera, in modo intuitivo ed immediato, ne consegue che il collegamento causale non è limitato alla sola sfera dei concetti ma una legge generale della rappresentazione 4) Principio individuationis e di ragion sufficiente Secondo Shopenhauer l’affermazione “l’epressione generale di tutte quelle forme dell’ oggetto delle quali noi siamo consapevoli a priori” si riferisce alla formulazione del Principio di ragion sufficiente: quel principio generale che consente al soggetto conoscente di formarsi rappresentazioni del Mondo (relazionandosi così ai fenomeni). Con tale affermazione quindi, S. intende che affermare che l’attività rappresentativa del soggetto, che si rapporta così al Mondo, si esplica in quattro modi differenti secondo cui si articola il principio formulato da Leibniz: 1) Una ragion sufficiente del divenire, applicata al mondo dei fenomeni, che coincide con la legge di causalità; 2) Una ragione sufficente del conoscere secondo cui i giudizi sono connnessi o legati da premesse e conseguenze del ragionamento; 3) Una ragione sufficiente dell’essere, che esprime la concatenazione degli enti matematici; 4) Una ragion sufficiente dell’agire, mediante la quale si stabilisce la dipendenza delle azioni dell’uomo dai motivi corrispondenti. In questo senso allora, Il Mondo non è mai indipendente dal soggetto conoscente ma coincide in tutto e per tutto con le rappresentazioni che il soggetto ne ha4. Rappresentazioni articolate causalmente secondo lo spazio ed il tempo, secondo il principio leibniziano esposto. Ancora, spazio, tempo e causalità, consentono anche la percezione della distinzione degli enti tra loro: lo loro funzione funzione è allora quella di consentire l’individuazione degli enti rappresentati – Principio individuationis. Intelletto e ragione: l’illusione del Mondo Il principio di ragion sufficiente esprime la forma generale attraverso la quale si svolge la funzione conoscitiva dell’intelletto. In particolare, l’intelletto applica le forme a priori al materiale grezzo delle sensazioni, dando luogo a conoscenze. Diversamente, la ragione elebora i concetti a partire dalle rappresentazioni già ben costitutite, concetti che poi fissa in parole e dispone in giudizi e sillogismi. I concetti quindi sono ricavati per astrazione dalle rappresentazioni, senza valore se non rinvianti a tali rappresentazioni, e comunque senza poter mai uscire dal mondo fenomenico. In misura maggiore rispetto a Kant però, il mondo fenomenico è sinonimo di illusorio o meglio 4 Ibidem. ingannatore, in quanto tale mondo è il Velo di Maya: il potere espresso dall’Essere supremo, secondo l’induismo, che fa apparire e scomparire tutte le cose agli occhi dell’uomo. Tale aspetto, apparentemente banale, dell’illusorietà dei fenomeni, conduce S. sulla scia di Kant ad un altro importante risultato: la vera realtà oltre il Mondo dei fenomeni. Realtà che Kant non indica: la Cosa in sè è inconoscibile per Kant. La cosa in sé Qual è dunque la via d’accesso alla cosa in sè? Ciò che è accessibile in modo immediato , che ciascuno di noi scopre, si riferisce ad un doppio aspetto dell’essere: da un lato noi intuiamo il nostro organismo ; dall’altro si intuisce la volontà, come insieme di bisogni, sentimenti oscuri, impulsi di autoconservazione, che insieme compongono la nostra vita interiore. Si tratta a questo proposito, dell’intuizione diretta del proprio corpo, qualcosa che non passa attaverso la rappresentazione: in effetti tale intuizione non è esattamente rappresentabile allo stesso titolo di tutti gli altri corpi secondo il principio di ragion sufficiente(forme del tempo, spazio, causalità). In effetti la volontà sfugge , nella sua più intima essenza, alle tre forme a priori della rappresentazione: la scoperta della volontà è per S. la verità filosofica per eccellenza. Ora, l’esperienza del proprio corpo, per analogia secondo S., può essere estesa a tutta la natura, sebbene gli altri oggetti con cui ci rapportiamo possano essere solo rappresenati e non intuiti. La volontà dunque è la cosa in sè di Kant, colta da ognuno nella propria interiorità: il noumeno. Non sottostante al principio di individuazione, nè moltiplicata nei vari esseri, ma una sola in tutti. Peraltro assolutamente libera, agnte senza alcuna motivazione: quasi un cieco impulso primordiale alla vita che si manifesta anche nelle piante, nella forza che forma il cristallo, o che indirizza l’ago nella bussola. Che non tende ad alcun fine generale, ma che afferma solo se stessa: un principio metafisico rigorosamente unitario privo di scopo e giustificazione. La volontà come principio universale e noumenico si distingue poi dalla volontà fenomenica: il manifestarsi di quella volontà nel singolo fenomeno concreto; sino a manifestarsi nella sua forma più compiuta nell’uomo, il grado più elevato dell’oggettivazione della volontà: nell’uomo la volontà diventa cosciente di sè. Una consapevolezza non esente dalla presenza di conflittualità: l’oggettivarsi della volontà nei singoli infatti, reca con sè, inevitabilmente l’egoismo personale di ognuno, una lotta irriducibile e senza pietà di ognuno con gli altri quindi. A ben vedere qui si presenta allora una anticipazione della tematica darwiniana: la selezione naturale della specie. La lacerazione della volontà L’oggettivazione della volontà è dunque accompagnata da conflitti ( si ricordi l’hobbesiano Homo homini lupus): una lacerazione profonda della volontà noumenica. Un arresto quindi dello slancio di ognuno nel vivere i propri bisogni, desideri, mancanze. A livello particolare, questo continuo arresto dello slancio della volontà si manifesta nei singoli come dolore, mancanza. E’ il dolore che assume allora l’aspetto di stato positivo della realtà, di struttura della realtà: il piacere non è che il provvisorio appagamento di un bisogno, solo la momentanea cessazione del dolore che innerva la vita di ognuno. In effetti, afferma S., è il desiderio lo stato preliminare dell’appagamento e della gioia. Ma con l’appagamento cessa anche il desiderio e quindi anche la gioia. Dunque la soddisfazione, la felicità, si riducono in fondo alla liberazione di (assenza di) un dolore e da un bisogno: per tale motivo la felicità non ha nulla di positivo ma per natura è essenzialmente negativa. In misura ancora maggiore, se dopo l’appagamento di un bisogno non interviene un nuovo desiderio da appagare subentra la noia: la vita allora, tremenda ed incantevole, oscilla continuamente tra bisogno ed aspirazione ad una liberazione da esso. Alla fine, in tale prospettiva, la volontà tesse la trama di una tragedia infinita. La liberazione dal Dolore La contemplazione estetica costituisce per S. la prima via di liberazione dal dolore: S. riprende qui la tematica della critica del giudizio inerente il carattere disinteressato della contemplazione estetica. Dinteressato è colui che quindi, negando il principio di individuazione, si eleva al di sopra delle lotte e dei conflitti, del dolore, per contemplare come puro soggetto conoscente e limpido occhio del mondo, le idee: i modelli universali del mondo fenomenico. Arte eccelente è la musica, oggettivazione diretta della volontà quanto le idee (le Idee platoniche). Il genio musicale secondo l’autore ci manifesta l’essenza intima del mondo,in un linguaggio però che la ragione non intende. Però tale liberazione dell’arte dal dolore è solo transitoria: l’etica consente maggiormente di comprendere e superare la volontà di vivere come il male da superare. Nello specifico in S.: 1. il primo livello della giustizia, come argine della lotta tra individui; 2. il secondo livello della compassione, come comprensione dell’unità di tutti gli esseri, della intima vicinanza dell’uomo all’uomo, del patire insieme; 3. il terzo livello dell’ascesi; come esterema riduzione possibile della volontà di vivere, come liberazioni dalle illusioni del mondo empirico, come ripugnanza del vivere; come soppressione quindi e non annullamento nel suicidio, della volontà di vivere, manifesta il più alto grado di pratica ascetica di indifferenza alla vita. Kierkegaard Una filosofia senza metafisica Secondo Kierkegaard, la dimensione fondante dell’esistenza è l’agire, in contrapposizione alla dialettica hegeliana –tesi\antitesi\sintesi, giudicata dal filosofo un puro formalismo. A questo proposito K. Introduce la distinzione tra pensiero oggettivo, quello della metafisica, di contro al pensiero soggettivo : la riflessione filosofica dedicata all’individuo ed al suo agire nel compiere scelte. In questo senso, per K. la verità risiede nella soggettività del Singolo, e nella sua interiorità. Diversamente, il cosiddeto pensiero oggettivo, ha di mira solo se stesso e l’universale. La conseguenza di tale metodo è la riduzione del singolo ad alcunchè di indeterminato in ocntrapposizione alla sua concretezza . Concretezza di un essere diveniente e particolare, e non di un essere in generale. Tale essere è, di contro ad Hegel, solo una astrazione di un singolo che si trova in situazione: compiendono scelte spesso difficili o irrevocabili. La scelta è dunque una categoria dell’esistenza che non si può pretendere di ridurre alle presunte leggi della ragione dialettica.5 Le opere di Kierkegaard che si contrappongono ad una visione dialettica dell’esisitenza sono, inizialmente, Aut Aut e Timore e Tremore: esse mettono dunque in discussione il ruolo della ragione sistematica e totalizzante mediante la scelta dell’esisitenza tra il piacere, l’ebbrezza, il godimento; e dall’altra parte la vita etica . L’emblema del piacere, è storicamente determinato da Don Giovanni : seduttore affascinante emblema della modernità. Eppure il suo destino è tragico: divertito e divertente, sino a quando il dolore che inevitabilmente provoca alle donne sedotte non lo tocca profondamente . Egli seduce indefinitamente teso al piacere di quest’atto, alla ripetizione di quest’atto senza una realizzazione della seduzione in qualcos’altro di concreto e profondo, quasi una condanna al dover sedurre per vivere. Ogni giornata è quindi come la precedente,senza un progetto, un cammino, una realizzazione, ma solo la noia della ripetizione incessante tesa alla ripetizione di sè. La disperazione che ne consegue può consegnare il singolo veramente a se stesso, ispirandosi però all’ideale etico: un ruolo sociale riconosciuto, un progetto condiviso, un impegno intrapreso. Ma tale passaggio, per Kierkegaard non si realizza senza soluzione di continuità, è piuttosto frutto di un salto, perchè troppo diverse sono le dimensioni da conciliare. Ora, nella vita etica, il seduttore realizza la disperazione dell’inconsistenza della vita estetica, della noia della ripetizione tesa alla conferma di sè, del male. Male riconosciuto come tale contrapposto al bene della vita etica. Eppure anche la vita etica non è esente dal peccato di una vita sbagliata e senza Dio: la persona etica infatti tende ad affidarsi alle norme delle moralità comune, a vivere secondo modelli generali, in un parola a conformarsi all’universale: in un battuta moralismo. E’ la morale del “tu devi” di stampo kantinao secondo K., morale che se precede lo stadio etico ne snatura il senso e l’obiettivo. Alla fine, se l’esteta nega se stesso perchè non consapevole di sè, l’individuo etico nega se stesso in quanto si snatura nell’universale anonimo. Ancora, l’individuo etico moralista può alimentare la presunzione 5 Filosofia, Cultura cittadinanza, vol 3, Trabattoni. di sentirsi un giusto che ha guadagnato la salvezza di fronte a Dio e questo è il più terribile dei peccati. 6 Ancora, il moralista, che si sente giusto, o meglio nel giusto, non comprende neanche di aver bisogno della grazia di Dio : pensa infatti di trovare in sè il fondamento della propria salvezza appelllandosi al senso del divino, dei precetti e delle regole, ma andando verso Dio. Alla fine, per K. Risulta necessario abbandonare anche la scelta etica al fine di abbracciare l’ideale religioso: non si tratta di un processo, di un ragionamento dialettico, ma di nuovo di una scelta: la sclta della fede in Dio. Una fede assurda, se misurata con le regole del mondo, o folle, se misurata con le regole della ragione. E folle è il tema dell’incarnazione , tema che fa vacillare il pensiero, di un Dio che si è fatto uomo, pradosso della ragione calcolante. A ben vedere la fede non è poi così consolante ma getta nello sconforto: siamo soli, nella nostra interiorità, di fronte a Dio, senza garanzie ma sprofondati nella fede. 6 ibidem L’umanismo di Fuerbach (cenni) La dialettica non è un monologo del pensiero speculativo con se stesso, ma un dialogo tra pensiero speculativo e realtà empirica. In questa frase di Fuerbach contrappone alla razionalità hegeliana, presupposta nel suo sviluppo dall’inizio, il ruolo della realtà sensibile. Si tratta quindi di rovesciare l’hegelismo e di assumere il finito quale momento iniziale della riflessione filosofica. “l’inizio della filosofia non è Dio, l’Assoluto, non è l’essere come predicato dell’Assoluto o dell’Idea, l’inizio della filosofia è il finito, il determinato, il reale”. Piuttosto Fuerbach rivendica la centralità dell’uomo nella riflessione filosofica: l’umanismo di Fuerbach. La critica ad Hegel e Fuerbach (cenni) Marx eredita da Hegel la concezione dialettica della realtà in continuo movimento. Movimento regolato dalla contraddizione. Contraddizione non intesa come alcunchè di irrazionale bensì come forza interna dalla quale dipende la concatenazione razionale di tutte le cose. In questo senso la dialettica marxista rovescia il punto di vista hegeliano: le contraddizioni interne alle cose non possono essere dedotte a priori dalle leggi del pensiero: dall’Idea o dallo Spirito Assoluto. La contraddizione quindi esprime il concreto movimento delle cose reali, il concreto contraddirsi delle cose materiali e reali. Per altri versi, come già accennato sopra, Marx riprende il programma di Fuerbach che consiste nel rovesciare il cominciamento della filosofia: non l’Assoluto sopra la testa DEGLI UOMINI BENSI’ L’UOMO FINITO. Il finito è l’inizio della filosofia. Di più ancora il finito è dialettico: dialettica reale del finito. Ancora, e legato al punto precedente, Fuerbach compie la sua analisi del fenomeno religioso sul fondamento del concetto di alienazione: in Hegel il concetto di alienazione o meglio il momento dell’alienazione è quello mediante il quale lo Spirito rinuncia all’identità con se stesso e si pone come altro da sè, ossia come oggetto, natura o realtà particolare. In questo senso nell’idealismo l’alienazione è una forma di estraneazione , il momento del negativo, che deve essere superato dialetticamente dallo Spirito mediante una riappropriazione di sè ad un grado più alto, un ritrovamento del soggetto nell’oggetto, una ricostruzione dell’unità a partire dalla scissione7. Fuerbach, diversamente considera l’alienazione da un punto di vista antropologico, individuando nel fenomeno religioso una forma di oggettivazione di qualità umane: l’uomo proietta fuori di sè, alienandosi, un mondo fittizio8 carico di sogni e aspettative. Diversamente in Marx, sebbene alienazione sia un sinonimo di estraneazione, in generale l’alienazione è di carattere economico-sociale, l’estraneazione del lavoratore rispetto: 7 8 Geymonat, cit. Vol. III. Pagg. 80 e sgg. Ibidem. al prodotto del proprio lavoro; alla propria attività; alla propria essenza, quella del genere umano; al prossimo in quanto le relazioni si modellano su quello conflittuale di tipo capitalistico.. Il materialismo storico Il passaggio fondamentale attraverso cui comprendere il senso del materialismo storico per Marx, si riferisce al significato dell’uomo nel suo programma filosofico o meglio al senso della realtà umana: per comprendere la realtà umana occorre procedere ad una ontologia dell’essere sociale situando l’uomo nella rete concreta e storicamente determinata dei sui rapporti sociali, delle sue condizioni materiali di vita9:a spiegare la storia sono gli esseri reali, gli individui reali, la loro azione è la loro condizione materiale di vita, tanto quella trovata anteriormente quanto quella da loro determinata10.Ora, la condizione materiale di vita dell’uomo si esplica fondamentalmente attraverso il lavoro (la prima azione storica dell’uomo è la produzione di mezzi per il soddisfacimento dei propri bisogni, la produzione stessa della vita materiale11): mediante il lavoro l’uomo entra in contatto con la natura, imponedole forma e traendone sussistenza; mediante il lavoro poi entra in contatto con altri uomini, stabilendo rapporti sociali, ruoli e quindi classi diverse di lavoratori attraverso cui il lavoro è organizzato e diversificato; mediante il lavoro poi l’uomo esprime e sviluppa il proprio pensiero, acquista insomma coscienza di sè.12 Ecco perchè il lavoro, se alienato, sconvolge la situazione dell’uomo, come descritto precedentemente. Se quanto detto esprime il senso della visione marxista della storia, ossia se la storia è essenzialmente storia di lotte di classe, tra classi dominati e subalterne, le diverse fasi della storia ( tutte caratterizzate da una contraddizione interna che le porta al dissolvimento): -proprietà comunitaria asiatico despota -europeo -propietà privata: greco romano fondato sullo schiavismo; -feudale -capitalistica: modo di produzione che prevede la propietà privata dei mezzi di produzione;il lavoro salariato;l’iniaziativa privata,il profitto economico; 9 Geymonat, cit. pagg. 82 e sgg. Ibidem. 11 Ibidem. 12 Ibidem. 10 -comunista: abolizione della propietà privata. La ragione economica Se in Platone assistiamo al ripiegamento presso di sè dell’anima, al fine di comprendere la verità dell’Essere, lontano dai lacci del corpo sensibile, in Marx l’uomo si ritrova lontano da sè, alienato nel sistema della ragione che trascende ogni sua possibilità di controllo: nell’età del periodo capitalistico, le cose non hanno più un valore d’uso bensì un valore di scambio in quanto merci (legge della domanda e dell’offerta)13. Ora, quando nella società capitalista subentra il primato del mercato (nome per nessuno: il mercato in fondo è nessuno) il finalismo immanente al lavoro che è fruitivo perchè produttivo di valori d’uso (le cose servono pe soddisfare bisogni), viene abolito14. In buona sostanza per Marx il produrre diventa lo scopo a cui il fruire resta subordinato. Si tratta del capovolgimento mezzi\fini secondo cui non è più la natura (in quanto sottoposta al lavoro dell’uomo) ad essere la referente della prassi umana, ma il mercato. Non più il bisogno come fine dell’attività lavorativa ma il prodotto e la sua scambiabilità in vista della sempre maggiore acquisizione di denaro. Ancora, il denaro che è mezzo per produrre beni diventa fine in vista del quale si producono beni e, solo se la cosa concorre a questo scopo, si soddisfano bisogni.15 In questo scenario delineato da Marx, la razionalità economica per cui la cosa (merce) domina l’uomo, prevede che il prodotto domini l’uomo, o meglio il produttore. In particolare, non assistiamo più ad una società di uomini ma una società (se così si può denominare) costituita da “svolgenti funzioni” in un mondo parcellizzato (divisione e specializzazione del lavoro). Ora, se l’uomo si identifica con la sua funzione, la conseguenza per Marx consiste nell’inumanità delle relazioni sociali. Come dire che l’uomo conta per ciò che fa e non per ciò che è. Il proprio fondamento e in altro da sè: nella cosa prodotta. Detto con le parole di Marx l’essenza dell’uomo è in altro da sè: è alienata nella merce. E la cosa in quanto merce, manifesta tutta la portata ontologica di questa affermazione: se le cose si equivalgono in quanto merce e valore di scambio, un carro di bestiame non differisce in nulla da un mercato di libri, ossia da un suo equivalente economico. Le cose insomma non hanno più una loro identità ontologica, sono merci da produrre a cui l’uomo è subordinato. In effetti, le sorti dell’uomo sono subordinate alla sorte delle merci, o meglio alle leggi del mercato che non segue i bisogni dell’uomo16. 13 Galimberti, Il tramonto dell’Occidente, Feltrinelli, pag. 460. Ibidem. 15 Ibidem. 16 Ibidem. 14 Nietzsche e la critica della morale17 Le prima grandi opere di Nietsche sono: La nascita della tragedia, in cui l’autore propone una nuova visione della grecità classica, Considerazioni inattuali, Umano Troppo Umano. Successivamente, le opere della maturità: La gaia Scienza, Zarathustra (critica della razionalità), Ecce Homo (annuncio del Nichilismo e tematica dell’eterno ritorno), Nietsche contro Wagner. La filosofia di Nietzsche, si caratterizza sin dall’inizio, per una ammirazione per l’opera di Wagner e l’interesse per la fascinazione del mondo greco, aspetto questo comune al clima tedesco dell’epoca. L’interesse per Shopenhauer, diversamente, ha a che fare con la tematica dell’impotenza della ragione a conoscere la tematica dell’Essere. Tali aspetti non stanno insieme facilmente: aspetto filologico classico, l’arte bella greca, con aspetto pessimistico della tragedia. Nietsche combina questi due aspetti in modo particolare: da un lato, l’aspetto formale hegeliano della bella arte greca, gli Dei appaiono e dialogano con l’uomo, dall’altro un timbro dionisiaco di tipo tragico shopenhaueriano (la volontà di vita è tragedia, vivere è già peccato18, e solo sciogliendo questo nodo di volontà di vita è possibile sperare la liberazione). Ecco, tutti questi temi sono presenti nella prima opera di Nietzsche in modo irrisolto: ciò costitutisce il fascino e la difficoltà della lettura di quest’opera. Per altro verso, nelle opere più mature, nella Gaia Scienza, in Ecce Homo, si affaccia il tema della irrazionalità di Nietzsche come antiscientificità: in realtà Nietsche si interessa molto della rivoluzione scientifica e dei suoi risultati; risultati che utilizza a volte contro l’Idealismo . Piuttosto Nietzsche è interessato ad una scienza antideterministica ed anticonvenionale. Ancora, nelle opere più mature quali Ecce Homo, si affaccia il tema dell’antimetafisica di Nietzsche unitamente alla critica della morale cristiana : Nietzsche parla della morale dell’impoteza e del debole, del risentimento. Di difesa del più debole dal più forte. La volontà di vita allora, in quanto si esprime in volontà di vita, di sapere, non vuole allora soggiagere ai valori dominanti, imperanti. In questo senso la morale cristiana, per Nietsche sarebbe la morale del debole, di colui che si ribella 17 18 Massimo Cacciari. Critica della morale Ibidem. alla forza. Questo per quanto riguarda una prima lettura più superficiale: più determinatamente 19, la tematica del Valore è avversata come tale da Nietzsche. Ciò che è ritenuto degno di valore cade inevitabilmente sotto la soggettività di chi valuta: questa è la Trasmutazione di tutti i valori. Forse, la Trasmutazione di tutti i valori, il suo messaggio consiste proprio nel fatto che dobbiamo evitare di attribuire valore alle cose affinchè le cose stesse manifestino il loro valore. Le cose insomma hanno in sè un valore. Apollineo e dionisiaco Nel 1872, Nietzsche pubblica la nascita della tragedia dallo spirito della musica. Scritto influenzato dalla propria visione di Wagner e Shophenhauer. In quest’opera Nietsche ribalta l’immagine del mondo greco inteso come simbolo della misura e del razionalismo, simbolo rapresentato dai grandi sistemi filosofici di Platone ed Aristotele, oltre al razionalismo socratico. Piuttosto, secondo Nietzsche, i principi che riflettono il mondo greco sono espressi dalla coppia Apollineo\Dionisiaco. Il primo ha a che fare con la Poesia, l’arte; il secondo con la musica. Vediamo: secondo Nietzsche, lo sviluppo della cultura greca e classica sarebbe caratterizzata da una profonda scissione. Nell’universo religioso della grecia antica infatti, sussisteva un culto delle divinità olimpiche (Apollo) ed un culto misterico e sotterraneo, sovente espresso in contesti rituali che comportavano un vero e proprio rovesciamento dei ruoli sociali e convenzionali (Dioniso). Se Apollo,in quanto figura del mondo olimpico, è il Dio della bellezza, dell’apparenza e della individuazione, della misura e della compiutezza formale, il culto di Dioniso rimanda piuttosto all’eccesso, l’eterno divenire di ogni determinazione finita in cui ogni forma scompare; Il principio apollineo è ricondotto da N. al sogno, all’illusione offerta dalla “bella apparenza”. Per converso, l’aspetto dionisiaco, può esser compreso pensando all’ebbrezza, come rottura della vita ordinaria, alle sue regole di comportamento. In questa direzione agiscono la musica e la danza. Nelle feste dionisiache infatti, si rompono le barriere sociali, in vista di una superiore comunicazione tra gli uomini. 20Una vera e propria riconciliazione con la natura, quella unità originaria intesa in analogia con Shopenhauer come volontà di vita che, in quanto principio metafisico, è soggetto alla lacerazione ed individuazione nel mondo delle apparenze fenomeniche; Per quanto afferisce l’ambito filosofico, Nietzsche scorge soprattutto nella figura di Socrate l’inugurazione di quella linea razionalista che domina tutto il pensiero occidentale. In una battuta Socrate contrappone alla vita la riflessione sulla vita. Per Nietzzsche quindi si tratta di ripercorrere il pensiero pre-socratico in direzione di quell’arte tragica professata da Parmenide ed Anassimandro, nucleo centrale della visione tragica del mondo. Di più, 19 20 Ibidem. Cfr. Geymonat, cit. pagg. 225 e sgg. Dioniso trova nel suo seguace (il Sileno) una affermazione che ricorda all’uomo cosa veramente è: Stirpe miserabile ed effimera, figlio del caso e della pena, perchè mi costringi a dirti quel che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irragiungibile: non essere nato, non essere niente. Ma la cosa assolutamente migliore per te è morire presto (La nascita delle Tragedia). Con queste parole Nietsche vuole avvisarci che, come vuole la Tragedia greca, l’esistenza umana, l’ek-sistere (lo stare fuori dal ciclo della natura per individuarsi come colui che sporge sul genere umano) aperta al senso per il naufragio di ogni senso:21la contraddizione dell’esistenza. Ciò che Nietzsche ci ricorda riguarda il punto di vista del nostro intendere la vita: non dall’individuo verso l’apertura del suo senso ma dalla natura che, senza senso e senza scopo, guarda gli individui come sue creazioni22.si tratta allora di seguire Dioniso nel mutamento di prospettiva: la cancellazione della visione antropomorfica dell’esistenza (tempo lineare e progettuale) IN FAVORE DI UNA VITA CHE DIVORA LE SUE FORME, come potenza che ne crea sempre di nuove, senza fedeltà e senza memoria. L’esistenza individuale allora, ascoltando Dioniso, non si percepisce più come memoria e ricordo, come costruzione di identità nel progetto di una vita, bensì come illusione ed apparenza.23 La critica alla cultura : Umano Troppo Umano Gaia Scienza Nella seconda fase del suo pensiero Nietzsche mette in questione la metafisica shopenhaueriana, che attraversava la Nascita della Tragedia, inclusa l’idea che l’arte potesse superare l’apparenza fenomenica per approdare all’in sè o i modelli eterni ai quali attinge la natura nelle sue continue metamorfosi. Nietzsche è sempre più convinto allora che larte non possa rappresentare una via d’uscita dalla crisiin cui versa la cultura moderna, una vera decadenza della civiltà occidentale. Nello specifico la metafisica platonico-cristiana e la secolare affermazione della morale assogettano la vita a presunti valori di ordine superiore e trascendente. Si tratta allora di riflettere sul senso e sull’origine della tradizione metafisica al fine di scorgerne genealogicamente il punto d’avvio: la base istintuale dell’uomo quale quella composta da bisogni, istinti, pulsioni, ambizioni. Una “faccenda” per così dire Umana troppo umana. Nietzsche procede quindi ad una critica della morale in quanto essa non condiziona solo l’agire dell’uomo, ma anche la sfera conoscitiva e pratica. Non ultima la dimensione religiosa ed artistica. Come se, in ottica più antropologica, la dimensione morale sublimasse gli impulsi primari 21 Cfr. Galimberti, cit. pagg. 75 e sgg. Ibidem. 23 Ibdem. 22 dell’uomo: la ricerca del piacere e l’istinto di autoconservazione. Per altro verso Nietzsche parla di autoscissione dell’uomo, secondo cui comportamenti apparentemente disinteressati quali l’altruismo, la rinuncia, sono solo modi di dare soddisfazione alle proprie aspirazioni più intime. L’amore di sè per intendersi. Più specificatamente, Nietzsche cerca di individuare quale sia il fondamento di tutti i sistemi morali che pongono quali valori metafisici – e quindi con dignità metafisica – norme e valori per la società. In buona sostanza, l’amore per il prossimo, Dio, la giustizia stessa, sono considerati veri in senso assoluto. E’ quindi l’impulso alla verità che deve essere indagato. Ancora, donde nasce la verità? La verità o meglio le parole ed i concetti di cui è intessuta la verità24 costituiscono solo l’illusione di accedere al reale mentre invece non abbiamo accesso che ai fenomeni intesi come eventi organici (la parola è la raffigurazione di un suono e di uno stimolo nervoso). La verità allora, dal punto di vista gnoseologico è illusoria. Si tratta quindi di indagarne l’origine, l’impulso. Impulso, per Nietzsche, teso alla conservazione dell’individuo: come le corna ed i morsi aguzzi degli animali. In misura allora ribaltata rispetto alla tradizione metafisica precedente, per Nietzsche la verità è quel genere di errore senza cui un determinato genere di esseri viventi non potrebbe vivere. La verità in sintesi è uno strumento di conservazione dell’individuo. In questa fase del pensiero nietzscheana la scienza assume una certa rilevanza: egli vede in essa una minore compromissione con la metafisica e la morale. E’ il periodo illuministico di Nietzsche. Ora, in questa fase del pensiero nietscheana, il modello delle scienze naturali assume un valore particolare: un sapere che gli appare meno compromesso con i presupposti metafisici che operano nella morale, nell’arte e nella filosofia. Si tratta del periodo illuministico di Nietzsche, sebbene per il filosofo tale interesse non si tramuta nell’assolutizzazione del pensiero positivista. In effetti, il filosofo ritiene che anche la scienza non possa proporsi come modello esclusivo di conoscenza. Si tratta piuttosto di pensare come complementari arte e scienza nel conoscere dell’uomo. In questo senso Nietzsche sembra seguire il modello della scienza. Tuttavia N. non segue espressamente l’andamento della scienza: si tratta piuttosto di conciliare l’elemento di ricerca della verità tipico della scienza con l’elemento creativo dell’esperienza. O meglio, di conciliare l’elemento artistico con l’elemento scientifico 24 La civiltà come decadenza. Nella civiltà contemporanea prevale infatti, secondo N., la memoria e l’ossequio per il fatto compiuto come criterio di verità, mentre la vita può continuare e rinnovarsi soltanto in virtù dell’oblio. L’insistenza sulla memoria, sul legame con la storia che ci precede e condiziona, toglie, secondo N., ogni stimolo a un atteggiamento critico e attivo e porta gli uomini a vivere in un mondo irreale, un mondo di ombre come se non vi fosse più nessun’altra possibilità fuori di quelle offerte dalla «storia universale». In realtà, invece, la storia universale, intesa come concatenazione unitaria e rigorosa di eventi, non esiste, mentre esistono e hanno senso solo le emergenze individuali, le punte qualitative rappresentate dai grandi artisti e dalle grandi opere d’arte; non a caso per N. l’epoca più grande e più importante della storia moderna è il Rinascimento. La critica globale della civiltà europea come decadenza assume poi in N. aspetti sempre più radicali quanto più viene collegata alla critica del concetto di verità, intesa come qualcosa di completamente diverso da una conoscenza puramente oggettiva, e connessa sempre a bisogni vitali, a esigenze selettive. La verità infatti è una sorta di menzogna biologica necessaria, sulla quale non è possibile né lecito fondare nessuna dottrina metafisica o morale definitiva, assoluta o comunque oggettiva. Di qui una critica estremamente aspra e tagliente che scopre il carattere mistificatorio di tutti i valori che si sono presentati nella storia del pensiero e della civiltà. Cfr. Treccani Il nichilismo Nell’ultima fase del pensiero nietzscheano prendono forma alcuni concetti capitali: il nichilismo, la volontà come errore e l’oltreuomo. La critica effettuata dal filosofo negli anni precedenti e la riflessione inaugurata dallo Zarathustra si possono congiungere nel concetto di nichilismo: per un verso tale concetto esprime il sinificato della crisi dei valori già analizzata da N. in precedenza ossia il nichilismo passivo; per altro verso, si tratta di comprenderne il significato antimetafisico, al fine di svolgerne le premesse ed individuarne le future linee di tendenza. E’ questo il nichilismo attivo. “Che cos’è il conoscere? Il riportare qualcosa di estraneo a qualcosa di noto e familiare. Prima proposizione: ciò a cui siamo abituati non viene più da noi considerato un enigma, un problema. Smussamento del sentimento del nuovo e dello strano: tutto ciò che accade regolarmente non ci sembra più problematico. Perciò quello di “cercar la regola” è il primo istinto di chi conosce, mentre naturalmente per il fatto che si sia trovata la regola niente è ancora conosciuto. Di qui la superstizione dei fisici : dove posso perseverare, ossia dove la regolarità dei fenomeni consente di applicare formule abbreviate, credono che sia conosciuto. Sentono sicurezza, ma dietro questa sicurezza intellettuale sta l’acquietamento della paura: vogliono la regola, perchè essa toglie al mondo il suo aspetto pauroso. La paura dell’incalcolabilecome istinto segreto della scienza”.25 Ecco che allora, ciò che sta a fondamento del ragionare scientifico per N 26., è la paura dell’incalcolabile che contesta al mondo ed alla vita il suo carattere inquietante ed enigmatico27. 25 26 Cfr. Galimberti, cit.pag392. Da Nietzsche il nichilismo è considerato in una prospettiva assai più ampia e originale delle precedenti. Le radici del n. sono ritrovate nella svolta avutasi in Grecia con Euripidee con Socrate, quando l’aspetto dionisiaco della vita fu sopraffatto e occultato da quello apollineo e si pretese di trovare nell’intelligenza, nella dialettica e nella morale il principio della liberazione dal dolore. Il n. insomma nacque, per Nietzsche, quando l’uomo cominciò a ‘dire di no’ alla vita in nome di criteri razionali ai quali sottoporla, in nome di ‘valori’ contrapposti alla realtà. Platone, il cristianesimo, Kant, lo storicismo hegeliano, il positivismo, il materialismo edonistico e utilitaristico, la democrazia, il socialismo non sono altro che forme storiche attraverso cui si sviluppa e si consuma l’esperienza nichilistica della civiltà europea. Tuttavia, l’annuncio del n. è, per Nietzsche, già un segno di un suo possibile superamento o, più esattamente, si deve distinguere tra un aspetto negativo e uno attivo del n.; il n. infatti non è solo un sintomo di decadenza, ma, nella misura/">misura in cui viene alla luce e diventa consapevole, può essere anche un segno di forza, a indicare che l’energia dello spirito è cresciuta a un punto tale che i fini sinora perseguiti sembrano inadeguati, e inizia un ‘contro movimento’ rispetto alla decadenza. Occorre ricordare come per Nietzsche il possibile superamento del n. avvenga soltanto con un’attività di tipo estetico, inventivo; ogni altra forma di superamento non fa che obbedire a quei motivi moralistici che hanno causato il nichilismo. Questo permette di comprendere i legami profondi tra il n. e l’espressionismo, legami che hanno trovato la formulazione forse più esplicita e significativa negli scritti critici e filosofici di G. Benn. Ma a parte questi sviluppi del n. attivo, sempre in campo estetico, non si può sottovalutare il fatto che senza il n. negativo, come sintomo della decadenza, non si potrebbe comprendere gran parte dell’arte e della letteratura contemporanea, dove il senso della fine di una civiltà millenaria è spesso tematizzato o, comunque, costituisce una componente essenziale. Più difficile è invece definire i rapporti tra il n. e la filosofia del 20° secolo. Per un verso, infatti, è incontestabile che la nozione di ‘nulla’ ha avuto grande importanza nelle filosofie esistenzialistiche, da K. Jaspers a M. Heidegger a J.-P. Sartre. Per altro verso, però, il pathos apocalittico e la funzione di giudizio storico concernente un destino millenario propri del n. nietzschiano si possono ritrovare efficacemente forse solo in Heidegger e nella sua interpretazione della storia della metafisica, fino a Nietzsche compreso, come progressiva manifestazione del n. derivante dall’oblio dell’essere. Cfr. Treccani 27 Ibidem. Heidegger La concezione heideggeriana, rispetto all’Io trascendentale husserliano, è quella dell’Esserci. Il Dasein in “Essere e Tempo” è fondamentaleme l’erede del concetto dell’Io trascendentele husserliano.