Già alla fine del XIV secolo un anonimo abacista fiorentino riduceva le equazioni del tipo x3 + px2 = q mediante la sostituzione x y p a quelle del tipo y3 = p’y + q’. 3 Inoltre, erano molto usate nel XV secolo le formule risolutive per classi di equazioni del tipo (h + x)n = k , con n = 3, 4. Non è noto che sia stato l’autore di tali formule, ma è nel “Trattato d’abaco” del matematico e pittore Piero della Francesca (14161492) che la trattazione è estesa ai casi n = 5, 6. Ad esempio, sviluppato il binomio e scritta l’equazione di 5° grado nella forma completa: x5 + ax4 + bx3 + cx2 + dx = e, la formula risolutiva, che è esatta, è x 5 bc d e3 . a a Il XVI secolo in Italia vede il pieno sviluppo del Rinascimento, ed anche in matematica e soprattutto nelle ricerche algebriche si hanno dei risultati significativi, infatti viene trovata la formula risolutiva per radicali delle equazioni di 3° grado. Numerose ed aspre furono le polemiche, sorte già nel 1500, su chi debba essere l’autore della “scoperta”. Ad oggi si può affermare che gli autori della formula risolutiva furono: Scipione del Ferro, Niccolò 1 Fontana, detto Tartaglia e Gerolamo Cardano. Ognuno di essi, infatti, ha contribuito diversamente alla risoluzione del problema. L’equazione trattata da S. del Ferro, nato a Bologna nel 1465, e lettore di “Aritmetica e Geometria” è del tipo ax3 + bx = c, che viene subito ricondotta alla forma x3 + px = q. Sembra che già nel 1515 avesse trovato la formula risolutiva, ma è morto nel 1526 senza divulgarla. Egli viene indicato come uno degli autori della formula risolutiva da G. Cardano nell’ Ars Magna (1545). Il fatto che del Ferro non avesse divulgato la formula è in perfetto accordo con il costume dell’epoca, infatti i lettori non erano impiegati statali ed il loro contratto veniva rinnovato di anno in anno, per la loro bravura. Quindi, era uso sfidarsi pubblicamente, per cui chi trovava una formula generale la teneva per se in modo da vincere le sfide. Per quanto riguarda il contributo di Tartaglia, nato a Brescia nel 1500 e morto a Venezia nel 1559, egli è il primo ad avere osservato che la risoluzione dell’equazione cubica x3 + px = q dipende da quello dell’equazione quadratica p3 y qy . 27 2 I risultati di Tartaglia saranno anche essi divulgati da G. Cardano nell’ Ars Magna (1545). 2 Gerolamo Cardano, nato a Pavia nel 1501 e morto a Roma nel 1575, fece un’ analisi completa di tutti i casi e studiò le trasformazioni che permettono di ridurre un’equazione algebrica in un’altra di più facile riduzione. Si deve sempre a Cardano la scoperta del caso irriducibile. Caso che sarà completamente compreso da Raffaele Bombelli, a cui si deve l’introduzione dei numeri complessi, nella sua Algebra del 1572. La pubblicazione da parte del Cardano dei risultati del Tartaglia causò una diatriba tra i due, e Tartaglia della sua opera “Quesiti” (1546) sfoga il suo rancore. Questo causerà un’ulteriore diatriba tra Tartaglia ed un allievo di Cardano, Ludovico Ferrari, inventore della formula risolutiva per le equazioni di 4° grado. Egli manderà, in difesa del maestro uno dei “Cartelli di Matematica disfida”; i due si scambieranno in totale 6 cartelli. 3 Riportiamo ora i metodi risolutivi trattati dal Cardano e dal Bombelli, e le ingegnose argomentazioni geometriche attraverso le quali è stata determinata la formula risolutiva. I casi che venivano trattati per le equazioni di 3° grado erano tre: x3 + px = q x3 = px + q x3 + q = px (p >0, q >0) Consideriamo il caso x3 + px = q, l’equazione equivale a chiedere un cubo ed un parallelepipedo tali che: 1) l’altezza del parallelepipedo deve essere uguale al lato x del cubo; 2) Il parallelepipedo deve avere area di base p; 3) Cubo e parallelepipedo devono avere volumi di somma q. 4 Siano u e 3v le dimensioni della base p = u 3v e sia x = u – v. Allora: q = x3 + px = (u – v)3 + 3uv(u – v) = u3 – v3 ; inoltre v p , da cui : 3u p3 , e quindi : qu 27u 3 3 p3 u u q 0, 27 6 3 p3 Quindi, poiché q = u – v e u v , u3 e v3 sono radici 27 3 3 3 3 della precedente equazione di 2° grado, da cui si ottiene: q q2 p3 u 2 4 27 3 q q2 p3 e v , 2 4 27 3 da cui di ricava: 2 3 2 3 q q p q q p . xu v3 3 2 4 27 2 4 27 5 Simile è il caso x3 = px + q. Geometricamente equivale e determinare un cubo ed un parallelepipedo tali che: 1) l’altezza del parallelepipedo è uguale al lato del cubo; 2) Il parallelepipedo abbia area di base p; 3) La differenza tra il volume del cubo e quello del parallelepipedo sia uguale a q. Quindi, si cercano delle dimensioni u e v tali che: p = u 3v e sia x = u + v. Allora si ha: q = x3 – px = (u + v)3 – 3uv(u + v) = u3 + v3 ; p p3 3 3 inoltre, essendo v da cui u v , esse sono soluzioni 3u 27 dell’equazione di 2° grado: p3 u u q 0, 27 6 3 Da cui si ottiene: q q2 p3 q q2 p3 3 u e v , 2 4 27 2 4 27 3 da cui di ricava: q q2 p3 3 q q2 p3 . xu v 2 4 27 2 4 27 3 Il terzo caso veniva ricondotto da Tartaglia e gli altri al precedente. 6 Di particolare interesse è il caso irriducibile, quello per cui: q2 p3 0 ; infatti era facile persuadersi che anche in questo caso 4 27 esistono soluzioni geometriche del problema, e quindi soluzioni reali dell’equazione. Il primo ad occuparsi di questo caso fu Cardano nell’ Ars Magna; egli considerava le radici di numeri negativi, ma non credeva troppo all’utilità di queste quantità. Nel 1570 nel “De Regula Aliza Libellus”, interamente dedicata alle equazioni di 3° grado, vi è esposto un complesso di tentativi diretti ad aggirare le difficoltà del caso irriducibile, cioè ad ottenere le soluzioni senza passare attraverso le radici dei numeri negativi. 7 Il merito di aver completamente analizzato e risolto il caso irriducibile è di Rafael Bombelli. Le sue ricerche sono esposte nel trattato “L’Algebra” (1572). Bombelli osservò che, poiché non esistono numeri reali in grado di rappresentare la radice quadrata di numeri negativi, era necessario aggiungere nuovi numeri che indicò con simboli della forma a p. d. m. b (a più di meno b) e a m.d.m. b (a meno di meno b), corrispondenti ad a + ib e a – ib. Egli ne stabilì le leggi formali di calcolo e ne diede varie applicazioni. Inoltre, aveva anche determinato il modo per estrarre la radice cubica di un numero complesso e quindi determinare le radici reali dell’equazione di 3° grado. In tal senso Bombelli si può considerare come il fondatore della teoria dei numeri complessi. 8 La determinazione della formula risolutiva dell’equazione di 4° grado vede come protagonista Ludovico Ferrari. Già intorno al 1000 si trovano i primi esempi di equazioni di 4° grado. Omar Khayyam risolve alcune equazioni di 4° grado con i metodi di intersezione tra coniche. Nella Summa di Luca Pacioli (1494) si trova un problema che porta all’equazione: 1 4 2 3 3 2 2 x x x x 20400 , 4 4 4 4 equivalente a: x 4 2x3 3x 2 2 x 81600 . Egli la risolve aggiungendo 1 ad ambo i membri: (x2 + x + 1)2 = 81601, da cui: x 2 x 1 81601 . E quindi determina poi la soluzione. Ma torniamo alla storia della determinazione della formula risolutiva dell’equazione di 4° grado. La storia ha inizio nel 1535 con un quesito posto da Maestro Zuanne de Tonini da Coi, il Quesito XX dell’opera di Tartaglia “Quesiti et invenzioni diverse” (1546) che si traduce nel problema algebrico: x + y + z = 20 x:y=y:z xy=8 dalle quali si ottengono le equazioni: x4 + 8x2 + 64 = 20x3 e y4 + 8y2 + 64 = 160y. 9 Tartaglia rispose che era possibile risolverle, ma dopo tre anni ancora non aveva dato la soluzione. Maestro Zuanne allora propose il problema ad altri matematici tra cui Cardano, e riuscì in questo modo a prendere il posto di lettore che apparteneva a Cardano presso l’Università di Milano nel 1540. La sfida di Maestro Zuanne fu raccolta da Ludovico Ferrari che risolse i quesiti con una regola valida in generale. I risultati saranno anche essi esposti nell’Ars Magna di Cardano. Il procedimento per risolvere l’equazione x4 + 6x2 + 36 = 60x riportato nell’opera di Cardano è il seguente: 1) Aggiungere 6x2 ad ambo i membri: x4 + 12x2 + 36 = 60x + 6x2 2) Aggiungere termini contenenti una nuova incognita in modo che il membro a sinistra resti un quadrato ed il membro a destra lo diventi: (x2 + y + 6)2 = x4 + y2 + 36 + 2x2y + 12x2 + 12y = = x4 + 12x2 + 36 + y2 + 2x2y + 12y. L’espressione da aggiungere è y2 + 2x2y + 12y: (x2 + y + 6)2 = 60x + 6x2 + y2 + 2x2y + 12y = 10 = 2(y + 3)x2 + 60x + y2 + 12y. x 2 3) 2 y6 4 y 3 x 2 120 y 3x 2 y 3 y 2 12 y 2 y 3 2 . Ora bisogna determinare y in modo che il trinomio a destra sia un quadrato: cioè 2(y + 3)(y2 + 12y) = 302 = 900. 4) Si ottiene svolgendo i conti: y3 + 15y2 + 36y = 450 che si risolve con soluzioni dell’equazione di 3°grado. 5) Si sostituisce y alla espressione precedente e si estrae la radice quadrata di entrambi i membri. 6) Il risultato è un’equazione di 2° grado che va risolta per trovare il valore di x. Questo metodo è del tutto generale ed è applicabile a qualsiasi equazione della stessa forma. Trasformazioni algebriche che portano dal caso generale dell’equazione di 4° grado a quello trattato da Ferrari sono riportate da Cardano. La prima esposizione 11 completa ed esauriente della risoluzione delle equazioni di 4° grado si trova nell’Algebra di Bombelli. Dopo questi risultati, gli algebristi delle epoche successive si affannarono nel tentativo di trovare soluzioni generali per radicali delle equazioni di grado superiore al quarto, in particolare per quelle di 5° grado. Il periodo che va dalla pubblicazione dell’Algebra di Bombelli (1572) alla pubblicazione dell’opera “Rèflexions sur la rèsolution algèbrique des équations” (1770-71) può essere considerato di transizione. In esso vengono determinati dei risultati parziali legati alla risoluzione delle equazioni di grado superiore al quarto. Tra i matematici più eminenti del periodo va ricordato F. Viète (1540-1603) il quale come abbiamo già detto è stato importante nello sviluppo dell’algebra simbolica ed inoltre comprese il legame tra il caso irriducibile dell’equazione di 3° grado ed il problema della trisezione dell’angolo. Per quanto riguarda le equazioni di 4° grado ha trovato un metodo risolutivo particolarmente elegante per le equazioni del tipo: x4 + 2ax2 = c – bx. Inoltre ha determinato alcune della relazioni che intercorrono tra i coefficienti e le radici del polinomio, formule note con il nome di Viète-Girard, poiché la formulazione chiara di queste relazioni è opera di Girard (Inventino nouvelle en L’algebre 1629). 12 Un posto di ruolo è occupato da R. Cartesio (1596-1650) con la sua opera “La Geometrie” (1637) pubblicata come appendice del “Discorso sul Metodo”. Con Cartesio il formalismo algebrico raggiunse il suo massimo sviluppo, in esso troviamo le prime lettere dell’alfabeto per i parametri e le ultime per le incognite come è nell’uso comune. Il Libro III è interamente dedicato alla teoria delle equazioni algebriche, in esso Cartesio considera sia le radici positive che chiama “vere” sia quelle negative che chiama “false”; riconosce inoltre che il numero delle radici non può superare il grado dell’equazione, ma non fa alcun cenno al fatto che esiste almeno una radice. Egli nella trattazione algebrica ha sempre in mente il legame con la geometria ed usa alcuni metodi grafici per la risoluzione delle equazioni di 5° e 6° grado. Nel 1683 Walter von Tschirnhaus credeva di aver trovato delle trasformazioni grazie alle quali è possibile eliminare i termini intermedi tra quello di grado massimo ed il termine noto. Tramite queste trasformazioni egli credeva di poter trovare un metodo generale per risolvere le equazioni di grado superiore al quarto; in realtà egli trovò solo un nuovo metodo per risolvere le equazioni di 3° e 4° grado. Infatti, per n 5 la determinazione dei coefficienti della trasformazione che porterebbe ad un’equazione binomia della forma yn = An, genera un’equazione risolvente di grado superiore ad n. 13 Altri tentativi per risolvere equazioni di grado superiore al quarto furono fatti da Leonard Euler (1707-1783). Egli nella nota “De formis radium aequationum cujusqur ordinis conjectatio” del 1732 ipotizzò che ogni equazione di grado n ammettesse una risolvente di grado n-1 e propose per le radici dell’equazione da risolvere la forma: x n A1 n A2 .... n An 1 , dove le Ai sono le radici della risolvente. In effetti, tale risolvente esiste per i casi n = 2,3,4 ed Eulero trattò solo questi casi, trovando una risoluzione unitaria delle tre equazioni. In seguito, nella nota “De resolutione aequationum cuiusuis gradus” propose una nuova formula per le radici: x w An B n 2 .... Q n n 1 , dove w è un numero razionale, A, B, ...,Q sono numeri razionali o numeri che non contengono radici di grado n e ν è una radice della risolvente di grado n-1. Nuovamente, mostrò la validità di questa formula per i casi n = 2, 3, 4 manifestando la fiducia che fosse valida per ogni n. È di notevole importanza l’opera di divulgazione fatta da Eulero con il suo manuale “Algebra” (1770-72). Infatti, il secondo volume dell’opera è dedicato alla teoria delle equazioni algebriche e si può considerare una prima esposizione sistematica delle equazioni indeterminate di 1° e 2° grado e dei metodi standard di risoluzione delle equazioni algebriche di 2°, 3° e 4° grado. I continui insuccessi nella ricerca di formule risolutive per radicali delle equazioni algebriche di grado uguale o superiore al 14 quinto, fecero di questo uno dei problemi cruciali dell’algebra nella seconda metà del settecento. Non fu dunque per caso che verso il 1770 tre matematici, all’insaputa l’uno dell’altro, pubblicarono pressoché contemporaneamente i loro risultati sulla difficile questione. Si tratta di: 1) Reflexions sur la résolution algébrique des équations di Lagrange, pubblicata nel 1770 negli Atti dell’Accademia di Berlino; 2) Meditationes Algebricae (1770)di Edward Waring. 3) Mémoire sur la résolution des équations di Alexandre- Théophil Vandermonde, letta all’Accademia delle Scienze di Parigi nel 1770 e pubblicata nel 1774. Delle tre memorie quella che influenzerà le ricerche successive sulla teoria delle equazioni algebriche è quella di Lagrange. Analizziamole singolarmente. Nelle prime pagine della sua Meditationes Waring trattava le funzioni “simmetriche” delle radici di un’equazione e le permutazioni delle radici stesse; egli dimostrava, inoltre, le formule (che portano il suo nome) sulle potenze delle radici in funzione dei coefficienti dell’equazione. In seguito, mostrava come, mediante la trasformazioni di Tschirnhaus, fosse possibile 15 eliminare i termini di grado intermedio di un’equazione di 4° grado ed osservava che in generale la soluzione di un’equazione di grado n dipendeva dalla risoluzione di un’equazione ausiliaria “risolvente” di grado n!, maggiore dunque del grado della proposta. Concludeva, quindi, che era inutile cercare mediante tale metodo la risoluzione generale delle equazioni algebriche. Nello studio dell’equazione xn – 1 = 0 è il primo ad introdurre il concetto di radice primitiva. Vandermonde cercò di esprimere le radici di un’equazione mediante le radici n-sime dell’unità, abbozzando una teoria di queste ultime e risolvendo l’equazione xn – 1= 0 nel caso n = 11. Sulla base di considerazioni sulle permutazioni delle radici, che lasciano inalterata la funzione considerata, egli riusciva a trattare senza difficoltà i casi dell’equazioni di 3° e 4° grado, ma doveva concludere che era inutile cercare funzioni di cinque lettere che assumessero 3 o quattro valori per permutazioni delle lettere, ciò che lo portava a concludere che non ne esistessero. Un fatto che sarà dimostrato in seguito da Ruffini ed Abel. Nella Reflexions Lagrange si proponeva di esaminare i metodi trovati fino a quel momento per la risoluzione algebrica delle equazioni, di ridurli a dei principi generali e di far vedere a “priori” perché tali metodi funzionano per il 3° e 4° grado e vengono meno per i gradi successivi. L’analisi dei casi delle 16 equazioni di 3° e 4° grado portarono Lagrange a concludere che i metodi risolutivi si basano sulla ricerca di opportune equazioni ausiliarie, che Lagrange chiamò ridotte e che oggi vengono dette risolventi, le cui radici sono espressioni razionali delle radici x1, ..., xn dell’equazione. Nel caso del 3° e 4° grado il grado della risolvente si poteva ricondurre ad un grado minore al 3° o al 4°, nel caso generale Lagrange dimostrò che il grado dell’equazione ausiliaria è n! (o un sottomultiplo) di n!. In questa maniera si trova enunciato il “Teorema di Lagrange” che in termini moderni afferma che in un gruppo finito l’ordine di ogni sottogruppo divide l’ordine del gruppo. Egli, data un’equazione di grado n: a0xn + a1xn-1 + .... + an = 0 e indicate con x1,....,xn le radici, costruì la risolvente come segue. Sia g(x1,....,xn) una espressione razionale delle radici dell’equazione, essa può avere n! valori distinti. Siano g1, ..., gn! tali valori, allora l’equazione (y – g1) (y – g2) .... (y – gn!) = 0 è la risolvente di Lagrange. L’importanza del contributo di Lagrange alla teoria delle equazioni algebriche risiede soprattutto nelle considerazioni conclusive, in cui egli afferma che nello studio delle equazioni è necessario esaminare espressioni della forma g(x1,....,xn) e studiare le loro proprietà per le permutazioni delle radici x1,....,xn. Per quanto riguarda le equazioni di 5° grado, benché Lagrange fosse intimamente convinto che la soluzione per 17 radicali non esistesse, lasciò la questione aperta. Egli concludeva il lavoro dicendo che era sufficiente per il momento aver posto i fondamenti di una teoria che pare nuova e generale. Nel 1799 nella sua tesi di Laurea Carl Friedrich Gauss dimostrava in modo del tutto nuovo e corretto il teorema Fondamentale dell’Algebra e nel 1801 nelle Disquisitiones Arithmeticae risolve in modo definitivo il problema della ciclotomia, cioè il problema della risolubilità delle equazioni xn – 1 = 0 e conseguentemente della costruibilità con riga e compasso dei poligoni di n lati, dimostrando che ciò era possibile per i numeri primi della forma n = n 22 1 (primi di Fermat). Infatti, solo per tali valori l’equazione ciclotomica xn-1 + xn-2 + .... + x + 1 = 0 si riduce al prodotto di polinomi di 2° grado. Pertanto, come conseguenza si ha che il poligono di 17 lati è costruibile ma quello di 15 lati non lo è. Gauss determinò in generale il metodo per risolvere con radicali l’equazione xn – 1 = 0, ed in particolare quando è risolubile per radicali quadratici. Sempre nel 1799 un Medico Modenese, Paolo Ruffini (17651822) pubblicava il trattato “Teoria generale delle equazioni, in cui si dimostra impossibile la soluzione algebrica delle equazioni generali di grado superiore al quarto”. In esso Ruffini dimostrava che era impossibile risolvere per radicali le equazioni generali di grado superiore al quarto. Ruffini dichiarava apertamente di 18 ispirarsi a Lagrange ed indagando le proprietà del gruppo di sostituzioni su n lettere (nozione che non si trova in modo esplicito in Ruffini) individuava concetti come la primitività e la transitività, che applicati al caso di 5 elementi lo portarono a concludere che non esiste una funzione di cinque elementi che assume, per ogni loro permutazione possibile, solo otto, quattro o tre valori distinti. In termini moderni: il gruppo totale delle sostituzioni su 5 lettere non possiede sottogruppi di indice 8, 4, o 3. Ruffini per dimostrare questo teorema fu costretto ad elencare tutte le 120 permutazioni e ad analizzarle. Questo era il teorema essenziale, grazie al quale Ruffini dimostrava l’impossibilità della risoluzione per radicali dell’equazioni di grado superiore al quarto. L’importanza e la novità del teorema suscitò la diffidenza e lo scetticismo dei contemporanei. Egli ne mandò una copia a Lagrange ma non ottenne alcuna risposta, gli ne spedì anche una seconda copia, ma non ebbe esito migliore. Chi si espresse in favore di Ruffini fu Pietro Paoli, che nel 1804 in un supplemento ad una sua opera enunciava il teorema di Ruffini. Molto negativamente di espresse, invece, Gianfrancesco Malfatti (17311807), che si era occupato nel 1771 della questione della risolubilità per radicali dell’equazione di quinto grado, ottenendo una risolvente di sesto grado e mostrando che se questa risolvente ha una radice razionale, allora l’equazione è risolubile. 19 Del contenuto del teorema, Ruffini ne diede 4 pubblicazioni, l’ultima è del 1813. Una di queste riedizioni venne spedita all’ Institut di Francia. Questa memoria fu affidata ad una commissione presieduta da Lagrange che non stilò mai il “rapport”, ma si limitò a far sapere indirettamente a Ruffini che non aveva stilato il rapporto per evitare polemiche e che c’erano troppe imprecisioni nelle dimostrazioni per essere sicuri dell’esattezza dei risultati. Solo molti anni dopo la morte di Lagrange, nel 1815 Cauchy apprezzerà i risultati di Ruffini. Ma né questo, né la nomina a Presidente della Società Italiana delle Scienze bastarono a far avere a Ruffini un pubblico riconoscimento. Il teorema venne dimenticato e nel 1823 Niels H. Abel (18021829) si illuse di aver trovato una risolvente per l’equazione di 5° grado. Egli si accorse dell’errore e nel 1824 pubblicò una memoria in cui dimostrava l’impossibilità di risolvere per radicali l’equazione generale di 5° grado. In una nota dal titolo Memoire sur una classe particolare d’equations resolubles algébriquement pubblicata nel 1829 Abel individua una classe generale di equazioni risolubili per radicali dette oggi abeliane. Il problema della risoluzione per radicali di un’equazione algebrica non era affatto concluso; rimaneva infatti da determinare 20 il problema: data un’equazione di grado superiore al quarto è o no risolubile per radicali? Colui che ha risolto la questione in modo definitivo è Evariste Galois (1811-1832), una delle più affascinanti e tragiche figure della storia della matematica. I suoi manoscritti saranno pubblicati solo nel 1846, quattordici anni dopo la sua morte. La vita di Galois è fortemente influenzata dalle vicende politiche Francesi, e morì tragicamente in duello in una notte, sembra a causa di un “infame coquette”. Nel 1830 Galois pubblicava tre brevi articoli sul “Bullettin” riguardanti le sue ricerche relative alla “teoria di Galois” ed ai “campi di Galois”. Nonostante l’importanza dei risultati, le note passarono inosservate. Egli spedì una seconda memoria, presentata all’Accadèmie, affidata al segretario Fourier, che morì senza leggerla. La memoria venne persa. Nel 1831 Galois presentò nuovamente all’ Accadèmie la sua memoria dal titolo “Sur les conditions de résolubilité des équations per radicaux”. Questa volta il manoscritto venne consegnato a S.F. Lacroix e S.D. Poisson, che fecero un rapport negativo, sostenendo che gli argomenti di Galois non erano abbastanza chiari. La notte prima di morire Galois raccolse le sue carte e scrisse all’amico Auguste Chevalier (1809-1968) una lettera in cui tracciava a grandi linee il contenuto delle sue carte. Nel 1843 le carte di Galois giunsero nella mani di Liouville, che 21 ne comprese l’importanza, tenne dei seminari sull’argomento e ne promise la pubblicazione, che incredibilmente avvenne tre anni dopo, nel 1846. Negli anni tra il 1844 ed il 1846 Cauchy pubblicava ben 13 lavori suo gruppi di sostituzione, in nessuno di essi si fa riferimento a Galois, di cui Cauchy doveva conoscere i lavori. Ma vediamo nel dettaglio le memorie di Galois: l’idea fondamentale sfuggita a Lagrange e intravista da Ruffini ed Abel è quella, in termini moderni, di campo di razionalità dell’equazione, ovvero il campo i cui elementi sono ottenuti facendo le operazioni fondamentali sui coefficienti dell’equazione. Introducendo questo concetto, acquista un significato diverso parlare di riducibilità ed irriducibilità di un’equazione. Così per esempio, x2 – 1 = 0 è riducibile nel campo dei razionali, mentre x2 – 2 = 0 è irriducibile su Q, ma non lo è più nel campo ampliato “aggiungendo” all’equazione, come diceva Galois, 2. Dopo alcune considerazioni sui gruppi di sostituzione Galois enuncia il teorema che associa ad ogni equazione il gruppo dell’equazione, detto oggi gruppo di Galois: “Data un’equazione di cui siano x1, ..., xn le n radici, ci sarà un gruppo di sostituzioni che godrà delle seguenti proprietà: 22 1) ogni funzione delle radici invariante per le sostituzioni del gruppo è razionalmente nota (cioè appartiene al campo di razionalità dell’equazione) 2) reciprocamente, ogni espressione razionale delle radici è invariante per queste sostituzioni.” Nella dimostrazione Galois considerava per l’equazione f(x) = 0 di radici x1, ..., xn un espressione razionale V(x1, ..., xn) che assume valori diversi per le n! sostituzioni delle radici. Dette s1, ..., sn! tali sostituzioni e Vs1 ,....,Vs n! i corrispondenti valori della V, si consideri: ( y ) y Vs1 y Vs 2 ......y Vs n! la cosiddetta “risolvente di Galois” dell’equazione, i cui coefficienti sono esprimibili come funzioni razionali dei coefficienti dell’equazione f(x) = 0. Essa gode di due proprietà: 1) una qualunque radice di f(x) = 0 è esprimibile razionalmente mediante una qualunque delle radici di ( y ) 0 . 2) Se ( y ) 0 è riducibile nel campo di razionalità di f(x) = 0, i fattori irriducibili in cui si scompone sono di ugual grado. Considerato uno qualunque dei fattori irriducibili y , il gruppo di sostituzioni di esso è il “gruppo di Galois” dell’equazione f(x) = 0. Il teorema esaminato afferma quindi che se si amplia il campo di 23 razionalità “aggiungendo” una funzione razionale delle radici di f(x) = 0, il gruppo di Galois si riduce ad il sottogruppo dato dalle sostituzioni che lasciano invariata tale funzione razionale. La risoluzione dell’equazione f(x) = 0 si traduce in successivi, continui ampliamenti del campo di razionalità, di modo che il gruppo di Galois finisca per ridursi alla sostituzione identica e viceversa. In termini moderni risolvere l’equazione significa costruire una “serie di composizione” G, G1, ..., Gm = 1, dove G è il gruppo di Galois di f(x) = 0 e Gi è il sottogruppo corrispondente all’apliamento i-simo ed è normale in Gi-1 . Quando allora un’equazione algebrica è risolubile per radicali? Galois concludeva affermando quello che in termini moderni si traduce nella condizione di risolubilità del gruppo di Galois dell’equazione, cioè l’indice di ciascun sottogruppo della serie di composizione è un numero primo. Galois illustrava le sue conclusioni con l’esempio dell’equazione di 4° grado, ed il fatto che S5 non è risolubile forniva una immediata dimostrazione che le equazioni generali di 5° grado non sono risolubile per radicali. Come abbiamo già accennato, Liouville tenne dei seminari sulle memorie di Galois, e ne aveva promesso una pubblicazione chiarificatrice, che però non venne mai fatta da lui. Questi seminari furono seguiti da alcuni giovani matematici parigini fra cui Charles Hermite (1822-1901), Joseph Bertrand (1822-1900) e 24 Joseph Alfred Serret (1819-1885). Serret pubblicava nel 1849 un suo Cours d’Algèbre Supérieure dove menzionava in nota l’esistenza di una condizione necessaria e sufficiente sulla risolubilità delle equazioni algebriche, ma la difficoltà della materia unita alla promessa di Liouville spinse Serret a non trattare l’argomento. La teoria di Galois intanto oltrepassava i confini parigini: a Gottinga Richard Dedekind (1831-1916) ne faceva oggetto delle sue lezioni mentre a Pisa, Enrico Betti (18231892) pubblicava nel 1851 negli “Annali di Scienze Matematiche e Fisiche” un primo articolo di commento. L’anno seguente Betti dava alla stampa una memoria “Sulla risoluzione delle equazioni algebriche” in cui affrontava il problema della risolubilità delle equazioni stabilendo prima la teoria dei gruppi di sostituzioni e poi ordinando e dimostrando i teoremi enunciati da Galois. Proseguendo su queste ricerche Betti fu portato ad affrontare il problema della risoluzione analitica delle equazioni di grado superiori. In una memoria del 1854 dimostrava il teorema da cui dipende questa risoluzione, affermando di aver trovato mediante funzioni ellittiche ed iperellittiche la soluzione analitica di qualsiasi equazione. Betti era troppo ottimista, e già nel caso del 5° grado si doveva arrendere per i troppi calcoli. L’impresa riuscì ad Hermite nel 1858, per l’equazione x5 – x – a = 0, che espresse le radici dell’equazione con funzioni trascendenti ellittiche. 25 Contemporaneamente giungeva allo stesso risultato Leopold Kronecker (1823-1891) mentre Francesco Brioschi aveva successo con l’equazione di 6° grado. Finalmente nel 1870 i risultati sulla teoria delle equazioni vennero raccolti da Camille Jordan (18381922) nel suo Traité des substitutions et des equations algébrique. Nell’ultimo libro del trattato venivano esposti i risultati delle sue ricerche sui gruppi. 26