n° 14 Gennaio Marzo 2004 - Teatro Stabile di Genova

Spedizione in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/b legge 662/96. Filiale di Genova
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soci fondatori
COMUNE DI GENOVA
PROVINCIA DI GENOVA
REGIONE LIGURIA
socio sostenitore
gennaio/marzo duemilaquattro numero quattordici
partner della stagione
Elena
Vita di Galileo Galilei
Esercitazione al Duse
Saggio di Giunio Luzzatto
pagina 5
pagine 2, 3, 4
IL 2004
DELLO
STABILE
Le Grandi Parole
I mestieri del teatro
pagina 8
Saggi di Rubino e Baroncelli
Una nota di De Crescenzo
Intervento di Barone
Intervista con Sciaccaluga
DI
GENOVA:
LUNGO
VIAGGIO
NELLA
Hellzapoppin nel Foyer
Incontri e conferenze
Il direttore di scena
Intervista a Bruno Brighetti
e Fabrizio Montalto
pagina 11
pagina 12
CULTURA TEATRALE
DI UN
CONTINENTE
RACCONTARE L’EUROPAIN SCENA
Quel rito civile
di alzare il sipario
Dal 25 febbraio“Elena” di Euripide con Pagni e la Loliée
Da Totò
a Omero
CARLO REPETTI
LUCIANO DE CRESCENZO
L’atteso 2004, anno in cui Genova è Capitale Europea della
Cultura, è iniziato, ed è iniziato sicuramente nella maniera
migliore. All’insegna del teatro,
innanzitutto, con lo spettacolo
della Fura dels Baus visto, la
notte del 31 dicembre, dalle
decine di migliaia di persone
che riempivano all’inverosimile
ogni spazio del Porto Antico.
Ed è continuato, dopo l’importantissimo Convegno su Bambini e Mediterraneo organizzato dalla Fondazione Gaslini,
con gli esiti fortunatissimi delle
Nozze di Figaro al Carlo Felice
e de L’opera da tre soldi al Teatro della Corte. Dunque in questo 2004 Genova si muove in
maniera intelligente, valorizzando al meglio quello che è un
suo punto di forza straordinario da più di mezzo secolo: essere uno dei centri più apprezzati
di vita e cultura teatrale d’ Europa. Su questo punto esprime
il suo pensiero l’Amministratore Delegato di “Genova 2004”
Enrico Da Molo a pagina 6 del
nostro giornale. Di questa “Genova Capitale della Cultura”
anche noi del Teatro Stabile ci
sentiamo protagonisti, impegnati come siamo da ormai 53
anni a presentare al meglio in
Italia e all’estero un esempio
vitale di quella cultura che la
nostra città, la città di Paganini e di Montale, di Sanguineti e di Piano, di De Andrè
e di Govi, di Sbarbaro, di Gassman, ha saputo e sa elaborare.
Partendo da questo retroterra
il nostro contributo al 2004 sarà corposo, organico e, speriamo, convincente per il pubblico.
Proponiamo infatti un viaggio
nel tempo e nello spazio attraverso la storia teatrale del continente europeo, di quell’affascinante bacino di culture che
per la prima volta nella sua
storia, e con non poca fatica,
cerca anche di diventare un
insieme coeso di nazioni. Il nostro viaggio è composto da più
di 30 spettacoli di cui 10 di
nostra produzione e più di 20
ospitati. Si va temporalmente
dal 400 a.c. di Euripide ad
autori nostri contemporanei
quali l’irlandese McDonagh
Quante Elene sono esistite? Io
direi moltissime. Forse ne è esistita una per ognuno di noi, nel
senso che tutti, prima o poi, abbiamo conosciuto un’Elena che
ci ha fatto soffrire. Nei classici
greci, invece, ne abbiamo incontrate più di una: in particolare
quella di Omero, quella di Erodoto, quella di Euripide e perfino quella di Gorgia, l’unica, forse, a essere innocente. Il suo
mito è fin troppo noto per doverlo raccontare di nuovo. Detto, però, in due parole, parla
della prima elezione di Miss
Mondo. Il pastore Paride, convocato dalla Dea Discordia, è
invitato a donare un pomo d’oro
a quella che lui ritiene essere la
Dea più bella dell’Olimpo, e
Paride, tra Minerva, Giunone e
Venere non ha alcun dubbio:
sceglie quest’ultima. Ognuna
delle pretendenti gli ha promesso qualcosa: Minerva gli ha
promesso la saggezza, Giunone
il potere, e Venere l’amore. Tutto è relativo: fosse accaduto
oggi, Rubbia avrebbe scelto
Minerva e Berlusconi Giunone. Paride, invece, posto di
fronte al trio, premia Venere e
riceve in cambio la donna più
bella del mondo, per l’esattezza Elena, la regina di Sparta.
(segue a pag. 7)
Frédérique Loliée e Eros Pagni in una scena di Elena (foto di Fulvio Impiumi e Vito Tullio Galofaro)
Seconda produzione stagionale del Teatro
Stabile di Genova, qui in collaborazione
con il Teatro di Catania, Elena di Euripide è stata presentata nello scorso settembre in anteprima nazionale al Teatro
Olimpico di Vicenza e ora trova un rinnovato assetto spettacolare nell’inedita
struttura spaziale del Teatro della Corte
(vedi nota qui sotto e a pagina 4). Palcoscenico perfetto per la messa in scena di
un testo classico che, per la regia di Marco
Sciaccaluga e con Eros Pagni e Frédérique
Loliée impegnati nei ruoli principali,
riserverà non poche sorprese agli spettatori. Più che una tragedia, infatti, Elena è
una favola a lieto fine che riflette sul rap-
porto fra verità e apparenza, reale e virtuale, sacro e profano, attraverso un’articolazione narrativa che, nell’esaltare gli
aspetti comici e grotteschi della vicenda,
non rinuncia mai ad alzare il tono per
diventare tra l’altro il civile e “femminista” grido di protesta del “pacifista” Euripide contro l'insensatezza della guerra.
(segue a pag. 4)
TRAGEDIA FANTASTICA O COMMEDIA D’INTRIGO?
Tradurre per la scena una tragedia
greca è impresa impegnativa e affascinante al tempo stesso. Ma se
questa tragedia è l’Elena di Euripide difficoltà e fascino si moltiplicano in maniera esponenziale.
Scritta dall’autore allo scorcio della
sua carriera poetica, nel 412 a.c., l’opera sfugge, insieme ad altre dello
stesso periodo - Ione, Ifigenia in Tauride, Oreste - a una classificazione
univoca. La gamma dei giudizi, disparati e contrastanti, formulata
dagli studiosi, è vastissima. Si va dalla definizione di tragedia a quella di
commedia, passando attraverso
una serie di sottili sfumature: “tragedia fantastica, melodramma, tragicommedia, racconto romanzesco,
commedia, commedia d’intrigo”.
Caterina Barone
(segue a pag. 3)
LE GRANDI PAROLE
nona edizione
Viaggio e
viaggiatori
Cinque serate al
Teatro della Corte
Per Elena, il Teatro della Corte cambia aspetto. Sul palcoscenico verrà montata la struttura ad anfiteatro già utilizzata nelle scorse stagioni, ma, a integrazione di quanto già
accadeva, il luogo della rappresentazione sarà prolungato
in avanti sulla parte centrale della platea in modo da creare uno spazio scenico circondato dagli spettatori, in uno
stretto rapporto con gli attori e con l’azione drammatica.
La disponibilità complessiva sarà così di circa 800 posti.
dal 1° marzo
al 13 aprile
servizio a pagina 8
Teatro Duse dal 27 gennaio
ESERCITAZIONE
SU «GALILEO»
Un classico del teatro del Novecento che parla dei rapporti tra
Scienza e Religione, Ragione e
Fede, Dubbio e Libertà di pensiero. Vita di Galileo Galilei di
Bertolt Brecht va in scena al
Duse dal 27 al 31 gennaio (spettacolo alle ore 11 e alle ore 20.30)
per la regia e l’interpretazione di
Massimo Mesciulam e Alberto
Giusta, con gli allievi dell’ultimo
anno della Scuola di Recitazione
dello Stabile.
(segue a pag. 5)
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2
Elena
al Teatro della Corte
Erodoto parla di Elena e afferma che andò in
Egitto e che il fatto è testimoniato anche da
Omero: questi nell’Odissea rappresenta Elena
che offre a Telemaco un filtro capace di far
dimenticare gli affanni; lo aveva avuto in
dono da Polidamna, sposa di Toone; ma non
come narra Euripide. Erodoto e Omero raccontano, infatti, che ella andò errando con
Menelao dopo la distruzione di Ilio e giunse
in Egitto, dove ebbe i filtri. Euripide, invece,
racconta che la vera Elena non si recò affatto
a Troia, ma vi andò una sua immagine. Ermes,
infatti, la rapì per volere di Era e la affidò in
custodia a Proteo, re dell’Egitto. Alla sua
morte il figlio Teoclimeno voleva sposarla, ma
ella si rifugiò supplice presso il sepolcro di
Proteo. Qui le apparve Menelao, che aveva
perso le sue navi in mare e i pochi compagni
superstiti li aveva lasciati in un antro. Elena
e Menelao si consultano e, tramato un inganno, raggirano Teoclimeno: imbarcatisi su
una nave, fingendo di voler rendere gli onori
funebri a Menelao, come se fosse morto
in mare, giungono sani e salvi in patria.
Elena, una “quasi commedia”
Un testo di fresca e brillante inventiva che rinnova il gioco del teatro
In teatro, oggi, le definizioni
sono azzerate. Per lo più, gli
spettatori non saprebbero
dire se quella a cui hanno
assistito era una tragedia o
una commedia; vengono allestiti brillantemente drammi
ambigui oppure compositi, si
crea una scena nuova riscoprendo un Goldoni noir, o
alleviando perfino Seneca.
Questa tendenza, che è della
scrittura e della regia del XX
secolo, chissà perché, non si
applica ai cosiddetti “classici”.
Meno che mai si applica ai
Greci, verso i quali permangono residui di manicheismo
inquietante. Lisistrata del
“comico” Aristofane è stata
invece scelta da Dario Fo per
dire il dramma di ogni guerra. Mentre Euripide tragico
inventò (tra l’altro) i meccanismi e i modi della commedia.
Elementi comici stanno, in
Euripide, anche in alcune tra
le prime tragedie a noi note,
prodotte intorno all’epoca di
Ippolito (428 a.c.): si veda il
doloroso dramma dei profughi Eraclidi, dove vi è una
umoristica descrizione di una
scena di vestizione delle armi.
Un comico livido pervade a
tratti perfino Baccanti, (405
a.c.), l’ultima, dolorosa tragedia che Ingmar Bergman
scelse nel 1996 per il proprio
addio di fine carriera: la scena
dei vecchi che baccheggiano e
quella di Penteo che si veste
da donna hanno tratti grotteschi, ambigui e farseschi. Per
una vita Euripide meditò e
rimeditò sulle possibilità offerte dal gioco teatrale; addensando drammi folgoranti
e irreversibili attorno a un’unica protagonista, come Medea, oppure attorno a una
folla dolente, come Troiane.
Verso fine carriera, nel 412
a.c., mandò in scena Elena,
ove il dio Ermes, citato a metà
prologo!, già promette il lieto
fine. Non che una happy end
sia segno di commedia: per i
Greci era il contesto (mito e
storia rivisitati) e poi la condizione alta dei protagonisti
(dèi ed eroi) a garantire il
clima tragico.
Sta di fatto che con Elena,
nell’ambito di uno smantellamento costante di miti e
archetipi della tragedia e di
un ampliamento geniale di
tutti i possibili giochi drammatici, Euripide inventò anche la “quasi-commedia”; ed
Elena resta uno dei suoi pezzi
di più fresca e brillante inventiva. Si veda solo l’intreccio:
su uno sfondo misterioso ed
esotico, in Egitto, Elena lamenta di essere stata trasportata là dagli dèi, che al
rapitore Paride hanno consegnato un suo doppio, un miraggio che ha scatenato la
guerra di Troia. Tutti la credono una traditrice, causa di
gennaio / marzo 2004
infiniti lutti e morti, mentre
Elena si è conservata casta,
fedele a Menelao. Da un naufrago Elena apprende poi la
morte dei suoi familiari e l’odio della Grecia intera verso
di lei; dal marito Menelao,
fortuitamente approdato in
Egitto di ritorno da Troia, sa
che il suo “doppio” funziona
da diciassette anni contro di
lei. Un soldato racconta che
quel fantasma si è dissolto,
Menelao ed Elena sono ormai
insieme, ma prigionieri. Il
nuovo re di Egitto, infatti,
vuole Elena a tutti i costi. La
seconda parte del dramma
verte sulla beffa che i due
sposi neo-ri-congiunti giocano
al re, con l’aiuto della sorella
di lui, Teonoe: Elena finge di
voler celebrare in alto mare le
esequie del marito morto e il
re, ignorando l’identità di
Menelao, le concede una nave; con quella i due, aiutati
dagli altri Greci, salpano secondo il classico schema del
“ratto dal serraglio”, vale a
dire un intrigo-burla seguito
da una fuga per mare a lieto
fine. Si succedono incalzanti
elementi inaspettati, romanzeschi, parodici, umoristici,
avventurosi: meglio godibili, è
ovvio, su scena. Questa “tragedia” (ma la proposta del
termine commedia risale già
al filologo Albert Maniet e agli
anni della Seconda Guerra
Mondiale) va letta e allestita
pigiando sul pedale del riso.
Andrebbe altrimenti perduta
la sua natura edonistica, la
serie di invenzioni destinate,
in teatro, a fortune senza fine,
e senza confine di generi:
nasce in Elena la commedia
degli equivoci e dei paradossi
(Elena è lei gelosa di Me-
tesicoro (VII-VI sec. a.c.),
poeta di cui non ci è rimasto
quasi nulla, scrisse un poema
su Elena contenente, tra l’altro, le
solite critiche alle qualità morali
della spartana. Divenne cieco, proprio come Omero. Ma Stesicoro, al
contrario di Omero, capì l’antifona.
Subito compose un nuovo carme
(la Palinodia) in cui chiedeva scusa,
e dichiarava che a Troia non c’era
andata Elena, bensì il suo fantasma.
La versione del fantasma ebbe un
buon successo, e non è affatto
facile capire perché. Certo, Elena
era semi-divina: come Clitennestra,
Castore e Polluce, era nata da un
uovo partorito da Leda, moglie del
re di Sparta, e amante di uno Zeus
“formato cigno”. Che potessero
esserci punizioni divine per chi
parlava male di un’ava tanto altolocata era, dunque, abbastanza credibile. Ma perché i Greci, così abituati ad attribuire ai loro dèi ed eroi
vizietti di tutti i tipi, avrebbero dovuto preoccuparsi proprio di Elena,
arrivando ad accettare una storia
che azzerava il già futile pretesto
della guerra di Troia? Non sembra
molto convincente la spiegazione
secondo la quale la fierezza greca
non sopportava che nel bel mezzo
dell’epopea nazionale ci fosse
un’antenata troppo sgualdrina.
Erodoto, per esempio, si serviva del
racconto alternativo proprio per compatire i Troiani. Portava a favore della
versione “Elena moglie fedele” la memoria storica dei
sacerdoti egizi da
lui intervistati. Le
navi di Paride erano
state sbattute sulle
rive dell’Egitto, e il
re Proteo, scandalizzato dal comportamento del Troiano, aveva liberato Elena, preso in
consegna il tesoro di Menelao, e
cacciato Paride. A questo punto, i
Troiani erano completamente discolpati perché, di fronte agli
Achei che reclamavano la restituzione della donna e del tesoro, non
avendo in casa né l’una né l’altro, si
trovavano nella classica situazione
irachena: ti chiedono di consegnare una cosa che non hai, e dimostrare che non hai una cosa è
quasi sempre impossibile. Erodoto,
che era una persona seria, si
preoccupò anche di spiegare che
Omero, il quale sapeva la verità,
aveva inventato il viaggio di Elena a
Troia per ragioni artistiche. Paradossalmente, è proprio rovesciando le presunte ragioni artistiche di
Omero che possiamo trovare una
sia pur debole spiegazione del successo di una Elena la quale, senza
colpe, aspetta per decenni Menelao in Egitto. In breve: per il gusto
greco il buon personaggio da tragedia può anche avere delle colpe
personali, ma diventa più interessante se gli dèi lo bersagliano di
disgrazie e lo inducono a comportamenti sciagurati del tutto sproporzionati rispetto alla sua volontà.
S
nelao), il duetto di riconoscimento e la sua soluzione lirico-musicale, la serie di colpi
di scena a mitraglia, l’intreccio complicatissimo, lo schema drammaturgico ove il pretendente A (Menelao) vuole
riprendersi la splendida B
(Elena) ostacolato da C (il Re)
e aiutato da D (la sorella del
Re); e ancora la beffa architettata da donna (v.1049), il
vortice di travestimenti, i lunghi dialoghi a doppio senso…
Si tratta solo di alcune delle
novità drammaturgiche che
fanno di Elena la sorgente
viva di tanta commedia europea: valga per tutte la scespiriana Tutto è bene quel che
finisce bene, dove la natura
ambigua del pezzo richiama
Elena quanto la battuta detta
dalla protagonista (omonima
della nostra) in finale : «…è
solo l’ombra di una sposa,
questa che voi vedete, il nome
e non la cosa» ( V, 3). Più facile rilevare il nucleo intimamente ed effettivamente tragico dell’opera: il problema
dell’identità, prima di tutto.
Elena soffre di una fama che
non è la sua, ha un doppio che
agisce per lei e che lei naturalmente non incontra mai
(come annotò Umberto Albini, scatterebbe in quel caso
la farsa). Poi il problema della
vanità della guerra (Greci e
Troiani si sono scannati per
una spoglia vuota, un fantasma), quello della sopravvivenza fisica, il contrasto tra
apparenza e realtà.
Tra gli altri, si ispirano a
Elena di Euripide alcuni magnifici versi di un poemetto di
Giorgio Seferis, nei quali alla
fine viene colta la doppia
natura, fiabesca e malinconica, dell’opera: «…sono approdato solo, con questa bella
favola / se è vero che è una
favola, se è vero che l’uomo
più non troverà / l’inganno
antico degli dei; se è vero /che,
a gran distanza d’anni, un
altro… non abbia questa
sorte nel suo fato: / di sentire
arrivare messaggeri / con la
nuova che tanto travaglio,
tante vite / sono finite nel
baratro / per una spoglia
vuota, per un’Elena».
Margherita Rubino
In alto: Eros Pagni e Mariella Lo Giudice, sullo sfondo Frédérique Loliée. Qui sopra: Pietro Montandon e Frédérique Loliée
Stranamente, come riabilitatori di
Elena, Stesicoro, Erodoto e gli altri
protagonisti della diffusione del
contro-mito di Elena/Penelope
sono meno noti del sofista Gorgia il
quale, in realtà, escogitò un meccanismo di difesa avvocatizio che
con la vicenda specifica di Elena
non ha alcun legame privilegiato.
Funziona così: il comportamento di
Elena può avere diverse cause: o la
volontà degli dèi, o la violenza altrui, o il convincimento provocato
dalle parole, o la forza della passione amorosa. In tutti questi casi, ci
sono delle cause che operano
“contro” Elena, la quale non è libera di comportarsi diversamente. La
cosa, evidentemente, è importante
per la storia della difesa giudiziaria,
per quella della filosofia e per quella della psicologia, ma non serve a
riabilitare Elena più di quanto non
potrebbe servire per Medea, o per
un bambino che ruba la marmellata. A meno che non interpretiamo
quella di Gorgia come una sorta di
strategia di interiorizzazione del fantasma di Elena; ma sarebbe una teoria veramente troppo pesante da
reggere, anche per il bravissimo
sofista siciliano. Il fenomeno più
strano di tutti, comunque, è ancora
un altro, ed è il fatto che ancor oggi,
di fronte a qualsiasi ragionamento su
Elena e a qualsiasi sua rappresentazione artistica antica o moderna, sentiamo sempre che
qualcosa manca, ed
è la cosa più importante, ciò che rende
Elena un archetipo.
Si tratta, ovviamente, della sua bellezza. Di fronte a
qualsiasi statua e a
qualsiasi quadro,
non ci sfiora neppure l’idea che Elena potesse essere
“solo” così. Accettiamo che sia
ben riprodotta persino la bellezza
di Afrodite, ma quando si tratta di
Elena ci sembra di capire che, in
fondo, l’artista non ci ha neppure
provato. Che senso ha immaginare
che Elena abbia gli occhi soltanto
azzurri, e non anche, allo stesso
tempo, splendidamente neri? Questa Elena era già allora quella di
oggi; la sua bellezza ha resistito ad
ogni maldicenza e ad ogni moralistica riabilitazione, a decine di riproposizioni romanzesche e drammatiche, con musica e senza musica, con e senza balletto. È sopravvissuta perfino ad un film con una
Rossana Podestà particolarmente
imbambolata. Tutti, probabilmente
fin da epoche pre-omeriche, anche
nel momento stesso in cui apprezzano una prestazione artistica sviluppata in nome di Elena, sanno
benissimo che la Elena veramente
vera è una specie di indistinta fonte
di luce e di emozione che si portano nell’animo, e che ha sempre battuto tutti i fantasmi di se stessa.
Perfino quello costruitole da Euripide che, tra quelli in cui Elena risulta una santa, è certamente il migliore.
QUELLA
SANTA
DONNA
E I SUOI
TERRIBILI
FANTASMI
Flavio Baroncelli
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3
Elena
al Teatro della Corte
C ONVERSAZIONE
CON
M ARCO S CIACCALUGA R EGISTA
DELLO
S PETTACOLO
IN
S CENA ALLA C ORTE
Si dice che nel 412 a.c. il pubblico ateniese abbia accolto la
rappresentazione di Elena con
sorpresa e sconcerto.
Credo anche con molto divertimento, come sempre accade
quando un vero autore prende
un mito ben radicato nell’immaginario collettivo e lo rovescia provocatoriamente nel suo
opposto: se Elena è innocente,
la guerra di Troia è stata combattuta inutilmente («Abbiamo
sofferto invano per una nuvola?», si domanda il primo messaggero). E poter dire questo in
pieno svolgimento della guerra
del Peloponneso è testimonianza non solo della genialità di
Euripide, ma anche di una società assolutamente straordinaria quale quella ateniese.
Elena inizia come una tragedia
e solo lentamente si apre poi
verso tonalità da commedia,
con qualche concessione anche
a modalità farsesche.
Sul teatro greco persistono molti pregiudizi, in base ai quali
non ci sarebbe nulla in mezzo
ai due generi principali di cui
sono giunte sino a noi le opere:
da una parte, l’austerità eticoreligiosa della tragedia e, dall’altra, la farsa popolare di Aristofane. Eppure, testi come Elena o Ione, ma a ben vedere anche certi passaggi di tragedie
molto più note (penso, ad esempio, a certi messaggeri quali
quelli di Antigone), sono lì a
testimoniare - almeno per chi li
sa leggere senza idee preconcette - che le cose erano allora
molto più complesse. È una vera sciocchezza voler classificare
Elena tra le tragedie, ma essa
non è neppure una farsa o un
dramma satiresco. Il modo più
giusto credo sia quello di affrontarla come una commedia,
nel senso scespiriano della parola. Come Tutto è bene quel che
finisce bene o Racconto d’inverno, Elena è una favola drammatica che diventa una commedia perché finisce bene, ma
nel suo sviluppo ha in nuce
gennaio / marzo 2004
Tutta la Compagnia all’anteprima di Elena sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Vicenza
In basso: Sebastiano Tringali e, sullo sfondo, Angelo Tosto
tutte le possibilità per portare
ad altri sbocchi narrativi, compreso quello della tragedia.
Vuoi dire che in Elena è già presente la pratica scespiriana del
mescolamento dei toni?
In un certo senso sì. Euripide
gioca a spiazzare continuamente lo spettatore, mettendolo davanti a una situazione drammatica e facendo poi in modo
che, quando lo spettatore inizia
a credere di assistere a una tragedia, tutto si rovesci in commedia; ma anche che, quando il
pubblico inizia a rilassarsi nella risata, questa debba fare i
conti con l’arrivo di una scena
fortemente drammatica.
Potresti fare un esempio?
Il momento più esplicito da
questo punto di vista è la lunga, straordinaria scena d’agnizione tra Elena e Menelao.
Questa viene dopo alcune scene
di solenne e straziata drammaticità esistenziale (la tragica
solitudine di Elena, la violenza
maschilista di Teucro, la degradazione fisica di Menelao) e si
caratterizza quasi subito per
una forte valenza comica, che
porta lo spettatore nella convinzione di essere stato invitato
a ridere dei destini degli uomini; ma subito dopo ecco che
arriva quel fantastico coro pacifista («Pazzi tutti, che volete
conquistare/la gloria con la
guerra…»). È questo continuo,
meraviglioso spiazzamento che
rende affascinante mettere in
scena Elena oggi: un testo che
rivela proprio sul palcoscenico
tutta la sua enorme ricchezza
teatrale e modernità tematica
(pacifismo, femminismo, valorizzazione dell’uomo come essere divino).
L’unico intervento drastico che
hai fatto sul testo è stato quello
di eliminare il Coro. Perché?
Posto davanti al Coro greco, un
regista deve oggi fare inevitabilmente delle scelte che non
possono certo essere appiattite
sull’astratta filologia. Confesso
che è l’imbarazzo nei confronti
di questa scelta che sinora mi
ha tenuto lontano dal teatro greco classico. In Elena, però, mi è
sembrato di individuare proprio
nel testo di Euripide, sempre
così sperimentale soprattutto
nella composizione dei cori, la
possibilità di metterli in scena,
questi cori, senza fare il Coro.
Mi è sembrato evidente che il
Coro di Elena fosse un’estensione lirica dei temi emotivi della
protagonista e che, pertanto, potesse essere interessante portarlo interamente dentro di lei
attraverso un Coro di bambole
che, come in un tipico caso di
sdoppiamento della personalità, dà voce alle sue angosce,
alla sua disperazione, anche
alle sue latenti tensioni sadomasochiste. E ciò almeno sino a
che il personaggio, liberatosi
infine dai sensi di colpa, non ha
più bisogno delle bambole e può
far proprio il già citato, grande
coro pacifista-femminista contro la guerra e l’insensatezza
del genere umano.
Gran parte della comicità di
Elena passa attraverso i due
messaggeri, personaggi popolari ai quali Euripide sembra
affidare anche la propria visione del mondo.
Entrambi i messaggeri sono
portatori di una elementare,
ma efficace visione del mondo.
Il primo esce di scena dicendo:
«Testa e buon senso: sono questi gli indovini migliori»; e il
secondo gli fa eco: «A diffidare
si farà peccato ma è la cosa più
utile per l’uomo». Quello che soprattutto li accomuna, comunque, è lo stupore, che a teatro è
sovente la via attraverso la
quale passa il comico. Stupore
nei confronti di quello che
hanno visto, della stupidità e
della violenza umana. Stupore
davanti allo “scandalo” che può
essere l’uomo. Lo stesso stupore che mi piacerebbe caratterizzasse lo sguardo degli spettatori su questa nostra Elena.
Elena
Continuo, meraviglioso spiazzamento
a cura di Aldo Viganò
TRAGEDIA FANTASTICA
O COMMEDIA D’INTRIGO?
(segue da pag. 1)
Sul piano della struttura drammaturgica l’opera presenta, infatti, una varietà di situazioni, di toni e di registri assai diversi tra loro e
tra loro talvolta divaricati al punto da sorprendere lo spettatore e tali da non prestarsi a
una traduzione e a un’intonazione uniforme.
Sulla drammatica situazione di partenza in
cui versa Elena - sposa fedele ingiustamente
ritenuta adultera, confinata in Egitto per
volontà degli dèi, mentre a Troia inconsapevolmente si combatte per un fantasma - si innestano le venature comico-grottesche, e insieme
amare, che accompagnano l’arrivo di Menelao
sulla scena. Dopo il riconoscimento tra i due
sposi e la sconsolata constatazione della vanità della guerra, Euripide passa al piano speculativo della definizione del rapporto tra il
destino degli uomini e il capriccioso volere
della divinità con l’introduzione della figura di
Teonoe, la sacerdotessa da cui dipende la sorte
di Elena e il suo ritorno in patria. La scena fa
da spartiacque tra la prima e la seconda parte
del dramma che si impernia sull’intrigo e l’avventura con la progettazione del piano di fuga
dei protagonisti e la sua attuazione. Il concitato sviluppo della trama è percorso da esilaranti venature comiche nei due successivi confronti tra Teoclimeno, il re pretendente di
Elena, e i due coniugi. Dopo il racconto vivace
e avvincente fatto dal servo delle convulse fasi
della fuga, felicemente riuscita, il finale vede
l’intervento dei Dioscuri, scesi dal cielo a placare l’ira del re beffato e a predire un felice
destino per i protagonisti. Il miracolistico finale dell’Elena suggella l’ambiguità di fondo del
dramma col suo impasto di contenuti variegati, dove al registro tragico e drammatico si
intrecciano l’ironia, la comicità, il grottesco,
tutti elementi che, fusi insieme, ne fanno una
tragedia “anomala”. La figura stessa della protagonista appare difficilmente inquadrabile,
personaggio complesso, dalle mille sfaccettature, al cui interno le caratteristiche nuove e
quelle canonizzate dalla tradizione si mescolano in un equilibrio continuamente messo in
discussione e ridefinito con un sapiente gioco
drammaturgico: non ci troviamo di fronte a
un’Elena totalmente virtuosa, monolitica nella
sua vereconda, inedita perfezione. Euripide ne
arricchisce il carattere vivacizzandolo con note
di malizia e di sottile equivocità, come nel dialogo con Menelao subito dopo il riconoscimento, quando la Tindaride gli insinua nella
mente il dubbio che il re l’abbia violentata, o
ancora nella messa in scena approntata ai
danni di Teoclimeno, che ella seduce facendogli balenare il miraggio di futuri, prossimi
“favori”. Se, dunque, i contenuti non sono quelli di una tragedia in senso stretto, tuttavia
forte è la tensione ideologica sottesa all’opera
nell’appassionata denuncia della vanità di
ogni conflitto che fa da cardine all’opera stessa. Alta risuona la nota di dolore del vecchio
soldato, compagno di Menelao, quando osserva
incredulo: «Abbiamo sofferto invano per una
nuvola?» (v. 707). Anche i vincitori finiscono
per conquistare solamente un’ombra e città
sventurate come Troia vengono distrutte invano e invano si spengono, impugnando le armi
per un fantasma, migliaia di vite umane. Il demone innovativo di Euripide, la sua inquietudine intellettuale danno, dunque, vita nell’Elena a un’opera che per molti versi si presenta complessa e problematica. Perciò, traducendo, abbiamo ritenuto fondamentale mantenere evidente e costante la tensione ideologica
che anima il testo, pur nel rispetto dei picchi di
oscillazione tonale dal drammatico al comico,
dal patetico al grottesco, dall’aulico al colloquiale. Si è cercato di dare voce appropriata
alla disperazione, ma anche alla seduzione;
alla speculazione filosofica e al racconto d’avventura; all’ansia religiosa e alla tessitura
dell’inganno, consapevoli, tuttavia, dell’inattingibilità dell’originale.
Caterina Barone
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4
Elena
al Teatro della Corte
DATOTÒ AOMERO
«MORALE
DELLA
FAV O L A : B A S TA C H I A M A R S I E L E N A
PER
(segue da pag. 1)
Elena però, è già sposata con
Menelao, e il fatto che Paride se
la sia acchiappata (con le buone
o con le cattive non si sa) fa scatenare la prima guerra mondiale. Lo scandalo fu enorme,
tanto è vero che se ne parla
ancora oggi. Achei e Troiani se
le dettero di santa ragione per
dieci anni di seguito e tutto finì
con l’incendio della città di
Troia. Per capirne di più, due
gli autori da consultare: Totò e
il sofista Gorgia. Totò, nel film
Totò all’inferno, incontra la
fedigrafa e, quando qualcuno
gliela
presenta
dicendo:
«Questa è Elena di Troia», si
limita a dire: «Questo nome
non mi è nuovo», lasciando a
intendere che da un certo tipo
di donna non possono che arrivare disgrazie. Il sofista Gorgia
da Leontini, invece, esamina il
caso con il massimo scrupolo e
butta giù il famoso Encomio di
Elena. «Per una città, dice, il
massimo ornamento sono gli
eroi, per una donna è la bellezza, per un’anima la sapienza e
per un discorso la verità».
Dopodiché afferma che Elena è
innocente. E vediamo perché.
Quattro sono le ipotesi che fa
Gorgia: o era scritto nel Destino
che tutto questo doveva accadere, e allora diamo la colpa ad
Anankè, la Dea del Destino, o è
stata rapita da Paride con la
forza, e allora diamo la colpa a
Paride, o si è innamorata per-
gennaio / marzo 2004
Honoré Daumier, L’enlevement d’Hélène, 1842
ché colpita da una freccia di
Eros, e allora diamo la colpa ad
Eros, o è stata conquistata
dalla Parola, e allora diamo la
colpa alla Parola. D’altra parte,
commenta Gorgia, che cosa c’è
a questo mondo più potente
della Parola? Euripide, invece,
racconta una storia tutta diversa. A Troia Elena non c’era mai
stata. A seguire Paride era
andata una sua controfigura.
Ermes l’aveva rapita un attimo
prima di Paride e subito dopo
l’aveva consegnata a Proteo il
re dell’Egitto. Qui, poi, erano
accadute tantissime cose: Proteo era morto e il suo primogenito, il tiranno Teoclimeno, si
era innamorato di Elena. Lei,
ESSERE RAPITI»
però, lo aveva rifiutato ed era
corsa sulla tomba di Proteo per
chiedergli aiuto. Ed eccoci in
pieno dramma. Siamo a Faro,
in Egitto. Sullo sfondo si vede
la tomba di Proteo. Entra in
scena un altro personaggio: è
Teucro, il re di Salamina, che le
porta notizie di Menelao. A suo
dire Menelao sarebbe naufragato se non addirittura annegato. Elena piange, e io, più ci
ripenso e più mi convinco che
lei è sempre stata innamorata
del marito. Quella di Paride,
infatti, potrebbe essere stata
un’infatuazione momentanea
indotta dagli dèi. Il coro le consiglia di contattare l’indovina
Teonoe, la sorella di Teoclimeno, per sapere quante speranze ci sono per ritrovare
Menelao. Ma ecco che il naufrago ritorna: è Menelao. Bussa
alla porta della reggia e la vecchia portinaia lo consiglia di
fuggire. Teoclimeno, gli dice, ha
paura che qualcuno gli possa
rapire Elena e uccide tutti i
greci che vede. Comincia così
una nuova storia: come riprendersi la moglie e fuggire
dall’Egitto? Menelao ci riesce:
la rapisce per l’ennesima volta
e la riporta sana e salva a
Sparta, proprio lì da dove, una
ventina di anni prima, lei era
scappata per mettergli le corna.
Morale della favola: a questo
mondo basta chiamarsi Elena
per essere rapiti.
Luciano De Crescenzo
Elena cambia volto
al Teatro della Corte
Con la rappresentazione di Elena di Euripide, il
Teatro della Corte cambia aspetto, assumendo la
nuova fisionomia di un teatro a pianta centrale. In
pratica, sul palcoscenico esistente sarà elevata la
struttura ad anfiteatro già utilizzata nelle scorse stagioni per alcune rappresentazioni particolari
(Filottete, Sei personaggi.com, Schweyk, le mises en
espace), ma la novità è data dal fatto che questa
volta lo spazio scenico sarà prolungato in profondità
all’interno della platea, in modo da dar vita a un
luogo scenico con il pubblico disposto tutto intorno
alla scenografia e agli attori, in un rapporto più
diretto e comunicativo. Pensato all’inizio della stagione per la messa in scena degli spettacoli di produzione della seconda parte del cartellone, questo
spazio, che con l’esclusione della galleria trasforma
la Corte in un teatro di circa 800 posti, sarà utilizzato per la prima volta per Elena, ma con le trasformazioni scenografiche necessarie continuerà ad esistere anche per Il tenente di Inishmore di Martin
McDonagh (in programma dal 26 marzo all’8 aprile) e
per L’alchimista di Ben Jonson (dal 4 al 20 maggio).
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5
Vita di Galileo Galilei
al Teatro Duse
Grande tragedia dell’umanità, la Vita di Galileo Galilei è uno dei
capolavori del teatro di Bertolt Brecht, che racconta le tappe
essenziali dell’esistenza del grande scienziato italiano del
Seicento, riservando grande attenzione ai rapporti tra il Potere
e la Scienza, tra la Fisica e la Tecnica. Il Galileo di Brecht viene
rivisitato dallo Stabile di Genova con uno spettacolo “nudo”,
che ha al centro solo il testo e gli attori. Diretto e interpretato da
Massimo Mesciulam e Alberto Giusta lo spettacolo si avvale
dell’impegno degli allievi dell’ultimo anno della Scuola di
Recitazione dello Stabile. Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi, le “esercitazioni” sul
teatro classico dello Stabile si rivolgono innanzitutto agli spet-
tatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto
per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in
scena, riflessione aperta sui problemi connessi con il passaggio dalla comprensione del testo alla sua vita autonoma sul palcoscenico. Martedì 27 gennaio ore 20.30 e da mercoledì
a sabato tutti i giorni doppio spettacolo alle ore 11 e 20.30.
Mentre il fisico nell’individuare i
più importanti contributi di
Galileo entrerà nel merito dei
suoi apporti sulla caduta dei
gravi, sui moti relativi, su molte
altre questioni “tecniche”, l’uomo di cultura diverso dallo
scienziato ponendosi il problema
del ruolo di Galileo nella storia
del pensiero scientifico centrerà
altri temi: il metodo della ricerca
(“sensate esperienze”), il rispetto
per i fatti anche quando smentiscono teorie consolidate. Bertolt
Brecht deve aver studiato a
fondo il suo personaggio, perché
accanto a queste tematiche che
sono rilevantissime, ma la cui
presenza è in qualche modo
contenuti delle teorie, ma per
una ragione ancora più profonda, perché i suoi cultori erano i
filosofi. Le “dispute” utilizzavano, nel discutere di “filosofia
naturale”, la stessa metodologia,
lo stesso linguaggio con il quale
si disputava sull’etica o su qualunque altro argomento che
anche modernamente continueremmo a definire come filosofico.
Poteva bensì occorrere, e a partire dal ‘400 ciò avveniva in misura crescente, che per costruire ed
anche per maneggiare strumenti lo scienziato dovesse avvalersi
delle mani di altri; ma si trattava appunto delle sole mani, ed
era escluso che ciò interferisse
lieri, ma non i “filosofi”) forse
anche, come Brecht immagina,
per puntare a una diffusione
popolare della cultura scientifica, ma anzitutto perché è la lingua che quotidianamente gli
occorre nel rapporto, decisivo
per la sua fisica non filosofica,
con gli aiutanti di laboratorio.
Nel testo teatrale, la figura di
Federzoni rappresenta questa
valorizzazione del “meccanico”:
egli colloquia alla pari, scandalizza il visitatore professore di
Padova (che invita Galileo a non
consentire che l’aiutante intervenga in una discussione scientifica), protesta quando per
riportare il dibattito su astrazio-
Massimo Mesciulam con gli interpreti di Vita di Galileo Galilei durante le prove
scontata, trovano spazio in Vita
di Galileo molti altri spunti di
riflessione, tutt’altro che ovvi, su
due dei quali voglio qui richiamare l’attenzione. Un primo elemento è il ruolo dell’uomo pratico, del tecnico, nell’ambito della
ricerca. Con Galileo, l’ingresso
massiccio dei riferimenti all’esperienza nel dibattito sulle teorie scientifiche ha comportato
l’ingresso, insieme alle esperienze, di chi materialmente collabora con lo scienziato nel condurle.
Si è trattato di una rivoluzione
culturale: fino ad allora, la fisica
era “aristotelica” non solo per i
col pensiero. Galileo attribuisce
invece, come risulta da molti
suoi scritti, valore conoscitivo,
culturale, all’elaborazione di ciò
che oggi chiameremmo tecnologia, e perciò al contributo dei
relativi operatori; quale esempio, possiamo ricordare le sue
citazioni delle “scoperte” con le
quali il personale addetto alle
attività manuali dell’arsenale di
Venezia escogitava soluzioni
brillanti atte ad aumentare la
produttività del proprio lavoro.
E Galileo scrive le sue opere fondamentali in italiano (come da
tempo facevano i poeti e i novel-
Iniziata trionfalmente a
Roma, Bergamo e Arezzo,
continua sino al 1° febbraio al
Teatro Manzoni di Milano, la
tournée di Mariangela Melato con Madre Courage e i suoi
figli di Bertolt Brecht. Prodotto nella scorsa stagione
dal Teatro Stabile di Genova,
con la regia di Marco Sciaccaluga, lo spettacolo vede al
fianco della Melato, nel ruolo
della celebre vivandiera che
lotta per sopravvivere tra la
violenza e le nefandezze della
guerra, un cast internaziona-
le d’attori comprendente, tra
gli altri, il serbo Miodrag
Krivokapic, la francese Frédérique Loliée e Ugo Maria
Morosi. Dopo Milano, Madre
Courage sarà ancora per questa stagione a Padova (Teatro
Verdi, dal 3 all’8 febbraio),
Udine (Teatro Nuovo, dal 10
al 15 febbraio) e Ancona (dal
17 al 20 febbraio). A tutto
campo, dal nord al sud dell’Italia, prosegue anche la
lunga tournée di Il cerchio di
gesso del Caucaso per la regia
di Benno Besson e l’interpre-
gennaio / marzo 2004
ni inverificabili si passa alle citazioni in latino. Un secondo elemento piuttosto inaspettato è il
forte richiamo critico ai possibili
effetti negativi di un rapporto
troppo stretto tra ricerca pura e
applicazioni. Qui la connessione
tra Brecht e gli scritti originali
di Galileo è meno diretta, ma nella sostanza - il tema ha un
rapporto ben documentabile con
momenti fondamentali della biografia galileiana: soprattutto
dalle lettere, emerge quanto
pesasse allo scienziato, nel
periodo padovano (Repubblica
veneta), il dover giustificare il
proprio stipendio con la possibilità di utilizzazioni pratiche
delle sue scoperte. Si può sostenere che nel taglio dato, tre secoli dopo Galileo, al tema scienza
versus applicazioni Brecht utilizza il senno del poi. Colpisce
però il fatto che egli dimostra di
avere, in qualche modo, il senno
del prima se si confronta il suo
testo con i termini del dibattito
che sull’argomento si sta sviluppando dopo un ulteriore mezzo
secolo, e se da tale confronto si
coglie l’estrema attualità del
testo stesso. Nell’epoca industrialista lo sviluppo della ricerca scientifica è stato esaltato
indiscriminatamente, senza
distinzione tra obiettivi conoscitivi e finalizzazioni direttamente
economiche. Oggi, di fronte al
rafforzarsi della logica del mero
mercato e in presenza del costo
sempre maggiore che - per ragioni oggettive - la ricerca di punta
comporta, divengono visibili
alcune alternative. Se la collettività destina risorse pubbliche, di
tutti, alla scienza questa può
perseguire anche traguardi
esclusivamente conoscitivi (che
potranno eventualmente fruttare economicamente, ma a tempi
lunghi); se invece l’investimento
deriva solo da scelte degli operatori economici, inevitabilmente
la ricerca si può indirizzare solo
là dove il ritorno è ipotizzabile in
tempi brevi. Si riconosce qui,
esattamente, il dilemma Firenze
/ Venezia proposto a Galileo. La
Firenze medicea era disposta a
investimenti “disinteressati”,
magari per il prestigio che Galileo quale pensatore “puro” poteva per essa comportare (si
tratta del ben noto ritorno di
immagine che gli sponsor si attendono…); la Venezia dei mercanti rapportava i costi ai proventi immediati. Certo, nell’alternativa Firenze / Venezia al
tema precedente si sovrappone
quello della libertà, dell’Inquisizione; si tratta dell’elemento più drammaticamente evidente nel testo brechtiano (e più
drammaticamente vissuto nell’esistenza reale di Galileo). Tra
le molte suggestioni di questo
testo, mi è sembrato utile segnalarne qualcuna meno evidente.
Vita di Galileo Galilei
IL SAPERE FATTO CON LE MANI
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GALILEI E IL SUO TEMPO
NEL FOYER DELLA CORTE
Mercoledì 28 gennaio, alle ore 17.30 nel foyer del Teatro della Corte,
il professore Enrico Bellone dell’Università di Milano, terrà una conversazione sul tema Galilei e il suo tempo. L’incontro è organizzato
in occasione della messa in scena al Duse, in forma di “esercitazione” della Vita di Galileo Galilei di Bertolt Brecht. Il professore
Bellone, una delle massime autorità scientifiche sul pensiero e l’opera dello scienziato fiorentino, ha accettato gentilmente d’intrattenersi con il pubblico e con gli attori e i registi dello spettacolo.
Giunio Luzzatto
tazione nei ruoli principali di
Lello Arena, Orietta Notari e
Paolo Serra. Lo spettacolo,
coprodotto dal Teatro di
Genova e dallo Stabile del
Veneto, è in gennaio a Jesi
(Teatro Pergolesi, 3 e 4), Ferrara (Teatro Comunale, dal 7
all’11), Perugia (Teatro Morlacchi, dal 13 al 18), Torino
(Teatro Alfieri, dal 20 al 25) e
Brescia (Teatro Sociale, dal
27 gennaio all’1 febbraio), per
proseguire poi per Prato
(Teatro Metastasio, dal 4 all’8 febbraio), Venezia (Teatro
Goldoni, dal 10 al 15 febbraio)
e Palermo (Teatro Biondo, dal
18 al 29 febbraio). Ancora in
tournée - per il terzo anno
consecutivo! - è anche Schweyk
nella seconda guerra mondiale di Bertolt Brecht, spettacolo nato dal felice rapporto
dello Stabile di Genova con il
Progetto U.R.T., gruppo fondato e diretto da Ferrini, regista-attore formatosi, come la
maggior parte dei suoi compagni di scena, alla Scuola di
Recitazione dello Stabile. Il
programma della tournée
prevede i suoi prossimi appuntamenti a Spoleto (22
gennaio), Lucca (23-25 gennaio), Ovada (27 gennaio),
Casalpusterlengo (29 gennaio), per concludersi a Torino (dal 3 all’8 febbraio).
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Genova 2004
6
IL PROGRAMMA DEGLI EVENTI: INCONTRO CON ENRICO DA MOLO AMMINISTRATORE DELEGATO DI “GENOVA 2004”
LA“CAPITALE” DÀ SPETTACOLO
La nuova identità
diunacittàaperta
GIUSEPPE PERICU
È iniziato il 2004, anno in cui
Genova è Capitale Europea
della Cultura. L’essere designata dai governi dell’Unione
Europea a questo ruolo, costituisce per Genova un alto
onore, un’opportunità straordinaria per riflettere sulla
propria cultura, sulla storia
passata, sullo sviluppo futuro
e per lanciare la sua rinnovata immagine in Italia e nel
mondo. Abbiamo colto questa
straordinaria circostanza per
avviare un percorso verso più
direzioni. Il fine perseguito
non è quello di puntare su un
unico grande evento effimero
in grado di coinvolgere un
vasto pubblico in un tempo
limitato, ma i cui effetti siano
destinati a esaurirsi dopo il
termine di 366 giorni.
Abbiamo inteso piuttosto
dare al significato di cultura
un’accezione vasta e articolata, che comprendesse anche i
temi della solidarietà, della
scienza e della ricerca, della
tecnologia, della formazione e
del lavoro che questa città è in
grado di esprimere.
L’auspicio più fervente è che
le manifestazioni, tutte di
altissimo livello, organizzate
in occasione del 2004 costituiscano anche un ottimo pretesto per invitare i visitatori a
conoscere più a fondo la città.
Ci auguriamo che ne venga
apprezzata la nuova identità,
quella di una città aperta
all’Europa e al mondo, in cui
vivere e investire, in cui possano coesistere armonicamente le attività produttive
tradizionali industriali e portuali, il commercio, l’alta tecnologia e le più recenti attività legate al turismo e alla cultura, nella consapevolezza
che proprio nell’elaborazione
culturale e nella ricerca scientifica si può radicare il progetto di sviluppo della città
nel 2004. E oltre.
Dal programma ufficiale di
GeNova 04
Una panoramica degli spettacoli in programma per l’anno di Genova Capitale Europea della Cultura. È quella attraverso cui ci guida
Enrico Da Molo, amministratore delegato della società “Genova 2004”, che ricorda, fra gli altri, gli eventi che vedono protagonista il
Teatro Stabile di Genova: la rilettura del Candido di Voltaire, condotta da Andrea Liberovici e Aldo Nove in forma di soap opera musical,
e La Centaura di Giovan Battista Andreini, con Mariangela Melato e la regia di Luca Ronconi, prodotto dallo Stabile nell’ambito della rassegna che, in autunno, ospiterà al Teatro della Corte altri grandi spettacoli provenienti da teatri o compagnie di diversi Paesi europei.
Mostre e convegni ma non
solo. Attraversa anche teatri,
sale cinematografiche e palcoscenici più o meno tradizionali il viaggio, appena iniziato,
di Genova Capitale Europea
della Cultura. Le tante forme
di spettacolo inserite nel programma ufficiale dell’anno
costituiscono, infatti, una
parte importante degli eventi con i quali la città si presenta alla ribalta internazionale. Tanto che proprio con
una festa di piazza e uno
spettacolo, On Naumon. Il
viaggio del gruppo catalano
Fura dels Baus, è iniziata,
nella notte di San Silvestro al
porto antico, l’avventura di
Genova Capitale.
«Gli spettacoli sono per noi
importantissimi - conferma
Enrico Da Molo, amministratore delegato della società
“Genova 2004” - e lo dimostra la grande varietà e ricchezza di generi e di proposte
in calendario: si va dall’opera
lirica alla musica rock, dal
teatro di prosa alle performance, da eventi creati “ad
hoc” al potenziamento di
manifestazioni già esistenti,
poiché uno degli obiettivi che
ci siamo posti è stato quello di
valorizzare realtà già presenti in città. Naturalmente osserva - un po’ di effimero e
qualche evento di grande
richiamo per il pubblico, come
il concerto di José Carreras, è
necessario nel programma di
una Capitale Europea della
Cultura, ma noi abbiamo cercato soprattutto di partire
dalla città e dalle sue caratteristiche per esprimere, attraverso queste, concetti universali, per parlare a tutti e non
solo di noi». E se questo è, o
dovrebbe essere, il senso del
viaggio - tema che fa da filo
conduttore agli eventi di
Genova Capitale - i teatri
sono fra quelli che, secondo
Da Molo, meglio lo hanno
interpretato.
Mariangela Melato, con Luca Ronconi, sarà La Centaura per Genova 2004
«Le realtà che si occupano di
spettacolo in genere e soprattutto i teatri - sottolinea sono stati più corretti di altri
nell’approccio con il tema del
viaggio e, nella programmazione del 2004, sono certamente in prima fila, anche
perché a Genova rappresentano già realtà molto importanti. Tre anni fa avevamo
chiesto a tutti i teatri genovesi come pensavano di affrontare il tema del 2004: si era
ipotizzato di realizzare un
unico grande spettacolo prodotto da tutti insieme, o di
scegliere uno stesso testo,
tema o autore, trattato da ciascuno a suo modo. Questo
però - spiega Da Molo - non è
stato possibile per difficoltà
legate alla programmazione
dei diversi teatri, e quindi
abbiamo concordato di dedicare un’attenzione particolare al tema del viaggio e di
predisporre iniziative speciali da aggiungere alla normale programmazione, cosa
che tutti i teatri hanno
fatto». Nella scelta di queste
iniziative c’è chi ha confermato una “vocazione” europea già consolidata e chi ha
seguito percorsi nuovi.
«Il Teatro Stabile, che ha già
da tempo una programmazione di respiro europeo - spiega
Da Molo - ha scelto di mettere in scena una libera rilettura del Candido di Voltaire e
organizzare in autunno una
rassegna internazionale di
spettacoli, uno italiano, La
Centaura con Mariangela
Melato e la regia di Ronconi
prodotto dallo Stabile stesso e
gli altri da teatri o compagnie
di diversi Paesi europei.
Questo è l’unico progetto
finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma di Genova Capitale
Europea della Cultura, perché si è ritenuto che sia quello che meglio ne interpreta lo
spirito. Il Teatro dell’Archivolto, invece, punta sui Nobel
tra Letteratura e Teatro, con
incontri ed eventi attorno alle
opere di quattro recenti Premi Nobel e con l’allestimento
di uno spettacolo nel cimitero
monumentale di Staglieno; il
Teatro della Tosse ha preparato spettacoli e iniziative
legate a Genova, al viaggio e
all’Europa; mentre il Carlo
Felice, oltre ad avere una ricca programmazione, è impegnato a riportare nei parchi
di Nervi il Festival Internazionale del Balletto. Ma continua Da Molo - anche
tutti gli altri, dal Politeama
Genovese ai cosiddetti teatri
minori, hanno preparato iniziative specifiche per il 2004:
il Teatro Cargo, per esempio,
presenterà uno spettacolo sul
tema delle migrazioni, mentre il Mistràl organizzerà un
evento collegato alla mostra
su Rubens».
Il livello di questa variegata
produzione è, secondo l’amministratore
delegato
di
“Genova 2004”, «nel complesso molto buono, per merito sottolinea - di chi organizza e
produce questi eventi, non
certo nostro. Io sono convinto
che gli spettacoli possano
diventare uno dei “traini” del
2004 e mi sembra che fuori
Italia stiano suscitando anche
più interesse e curiosità rispetto alle mostre. Nel nostro
programma, però, c’è anche
una mostra molto spettacolare, Arti&Architettura, che
prevede una serie di performance in tutta la città, e le
stesse esposizioni sui Transatlantici e su Rubens hanno
importanti elementi scenografici, per non parlare della
componente spettacolare del
Festival della Scienza, che già
l’anno scorso ha avuto grandissimo successo». A queste
iniziative si aggiungono poi,
fra le altre, le tante rassegne
che si presenteranno quest’anno in edizioni speciali
(Goa-Boa Festival, Festival
musicale del Mediterraneo,
Festival internazionale di
poesia, ecc.), o al loro debutto,
come GenovaTango2004 o la
festa della musica che durante l’estate, per tre giorni, trasformerà tanti spazi della
città in altrettante platee da
concerto.
In questo panorama così
vario, uno spazio minore
occupa il cinema, al quale
saranno dedicati un’edizione
speciale del Genova Film
Festival e pochi altri eventi.
«A settembre sarà presentata
al pubblico l’edizione restaurata del film Le mura di
Malapaga, con Jean Gabin e
Isa Miranda, girato nel 1948
proprio a Genova - racconta
Da Molo - ma, più che come
uno dei tanti luoghi in cui si
guardano film, Genova vuole
diventare sempre più un
luogo in cui si fa cinema. Non
a caso fra le iniziative del
2004 c’è Cantiere Cinema, un
progetto che consentirà al
pubblico di seguire le varie
fasi di produzione e “costruzione” di un film, mentre fra
la fine di giugno e l’inizio di
luglio si terranno le Giornate
Professionali di Cinema, che
vedranno riuniti tutti coloro
che lavorano in questo mondo: registi, produttori, distributori cinematografici, e in
quell’occasione sarà possibile
assistere anche alla proiezione di qualche film in anteprima, come Agata e la tempesta
che il regista Silvio Soldini
ha girato lo scorso anno a
Genova».
Annamaria Coluccia
compagnie ospiti
L’OPERA DA TRE SOLDI
KONARMIJA
L’ARMATA A CAVALLO
di Bertolt Brecht e Kurt Weill
Corte 7 / 18 gennaio
Festoso e colorato nuovo allestimento del più celebre musical
europeo. Con Massimo Venturiello, Giulio Brogi, Laura Marinoni, Tosca e Rosalina Neri.
Regia di Pietro Carriglio.
di Moni Ovadia da Isaac Babel’
di Luigi Pirandello
Corte 4 / 8 febbraio
Attori e regista: chi conta di più
a teatro? Pirandello conclude la
trilogia aperta con Sei personaggi in cerca d’autore. Con
Valeria Moriconi e la regia di
Massimo Castri.
Corte 20 / 25 gennaio
IL TEMPO E LA STANZA
di Botho Strauss
Duse 13 / 18 gennaio
La solitudine e le nevrosi dell’uomo d’oggi, raccontate dal più
significativo autore del teatro
tedesco contemporaneo. Regia
di Walter Pagliaro, con Micaela
Esdra.
gennaio / marzo 2004
QUESTA SERA SI RECITA
A SOGGETTO
La rivoluzione bolscevica osservata dal punto di vista del popolo ebraico. Un grande musical
interpretato e diretto da Moni
Ovadia. Cori, danze e impegno
storico-civile. Rilettura teatrale
di un classico della letteratura
nato dalle esperienze personali
di Isaac Babel’.
LA BROCCA ROTTA
di Heinrich von Kleist
Corte 27 gennaio / 1 febbraio
Una madre testarda e un giudice
corrotto. La più bella commedia
del teatro tedesco di tutti i tempi
riproposta da Giancarlo Dettori e
Franca Nuti. Regia di Cesare
Lievi.
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Genova 2004
7
DALL’IRLANDA
ALLA
GRECIA TRENTASETTE SPETTACOLI
DI
TEATRO EUROPEO
Le tappe di una lunga strada
MARTIN MCDONAGH
Il tenente di Inishmore, 2001
SHAKESPEARE
La tempesta, 1611
Molto rumore per nulla, 1598
Otello, 1605
Amleto, 1600
EUGENE O’BRIEN
Eden, 2001
BEN JONSON
L’alchimista, 1610
BOTHO STRAUSS
MICHAEL FRAYN
Il tempo e la stanza, 1989
Copenaghen, 1998
ALAN AYCKBOURN
Camere da letto, 1977
HAROLD PINTER
L’amante, 1963
VOLTAIRE
Candido, 1759
MOLIÈRE
La scuola delle mogli, 1662
GEORGES FEYDEAU Georges Dandin, 1668
La pulce nell’orecchio, 1907
HEINRICH VON KLEIST
La brocca rotta, 1808
BERTOLT BRECHT
L’opera da tre soldi, 1928
Vita di Galileo Galilei, 1939
BERNARD-MARIE KOLTÈS
Lotta di negro e cani, 1989
MIGUEL DE CERVANTES
Don Chisciotte, 1605
ISAAC BABEL’
L’armata a cavallo, 1924
CARLO GOLDONI
Il bugiardo, 1750
Sior Todero brontolon, 1762
SONIA ARIENTA
FRANCO BRUSATI
Strade/Corridoi, 2003
Il benessere, 1959
DARIO FO
Morte accidentale di un anarchico, 1970
JOSÉ SANCHIS SINISTERRA
La riga nei capelli di William Holden, 2001
FRANZ KAFKA
Il processo, 1925
DANIS TANOVIC
No Man’s Land, 2002
GIOVAN BATTISTA ANDREINI
La Centaura, 1622
ALDO DE BENEDETTI
Non ti conosco più, 1932
EDUARDO DE FILIPPO
Napoli milionaria, 1945
Sabato, domenica e lunedì, 1959
ENZO MOSCATO
Ragazze sole con qualche esperienza, 1985
SOFOCLE
Ajace, 442 a.c.
EURIPIDE
Elena, 412 a.c.
LUIGI PIRANDELLO
Da
Questa sera si recita a soggetto, 1930
Elena
di Euripide
a Il tenente di Inishmore di Martin
McDonagh, dalla Grecia del quinto secolo
a.c. all’Irlanda delle soglie del nostro terzo
Millennio. Il cartellone del Teatro Stabile di Genova si propone - per quanto riguarda sia la produzione sia l’ospitalità - come
un viaggio nella cultura teatrale europea. Ci sono i classici e i contemporanei, i testi pensosi e quelli esplicitamente comici, gli spettacoli curvati sulle
modalità della ricerca linguistica e quelli che conservano al proprio interno i
Novecento è
segni distintivi della tradizione. Per tutti vale il segno distintivo dell’appartenenza a
rappresentato in alcune delle
un’idea di teatro che contraddistingue l’essenza delle scelte dello Stabile genovesue espressioni più alte: da Pirandello a De
se: un testo “necessario”, un gruppo di artisti e tecnici impegnati a farlo vivere sul
palcoscenico, un pubblico di spettatori al quale la comunicazione teatrale si rivol- Filippo, da Brecht a Botho Strauss, da Pinter a Fryan o a Ayckbourn, da Koltès
ge. Il modello è quello del Teatro d’Arte; l’aspirazione ultima che le tre componen- a Dario Fo, sino a Franco Brusati ed Enzo Moscato. C’è poi quel teatro che la
ti che lo contraddistinguono si possano fondere in un tutto armonico: lo spettaco- scena contemporanea ama trarre dalle grandi esperienze letterarie, siano quello come sintesi di vita e rappresentazione, pensiero ed emozioni. Il viaggio al quale le di Cervantes o di Voltaire, di Kafka o di Babel’; senza per questo trascurare le
il pubblico del Teatro di Genova è invitato attraversa tutta l’Europa e porta in primo novità assolute dedicate ai fermenti della drammaturgia contemporanea. Alla
piano molti degli autori e dei testi che, nel passato, hanno fatto grande la sua sto- fine del viaggio, speriamo, lo spettatore potrà uscire da questo anno teatrale,
ria teatrale e, oggi, contraddistinguono i suoi fermenti. Ci sono i grandi tragici greci che in gran parte coincide con la stagione di Genova Capitale Europea della
(Sofocle e Euripide) e Shakespeare, le lezioni comiche di Molière e di Goldoni, le Cultura, arricchito nelle sue conoscenze e nelle sue emozioni, con la consapesorprese della modernità dell’elisabettiano Ben Jonson e i travolgenti meccanismi volezza che il teatro, quello vero, ha sempre inesorabilmente a che fare con
del teatro di Feydeau o quelli della commedia metafisica d i K l e i s t ; mentre il il presente e di questo parla anche quando si nutre di parole antiche.
(segue da pag.1)
o l’italiano Aldo Nove; si passa attraverso territori e culture le più diverse, come mostra
la cartina qui accanto, dalla
Spagna di Sinisterra alla
Russia di Babel’, dall’Inghilterra di Ben Jonson alla
Germania di Kleist, dalla
Francia di Molière all’Italia
di Dario Fo. Come detto le
nostre produzioni sono 10 (fra
cui 3 mises en espace e 2 esercitazioni) e culmineranno nell’ottobre del 2004 nella Centaura di Andreini, grande
pagina del teatro barocco italiano, nella quale Luca Ronconi guiderà Mariangela
Melato in quella che lui stesso
ha definito come una “gioiosa
festa di teatro”. Questo nostro
viaggio dunque, felicemente
iniziato il 7 gennaio 2004 con
la già citata Opera da tre
soldi, vedrà a febbraio il primo incontro con una nostra
produzione, l’Elena di Euripide diretta da Marco Sciaccaluga, una commedia che propone non solo una pièce di alta qualità drammaturgica e di
grande divertimento, ma anche una coppia appena nata
nella scena italiana, quella costituita da Eros Pagni e dalla
francese Frédérique Loliée. Questa presenza nel lavoro del
Teatro Stabile di Genova di personalità provenienti da ogni
parte d’Europa (autori, registi,
attori, scenografi) è ormai una
costante e fa sì che il nostro teatro, non per etichetta ma nella
sostanza, venga riconosciuto
quale centro di cultura di valore appunto europeo. Le nostre
proposte di palcoscenico saranno poi integrate non solo dalle
“mises en espace” su testi europei contemporanei, ma anche
dal nuovo ciclo di “Grandi Parole” che a partire da marzo ci
accompagnerà dentro all’affascinante tema Viaggio e viaggiatori, cinque incontri con interpreti e uomini di cultura,
cinque prospettive, anche molto
diverse fra loro, altrettanti liberi viaggi sulla rotta di un sempre cercato incontro fra teatro e
cultura, fra spettacolo e forme
espressive del pensiero, fra rappresentazione e realtà. Insomma un 2004 che ci auguriamo
e vi auguriamo pieno di sorprese, di occasioni per stupirsi, per amare quell’abitudine
così coinvolgente e civile di
aprire ogni sera un sipario
sulle storie del mondo.
Carlo Repetti
compagnie ospiti
NON TI CONOSCO PIÙ
MORTE ACCIDENTALE DI
UN ANARCHICO
di Aldo De Benedetti
Corte 10 / 15 febbraio
Gigi Proietti mette in scena una
commedia sull’amore come
gioco e menzogna, firmata da un
maestro del teatro contemporaneo. Coniugi in un interno borghese.
NO MAN’S LAND
di Sandro Veronesi dal film di Danis
Tanovic
Duse 3 / 8 febbraio
Riflessione sull’assurdità della
guerra, con due soldati nemici
che si fronteggiano in una trincea, dove accorrono l’Onu e i
mass-media. Con Marco Baliani.
gennaio / marzo 2004
LA SCUOLA DELLE MOGLI
di Molière
Duse 16 / 28 marzo
Il misogeno gabbato. Il capolavoro
di Molière, assistendo al quale anche Luigi XIV “non riusciva più a
trattenersi dal ridere”. Con Giulio
Bosetti e la regia di Jacques
Lassalle.
di Dario Fo
MOLTO RUMORE PER
NULLA
di William Shakespeare
Duse 10 / 22 febbraio
Le variazioni dell’amore ambientate in una Sicilia di fantasia.
Bisticci, calunnie e tradimenti
con agnizioni finali. Come ridere
guardandosi allo specchio.
Regia di Guglielmo Ferro.
Duse 24 / 29 febbraio
Il Premio Nobel per la letteratura rinventa la cronaca nel gioco
del teatro. Quando la comicità
mette a soqquadro il mondo.
Con Eugenio Allegri nel ruolo del
Matto.
CAMERE DA LETTO
di Alan Ayckbourn
Duse 2 / 14 marzo
Quattro coppie in tre camere da
letto. Qualcosa non quadra nell’amore. Il ritmo scatenato degli
Artisti & Tecnici per l’esilarante
farsa di un maestro della scena
inglese contemporanea.
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Le Grandi Parole
al Teatro della Corte
Dal 1° marzo al 13 aprile (ore 20.30), cinque serate di “Grandi Parole” al Teatro della Corte
VIAGGIO E VIAGGIATORI
“ N AV I G A Z I O N I ” D E N T R O
Ci sono tanti modi di viaggiare.
Nello spazio e nel tempo, nella
storia o con il pensiero, inabissandosi all’interno della propria memoria o nelle profondità
dell’inconscio, per fuggire o per
fare ritorno, chiusi nella propria stanza o all’aria aperta;
anche solo lasciando libero
sfogo all’immaginazione letteraria e poetica. Nell’anno in cui
Genova Capitale Europea della
Cultura pone il Viaggio al centro tematico del programma
delle sue manifestazioni, il
Teatro Stabile di Genova porta
a compimento il percorso iniziato quattro anni fa proprio in
prospettiva di questo approdo.
Viaggio e viaggiatori è, infatti,
il punto di arrivo di un tragitto
che, iniziato nel 2001 con una
riflessione su ciò che unisce,
intreccia e divide le culture dei
popoli che si affacciano sul
“mare nostrum” (Voci del Mediterraneo), si è disteso l’anno
seguente nella ricerca della
Radici del Mito (ovvero della
matrice comune dell’Uomo),
per imboccare nella scorsa primavera la via che conduce alla
scoperta delle radici etniche,
storiche, culturali e sociali
dell’Idea di Europa. E ora il
tema del viaggio, sempre latente negli incontri precedenti,
viene posto al centro del nono
appuntamento con il fortunato
e atteso ciclo delle Grandi
Parole dell’Umanità, in programma al Teatro della Corte
nei mesi di marzo-aprile 2004.
Quello che ci è piaciuto inseguire nella preparazione di queste
cinque serate non è stata tanto
l’idea del Viaggio come attraversamento di uno spazio o
come cronaca di un evento già
accaduto, quanto quella del
Viaggio come esperienza personale di una possibile metafora
del mondo. Anche perché è
soprattutto su questo terreno,
crediamo, che il tema del
Viaggio si può incontrare
“naturalmente” con il fare del
Teatro, tanto più se è vero quello che scrive Shakespeare,
affermando che un inscindibile
legame unisce il palcoscenico al
mondo, o quello che dice
Truffaut, sottolineando come la
realizzazione di uno spettacolo
sia simile a un viaggio nel Far
West: si parte sempre con il
grande entusiasmo di giungere
a destinazione, ma, strada
facendo, si fanno esperienze
gennaio / marzo 2004
E
INTORNO
ALLE
ESPERIENZE
E
ALLE
INQUIETUDINI DELL’UMANITÀ
IL VIAGGIO COME CONOSCENZA
lunedì 1° marzo - ore 20.30
Massimo Cacciari
È preside e insegnante della nuova facoltà
di Filosofia dell’Università Vita e Salute del
San Raffaele di Milano, con sede nella Villa
Borromeo di Cesano Maderno. Protagonista
della vita culturale e politica italiana degli
ultimi decenni, è autore di importanti libri
su problemi e protagonisti della storia della
Filosofia e collabora stabilmente con numerosi giornali italiani e stranieri. Negli anni
Novanta, è stato sindaco di Venezia.
IL VIAGGIO COME RITORNO
lunedì 8 marzo - ore 20.30
Giovanna Zucconi Galli Fonseca
Giornalista professionista, divide la propria
attività tra la carta stampata, la radio e la
televisione. Già direttrice della rivista “Effe”,
attualmente collabora con numerose testate
giornalistiche. Ha condotto per la radio alcune trasmissioni e oggi collabora regolarmente con “Atlantis”. Molte anche le sue presenze e responsabilità televisive, tra cui quella di
Pickwick con Alessandro Baricco. Per lo Stabile di Genova sta traducendo L’alchimista.
IL VIAGGIO COME FUGA
lunedì 29 marzo - ore 20.30
per le quali gli incontri e le
nuove conoscenze possono
diventare più importanti della
meta stessa da raggiungere.
Cinque rotte verso ciò che unisce il luogo della realtà con il
luogo dell’immaginazione, pertanto. Cinque tragitti possibili
tra gli innumerevoli che si
poteva scegliere di percorrere.
Nessuna pretesa esaustiva,
ovviamente; ma la speranza di
suscitare emozioni e di stimolare pensieri, questo sì. Anche
perché per guidarci verso la
meta ci sono quest’anno cinque
nocchieri di grande esperienza
e competenza. A condurre la
prima tappa, sale sul palcoscenico della Corte (1° marzo, ore
20.30) il filosofo Massimo
Cacciari, con il quale il viaggio
diventerà un ripercorrere le vie
della conoscenza (“il filosofo
argonauta”): dalle “navigazioni” platoniche, alle suggestioni
poetiche di Dante o Leopardi,
sino alle impervie complessità
dei dubbi, delle invettive e delle
speranze contemporanee. Il
tutto, ancora una volta come
consuetudine per le nostre
serate, appoggiato alla scelta di
un’antologia di testi da affidare
a due attori tra i più significativi della scena italiana e scelti in
modo da portare in primo piano
sul palcoscenico la forza comunicativa della parola e del rac-
conto anche non immediatamente teatrali, quando questi
vengono affidati a voci narranti
capaci di far rivivere il fascino
“arcaico” dell’affabulazione orale. Attori e testi saranno definiti nei prossimi giorni, ma i criteri programmatici delle scelte
caratterizzeranno anche tutti
gli incontri seguenti, per i quali
saranno protagonisti, nel ruolo
di conduttori, personalità di
primo piano nella cultura italiana e nella comunicazione
contemporanea. L’8 marzo, la
giornalista e conduttrice radiofonica e televisiva, Giovanna
Zucconi guiderà, sulla scorta di
un ricco apparato letterario, la
serata dedicata al viaggio come
ritorno. Poi, dopo una pausa
dovuta all’indisponibilità del
palcoscenico impegnato per le
prove e l’allestimento scenografico del nuovo spettacolo dello
Stabile (Il tenente di Inishmore), il tragitto riprenderà (29
marzo) con la guida del narratore e romanziere Maurizio
Maggiani, il quale “dialogherà”
con alcuni dei grandi autori
della letteratura del Novecento
sul tema del viaggio inteso
come fuga, tracciando un originale percorso sulle vie dell’emigrazione, degli incontri di strada, del vagabondare senza
meta o alla ricerca di se stessi.
Da parte sua, lo psichiatra
Romolo Rossi affronterà (5
aprile) - attraverso romanzi,
poesie e casi clinici - il tema del
viaggio dentro se stessi, come
memoria o come manifestazione dell’inconscio; mentre il
martedì dopo le feste di Pasqua
(13 aprile) lo scrittore e operatore culturale Ernesto Franco
concluderà gli appuntamenti,
invitandoci a percorrere con lui
e con gli attori che saranno al
suo fianco, un viaggio nell’immaginazione, che ci condurrà
nel mondo dell’invisibile: dalle
discese nell’Ade care all’epica
antica, all’ariostesco viaggio sulla Luna, sino alle grandi prefigurazioni spazio-temporali della fantascienza. Nessuna vocazione esaustiva o preconcetta
soluzione programmata. Solo
cinque occasioni di viaggiare
nel passato, presente e futuro;
di riflettere sulle alte testimonianze della letteratura e del
pensiero; di emozionarsi con le
grandi parole che si fanno teatro: aperto sul mondo, sui suoi
drammi e sulle sue speranze.
La realizzazione del programma è stata resa possibile dalla
collaborazione della Banca Carige. Il calendario definitivo
sarà reso noto con una conferenza stampa e con ampie
informazioni nel prossimo numero di Palcoscenico & Foyer.
Aldo Viganò
Maurizio Maggiani
Autore di numerosi romanzi (Mauri, Mauri,
Felice alla guerra, Il coraggio del pettirosso,
La regina disadorna, È stata una vertigine),
ha condotto anche alcune trasmissioni televisive di successo. Lo scorso anno è stato
protagonista al Duse di una fortunata serie
d’incontri sulla Storia d’Italia nel ‘900.
Collabora con molte testate giornalistiche e
tiene una rubrica sulla prima pagina del
quotidiano “Il Secolo XIX”.
IL VIAGGIO COME MEMORIA
lunedì 5 aprile - ore 20.30
Romolo Rossi
È direttore del Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell’Università di Genova e preside del corso di Laurea in Riabilitazione
Psichica. Appassionato cultore dei rapporti
tra medicina e letteratura, ha scritto saggi
e tenuto conferenze sull’argomento, con particolare riguardo all’esperienza teatrale. Ha
pubblicato quasi 400 lavori scientifici.
È Membro del Collegium Internazionale
Psycopharmacologicum.
IL VIAGGIO COME IMMAGINAZIONE
martedì 13 aprile - ore 20.30
Ernesto Franco
Nasce a Genova, dove compie gli studi ed è
tra i fondatori della casa editrice “Il Melangolo”. Si trasferisce a Torino per lavorare
all’Einaudi, dove attualmente ricopre il
ruolo di Direttore editoriale. Ha tradotto
numerosi scrittori di lingua spagnola, tra i
quali Octavio Paz, Àlvaro Mutis e Julio
Cortàzar. Di Cortàzar ha curato anche la
Pléiade con tutti i racconti. Presso Einaudi
ha pubblicato Isolario e Vite senza fine.
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Teatro in Europa
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Francia: conferme, novità e fermenti della scena d’oltralpe raccontati da uno dei suoi più attenti osservatori
Nell’anno in cui Genova è Capitale Europea
della Cultura, abbiamo chiesto ad alcuni specialisti di guidarci in un viaggio tra i palcoscenici delle maggiori realtà teatrali del
Continente. Il primo a intervenire è Georges
Banu, il quale traccia un meditato itinerario
delle attuali tendenze della scena e della
drammaturgia in Francia. Georges Banu è pro-
fessore di studi teatrali alla Sorbonne
Nouvelle e all’Université catholique de
Louvain la Neuve (Belgio), redattore della rivista “Alternatives théâtrales”, presidente ono-
rario dell’Association Internationale des
Critiques de Théâtre. Responsabile della serie
Le temps du théâtre (ed. Actes Sud). Autore di
molti scritti dedicati al teatro del XX secolo.
` JOUER
LA` DOVE RECITARE E
I numi tutelari
I grandi protagonisti lavorano ancora e, anche se non producono più le sorprese di un
tempo, tuttavia non demordono e la scena francese continua a trarre profitto dalla
loro longevità. Dopo aver
esportato un po’ dovunque,
addirittura anche in Italia, il
suggestivo fascino sud-africano di Le Costume, Peter
Brook firma ora la messa in
scena di un adattamento
americano dell’epistolario tra
Cechov e Olga Knipper,
riunendo due degli interpreti
del suo celebre Giardino dei
ciliegi degli anni Ottanta:
Michel Piccoli e Natasha
Parry, che allora interpretavano la coppia Gaev e
Ljubov’. Alla Bouffes du Nord,
teatro d’abbagliante bellezza,
i rossi cupi e le luci vellutate
accompagnano gli attori, i
quali sono con evidenza più
anziani dei rispettivi personaggi; ma in questo scarto c’è
poesia e presa di distanza.
Come se Brook avesse voluto
raccontare la storia di quella
relazione ambigua e ironica
tra lo scrittore e l’attrice sullo
sfondo della nostalgia e del
ricordo. Ciò che qui si ricerca
non è l’immedesimazione,
bensì l’evocazione di un
incontro troppo a lungo avvolto nel silenzio. Come in uno
spettacolo del teatro nô… Gli
attori sono lì per resuscitare e
far rivivere un passato che
non si può più coniugare in
prima persona. Brook chiude
così il suo rapporto con
Cechov, che egli per primo collocò sullo stesso piano di
Shakespeare. Ciò che li unisce, egli diceva, è la capacità
di mettere una parte di se
stesso in ogni personaggio,
rifiutando d’imporre un punto
di vista personale esplicito.
Adesso non ci resta che attendere il grande progetto che
Brook intende realizzare
come “pendant” africano di
Mahabharata, ispirandosi ai
testi di Ambateba. È questa la
grande sfida del Maestro, il
quale vuole, una volta ancora,
parlare del mondo e dei suoi
destini tormentati, attingendo alle modalità narrative
della parabola.
Alternando distacco dall’attualità e tuffo nella storia più
immediata, dopo il capolavoro
realizzato con Tambours sur
la digue, Ariane Mnouchkine
affronta ora la ferita sanguinante con la quale, ogni giorno, dobbiamo fare i conti, in
modo insopportabile: l’esilio.
Esilio politico, ma soprattutto
esilio economico. E, in Le dernier caravansérail, ella riunisce un florilegio di storie di
esilio, di prove e di vagabondaggi in un mondo poco adatto all’uomo povero: è del dolore del mondo che la
Mnouchkine intende parlare
con i mezzi del teatro. Un
gennaio / marzo 2004
Ariane Mnouchkine durante le prove al Festival di Avignone
mondo eterogeneo e pittoresco, ma soprattutto un mondo
di sofferenza. Alla fin dei
conti, si tratta sempre di trovare un denominatore comune: come vivere altrove, dal
momento che si è iniziato ad
abbandonare il proprio luogo
di origine? Da Brecht a
Kundera e Gao Xingjian, è
questo un problema che
attraversa il secolo. E, da
sempre, la Mnouchkine predilige affrontare i problemi
essenziali.
infatti, Régy si affida soprattutto ai poteri dell’esplorazione sotterranea, indifferente a
ogni rapidità. La giovane
generazione dei registi francesi ha fatto di Régy una figura esemplare, ed è lui che
esercita oggi l’impatto più
fecondo sull’attuale movimento teatrale. Ma, alcuni
segnali di stanchezza spuntano anche qui. Gli “dèi” sono
presenti, anche se, come quelli di L’anima buona del
Sezuan di Brecht, sembrano
essere un po’ smarriti.
Comunque, restano tra noi.
I testi della desolazione
Patrice Chéreau
Il terzo “nume tutelare” è,
senza
dubbio,
Patrice
Chéreau. Il suo ritorno al teatro ha assunto il significato di
un avvenimento al quale non
si può essere insensibili.
Ovunque è stato, egli ha
riunito un pubblico di élite in
occasione di una eccezionale
lettura di Dostoevskij e successivamente ha prodotto
autentica emozione con
Phèdre, spettacolo in cui si è
ritrovata l’energia che da
sempre caratterizza il lavoro
dei suoi attori. Chéreau ha
innalzato la storia di Fedra
ad autentica deflagrazione
della passione, ivi compreso
tutto ciò che vi si accompagna
come distruzione e pulsione
di morte. È vero che anche
lui, come Brook e Mnouchkine, non ha sorpreso, ma
almeno c’era. E il loro essere
presenti non è certo uno dei
minori meriti di queste “divinità” che attraversano ancora
il paesaggio teatrale francese.
Quasi nella stessa categoria
può essere incluso Claude
Régy, artista ottuagenario,
che non smette di interrogare
gli enigmi delle scritture contemporanee, di porsi all’incrocio tra arte e scienza, lavorando soltanto su quella lentezza
che lo definisce: anche nei
momenti di accelerazione,
Dopo l’assidua frequentazione di Koltès, un altro autore
francese ha tratto a sé un
buon numero di registi: JeanLuc Lagarce. Al centro della
sua opera è lo sgomento dell’essere votato alla morte, lo
sgomento di chi è diventato
estraneo al proprio ambiente
familiare, perché quello di cui
vi si parla è l’isolamento di
Michel Piccoli e Natasha Parry
colui che ritorna senza riconoscere più nessuno. Il teatro di
Lagarce conserva una sfumatura d’intimità quotidiana, si
confronta con il problema
determinante di quell’insieme di relazioni che si è soliti
definire socialità e le cui lacune comportano sempre lo
smarrimento e la perdita dei
punti di riferimento. Lagarce,
ovvero un autore che ama
ancora osservare l’uomo da
vicino. Negli ultimi tempi i
registi francesi hanno trascurato il repertorio, il “museo”
del teatro, a vantaggio dei
testi contemporanei, tanto
che questo cambiamento ha
assunto il ruolo di un programma generazionale. Gli
autori e le opere prese in considerazione si contraddistinguono tutte per una visione
“catastrofica” del mondo
osservato dalla prospettiva
dell’estrema bassezza dei
cataclismi storici, Auschwitz
o Hiroshima, o dei turbamenti psichici estremi. Da
Edward Bond a Sarah Kane,
prevale sempre il medesimo
approccio. S’accumulano le
minacce, così come le lacrime
e le invettive. All’ottimismo
Peter Brook
fatto proprio da Brecht trent’anni fa - la moda d’allora! subentra ora la contaminazione del lutto e il compiacimento nell’invettiva. Sulla scena
francese non cessano mai di
risuonare grida smisurate,
lamenti e lacrime, che, a furia
di essere ripetute, finiscono
col diventare sospette. Certamente tutto ciò rinvia, pur in
forma moderna, al “romanticismo nero”. Meno classificabili in questo filone, vi sono
poi alcuni autori stranieri che
vengono messi in scena: Jon
Fosse, Lars von Mayenburg o
Martin Crimp. I loro testi,
certo meno “visionari”, interessano per l’attenzione rivolta agli sconvolgimenti contemporanei, ma senza bisogno che siano sempre posti,
come accade in Bond, sotto il
segno della distruzione apocalittica. Privi di questa prospettiva planetaria propria
dell’autore inglese più rappresentato in Francia, questi
autori rappresentano l’inquietudine d’essere al mondo
che travaglia soprattutto la
nuova generazione, la quale
non riesce a trovarvi la propria collocazione. Addio Heiner Müller o Thomas Bernhardt, gli alfieri di ieri! Bisogna fare posto ai nuovi
venuti. Quale sarà la loro
durata?
re teatrali. In Francia, si è
sviluppato anche un certo
scetticismo nei confronti del
brutale inserimento dei freddi “media” nel campo del teatro. Viceversa, se si desidera
individuare sintomi caratteristici, si può notare che molte
persone dello spettacolo francese si sono dedicate all’ibridazione delle arti, ponendo
questa loro attività soprattutto sotto il segno del ludico, e
ritrovando così una dimensione già sviluppata nell’ambito
del surrealismo, da Yves
Tanguy a Miro. Così facendo,
il teatro si è spostato verso il
“nuovo circo”, e da questo connubio è nato un buon numero
di spettacoli dove si riconoscono situazioni e personaggi
“teatrali” mescolati in un contesto dove fa da protagonista
il gioco, nel senso di “ludens”.
Alcuni coreografi e registi
hanno firmato spettacoli che
rifiutano di appartenere esplicitamente a un particolare
genere, spettacoli nei quali fa
piacere riconoscere la gratuità sullo sfondo di un ostentato divertimento. Spettacoli
puri, che rafforzano la felicità
collettiva e tengono lontane
quelle prospettive che sono
troppo cupe per non essere
anche sospette! Parigi oggi
dispone, a La Villette, di uno
spazio molto frequentato, che,
con le sue rappresentazioni
policrome e sorprendenti,
attira i giovani alla ricerca del
meraviglioso nel quotidiano.
Il gioco come risposta alle
paure che ci assediano. Una
soluzione effimera e pudica.
Paesaggio globale
Parigi è un festival permanente e, senza dubbio, questo
spiega anche l’attrattiva che
esercita sui teatranti di tutto
il mondo. Qui, essi si confrontano con un pubblico esperto
e, nello stesso tempo, s’inseriscono entro una sorta di
“interteatralità” generalizzata che permette il confronto e
la messa in prospettiva. Proprio perché internazionale, la
scena parigina serve da barometro al teatro che arriva da
ogni luogo, scopre le sue
nuove tendenze e rivela i suoi
protagonisti, soprattutto europei. Così, con un certo ritar-
Il ludico ritrovato
Il teatro francese ha provato
una modesta attrazione per le
nuove tecnologie e, fatta eccezione di qualche raro artista
come Jean-François Peyeret,
questo filone non ha suscitato
quell’entusiasmo che ha invece contraddistinto altre cultu-
Prometeo dell’argentino Rodrigo García
do, è vero, si sono imposte in
modo indiscutibile tre grandi
personalità. Ciascuna incarna un’estetica specifica, identificabile, e questa è la ragione per cui Fomenko, Lupa e
Kastorf hanno segnato le ultime stagioni: sono i grandi
maestri viventi e vitali dei
loro paesi d’origine, maestri
la cui opera si impone con
autorità sul teatro contemporaneo. E qui sta la differenza
con “i numi tutelari”. In questa triade piena di contrasti,
Parigi ha riconosciuto le personalità emblematiche del
grande teatro contemporaneo. Rappresentanti di un’altra generazione esercitano
ugualmente una grande forza
d’attrazione. Innanzitutto si
distacca l’argentino Rodrigo
García, il quale fa un teatro
crudele che non rifugge dall’osceno e dal kitsch, tanto
ansioso è di far vivere sul palcoscenico “le brutture” del
mondo. Non si fa scudo del
“bello” o della “cultura alta”, e
mette lo spettatore, soprattutto quello più giovane, di
fronte a una scrittura violenta, completamente esente dal
narcisismo. García appartiene alla stessa famiglia teatrale del francese Olivier Py,
pure lui capace di sedurre con
un approccio similare. D’altro
canto, sulla scena parigina si
fa anche sentire una forte
attrazione per l’universo
fiammeggiante del teatro:
universo contrassegnato dal
gusto per la materia nonnobile e per il corpo insignificante, per il grottesco e la
cruda scrittura scenica. Il
successo del gruppo TG-Stan
conferma la forza d’attrazione
di questo filone: è la rivolta di
una giovane generazione contro il teatro concepito come
resistenza al mondo. Una
generazione che vuole ormai
integrarlo, il mondo, e ritrovarlo su un palcoscenico che
perde il suo vecchio valore di
rifugio per diventare piuttosto cassa di risonanza. Il panorama francese non è per
niente omogeneo, ma vi si evidenziano alcune priorità. Ed
è proprio questo che ho cercato di mettere qui in evidenza.
Il teatro, oggi e sempre, è un
gioco di forze.
Georges Banu
TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 10
Scuola di Recitazione
10
Metodo e pratica della Scuola dello Stabile: la parola alla Direttrice
La Scuola di Recitazione del
Teatro Stabile di Genova è
considerata da registi ed operatori teatrali una delle
migliori “botteghe” per la formazione di giovani attori. Al
lavoro didattico unisce una
completa esperienza di palcoscenico. Il programma di
studi si articola in due fasi
distinte: un primo corso di
Orientamento per Attori della
durata di 8 mesi, a totale
carico del Teatro di Genova,
al termine del quale viene
rilasciato un Attestato di Frequenza; e un biennio di Qualificazione Professionale per
Attori, finanziato dalla Provincia di Genova, con fondi
provenienti dalla Comunità
Europea, dal Ministero del
Lavoro e dalla Regione Liguria. Il biennio si conclude con
un esame di fronte a una
Commissione nominata dalla
Provincia di Genova. Il superamento dell’esame comporta
il rilascio di un Attestato di
Qualifica Professionale di
Attore. La Scuola è completamente gratuita. La frequenza
ai corsi (da lunedì a venerdì,
per un minimo di cinque ore
giornaliere) è obbligatoria.
Sia al corso di Orientamento,
sia a quello di Qualificazione
si accede con selezione tramite
audizioni.
Sede della Scuola di Recitazione
corso Buenos Aires, 8
Complesso Teatro della Corte
16129 Genova
tel. 010.5342212; fax 010.5342514;
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Verso l’incontro col pubblico
Dizione, educazione della voce,
recitazione, tecniche del movimento, storia del teatro… Sono
queste le principali discipline
di ogni scuola di recitazione, e
non mancano mai, in nessun
piano di studi. Spesso si accompagnano ad altre più o meno
complementari. Ma molte o
poche che siano - meglio poche,
c’è meno dispersione - nessuno
potrà contestare che tutte debbano convogliare a un fondamentale obiettivo, cioè la formazione dell’attore.
Addestrarsi nel canto o nella
danza o quant’altro, può arricchire l’esperienza di un giovane
e venirgli anche utile ai fini
della carriera, ma lo specifico di
una scuola di recitazione non
può essere che la recitazione, e
non ci si arriva attraverso una
frammentazione di materie:
recitare non è mettere insieme
sezioni di un individuo, è qualcosa di più organico. Il metodo?
Il problema non si risolve con
un metodo, nessuna teoria
della recitazione può onestamente dirlo. Ogni proposta è un
contributo, a volte illuminante
ma mai risolutivo in cui si
avverte lo sforzo, spesso sofferto, di cogliere sempre più nel
vivo la chiave del mistero, perché di questo si tratta. Ma poiché, come dice Sartre, «ogni tecnica rimanda a una metafisica», ogni consapevole criterio
d’insegnamento rimanda necessariamente a un’idea di tea-
tro: ogni Scuola ha una sua
estetica latente. Io credo che
uno stile “alto” o uno stile
“naturale”, non debbano mai
significare nell’un caso declamazione e nell’altro sciatteria e
che comunque l’esaltazione
della cifra stilistica non debba
mai distogliere dalla linea di
fondo, e cioè dare ai personaggi
credibilità e spessore umano.
Le vie praticate nelle scuole di
recitazione sono fondamentalmente due: recitare scene - solitamente estratte da testi classici - e improvvisare. Ambedue
sono richieste sproporzionate
alle effettive capacità del principiante. Anzitutto è impossibile avvicinarsi ai problemi dell’interpretazione senza possedere i così detti “fondamentali”,
e nel caso li si voglia apprendere (e insegnare) durante l’esecuzione di una scena, l’impresa
è logorante e anche scoraggiante sia per l’allievo che per l’insegnante. Quanto all’improvvisazione, questa è una scienza
fondata su una tecnica specifica e vuole esperienza; ma
anche quando viene praticata
nei modi più interessanti, può
rivelarsi un tranello perché l’inesperto, molto gratificato dai
primi liberi tentativi che lo esonerano da quella gabbia di
ferro che è il testo scritto, quando poi si trova a dover interpretare un personaggio della
drammaturgia, si accorge che
l’esperienza fatta non gli è ser-
vita a nulla. Dov’è finita la sua
creatività? La creatività dell’interprete sta in qualcosa di più
profondo e complesso, cioè nel
far diventare propri i pensieri
di un altro.
Io credo in un piano didattico
graduale. E poiché non si può
costruire nulla sui vizi che
quasi inevitabilmente ogni
nuovo arrivato porta con sé, il
primo passo deve consistere
nell’estirpare la gramigna degli
stereotipi che soffoca qualunque personalità attoriale: i
principianti si somigliano tutti.
All’inizio quindi, non si tratta
tanto di gravare l’allievo di
richieste recitative, quanto di
liberarlo, di riportarlo - per così
dire - a vergine. A questo fine
ho trovato molto utili gli esercizi di mimica che ho imparato
dal mio maestro Orazio Costa
in quanto provocano l’allievo a
sperimentare moti extraquotidiani e a scoprire così possibili-
tà corporee e vocali dimenticate
dall’infanzia: nessuna precedente esperienza teatrale gli
può essere utile. A ciò si aggiunge l’importante scoperta dell’unità organica di respiro, voce e
movimento e della valenza
espressiva dell’alternanza contrazione - decontrazione. Pur se
di grande utilità per recitare,
gli esercizi mimici non si possono però chiamare esercizi propriamente teatrali. Tale è invece l’esercizio a cui si accede
dopo un certo periodo, e che ho
chiamato del “palleggio”, momento-chiave per imparare
cosa vuol dire stare in scena. È
un esercizio complesso e ad
ampio raggio che vive delle
esperienze fatte nei primi mesi
nel campo dell’immaginazione
e nella pratica della voce e della
parola; un esercizio dalle caratteristiche uniche per com’è praticato nella nostra scuola. La
sua poetica potrebbe riassumersi nella messa in pratica
del concetto di azione in quanto
risultante dalla dinamica dei
rapporti. Col palleggio l’allievo
impara che fare teatro significa
presentare una realtà conflittuale: un personaggio agisce,
subentra qualcosa che modifica
il suo agire, ne deriva uno scontro, un aggiustamento alla
nuova situazione. Da qui parte
la storia: senza incidente non
c’è storia. Col palleggio l’allievo
impara il codice dello specifico
teatrale, sperimenta che la
comunicazione non è fatta solo
di parole, impara cosa vogliono
dire azione fondamentale e sottotesto, due termini di cui
siamo tutti debitori a quel
grande ideatore della didattica
teatrale che fu Stanislawski;
impara il valore ritmico di un
ingresso e di un’uscita e così
via. L’apprendimento è infinito.
In effetti il palleggio non è un
esercizio di addestramento, è
soprattutto una miniera di scoperte. Si può dire che il palleggio esaurisce le problematiche
del recitare. Ma viene pure il
momento di verificarlo con lo
studio delle vere e proprie
scene della grande drammaturgia. E da qui in poi il percorso
procede secondo i consueti
binari, affidato a insegnanti e
registi ognuno propositivo di un
personale modo di lavorare.
Per quanto impegnato a cercare la via migliore per aiutare i
suoi allievi, l’insegnante non è
onnipotente. Il vero protagonista è l’allievo che a volte fa delle
conquiste là dove forse non ci si
sarebbe mai immaginato. E poi
c’è l’incontro col pubblico: una
scuola di recitazione mancherebbe ai suoi compiti se a un
certo punto non includesse nei
suoi programmi anche questo
importantissimo e ineliminabile momento formativo. È lì, di
fronte all’impellente necessità,
che il giovane attore ha la sua
grande scuola.
Anna Laura Messeri
Senza ERG
all’energia
mancherebbe
qualcosa.
gennaio / marzo 2004
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Foyer della Corte
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“ H e l l z a p o p p i n ” : p e r f o r m a n c e s , i n c o n t r i e p r o i e z i o n i n e l l a “ p i a z z a a p e r t a ” d e l Te a t r o d e l l a C o r t e
IL FOYER EMERGE IN “SUPERFICIE”
La ripresa della collaborazione con il Centro della Creatività
del Comune ha permesso di impostare un progetto (Surface/Superficie) che, tramite anche il costruttivo coinvolgimenLa collaborazione tra Accademia Ligustica e Teatro Stabile di Genova per “l'animazione “ del foyer della Corte ha,
ormai, carattere di continuità:
si incominciò con una riflessione, sollecitata dalla direzione
del teatro e allargata a varie
realtà che a Genova sono riferimento di giovani artisti e musicisti, quali l'Accademia Ligustica di Belle Arti, il Conservatorio Paganini e il Centro
della creatività del Comune. Il
Teatro della Corte - si osservò soffre di un'ubicazione decentrata rispetto al cuore della
città e ai percorsi dei genovesi,
dei giovani in particolare, era
necessario creare situazioni che
portassero pubblico, giovani , in
orario diverso da quello degli
spettacoli e che comunicassero
l'idea che il teatro è un luogo
aperto, accogliente, che il foyer
può diventare sala mostre, teatro nel teatro, spazio per conferenze, dibattiti, concerti.
Dall'esposizione alla perfor-
mance, dal concerto al dibattito, dalla sfilata di abiti surreali
all'installazione, è stato sperimentato quasi tutto, sfruttando
lo spazio interno e a volte anche
quello esterno al teatro.
Quest'anno, un anno particolare per la città, una nuova fase
della riflessione impostata
circa quattro anni fa ha avuto
esito in un progetto rinnovato,
centrato sulla produzione video
dei giovani creativi della Li-
to dell’Accademia di Belle Arti, prevede la partecipazione dei
giovani artisti genovesi e liguri in uno spazio operativo che
investe anche l’esterno della Corte. Mentre si prepara il car-
guria. Il progetto avrà sede
naturalmente nel foyer del teatro e sarà coordinato dal professore Cesare Viel, artista e docente dell'Accademia, il quale si
servirà di uno strumento fondamentale, ancora sottoutilizzato: la Banca dati dei giovani
artisti, messa a punto già da
alcuni anni dal Centro della
creatività. Si pensa ad una
tipologia di video che documenti la performance o rappresenti
un'azione, così come, negli anni
scorsi performance ed happening sono state le forme espressive sperimentate nel foyer
dagli studenti dell'Accademia.
Infatti “l'azione “, la “simulazione”, “il comportamento” ci sembrano temi interessanti da proporre in uno spazio come quello
del teatro, quasi a immaginare
un territorio di confine tra le
arti visive e quelle dello spettacolo, che attinga ad una molteplicità di mezzi e di possibilità
linguistiche. La rassegna, che
prevede un coinvolgimento
attivo del pubblico, si svolgerà
da marzo a maggio 2004 e si
intitolerà Surface, superficie:
la superficie delle immagini che
percepiamo, la superficie dei
monitor che saranno collocati
nel foyer, la superficie della facciata dell'edificio del teatro che
può essere pensata come uno
schermo per proiezione...
Emilia Marasco
direttrice dei corsi della
Accademia Ligustica di Belle Arti
«TEATRO DA VEDERE» AL LUMIÈRE
ciclo organizzato in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova
Da alcuni anni nell’opuscolo riservato al mondo della
scuola e da questa stagione anche nella guida ufficiale, il
Teatro Stabile di Genova ha introdotto una rubrica che
suggerisce film da vedere, libri da leggere e dischi da
ascoltare “per saperne di più” sui testi e sugli spettacoli
in cartellone. Suggerimenti sovente soggettivi e anche un
po’ bizzarri nei loro accostamenti, che hanno però ottenuto un alto indice di gradimento del pubblico, convincendo
C a l e n d a r i o
il cineclub Lumière di Genova (Via San Vitale 2) a prenderli alla lettera e a organizzare una rassegna dei film
suggeriti, invitando quando possibile alla loro proiezione
i registi e gli interpreti dei singoli allestimenti teatrali.
Inaugurata a ottobre, l’iniziativa prosegue anche nel
2004 proponendo una ciclo composto di titoli molto
stimolanti al quale gli abbonati dello Stabile potranno
accedere acquistando un biglietto a prezzo ridotto.
d e l l e
p r o i e z i o n i
Giovedì 15 Gennaio
L’ANNO SCORSO A MARIENBAD (Francia / 1961 / 100’)
regia Alain Resnais
In occasione di Il tempo e la stanza Duse 13 / 18 gennaio
Giovedì 19 Febbraio
MOLTO RUMORE PER NULLA (GB / 1993 / 111’)
regia Kenneth Branagh
In occasione di Molto rumore per nulla Duse 10 / 22 febbraio
Giovedì 22 Gennaio
LA CORAZZATA POTEMKIN (U.R.S.S. / 1926 / 62’)
regia Sergej Ejzenstein
In occasione di Kornarmija, L’armata a cavallo Corte 20 / 25 gennaio
Giovedì 26 Febbraio
IL FANTASMA DELLA LIBERTA’ (Francia - Italia / 1974 / 104’)
regia Luis Buñuel
In occasione di Morte accidentale di un anarchico Duse 24 / 29 febbraio
Martedì 3 Febbraio
EVA CONTRO EVA (U.S.A. / 1950 / 115’)
regia Joseph Mankiewicz
In occasione di Questa sera si recita a soggetto
Giovedì 4 Marzo
GRAND HOTEL (U.S.A. / 1932 / 112’)
regia Edmond Goulding
In occasione di Camere da letto Duse 2 / 14 marzo
Corte 4 / 8 febbraio
tellone dei concerti del Conservatorio, continuano le interviste ai protagonisti della scena, a cura del Buonavoglia.
Nuovi appuntamenti con gli incontri Teatro e Università.
H E L L Z A P O P P I N
Giovedì 8 gennaio - ore 17.00
Teatro che passione!
conversazione con Laura Marinoni
interprete di L’opera da tre soldi alla Corte
in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia
Mercoledì 21 gennaio - ore 17.30
Intorno a Molto rumore per nulla
di William Shakespeare
relatori Massimo Bacigalupo e Franco Rossi
in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova
Mercoledì 28 gennaio - ore 17.30
Galilei e il suo tempo
conversazione del prof. Enrico Bellone dell’Università di Milano
in occasione dell’esercitazione Vita di Galileo di Brecht al Duse
Mercoledì 11 febbraio - ore 17.30
Recital
degli Allievi del primo anno del Corso di Qualificazione
della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova
a cura di Massimo Mesciulam
Venerdì 20 febbraio - ore 17.30
Alchimia del verso: Uccidiamo il chiaro di luna
1909 - 2004: 95 anni di Futurismo (musiche, poesie, performances)
in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo
Mercoledì 25 febbraio - ore 16.00
Intorno a Elena
di Euripide
relatori Flavio Baroncelli e Margherita Rubino
in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova
Giovedì 26 febbraio - 17.30
Teatro che passione!
conversazione con Eugenio Allegri
interprete di Morte accidentale di un anarchico al Duse
in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia
Venerdì 12 marzo - 17.30
Alchimia del verso: Alchimie Aritmie
Reading elettronico con nuovi autori italiani
in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo
Mercoledì 17 marzo - ore 17.30
Intorno a Il tenente di Inishmore
di Martin McDonagh
relatori Eugenio Buonaccorsi e Massimo Bacigalupo
in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova
Giovedì 18 marzo - 17.30
Teatro che passione!
conversazione con Giulio Bosetti
interprete di La scuola delle mogli al Duse
in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia
INGRESSO LIBERO
Lunedì 8 Marzo
MANCIA COMPETENTE v.o.s. (USA / 1932 / 83’)
regia Ernst Lubitsch
In occasione di Elena Corte 25 febbraio / 14 marzo
Giovedì 5 Febbraio
NO MAN’S LAND (Bosnia / 2001 / 106’)
regia Danis Tanovic
In occasione di No Man’s Land Duse 3 / 8 febbraio
Interverranno il regista Marco Sciaccaluga e alcuni attori della Compagnia
Giovedì 12 Febbraio
UN’ALTRA DONNA (U.S.A. / 1988 / 84’)
regia Woody Allen
In occasione di Non ti conosco più Corte 10 / 15 febbraio
Giovedì 12 Marzo
TRISTANA (Francia-Italia-Spagna / 1970 / 85’)
regia Luis Buñuel
In occasione di La scuola delle mogli Duse16 / 28 marzo
numero quattordici • gennaio / marzo duemilaquattro
Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova.
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Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia
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LA NUOVA REFLEX DIGITALE
gennaio / marzo 2004
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I mestieri del teatro: incontro con Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto, direttori di scena dello Stabile di Genova
Strateghi della penombra
Continua il nostro viaggio alla scoperta dei mestieri del teatro,
cioè di quelle attività “misteriose” che si svolgono dietro le
quinte, lontano dagli occhi indiscreti del pubblico, ma senza le
quali l’allestimento di uno spettacolo sarebbe impossibile o,
quanto meno, estremamente difficile. Questa volta protagonisti di
u n ’ i n t e r v i s t a a d u e v o c i s o n o i d i r e t t o r i d i s c e n a d e l Te a t r o
Stabile di Genova, Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto, attualÈ il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene e nessuno
meglio di lui conosce segreti,
trucchi, retroscena e artifici
di uno spettacolo teatrale. È
il direttore di scena, figura
tanto importante per l’allestimento e il successo di uno
spettacolo, quanto sconosciuta al grande pubblico. Un
ruolo complesso e delicato il
suo, che richiede una particolare miscela di capacità professionali e qualità umane,
come spiegano i due giovani
direttori di scena del Teatro
Stabile di Genova, Bruno
Brighetti e Fabrizio Montalto, formatisi entrambi alla
“scuola” di Giovanni Battista
(Bacci) Garbuggino, attuale
direttore di palcoscenico dello
Stabile. «Bacci mi ha tracciato la via, mi ha insegnato
tutto quello che riguarda il
mio lavoro - racconta Montalto - sia norme di comportamento che tanti segreti e
trucchi del mestiere, e con lui
si è instaurato poi un rapporto anche umano, che va al di
là del lavoro». Anche Brighetti ha mosso i primi passi
da direttore di scena sotto la
guida di Bacci, e sia lui che
Montalto sono “approdati” a
questo mestiere, circa dieci
anni fa Montalto e quattro
anni fa Brighetti, dopo aver
iniziato a lavorare allo Stabile in altri settori tecnici,
rispettivamente come attrezzista e come macchinista. «Il
mente severi quando si sono
verificati problemi sul palcoscenico. «Fino ad oggi mi sono
limitato a provvedimenti disciplinari “all’acqua di rosa”»
spiega Montalto. «Io ho fatto
un richiamo verbale per un
ritardo di 35 minuti - racconta Brighetti - So che Bacci,
invece, una o due volte si è
addirittura automultato per
qualche errore che riteneva
di avere commesso».
Per poter avere questo ruolo
di coordinamento, il direttore
di scena deve, quindi, partecipare a tutta la “costruzione”
di uno spettacolo: dalle prove
a tavolino, quando il testo
viene solamente letto, all’allestimento («che è la parte
più divertente» dicono entrambi), alle prove in scena,
fino all’ultima replica. «Il direttore di scena è il primo ad
arrivare e l’ultimo ad andare
via: deve essere sempre sul
palcoscenico, sia alle prove
che durante le repliche» concordano. «Quando incomincia
l’allestimento - spiega Montalto - deve preoccuparsi degli oggetti da utilizzare e di
organizzare lo spazio, poi inizia la costruzione dello spettacolo e se c’è già la scena si
comincia a lavorare su quella. Regista e scenografo si
confrontano con me e poi io
distribuisco il lavoro ai diversi settori tecnici. Se poi il
regista partecipa anche al
montaggio delle scene ne di-
Fabrizio Montalto con il regista e scenografo Matthias Langhoff
direttore di scena coordina
tutta la parte tecnica di uno
spettacolo» spiega Brighetti.
«È responsabile di tutto quello che accade sul palcoscenico, fatta eccezione per la
parte artistica - aggiunge
Montalto - È responsabile del
montaggio di una scena, dei
cambi di scena, delle soluzioni tecniche adottate, della
disciplina, anche nei confronti degli attori. Se, per esempio, un attore arriva in ritardo alle prove il direttore di
scena può assumere dei provvedimenti disciplinari nei
suoi confronti e lo può anche
multare». Nessuno di loro,
però, ha mai adottato, finora,
provvedimenti particolargennaio / marzo 2004
scutiamo assieme. Nella
maggior parte dei casi, però,
il regista non viene e, quindi,
le decisioni spettano a me. Io
devo sapere tutto, il direttore
di scena dev’essere informato
di tutto e deve essere sempre
presente in palcoscenico». «In
tournée - spiega Brighetti - io
devo arrivare nelle città
prima degli altri per seguire
lo scarico dei materiali di
scena, e me ne vado solo
quando tutti i camion, ricaricati, sono chiusi. Quando si
arriva in un nuovo teatro è il
direttore di scena che, dopo
aver visto il palcoscenico,
decide come montare la scena
in quello spazio». Per
Montalto è importante
mente impegnati in tournée con due spettacoli dello Stabile:
rispettivamente Il cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht,
con la regia di Benno Besson, e Madre Courage e i suoi figli
ancora di Brecht, con la regia di Marco Sciaccaluga. Brighetti
sarà poi impegnato con Candido da Voltaire, con la regia di
Andrea Liberovici, mentre per Montalto il prossimo impegno sarà
Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh, regista Sciaccaluga.
Il direttore di scena
Nel teatro di prosa italiano, è oggi colui che presiede e
coordina i servizi tecnici inerenti l’allestimento di uno
spettacolo e il buon andamento della sua rappresentazione. Nella fase di preparazione e durante le prove
dello spettacolo, il suo lavoro si svolge in stretto rapporto con il regista, con lo scenografo e con il responsabile
della produzione; durante le repliche e in tournée, il
direttore di scena assume sovente anche la responsabilità generale dello spettacolo, non solo garantendone il
buon funzionamento tecnico, ma anche sorvegliando
sulla puntualità degli attori e, in coordinamento con il
direttore di compagnia, vigilando sul rispetto di quanto
è stato stabilito dal regista. A questo proposito, la produzione gli può affidare anche l’incarico di fare richiami e di comminare multe. Il direttore di scena è presente, praticamente con lo stesso ruolo, nel teatro iberico e
sudamericano, organizzati sul modello italiano; mentre
non ha un preciso equivalente nel teatro francese o tedesco o inglese, dove le sue funzioni sono diversamente
distribuite e il responsabile dell’organizzazione materiale dello spettacolo viene denominato régisseur (in
Francia), director (in Inghilterra), Bühneregisseur o
Spielleitung (in Germania). Prima della nascita del teatro di regia, cioè sino alle soglie del secolo XX, il direttore di scena era colui che aveva la piena responsabilità
dello spettacolo e s’identificava sovente con il capocomico. Solo dopo che si ebbe coscienza della necessità di un
pieno controllo dei vari mezzi artistici del teatro, la
responsabilità del direttore di scena venne divisa in
due: da una parte il regista (sovente denominato ancora
direttore di scena) e dall’altra il direttore di scena nel
significato attuale di responsabile tecnico della scena.
«durante le prove, anche a tavolino, ascoltare molto.
Ascoltare il regista, l’idea che
lui ha dello spettacolo, aiuta
poi nel lavoro. Naturalmente
tutto è più facile e anche più
bello se si crea con il regista
un buon rapporto, di fiducia e
di stima reciproche». Anche
se, a volte, al direttore di scena tocca il non facile compito
di convincere il regista della
impraticabilità tecnica di
alcune sue idee. «Bisogna
sempre essere in grado di dimostrare che una cosa tecnicamente si può o non si può
fare - sottolinea Brighetti - Il
regista, in fase di allestimento, ha tutto il diritto di cambiare idea, anche se questo
provoca degli spostamenti di
scena. Negli ultimi tempi,
però, siccome bisogna contenere le spese per questioni di
bilancio, spesso i problemi si
risolvono da soli, perché si è
obbligati a rinunciare a soluzioni troppo costose».
L’esperienza, tuttavia, ha insegnato a Montalto che «non
è mia competenza giudicare
le scelte dell’artista. Ricordo
che quando stavamo preparando l’allestimento del Tito
Andronico, a Roma, io lavoravo come attrezzista e dovevamo cercare delle catene che
servivano per lo spettacolo.
Andammo da un fabbro, che
ci fece vedere varie maglie di
catena, ma la nostra scenografa aveva disegnato delle
maglie particolari, che non si
trovavano, e il fabbro dovette
farcele una per una. A me
allora sembrò una cosa assurda ma, con il passare del
tempo, ho capito che non è
così, che l’artista, se è davvero tale, ha sempre delle ragioni, che non sta a me giudicare». Tocca, però, al direttore di scena conciliare creatività artistica ed esigenze tecniche, traducendole in soluzioni concrete che diano forma allo spettacolo. «Il direttore di scena deve avere almeno un po’ di competenza in
tutti i settori tecnici della
macchina teatrale - spiega
Brighetti - Adesso servono
anche, sempre di più, competenze tecnologiche, e bisogna
saper stare sul palcoscenico:
quando si arriva in una città
devi guardare il palco e capire da dove iniziare. E poi
bisognerebbe avere un carattere forte. A me a volte rimproverano di non essere
abbastanza severo ma io preferisco instaurare i rapporti
con le persone su altre basi.
Comunque quando si è in
tournée non è facile, perché,
soprattutto se si tratta di
tournée molto faticose, i tecnici iniziano ad essere stanchi e scontenti e il direttore di
scena deve cercare di fare,
nello stesso tempo, gli interessi dei tecnici e quelli della
produzione». «Un direttore di
scena deve avere una visione
completa dello spettacolo, che
è un mix di arte e di tecnica,
e poi deve avere soprattutto
molta pazienza - sottolinea
Montalto - In certi casi bisogna anche saper distinguere
fra il rapporto di amicizia che
si ha con alcune persone e il
rapporto professionale e, se si
deve fare un appunto a qualcuno, bisogna farlo comunque, cercando di non ferire
nessuno». «Io adesso mi trovo
molto bene con la compagnia
del Cerchio di gesso del Caucaso ma bisognerebbe che ci
fossero sempre rapporti professionali con gli attori, perché altrimenti il lavoro può
Bruno Brighetti
diventare più difficile» osserva Brighetti. «Questo è un
lavoro che ti allontana dal
quotidiano e devi riuscire a
mantenere un equilibrio, cosa non facile - continua Montalto - Serve anche molta capacità di autocritica: non
bisogna essere presuntuosi,
perché in questo mondo ce
ne sono già tanti. Per me,
comunque, i rapporti con gli
attori sono più complessi:
con il regista lavori alla
costruzione dello spettacolo
e se c’è fiducia i problemi si
superano. Con gli attori,
invece, serve molta pazienza, perché devi far fronte
alle loro debolezze».
Fra le tante esperienze di
lavoro fatte finora, Montalto
ricorda quella del Filottete
della scorsa stagione, con il
regista Matthias Langhoff:
«È uno spettacolo che mi ha
dato particolare soddisfazione perché è stato un lavoro di
equipe totale, davvero a 360
gradi, e lavorare con Langhoff è stato molto stimolante
- spiega - Lo spettacolo per
me più faticoso, anche se non
da direttore di scena, è stato,
invece, il Tito Andronico, ma
è stato anche quello che mi
ha fatto fare un salto di qualità, in positivo, dal punto di
vista professionale».
Brighetti, invece, da direttore
di scena ha lavorato soprattutto con il regista Benno
Besson, prima in L’amore
delle tre melarance e poi nel
Cerchio di gesso: «Con Besson
mi trovo benissimo, mi piace
il suo modo di lavorare - racconta - Un’esperienza negativa è stata, invece, per me,
quella con Alfredo Arias, in Il
Frigo e La donna seduta: ho
avuto seri problemi di rapporti con il regista e primo
attore e non credo per colpa
mia». Ma, dopo tante fatiche
dietro le quinte, viene qualche volta la voglia di essere
riconosciuti e applauditi da
un pubblico che, invece, solitamente ignora del tutto questo lavoro? «No. Io so che
qualcuno sa che ci sono: mi
basta questo, va benissimo
così - afferma senza esitazione Brighetti - Il bello di questo lavoro è il fatto di poter
essere a contatto con persone
interessanti e anche di sapere che ogni tre-quattro mesi
cambia tutto, si comincia una
nuova esperienza».
«Il riconoscimento del pubblico non mi ha mai interessato,
io sono contento di aver fatto
tutte le esperienze che ho
fatto», concorda Montalto.
«Per me è molto importante
quando, per esempio, un regista mi ringrazia per il mio
lavoro, come è accaduto recentemente con Marco Sciaccaluga per Madre Courage e i
suoi figli, non m’importa del
pubblico. Credo, d’altra parte, che la scelta di lavorare
dietro le quinte corrisponda a
una forma mentale, ad un
modo di essere delle persone,
che non si cambia».
Annamaria Coluccia
“Bacci” Garbuggino al lavoro