Spedizione in A.P. - 45% - Art.2 comma 20/b legge 662/96. Filiale di Genova TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 1 soci fondatori COMUNE DI GENOVA PROVINCIA DI GENOVA REGIONE LIGURIA socio sostenitore gennaio/marzo duemilaquattro numero quattordici partner della stagione Elena Vita di Galileo Galilei Esercitazione al Duse Saggio di Giunio Luzzatto pagina 5 pagine 2, 3, 4 IL 2004 DELLO STABILE Le Grandi Parole I mestieri del teatro pagina 8 Saggi di Rubino e Baroncelli Una nota di De Crescenzo Intervento di Barone Intervista con Sciaccaluga DI GENOVA: LUNGO VIAGGIO NELLA Hellzapoppin nel Foyer Incontri e conferenze Il direttore di scena Intervista a Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto pagina 11 pagina 12 CULTURA TEATRALE DI UN CONTINENTE RACCONTARE L’EUROPAIN SCENA Quel rito civile di alzare il sipario Dal 25 febbraio“Elena” di Euripide con Pagni e la Loliée Da Totò a Omero CARLO REPETTI LUCIANO DE CRESCENZO L’atteso 2004, anno in cui Genova è Capitale Europea della Cultura, è iniziato, ed è iniziato sicuramente nella maniera migliore. All’insegna del teatro, innanzitutto, con lo spettacolo della Fura dels Baus visto, la notte del 31 dicembre, dalle decine di migliaia di persone che riempivano all’inverosimile ogni spazio del Porto Antico. Ed è continuato, dopo l’importantissimo Convegno su Bambini e Mediterraneo organizzato dalla Fondazione Gaslini, con gli esiti fortunatissimi delle Nozze di Figaro al Carlo Felice e de L’opera da tre soldi al Teatro della Corte. Dunque in questo 2004 Genova si muove in maniera intelligente, valorizzando al meglio quello che è un suo punto di forza straordinario da più di mezzo secolo: essere uno dei centri più apprezzati di vita e cultura teatrale d’ Europa. Su questo punto esprime il suo pensiero l’Amministratore Delegato di “Genova 2004” Enrico Da Molo a pagina 6 del nostro giornale. Di questa “Genova Capitale della Cultura” anche noi del Teatro Stabile ci sentiamo protagonisti, impegnati come siamo da ormai 53 anni a presentare al meglio in Italia e all’estero un esempio vitale di quella cultura che la nostra città, la città di Paganini e di Montale, di Sanguineti e di Piano, di De Andrè e di Govi, di Sbarbaro, di Gassman, ha saputo e sa elaborare. Partendo da questo retroterra il nostro contributo al 2004 sarà corposo, organico e, speriamo, convincente per il pubblico. Proponiamo infatti un viaggio nel tempo e nello spazio attraverso la storia teatrale del continente europeo, di quell’affascinante bacino di culture che per la prima volta nella sua storia, e con non poca fatica, cerca anche di diventare un insieme coeso di nazioni. Il nostro viaggio è composto da più di 30 spettacoli di cui 10 di nostra produzione e più di 20 ospitati. Si va temporalmente dal 400 a.c. di Euripide ad autori nostri contemporanei quali l’irlandese McDonagh Quante Elene sono esistite? Io direi moltissime. Forse ne è esistita una per ognuno di noi, nel senso che tutti, prima o poi, abbiamo conosciuto un’Elena che ci ha fatto soffrire. Nei classici greci, invece, ne abbiamo incontrate più di una: in particolare quella di Omero, quella di Erodoto, quella di Euripide e perfino quella di Gorgia, l’unica, forse, a essere innocente. Il suo mito è fin troppo noto per doverlo raccontare di nuovo. Detto, però, in due parole, parla della prima elezione di Miss Mondo. Il pastore Paride, convocato dalla Dea Discordia, è invitato a donare un pomo d’oro a quella che lui ritiene essere la Dea più bella dell’Olimpo, e Paride, tra Minerva, Giunone e Venere non ha alcun dubbio: sceglie quest’ultima. Ognuna delle pretendenti gli ha promesso qualcosa: Minerva gli ha promesso la saggezza, Giunone il potere, e Venere l’amore. Tutto è relativo: fosse accaduto oggi, Rubbia avrebbe scelto Minerva e Berlusconi Giunone. Paride, invece, posto di fronte al trio, premia Venere e riceve in cambio la donna più bella del mondo, per l’esattezza Elena, la regina di Sparta. (segue a pag. 7) Frédérique Loliée e Eros Pagni in una scena di Elena (foto di Fulvio Impiumi e Vito Tullio Galofaro) Seconda produzione stagionale del Teatro Stabile di Genova, qui in collaborazione con il Teatro di Catania, Elena di Euripide è stata presentata nello scorso settembre in anteprima nazionale al Teatro Olimpico di Vicenza e ora trova un rinnovato assetto spettacolare nell’inedita struttura spaziale del Teatro della Corte (vedi nota qui sotto e a pagina 4). Palcoscenico perfetto per la messa in scena di un testo classico che, per la regia di Marco Sciaccaluga e con Eros Pagni e Frédérique Loliée impegnati nei ruoli principali, riserverà non poche sorprese agli spettatori. Più che una tragedia, infatti, Elena è una favola a lieto fine che riflette sul rap- porto fra verità e apparenza, reale e virtuale, sacro e profano, attraverso un’articolazione narrativa che, nell’esaltare gli aspetti comici e grotteschi della vicenda, non rinuncia mai ad alzare il tono per diventare tra l’altro il civile e “femminista” grido di protesta del “pacifista” Euripide contro l'insensatezza della guerra. (segue a pag. 4) TRAGEDIA FANTASTICA O COMMEDIA D’INTRIGO? Tradurre per la scena una tragedia greca è impresa impegnativa e affascinante al tempo stesso. Ma se questa tragedia è l’Elena di Euripide difficoltà e fascino si moltiplicano in maniera esponenziale. Scritta dall’autore allo scorcio della sua carriera poetica, nel 412 a.c., l’opera sfugge, insieme ad altre dello stesso periodo - Ione, Ifigenia in Tauride, Oreste - a una classificazione univoca. La gamma dei giudizi, disparati e contrastanti, formulata dagli studiosi, è vastissima. Si va dalla definizione di tragedia a quella di commedia, passando attraverso una serie di sottili sfumature: “tragedia fantastica, melodramma, tragicommedia, racconto romanzesco, commedia, commedia d’intrigo”. Caterina Barone (segue a pag. 3) LE GRANDI PAROLE nona edizione Viaggio e viaggiatori Cinque serate al Teatro della Corte Per Elena, il Teatro della Corte cambia aspetto. Sul palcoscenico verrà montata la struttura ad anfiteatro già utilizzata nelle scorse stagioni, ma, a integrazione di quanto già accadeva, il luogo della rappresentazione sarà prolungato in avanti sulla parte centrale della platea in modo da creare uno spazio scenico circondato dagli spettatori, in uno stretto rapporto con gli attori e con l’azione drammatica. La disponibilità complessiva sarà così di circa 800 posti. dal 1° marzo al 13 aprile servizio a pagina 8 Teatro Duse dal 27 gennaio ESERCITAZIONE SU «GALILEO» Un classico del teatro del Novecento che parla dei rapporti tra Scienza e Religione, Ragione e Fede, Dubbio e Libertà di pensiero. Vita di Galileo Galilei di Bertolt Brecht va in scena al Duse dal 27 al 31 gennaio (spettacolo alle ore 11 e alle ore 20.30) per la regia e l’interpretazione di Massimo Mesciulam e Alberto Giusta, con gli allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione dello Stabile. (segue a pag. 5) TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 2 2 Elena al Teatro della Corte Erodoto parla di Elena e afferma che andò in Egitto e che il fatto è testimoniato anche da Omero: questi nell’Odissea rappresenta Elena che offre a Telemaco un filtro capace di far dimenticare gli affanni; lo aveva avuto in dono da Polidamna, sposa di Toone; ma non come narra Euripide. Erodoto e Omero raccontano, infatti, che ella andò errando con Menelao dopo la distruzione di Ilio e giunse in Egitto, dove ebbe i filtri. Euripide, invece, racconta che la vera Elena non si recò affatto a Troia, ma vi andò una sua immagine. Ermes, infatti, la rapì per volere di Era e la affidò in custodia a Proteo, re dell’Egitto. Alla sua morte il figlio Teoclimeno voleva sposarla, ma ella si rifugiò supplice presso il sepolcro di Proteo. Qui le apparve Menelao, che aveva perso le sue navi in mare e i pochi compagni superstiti li aveva lasciati in un antro. Elena e Menelao si consultano e, tramato un inganno, raggirano Teoclimeno: imbarcatisi su una nave, fingendo di voler rendere gli onori funebri a Menelao, come se fosse morto in mare, giungono sani e salvi in patria. Elena, una “quasi commedia” Un testo di fresca e brillante inventiva che rinnova il gioco del teatro In teatro, oggi, le definizioni sono azzerate. Per lo più, gli spettatori non saprebbero dire se quella a cui hanno assistito era una tragedia o una commedia; vengono allestiti brillantemente drammi ambigui oppure compositi, si crea una scena nuova riscoprendo un Goldoni noir, o alleviando perfino Seneca. Questa tendenza, che è della scrittura e della regia del XX secolo, chissà perché, non si applica ai cosiddetti “classici”. Meno che mai si applica ai Greci, verso i quali permangono residui di manicheismo inquietante. Lisistrata del “comico” Aristofane è stata invece scelta da Dario Fo per dire il dramma di ogni guerra. Mentre Euripide tragico inventò (tra l’altro) i meccanismi e i modi della commedia. Elementi comici stanno, in Euripide, anche in alcune tra le prime tragedie a noi note, prodotte intorno all’epoca di Ippolito (428 a.c.): si veda il doloroso dramma dei profughi Eraclidi, dove vi è una umoristica descrizione di una scena di vestizione delle armi. Un comico livido pervade a tratti perfino Baccanti, (405 a.c.), l’ultima, dolorosa tragedia che Ingmar Bergman scelse nel 1996 per il proprio addio di fine carriera: la scena dei vecchi che baccheggiano e quella di Penteo che si veste da donna hanno tratti grotteschi, ambigui e farseschi. Per una vita Euripide meditò e rimeditò sulle possibilità offerte dal gioco teatrale; addensando drammi folgoranti e irreversibili attorno a un’unica protagonista, come Medea, oppure attorno a una folla dolente, come Troiane. Verso fine carriera, nel 412 a.c., mandò in scena Elena, ove il dio Ermes, citato a metà prologo!, già promette il lieto fine. Non che una happy end sia segno di commedia: per i Greci era il contesto (mito e storia rivisitati) e poi la condizione alta dei protagonisti (dèi ed eroi) a garantire il clima tragico. Sta di fatto che con Elena, nell’ambito di uno smantellamento costante di miti e archetipi della tragedia e di un ampliamento geniale di tutti i possibili giochi drammatici, Euripide inventò anche la “quasi-commedia”; ed Elena resta uno dei suoi pezzi di più fresca e brillante inventiva. Si veda solo l’intreccio: su uno sfondo misterioso ed esotico, in Egitto, Elena lamenta di essere stata trasportata là dagli dèi, che al rapitore Paride hanno consegnato un suo doppio, un miraggio che ha scatenato la guerra di Troia. Tutti la credono una traditrice, causa di gennaio / marzo 2004 infiniti lutti e morti, mentre Elena si è conservata casta, fedele a Menelao. Da un naufrago Elena apprende poi la morte dei suoi familiari e l’odio della Grecia intera verso di lei; dal marito Menelao, fortuitamente approdato in Egitto di ritorno da Troia, sa che il suo “doppio” funziona da diciassette anni contro di lei. Un soldato racconta che quel fantasma si è dissolto, Menelao ed Elena sono ormai insieme, ma prigionieri. Il nuovo re di Egitto, infatti, vuole Elena a tutti i costi. La seconda parte del dramma verte sulla beffa che i due sposi neo-ri-congiunti giocano al re, con l’aiuto della sorella di lui, Teonoe: Elena finge di voler celebrare in alto mare le esequie del marito morto e il re, ignorando l’identità di Menelao, le concede una nave; con quella i due, aiutati dagli altri Greci, salpano secondo il classico schema del “ratto dal serraglio”, vale a dire un intrigo-burla seguito da una fuga per mare a lieto fine. Si succedono incalzanti elementi inaspettati, romanzeschi, parodici, umoristici, avventurosi: meglio godibili, è ovvio, su scena. Questa “tragedia” (ma la proposta del termine commedia risale già al filologo Albert Maniet e agli anni della Seconda Guerra Mondiale) va letta e allestita pigiando sul pedale del riso. Andrebbe altrimenti perduta la sua natura edonistica, la serie di invenzioni destinate, in teatro, a fortune senza fine, e senza confine di generi: nasce in Elena la commedia degli equivoci e dei paradossi (Elena è lei gelosa di Me- tesicoro (VII-VI sec. a.c.), poeta di cui non ci è rimasto quasi nulla, scrisse un poema su Elena contenente, tra l’altro, le solite critiche alle qualità morali della spartana. Divenne cieco, proprio come Omero. Ma Stesicoro, al contrario di Omero, capì l’antifona. Subito compose un nuovo carme (la Palinodia) in cui chiedeva scusa, e dichiarava che a Troia non c’era andata Elena, bensì il suo fantasma. La versione del fantasma ebbe un buon successo, e non è affatto facile capire perché. Certo, Elena era semi-divina: come Clitennestra, Castore e Polluce, era nata da un uovo partorito da Leda, moglie del re di Sparta, e amante di uno Zeus “formato cigno”. Che potessero esserci punizioni divine per chi parlava male di un’ava tanto altolocata era, dunque, abbastanza credibile. Ma perché i Greci, così abituati ad attribuire ai loro dèi ed eroi vizietti di tutti i tipi, avrebbero dovuto preoccuparsi proprio di Elena, arrivando ad accettare una storia che azzerava il già futile pretesto della guerra di Troia? Non sembra molto convincente la spiegazione secondo la quale la fierezza greca non sopportava che nel bel mezzo dell’epopea nazionale ci fosse un’antenata troppo sgualdrina. Erodoto, per esempio, si serviva del racconto alternativo proprio per compatire i Troiani. Portava a favore della versione “Elena moglie fedele” la memoria storica dei sacerdoti egizi da lui intervistati. Le navi di Paride erano state sbattute sulle rive dell’Egitto, e il re Proteo, scandalizzato dal comportamento del Troiano, aveva liberato Elena, preso in consegna il tesoro di Menelao, e cacciato Paride. A questo punto, i Troiani erano completamente discolpati perché, di fronte agli Achei che reclamavano la restituzione della donna e del tesoro, non avendo in casa né l’una né l’altro, si trovavano nella classica situazione irachena: ti chiedono di consegnare una cosa che non hai, e dimostrare che non hai una cosa è quasi sempre impossibile. Erodoto, che era una persona seria, si preoccupò anche di spiegare che Omero, il quale sapeva la verità, aveva inventato il viaggio di Elena a Troia per ragioni artistiche. Paradossalmente, è proprio rovesciando le presunte ragioni artistiche di Omero che possiamo trovare una sia pur debole spiegazione del successo di una Elena la quale, senza colpe, aspetta per decenni Menelao in Egitto. In breve: per il gusto greco il buon personaggio da tragedia può anche avere delle colpe personali, ma diventa più interessante se gli dèi lo bersagliano di disgrazie e lo inducono a comportamenti sciagurati del tutto sproporzionati rispetto alla sua volontà. S nelao), il duetto di riconoscimento e la sua soluzione lirico-musicale, la serie di colpi di scena a mitraglia, l’intreccio complicatissimo, lo schema drammaturgico ove il pretendente A (Menelao) vuole riprendersi la splendida B (Elena) ostacolato da C (il Re) e aiutato da D (la sorella del Re); e ancora la beffa architettata da donna (v.1049), il vortice di travestimenti, i lunghi dialoghi a doppio senso… Si tratta solo di alcune delle novità drammaturgiche che fanno di Elena la sorgente viva di tanta commedia europea: valga per tutte la scespiriana Tutto è bene quel che finisce bene, dove la natura ambigua del pezzo richiama Elena quanto la battuta detta dalla protagonista (omonima della nostra) in finale : «…è solo l’ombra di una sposa, questa che voi vedete, il nome e non la cosa» ( V, 3). Più facile rilevare il nucleo intimamente ed effettivamente tragico dell’opera: il problema dell’identità, prima di tutto. Elena soffre di una fama che non è la sua, ha un doppio che agisce per lei e che lei naturalmente non incontra mai (come annotò Umberto Albini, scatterebbe in quel caso la farsa). Poi il problema della vanità della guerra (Greci e Troiani si sono scannati per una spoglia vuota, un fantasma), quello della sopravvivenza fisica, il contrasto tra apparenza e realtà. Tra gli altri, si ispirano a Elena di Euripide alcuni magnifici versi di un poemetto di Giorgio Seferis, nei quali alla fine viene colta la doppia natura, fiabesca e malinconica, dell’opera: «…sono approdato solo, con questa bella favola / se è vero che è una favola, se è vero che l’uomo più non troverà / l’inganno antico degli dei; se è vero /che, a gran distanza d’anni, un altro… non abbia questa sorte nel suo fato: / di sentire arrivare messaggeri / con la nuova che tanto travaglio, tante vite / sono finite nel baratro / per una spoglia vuota, per un’Elena». Margherita Rubino In alto: Eros Pagni e Mariella Lo Giudice, sullo sfondo Frédérique Loliée. Qui sopra: Pietro Montandon e Frédérique Loliée Stranamente, come riabilitatori di Elena, Stesicoro, Erodoto e gli altri protagonisti della diffusione del contro-mito di Elena/Penelope sono meno noti del sofista Gorgia il quale, in realtà, escogitò un meccanismo di difesa avvocatizio che con la vicenda specifica di Elena non ha alcun legame privilegiato. Funziona così: il comportamento di Elena può avere diverse cause: o la volontà degli dèi, o la violenza altrui, o il convincimento provocato dalle parole, o la forza della passione amorosa. In tutti questi casi, ci sono delle cause che operano “contro” Elena, la quale non è libera di comportarsi diversamente. La cosa, evidentemente, è importante per la storia della difesa giudiziaria, per quella della filosofia e per quella della psicologia, ma non serve a riabilitare Elena più di quanto non potrebbe servire per Medea, o per un bambino che ruba la marmellata. A meno che non interpretiamo quella di Gorgia come una sorta di strategia di interiorizzazione del fantasma di Elena; ma sarebbe una teoria veramente troppo pesante da reggere, anche per il bravissimo sofista siciliano. Il fenomeno più strano di tutti, comunque, è ancora un altro, ed è il fatto che ancor oggi, di fronte a qualsiasi ragionamento su Elena e a qualsiasi sua rappresentazione artistica antica o moderna, sentiamo sempre che qualcosa manca, ed è la cosa più importante, ciò che rende Elena un archetipo. Si tratta, ovviamente, della sua bellezza. Di fronte a qualsiasi statua e a qualsiasi quadro, non ci sfiora neppure l’idea che Elena potesse essere “solo” così. Accettiamo che sia ben riprodotta persino la bellezza di Afrodite, ma quando si tratta di Elena ci sembra di capire che, in fondo, l’artista non ci ha neppure provato. Che senso ha immaginare che Elena abbia gli occhi soltanto azzurri, e non anche, allo stesso tempo, splendidamente neri? Questa Elena era già allora quella di oggi; la sua bellezza ha resistito ad ogni maldicenza e ad ogni moralistica riabilitazione, a decine di riproposizioni romanzesche e drammatiche, con musica e senza musica, con e senza balletto. È sopravvissuta perfino ad un film con una Rossana Podestà particolarmente imbambolata. Tutti, probabilmente fin da epoche pre-omeriche, anche nel momento stesso in cui apprezzano una prestazione artistica sviluppata in nome di Elena, sanno benissimo che la Elena veramente vera è una specie di indistinta fonte di luce e di emozione che si portano nell’animo, e che ha sempre battuto tutti i fantasmi di se stessa. Perfino quello costruitole da Euripide che, tra quelli in cui Elena risulta una santa, è certamente il migliore. QUELLA SANTA DONNA E I SUOI TERRIBILI FANTASMI Flavio Baroncelli TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 3 3 Elena al Teatro della Corte C ONVERSAZIONE CON M ARCO S CIACCALUGA R EGISTA DELLO S PETTACOLO IN S CENA ALLA C ORTE Si dice che nel 412 a.c. il pubblico ateniese abbia accolto la rappresentazione di Elena con sorpresa e sconcerto. Credo anche con molto divertimento, come sempre accade quando un vero autore prende un mito ben radicato nell’immaginario collettivo e lo rovescia provocatoriamente nel suo opposto: se Elena è innocente, la guerra di Troia è stata combattuta inutilmente («Abbiamo sofferto invano per una nuvola?», si domanda il primo messaggero). E poter dire questo in pieno svolgimento della guerra del Peloponneso è testimonianza non solo della genialità di Euripide, ma anche di una società assolutamente straordinaria quale quella ateniese. Elena inizia come una tragedia e solo lentamente si apre poi verso tonalità da commedia, con qualche concessione anche a modalità farsesche. Sul teatro greco persistono molti pregiudizi, in base ai quali non ci sarebbe nulla in mezzo ai due generi principali di cui sono giunte sino a noi le opere: da una parte, l’austerità eticoreligiosa della tragedia e, dall’altra, la farsa popolare di Aristofane. Eppure, testi come Elena o Ione, ma a ben vedere anche certi passaggi di tragedie molto più note (penso, ad esempio, a certi messaggeri quali quelli di Antigone), sono lì a testimoniare - almeno per chi li sa leggere senza idee preconcette - che le cose erano allora molto più complesse. È una vera sciocchezza voler classificare Elena tra le tragedie, ma essa non è neppure una farsa o un dramma satiresco. Il modo più giusto credo sia quello di affrontarla come una commedia, nel senso scespiriano della parola. Come Tutto è bene quel che finisce bene o Racconto d’inverno, Elena è una favola drammatica che diventa una commedia perché finisce bene, ma nel suo sviluppo ha in nuce gennaio / marzo 2004 Tutta la Compagnia all’anteprima di Elena sul palcoscenico del Teatro Olimpico di Vicenza In basso: Sebastiano Tringali e, sullo sfondo, Angelo Tosto tutte le possibilità per portare ad altri sbocchi narrativi, compreso quello della tragedia. Vuoi dire che in Elena è già presente la pratica scespiriana del mescolamento dei toni? In un certo senso sì. Euripide gioca a spiazzare continuamente lo spettatore, mettendolo davanti a una situazione drammatica e facendo poi in modo che, quando lo spettatore inizia a credere di assistere a una tragedia, tutto si rovesci in commedia; ma anche che, quando il pubblico inizia a rilassarsi nella risata, questa debba fare i conti con l’arrivo di una scena fortemente drammatica. Potresti fare un esempio? Il momento più esplicito da questo punto di vista è la lunga, straordinaria scena d’agnizione tra Elena e Menelao. Questa viene dopo alcune scene di solenne e straziata drammaticità esistenziale (la tragica solitudine di Elena, la violenza maschilista di Teucro, la degradazione fisica di Menelao) e si caratterizza quasi subito per una forte valenza comica, che porta lo spettatore nella convinzione di essere stato invitato a ridere dei destini degli uomini; ma subito dopo ecco che arriva quel fantastico coro pacifista («Pazzi tutti, che volete conquistare/la gloria con la guerra…»). È questo continuo, meraviglioso spiazzamento che rende affascinante mettere in scena Elena oggi: un testo che rivela proprio sul palcoscenico tutta la sua enorme ricchezza teatrale e modernità tematica (pacifismo, femminismo, valorizzazione dell’uomo come essere divino). L’unico intervento drastico che hai fatto sul testo è stato quello di eliminare il Coro. Perché? Posto davanti al Coro greco, un regista deve oggi fare inevitabilmente delle scelte che non possono certo essere appiattite sull’astratta filologia. Confesso che è l’imbarazzo nei confronti di questa scelta che sinora mi ha tenuto lontano dal teatro greco classico. In Elena, però, mi è sembrato di individuare proprio nel testo di Euripide, sempre così sperimentale soprattutto nella composizione dei cori, la possibilità di metterli in scena, questi cori, senza fare il Coro. Mi è sembrato evidente che il Coro di Elena fosse un’estensione lirica dei temi emotivi della protagonista e che, pertanto, potesse essere interessante portarlo interamente dentro di lei attraverso un Coro di bambole che, come in un tipico caso di sdoppiamento della personalità, dà voce alle sue angosce, alla sua disperazione, anche alle sue latenti tensioni sadomasochiste. E ciò almeno sino a che il personaggio, liberatosi infine dai sensi di colpa, non ha più bisogno delle bambole e può far proprio il già citato, grande coro pacifista-femminista contro la guerra e l’insensatezza del genere umano. Gran parte della comicità di Elena passa attraverso i due messaggeri, personaggi popolari ai quali Euripide sembra affidare anche la propria visione del mondo. Entrambi i messaggeri sono portatori di una elementare, ma efficace visione del mondo. Il primo esce di scena dicendo: «Testa e buon senso: sono questi gli indovini migliori»; e il secondo gli fa eco: «A diffidare si farà peccato ma è la cosa più utile per l’uomo». Quello che soprattutto li accomuna, comunque, è lo stupore, che a teatro è sovente la via attraverso la quale passa il comico. Stupore nei confronti di quello che hanno visto, della stupidità e della violenza umana. Stupore davanti allo “scandalo” che può essere l’uomo. Lo stesso stupore che mi piacerebbe caratterizzasse lo sguardo degli spettatori su questa nostra Elena. Elena Continuo, meraviglioso spiazzamento a cura di Aldo Viganò TRAGEDIA FANTASTICA O COMMEDIA D’INTRIGO? (segue da pag. 1) Sul piano della struttura drammaturgica l’opera presenta, infatti, una varietà di situazioni, di toni e di registri assai diversi tra loro e tra loro talvolta divaricati al punto da sorprendere lo spettatore e tali da non prestarsi a una traduzione e a un’intonazione uniforme. Sulla drammatica situazione di partenza in cui versa Elena - sposa fedele ingiustamente ritenuta adultera, confinata in Egitto per volontà degli dèi, mentre a Troia inconsapevolmente si combatte per un fantasma - si innestano le venature comico-grottesche, e insieme amare, che accompagnano l’arrivo di Menelao sulla scena. Dopo il riconoscimento tra i due sposi e la sconsolata constatazione della vanità della guerra, Euripide passa al piano speculativo della definizione del rapporto tra il destino degli uomini e il capriccioso volere della divinità con l’introduzione della figura di Teonoe, la sacerdotessa da cui dipende la sorte di Elena e il suo ritorno in patria. La scena fa da spartiacque tra la prima e la seconda parte del dramma che si impernia sull’intrigo e l’avventura con la progettazione del piano di fuga dei protagonisti e la sua attuazione. Il concitato sviluppo della trama è percorso da esilaranti venature comiche nei due successivi confronti tra Teoclimeno, il re pretendente di Elena, e i due coniugi. Dopo il racconto vivace e avvincente fatto dal servo delle convulse fasi della fuga, felicemente riuscita, il finale vede l’intervento dei Dioscuri, scesi dal cielo a placare l’ira del re beffato e a predire un felice destino per i protagonisti. Il miracolistico finale dell’Elena suggella l’ambiguità di fondo del dramma col suo impasto di contenuti variegati, dove al registro tragico e drammatico si intrecciano l’ironia, la comicità, il grottesco, tutti elementi che, fusi insieme, ne fanno una tragedia “anomala”. La figura stessa della protagonista appare difficilmente inquadrabile, personaggio complesso, dalle mille sfaccettature, al cui interno le caratteristiche nuove e quelle canonizzate dalla tradizione si mescolano in un equilibrio continuamente messo in discussione e ridefinito con un sapiente gioco drammaturgico: non ci troviamo di fronte a un’Elena totalmente virtuosa, monolitica nella sua vereconda, inedita perfezione. Euripide ne arricchisce il carattere vivacizzandolo con note di malizia e di sottile equivocità, come nel dialogo con Menelao subito dopo il riconoscimento, quando la Tindaride gli insinua nella mente il dubbio che il re l’abbia violentata, o ancora nella messa in scena approntata ai danni di Teoclimeno, che ella seduce facendogli balenare il miraggio di futuri, prossimi “favori”. Se, dunque, i contenuti non sono quelli di una tragedia in senso stretto, tuttavia forte è la tensione ideologica sottesa all’opera nell’appassionata denuncia della vanità di ogni conflitto che fa da cardine all’opera stessa. Alta risuona la nota di dolore del vecchio soldato, compagno di Menelao, quando osserva incredulo: «Abbiamo sofferto invano per una nuvola?» (v. 707). Anche i vincitori finiscono per conquistare solamente un’ombra e città sventurate come Troia vengono distrutte invano e invano si spengono, impugnando le armi per un fantasma, migliaia di vite umane. Il demone innovativo di Euripide, la sua inquietudine intellettuale danno, dunque, vita nell’Elena a un’opera che per molti versi si presenta complessa e problematica. Perciò, traducendo, abbiamo ritenuto fondamentale mantenere evidente e costante la tensione ideologica che anima il testo, pur nel rispetto dei picchi di oscillazione tonale dal drammatico al comico, dal patetico al grottesco, dall’aulico al colloquiale. Si è cercato di dare voce appropriata alla disperazione, ma anche alla seduzione; alla speculazione filosofica e al racconto d’avventura; all’ansia religiosa e alla tessitura dell’inganno, consapevoli, tuttavia, dell’inattingibilità dell’originale. Caterina Barone TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 4 4 Elena al Teatro della Corte DATOTÒ AOMERO «MORALE DELLA FAV O L A : B A S TA C H I A M A R S I E L E N A PER (segue da pag. 1) Elena però, è già sposata con Menelao, e il fatto che Paride se la sia acchiappata (con le buone o con le cattive non si sa) fa scatenare la prima guerra mondiale. Lo scandalo fu enorme, tanto è vero che se ne parla ancora oggi. Achei e Troiani se le dettero di santa ragione per dieci anni di seguito e tutto finì con l’incendio della città di Troia. Per capirne di più, due gli autori da consultare: Totò e il sofista Gorgia. Totò, nel film Totò all’inferno, incontra la fedigrafa e, quando qualcuno gliela presenta dicendo: «Questa è Elena di Troia», si limita a dire: «Questo nome non mi è nuovo», lasciando a intendere che da un certo tipo di donna non possono che arrivare disgrazie. Il sofista Gorgia da Leontini, invece, esamina il caso con il massimo scrupolo e butta giù il famoso Encomio di Elena. «Per una città, dice, il massimo ornamento sono gli eroi, per una donna è la bellezza, per un’anima la sapienza e per un discorso la verità». Dopodiché afferma che Elena è innocente. E vediamo perché. Quattro sono le ipotesi che fa Gorgia: o era scritto nel Destino che tutto questo doveva accadere, e allora diamo la colpa ad Anankè, la Dea del Destino, o è stata rapita da Paride con la forza, e allora diamo la colpa a Paride, o si è innamorata per- gennaio / marzo 2004 Honoré Daumier, L’enlevement d’Hélène, 1842 ché colpita da una freccia di Eros, e allora diamo la colpa ad Eros, o è stata conquistata dalla Parola, e allora diamo la colpa alla Parola. D’altra parte, commenta Gorgia, che cosa c’è a questo mondo più potente della Parola? Euripide, invece, racconta una storia tutta diversa. A Troia Elena non c’era mai stata. A seguire Paride era andata una sua controfigura. Ermes l’aveva rapita un attimo prima di Paride e subito dopo l’aveva consegnata a Proteo il re dell’Egitto. Qui, poi, erano accadute tantissime cose: Proteo era morto e il suo primogenito, il tiranno Teoclimeno, si era innamorato di Elena. Lei, ESSERE RAPITI» però, lo aveva rifiutato ed era corsa sulla tomba di Proteo per chiedergli aiuto. Ed eccoci in pieno dramma. Siamo a Faro, in Egitto. Sullo sfondo si vede la tomba di Proteo. Entra in scena un altro personaggio: è Teucro, il re di Salamina, che le porta notizie di Menelao. A suo dire Menelao sarebbe naufragato se non addirittura annegato. Elena piange, e io, più ci ripenso e più mi convinco che lei è sempre stata innamorata del marito. Quella di Paride, infatti, potrebbe essere stata un’infatuazione momentanea indotta dagli dèi. Il coro le consiglia di contattare l’indovina Teonoe, la sorella di Teoclimeno, per sapere quante speranze ci sono per ritrovare Menelao. Ma ecco che il naufrago ritorna: è Menelao. Bussa alla porta della reggia e la vecchia portinaia lo consiglia di fuggire. Teoclimeno, gli dice, ha paura che qualcuno gli possa rapire Elena e uccide tutti i greci che vede. Comincia così una nuova storia: come riprendersi la moglie e fuggire dall’Egitto? Menelao ci riesce: la rapisce per l’ennesima volta e la riporta sana e salva a Sparta, proprio lì da dove, una ventina di anni prima, lei era scappata per mettergli le corna. Morale della favola: a questo mondo basta chiamarsi Elena per essere rapiti. Luciano De Crescenzo Elena cambia volto al Teatro della Corte Con la rappresentazione di Elena di Euripide, il Teatro della Corte cambia aspetto, assumendo la nuova fisionomia di un teatro a pianta centrale. In pratica, sul palcoscenico esistente sarà elevata la struttura ad anfiteatro già utilizzata nelle scorse stagioni per alcune rappresentazioni particolari (Filottete, Sei personaggi.com, Schweyk, le mises en espace), ma la novità è data dal fatto che questa volta lo spazio scenico sarà prolungato in profondità all’interno della platea, in modo da dar vita a un luogo scenico con il pubblico disposto tutto intorno alla scenografia e agli attori, in un rapporto più diretto e comunicativo. Pensato all’inizio della stagione per la messa in scena degli spettacoli di produzione della seconda parte del cartellone, questo spazio, che con l’esclusione della galleria trasforma la Corte in un teatro di circa 800 posti, sarà utilizzato per la prima volta per Elena, ma con le trasformazioni scenografiche necessarie continuerà ad esistere anche per Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh (in programma dal 26 marzo all’8 aprile) e per L’alchimista di Ben Jonson (dal 4 al 20 maggio). TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 5 5 Vita di Galileo Galilei al Teatro Duse Grande tragedia dell’umanità, la Vita di Galileo Galilei è uno dei capolavori del teatro di Bertolt Brecht, che racconta le tappe essenziali dell’esistenza del grande scienziato italiano del Seicento, riservando grande attenzione ai rapporti tra il Potere e la Scienza, tra la Fisica e la Tecnica. Il Galileo di Brecht viene rivisitato dallo Stabile di Genova con uno spettacolo “nudo”, che ha al centro solo il testo e gli attori. Diretto e interpretato da Massimo Mesciulam e Alberto Giusta lo spettacolo si avvale dell’impegno degli allievi dell’ultimo anno della Scuola di Recitazione dello Stabile. Nate dalla finalità didattica di evidenziare il lavoro teatrale nel suo farsi, le “esercitazioni” sul teatro classico dello Stabile si rivolgono innanzitutto agli spet- tatori più giovani, ma si aprono anche a un pubblico più vasto per la loro componente sperimentale di ipotesi di messa in scena, riflessione aperta sui problemi connessi con il passaggio dalla comprensione del testo alla sua vita autonoma sul palcoscenico. Martedì 27 gennaio ore 20.30 e da mercoledì a sabato tutti i giorni doppio spettacolo alle ore 11 e 20.30. Mentre il fisico nell’individuare i più importanti contributi di Galileo entrerà nel merito dei suoi apporti sulla caduta dei gravi, sui moti relativi, su molte altre questioni “tecniche”, l’uomo di cultura diverso dallo scienziato ponendosi il problema del ruolo di Galileo nella storia del pensiero scientifico centrerà altri temi: il metodo della ricerca (“sensate esperienze”), il rispetto per i fatti anche quando smentiscono teorie consolidate. Bertolt Brecht deve aver studiato a fondo il suo personaggio, perché accanto a queste tematiche che sono rilevantissime, ma la cui presenza è in qualche modo contenuti delle teorie, ma per una ragione ancora più profonda, perché i suoi cultori erano i filosofi. Le “dispute” utilizzavano, nel discutere di “filosofia naturale”, la stessa metodologia, lo stesso linguaggio con il quale si disputava sull’etica o su qualunque altro argomento che anche modernamente continueremmo a definire come filosofico. Poteva bensì occorrere, e a partire dal ‘400 ciò avveniva in misura crescente, che per costruire ed anche per maneggiare strumenti lo scienziato dovesse avvalersi delle mani di altri; ma si trattava appunto delle sole mani, ed era escluso che ciò interferisse lieri, ma non i “filosofi”) forse anche, come Brecht immagina, per puntare a una diffusione popolare della cultura scientifica, ma anzitutto perché è la lingua che quotidianamente gli occorre nel rapporto, decisivo per la sua fisica non filosofica, con gli aiutanti di laboratorio. Nel testo teatrale, la figura di Federzoni rappresenta questa valorizzazione del “meccanico”: egli colloquia alla pari, scandalizza il visitatore professore di Padova (che invita Galileo a non consentire che l’aiutante intervenga in una discussione scientifica), protesta quando per riportare il dibattito su astrazio- Massimo Mesciulam con gli interpreti di Vita di Galileo Galilei durante le prove scontata, trovano spazio in Vita di Galileo molti altri spunti di riflessione, tutt’altro che ovvi, su due dei quali voglio qui richiamare l’attenzione. Un primo elemento è il ruolo dell’uomo pratico, del tecnico, nell’ambito della ricerca. Con Galileo, l’ingresso massiccio dei riferimenti all’esperienza nel dibattito sulle teorie scientifiche ha comportato l’ingresso, insieme alle esperienze, di chi materialmente collabora con lo scienziato nel condurle. Si è trattato di una rivoluzione culturale: fino ad allora, la fisica era “aristotelica” non solo per i col pensiero. Galileo attribuisce invece, come risulta da molti suoi scritti, valore conoscitivo, culturale, all’elaborazione di ciò che oggi chiameremmo tecnologia, e perciò al contributo dei relativi operatori; quale esempio, possiamo ricordare le sue citazioni delle “scoperte” con le quali il personale addetto alle attività manuali dell’arsenale di Venezia escogitava soluzioni brillanti atte ad aumentare la produttività del proprio lavoro. E Galileo scrive le sue opere fondamentali in italiano (come da tempo facevano i poeti e i novel- Iniziata trionfalmente a Roma, Bergamo e Arezzo, continua sino al 1° febbraio al Teatro Manzoni di Milano, la tournée di Mariangela Melato con Madre Courage e i suoi figli di Bertolt Brecht. Prodotto nella scorsa stagione dal Teatro Stabile di Genova, con la regia di Marco Sciaccaluga, lo spettacolo vede al fianco della Melato, nel ruolo della celebre vivandiera che lotta per sopravvivere tra la violenza e le nefandezze della guerra, un cast internaziona- le d’attori comprendente, tra gli altri, il serbo Miodrag Krivokapic, la francese Frédérique Loliée e Ugo Maria Morosi. Dopo Milano, Madre Courage sarà ancora per questa stagione a Padova (Teatro Verdi, dal 3 all’8 febbraio), Udine (Teatro Nuovo, dal 10 al 15 febbraio) e Ancona (dal 17 al 20 febbraio). A tutto campo, dal nord al sud dell’Italia, prosegue anche la lunga tournée di Il cerchio di gesso del Caucaso per la regia di Benno Besson e l’interpre- gennaio / marzo 2004 ni inverificabili si passa alle citazioni in latino. Un secondo elemento piuttosto inaspettato è il forte richiamo critico ai possibili effetti negativi di un rapporto troppo stretto tra ricerca pura e applicazioni. Qui la connessione tra Brecht e gli scritti originali di Galileo è meno diretta, ma nella sostanza - il tema ha un rapporto ben documentabile con momenti fondamentali della biografia galileiana: soprattutto dalle lettere, emerge quanto pesasse allo scienziato, nel periodo padovano (Repubblica veneta), il dover giustificare il proprio stipendio con la possibilità di utilizzazioni pratiche delle sue scoperte. Si può sostenere che nel taglio dato, tre secoli dopo Galileo, al tema scienza versus applicazioni Brecht utilizza il senno del poi. Colpisce però il fatto che egli dimostra di avere, in qualche modo, il senno del prima se si confronta il suo testo con i termini del dibattito che sull’argomento si sta sviluppando dopo un ulteriore mezzo secolo, e se da tale confronto si coglie l’estrema attualità del testo stesso. Nell’epoca industrialista lo sviluppo della ricerca scientifica è stato esaltato indiscriminatamente, senza distinzione tra obiettivi conoscitivi e finalizzazioni direttamente economiche. Oggi, di fronte al rafforzarsi della logica del mero mercato e in presenza del costo sempre maggiore che - per ragioni oggettive - la ricerca di punta comporta, divengono visibili alcune alternative. Se la collettività destina risorse pubbliche, di tutti, alla scienza questa può perseguire anche traguardi esclusivamente conoscitivi (che potranno eventualmente fruttare economicamente, ma a tempi lunghi); se invece l’investimento deriva solo da scelte degli operatori economici, inevitabilmente la ricerca si può indirizzare solo là dove il ritorno è ipotizzabile in tempi brevi. Si riconosce qui, esattamente, il dilemma Firenze / Venezia proposto a Galileo. La Firenze medicea era disposta a investimenti “disinteressati”, magari per il prestigio che Galileo quale pensatore “puro” poteva per essa comportare (si tratta del ben noto ritorno di immagine che gli sponsor si attendono…); la Venezia dei mercanti rapportava i costi ai proventi immediati. Certo, nell’alternativa Firenze / Venezia al tema precedente si sovrappone quello della libertà, dell’Inquisizione; si tratta dell’elemento più drammaticamente evidente nel testo brechtiano (e più drammaticamente vissuto nell’esistenza reale di Galileo). Tra le molte suggestioni di questo testo, mi è sembrato utile segnalarne qualcuna meno evidente. Vita di Galileo Galilei IL SAPERE FATTO CON LE MANI i n g r e s s o l i b e r o GALILEI E IL SUO TEMPO NEL FOYER DELLA CORTE Mercoledì 28 gennaio, alle ore 17.30 nel foyer del Teatro della Corte, il professore Enrico Bellone dell’Università di Milano, terrà una conversazione sul tema Galilei e il suo tempo. L’incontro è organizzato in occasione della messa in scena al Duse, in forma di “esercitazione” della Vita di Galileo Galilei di Bertolt Brecht. Il professore Bellone, una delle massime autorità scientifiche sul pensiero e l’opera dello scienziato fiorentino, ha accettato gentilmente d’intrattenersi con il pubblico e con gli attori e i registi dello spettacolo. Giunio Luzzatto tazione nei ruoli principali di Lello Arena, Orietta Notari e Paolo Serra. Lo spettacolo, coprodotto dal Teatro di Genova e dallo Stabile del Veneto, è in gennaio a Jesi (Teatro Pergolesi, 3 e 4), Ferrara (Teatro Comunale, dal 7 all’11), Perugia (Teatro Morlacchi, dal 13 al 18), Torino (Teatro Alfieri, dal 20 al 25) e Brescia (Teatro Sociale, dal 27 gennaio all’1 febbraio), per proseguire poi per Prato (Teatro Metastasio, dal 4 all’8 febbraio), Venezia (Teatro Goldoni, dal 10 al 15 febbraio) e Palermo (Teatro Biondo, dal 18 al 29 febbraio). Ancora in tournée - per il terzo anno consecutivo! - è anche Schweyk nella seconda guerra mondiale di Bertolt Brecht, spettacolo nato dal felice rapporto dello Stabile di Genova con il Progetto U.R.T., gruppo fondato e diretto da Ferrini, regista-attore formatosi, come la maggior parte dei suoi compagni di scena, alla Scuola di Recitazione dello Stabile. Il programma della tournée prevede i suoi prossimi appuntamenti a Spoleto (22 gennaio), Lucca (23-25 gennaio), Ovada (27 gennaio), Casalpusterlengo (29 gennaio), per concludersi a Torino (dal 3 all’8 febbraio). TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:27 Pagina 6 Genova 2004 6 IL PROGRAMMA DEGLI EVENTI: INCONTRO CON ENRICO DA MOLO AMMINISTRATORE DELEGATO DI “GENOVA 2004” LA“CAPITALE” DÀ SPETTACOLO La nuova identità diunacittàaperta GIUSEPPE PERICU È iniziato il 2004, anno in cui Genova è Capitale Europea della Cultura. L’essere designata dai governi dell’Unione Europea a questo ruolo, costituisce per Genova un alto onore, un’opportunità straordinaria per riflettere sulla propria cultura, sulla storia passata, sullo sviluppo futuro e per lanciare la sua rinnovata immagine in Italia e nel mondo. Abbiamo colto questa straordinaria circostanza per avviare un percorso verso più direzioni. Il fine perseguito non è quello di puntare su un unico grande evento effimero in grado di coinvolgere un vasto pubblico in un tempo limitato, ma i cui effetti siano destinati a esaurirsi dopo il termine di 366 giorni. Abbiamo inteso piuttosto dare al significato di cultura un’accezione vasta e articolata, che comprendesse anche i temi della solidarietà, della scienza e della ricerca, della tecnologia, della formazione e del lavoro che questa città è in grado di esprimere. L’auspicio più fervente è che le manifestazioni, tutte di altissimo livello, organizzate in occasione del 2004 costituiscano anche un ottimo pretesto per invitare i visitatori a conoscere più a fondo la città. Ci auguriamo che ne venga apprezzata la nuova identità, quella di una città aperta all’Europa e al mondo, in cui vivere e investire, in cui possano coesistere armonicamente le attività produttive tradizionali industriali e portuali, il commercio, l’alta tecnologia e le più recenti attività legate al turismo e alla cultura, nella consapevolezza che proprio nell’elaborazione culturale e nella ricerca scientifica si può radicare il progetto di sviluppo della città nel 2004. E oltre. Dal programma ufficiale di GeNova 04 Una panoramica degli spettacoli in programma per l’anno di Genova Capitale Europea della Cultura. È quella attraverso cui ci guida Enrico Da Molo, amministratore delegato della società “Genova 2004”, che ricorda, fra gli altri, gli eventi che vedono protagonista il Teatro Stabile di Genova: la rilettura del Candido di Voltaire, condotta da Andrea Liberovici e Aldo Nove in forma di soap opera musical, e La Centaura di Giovan Battista Andreini, con Mariangela Melato e la regia di Luca Ronconi, prodotto dallo Stabile nell’ambito della rassegna che, in autunno, ospiterà al Teatro della Corte altri grandi spettacoli provenienti da teatri o compagnie di diversi Paesi europei. Mostre e convegni ma non solo. Attraversa anche teatri, sale cinematografiche e palcoscenici più o meno tradizionali il viaggio, appena iniziato, di Genova Capitale Europea della Cultura. Le tante forme di spettacolo inserite nel programma ufficiale dell’anno costituiscono, infatti, una parte importante degli eventi con i quali la città si presenta alla ribalta internazionale. Tanto che proprio con una festa di piazza e uno spettacolo, On Naumon. Il viaggio del gruppo catalano Fura dels Baus, è iniziata, nella notte di San Silvestro al porto antico, l’avventura di Genova Capitale. «Gli spettacoli sono per noi importantissimi - conferma Enrico Da Molo, amministratore delegato della società “Genova 2004” - e lo dimostra la grande varietà e ricchezza di generi e di proposte in calendario: si va dall’opera lirica alla musica rock, dal teatro di prosa alle performance, da eventi creati “ad hoc” al potenziamento di manifestazioni già esistenti, poiché uno degli obiettivi che ci siamo posti è stato quello di valorizzare realtà già presenti in città. Naturalmente osserva - un po’ di effimero e qualche evento di grande richiamo per il pubblico, come il concerto di José Carreras, è necessario nel programma di una Capitale Europea della Cultura, ma noi abbiamo cercato soprattutto di partire dalla città e dalle sue caratteristiche per esprimere, attraverso queste, concetti universali, per parlare a tutti e non solo di noi». E se questo è, o dovrebbe essere, il senso del viaggio - tema che fa da filo conduttore agli eventi di Genova Capitale - i teatri sono fra quelli che, secondo Da Molo, meglio lo hanno interpretato. Mariangela Melato, con Luca Ronconi, sarà La Centaura per Genova 2004 «Le realtà che si occupano di spettacolo in genere e soprattutto i teatri - sottolinea sono stati più corretti di altri nell’approccio con il tema del viaggio e, nella programmazione del 2004, sono certamente in prima fila, anche perché a Genova rappresentano già realtà molto importanti. Tre anni fa avevamo chiesto a tutti i teatri genovesi come pensavano di affrontare il tema del 2004: si era ipotizzato di realizzare un unico grande spettacolo prodotto da tutti insieme, o di scegliere uno stesso testo, tema o autore, trattato da ciascuno a suo modo. Questo però - spiega Da Molo - non è stato possibile per difficoltà legate alla programmazione dei diversi teatri, e quindi abbiamo concordato di dedicare un’attenzione particolare al tema del viaggio e di predisporre iniziative speciali da aggiungere alla normale programmazione, cosa che tutti i teatri hanno fatto». Nella scelta di queste iniziative c’è chi ha confermato una “vocazione” europea già consolidata e chi ha seguito percorsi nuovi. «Il Teatro Stabile, che ha già da tempo una programmazione di respiro europeo - spiega Da Molo - ha scelto di mettere in scena una libera rilettura del Candido di Voltaire e organizzare in autunno una rassegna internazionale di spettacoli, uno italiano, La Centaura con Mariangela Melato e la regia di Ronconi prodotto dallo Stabile stesso e gli altri da teatri o compagnie di diversi Paesi europei. Questo è l’unico progetto finanziato dall’Unione europea nell’ambito del programma di Genova Capitale Europea della Cultura, perché si è ritenuto che sia quello che meglio ne interpreta lo spirito. Il Teatro dell’Archivolto, invece, punta sui Nobel tra Letteratura e Teatro, con incontri ed eventi attorno alle opere di quattro recenti Premi Nobel e con l’allestimento di uno spettacolo nel cimitero monumentale di Staglieno; il Teatro della Tosse ha preparato spettacoli e iniziative legate a Genova, al viaggio e all’Europa; mentre il Carlo Felice, oltre ad avere una ricca programmazione, è impegnato a riportare nei parchi di Nervi il Festival Internazionale del Balletto. Ma continua Da Molo - anche tutti gli altri, dal Politeama Genovese ai cosiddetti teatri minori, hanno preparato iniziative specifiche per il 2004: il Teatro Cargo, per esempio, presenterà uno spettacolo sul tema delle migrazioni, mentre il Mistràl organizzerà un evento collegato alla mostra su Rubens». Il livello di questa variegata produzione è, secondo l’amministratore delegato di “Genova 2004”, «nel complesso molto buono, per merito sottolinea - di chi organizza e produce questi eventi, non certo nostro. Io sono convinto che gli spettacoli possano diventare uno dei “traini” del 2004 e mi sembra che fuori Italia stiano suscitando anche più interesse e curiosità rispetto alle mostre. Nel nostro programma, però, c’è anche una mostra molto spettacolare, Arti&Architettura, che prevede una serie di performance in tutta la città, e le stesse esposizioni sui Transatlantici e su Rubens hanno importanti elementi scenografici, per non parlare della componente spettacolare del Festival della Scienza, che già l’anno scorso ha avuto grandissimo successo». A queste iniziative si aggiungono poi, fra le altre, le tante rassegne che si presenteranno quest’anno in edizioni speciali (Goa-Boa Festival, Festival musicale del Mediterraneo, Festival internazionale di poesia, ecc.), o al loro debutto, come GenovaTango2004 o la festa della musica che durante l’estate, per tre giorni, trasformerà tanti spazi della città in altrettante platee da concerto. In questo panorama così vario, uno spazio minore occupa il cinema, al quale saranno dedicati un’edizione speciale del Genova Film Festival e pochi altri eventi. «A settembre sarà presentata al pubblico l’edizione restaurata del film Le mura di Malapaga, con Jean Gabin e Isa Miranda, girato nel 1948 proprio a Genova - racconta Da Molo - ma, più che come uno dei tanti luoghi in cui si guardano film, Genova vuole diventare sempre più un luogo in cui si fa cinema. Non a caso fra le iniziative del 2004 c’è Cantiere Cinema, un progetto che consentirà al pubblico di seguire le varie fasi di produzione e “costruzione” di un film, mentre fra la fine di giugno e l’inizio di luglio si terranno le Giornate Professionali di Cinema, che vedranno riuniti tutti coloro che lavorano in questo mondo: registi, produttori, distributori cinematografici, e in quell’occasione sarà possibile assistere anche alla proiezione di qualche film in anteprima, come Agata e la tempesta che il regista Silvio Soldini ha girato lo scorso anno a Genova». Annamaria Coluccia compagnie ospiti L’OPERA DA TRE SOLDI KONARMIJA L’ARMATA A CAVALLO di Bertolt Brecht e Kurt Weill Corte 7 / 18 gennaio Festoso e colorato nuovo allestimento del più celebre musical europeo. Con Massimo Venturiello, Giulio Brogi, Laura Marinoni, Tosca e Rosalina Neri. Regia di Pietro Carriglio. di Moni Ovadia da Isaac Babel’ di Luigi Pirandello Corte 4 / 8 febbraio Attori e regista: chi conta di più a teatro? Pirandello conclude la trilogia aperta con Sei personaggi in cerca d’autore. Con Valeria Moriconi e la regia di Massimo Castri. Corte 20 / 25 gennaio IL TEMPO E LA STANZA di Botho Strauss Duse 13 / 18 gennaio La solitudine e le nevrosi dell’uomo d’oggi, raccontate dal più significativo autore del teatro tedesco contemporaneo. Regia di Walter Pagliaro, con Micaela Esdra. gennaio / marzo 2004 QUESTA SERA SI RECITA A SOGGETTO La rivoluzione bolscevica osservata dal punto di vista del popolo ebraico. Un grande musical interpretato e diretto da Moni Ovadia. Cori, danze e impegno storico-civile. Rilettura teatrale di un classico della letteratura nato dalle esperienze personali di Isaac Babel’. LA BROCCA ROTTA di Heinrich von Kleist Corte 27 gennaio / 1 febbraio Una madre testarda e un giudice corrotto. La più bella commedia del teatro tedesco di tutti i tempi riproposta da Giancarlo Dettori e Franca Nuti. Regia di Cesare Lievi. TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 7 Genova 2004 7 DALL’IRLANDA ALLA GRECIA TRENTASETTE SPETTACOLI DI TEATRO EUROPEO Le tappe di una lunga strada MARTIN MCDONAGH Il tenente di Inishmore, 2001 SHAKESPEARE La tempesta, 1611 Molto rumore per nulla, 1598 Otello, 1605 Amleto, 1600 EUGENE O’BRIEN Eden, 2001 BEN JONSON L’alchimista, 1610 BOTHO STRAUSS MICHAEL FRAYN Il tempo e la stanza, 1989 Copenaghen, 1998 ALAN AYCKBOURN Camere da letto, 1977 HAROLD PINTER L’amante, 1963 VOLTAIRE Candido, 1759 MOLIÈRE La scuola delle mogli, 1662 GEORGES FEYDEAU Georges Dandin, 1668 La pulce nell’orecchio, 1907 HEINRICH VON KLEIST La brocca rotta, 1808 BERTOLT BRECHT L’opera da tre soldi, 1928 Vita di Galileo Galilei, 1939 BERNARD-MARIE KOLTÈS Lotta di negro e cani, 1989 MIGUEL DE CERVANTES Don Chisciotte, 1605 ISAAC BABEL’ L’armata a cavallo, 1924 CARLO GOLDONI Il bugiardo, 1750 Sior Todero brontolon, 1762 SONIA ARIENTA FRANCO BRUSATI Strade/Corridoi, 2003 Il benessere, 1959 DARIO FO Morte accidentale di un anarchico, 1970 JOSÉ SANCHIS SINISTERRA La riga nei capelli di William Holden, 2001 FRANZ KAFKA Il processo, 1925 DANIS TANOVIC No Man’s Land, 2002 GIOVAN BATTISTA ANDREINI La Centaura, 1622 ALDO DE BENEDETTI Non ti conosco più, 1932 EDUARDO DE FILIPPO Napoli milionaria, 1945 Sabato, domenica e lunedì, 1959 ENZO MOSCATO Ragazze sole con qualche esperienza, 1985 SOFOCLE Ajace, 442 a.c. EURIPIDE Elena, 412 a.c. LUIGI PIRANDELLO Da Questa sera si recita a soggetto, 1930 Elena di Euripide a Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh, dalla Grecia del quinto secolo a.c. all’Irlanda delle soglie del nostro terzo Millennio. Il cartellone del Teatro Stabile di Genova si propone - per quanto riguarda sia la produzione sia l’ospitalità - come un viaggio nella cultura teatrale europea. Ci sono i classici e i contemporanei, i testi pensosi e quelli esplicitamente comici, gli spettacoli curvati sulle modalità della ricerca linguistica e quelli che conservano al proprio interno i Novecento è segni distintivi della tradizione. Per tutti vale il segno distintivo dell’appartenenza a rappresentato in alcune delle un’idea di teatro che contraddistingue l’essenza delle scelte dello Stabile genovesue espressioni più alte: da Pirandello a De se: un testo “necessario”, un gruppo di artisti e tecnici impegnati a farlo vivere sul palcoscenico, un pubblico di spettatori al quale la comunicazione teatrale si rivol- Filippo, da Brecht a Botho Strauss, da Pinter a Fryan o a Ayckbourn, da Koltès ge. Il modello è quello del Teatro d’Arte; l’aspirazione ultima che le tre componen- a Dario Fo, sino a Franco Brusati ed Enzo Moscato. C’è poi quel teatro che la ti che lo contraddistinguono si possano fondere in un tutto armonico: lo spettaco- scena contemporanea ama trarre dalle grandi esperienze letterarie, siano quello come sintesi di vita e rappresentazione, pensiero ed emozioni. Il viaggio al quale le di Cervantes o di Voltaire, di Kafka o di Babel’; senza per questo trascurare le il pubblico del Teatro di Genova è invitato attraversa tutta l’Europa e porta in primo novità assolute dedicate ai fermenti della drammaturgia contemporanea. Alla piano molti degli autori e dei testi che, nel passato, hanno fatto grande la sua sto- fine del viaggio, speriamo, lo spettatore potrà uscire da questo anno teatrale, ria teatrale e, oggi, contraddistinguono i suoi fermenti. Ci sono i grandi tragici greci che in gran parte coincide con la stagione di Genova Capitale Europea della (Sofocle e Euripide) e Shakespeare, le lezioni comiche di Molière e di Goldoni, le Cultura, arricchito nelle sue conoscenze e nelle sue emozioni, con la consapesorprese della modernità dell’elisabettiano Ben Jonson e i travolgenti meccanismi volezza che il teatro, quello vero, ha sempre inesorabilmente a che fare con del teatro di Feydeau o quelli della commedia metafisica d i K l e i s t ; mentre il il presente e di questo parla anche quando si nutre di parole antiche. (segue da pag.1) o l’italiano Aldo Nove; si passa attraverso territori e culture le più diverse, come mostra la cartina qui accanto, dalla Spagna di Sinisterra alla Russia di Babel’, dall’Inghilterra di Ben Jonson alla Germania di Kleist, dalla Francia di Molière all’Italia di Dario Fo. Come detto le nostre produzioni sono 10 (fra cui 3 mises en espace e 2 esercitazioni) e culmineranno nell’ottobre del 2004 nella Centaura di Andreini, grande pagina del teatro barocco italiano, nella quale Luca Ronconi guiderà Mariangela Melato in quella che lui stesso ha definito come una “gioiosa festa di teatro”. Questo nostro viaggio dunque, felicemente iniziato il 7 gennaio 2004 con la già citata Opera da tre soldi, vedrà a febbraio il primo incontro con una nostra produzione, l’Elena di Euripide diretta da Marco Sciaccaluga, una commedia che propone non solo una pièce di alta qualità drammaturgica e di grande divertimento, ma anche una coppia appena nata nella scena italiana, quella costituita da Eros Pagni e dalla francese Frédérique Loliée. Questa presenza nel lavoro del Teatro Stabile di Genova di personalità provenienti da ogni parte d’Europa (autori, registi, attori, scenografi) è ormai una costante e fa sì che il nostro teatro, non per etichetta ma nella sostanza, venga riconosciuto quale centro di cultura di valore appunto europeo. Le nostre proposte di palcoscenico saranno poi integrate non solo dalle “mises en espace” su testi europei contemporanei, ma anche dal nuovo ciclo di “Grandi Parole” che a partire da marzo ci accompagnerà dentro all’affascinante tema Viaggio e viaggiatori, cinque incontri con interpreti e uomini di cultura, cinque prospettive, anche molto diverse fra loro, altrettanti liberi viaggi sulla rotta di un sempre cercato incontro fra teatro e cultura, fra spettacolo e forme espressive del pensiero, fra rappresentazione e realtà. Insomma un 2004 che ci auguriamo e vi auguriamo pieno di sorprese, di occasioni per stupirsi, per amare quell’abitudine così coinvolgente e civile di aprire ogni sera un sipario sulle storie del mondo. Carlo Repetti compagnie ospiti NON TI CONOSCO PIÙ MORTE ACCIDENTALE DI UN ANARCHICO di Aldo De Benedetti Corte 10 / 15 febbraio Gigi Proietti mette in scena una commedia sull’amore come gioco e menzogna, firmata da un maestro del teatro contemporaneo. Coniugi in un interno borghese. NO MAN’S LAND di Sandro Veronesi dal film di Danis Tanovic Duse 3 / 8 febbraio Riflessione sull’assurdità della guerra, con due soldati nemici che si fronteggiano in una trincea, dove accorrono l’Onu e i mass-media. Con Marco Baliani. gennaio / marzo 2004 LA SCUOLA DELLE MOGLI di Molière Duse 16 / 28 marzo Il misogeno gabbato. Il capolavoro di Molière, assistendo al quale anche Luigi XIV “non riusciva più a trattenersi dal ridere”. Con Giulio Bosetti e la regia di Jacques Lassalle. di Dario Fo MOLTO RUMORE PER NULLA di William Shakespeare Duse 10 / 22 febbraio Le variazioni dell’amore ambientate in una Sicilia di fantasia. Bisticci, calunnie e tradimenti con agnizioni finali. Come ridere guardandosi allo specchio. Regia di Guglielmo Ferro. Duse 24 / 29 febbraio Il Premio Nobel per la letteratura rinventa la cronaca nel gioco del teatro. Quando la comicità mette a soqquadro il mondo. Con Eugenio Allegri nel ruolo del Matto. CAMERE DA LETTO di Alan Ayckbourn Duse 2 / 14 marzo Quattro coppie in tre camere da letto. Qualcosa non quadra nell’amore. Il ritmo scatenato degli Artisti & Tecnici per l’esilarante farsa di un maestro della scena inglese contemporanea. TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 8 8 Le Grandi Parole al Teatro della Corte Dal 1° marzo al 13 aprile (ore 20.30), cinque serate di “Grandi Parole” al Teatro della Corte VIAGGIO E VIAGGIATORI “ N AV I G A Z I O N I ” D E N T R O Ci sono tanti modi di viaggiare. Nello spazio e nel tempo, nella storia o con il pensiero, inabissandosi all’interno della propria memoria o nelle profondità dell’inconscio, per fuggire o per fare ritorno, chiusi nella propria stanza o all’aria aperta; anche solo lasciando libero sfogo all’immaginazione letteraria e poetica. Nell’anno in cui Genova Capitale Europea della Cultura pone il Viaggio al centro tematico del programma delle sue manifestazioni, il Teatro Stabile di Genova porta a compimento il percorso iniziato quattro anni fa proprio in prospettiva di questo approdo. Viaggio e viaggiatori è, infatti, il punto di arrivo di un tragitto che, iniziato nel 2001 con una riflessione su ciò che unisce, intreccia e divide le culture dei popoli che si affacciano sul “mare nostrum” (Voci del Mediterraneo), si è disteso l’anno seguente nella ricerca della Radici del Mito (ovvero della matrice comune dell’Uomo), per imboccare nella scorsa primavera la via che conduce alla scoperta delle radici etniche, storiche, culturali e sociali dell’Idea di Europa. E ora il tema del viaggio, sempre latente negli incontri precedenti, viene posto al centro del nono appuntamento con il fortunato e atteso ciclo delle Grandi Parole dell’Umanità, in programma al Teatro della Corte nei mesi di marzo-aprile 2004. Quello che ci è piaciuto inseguire nella preparazione di queste cinque serate non è stata tanto l’idea del Viaggio come attraversamento di uno spazio o come cronaca di un evento già accaduto, quanto quella del Viaggio come esperienza personale di una possibile metafora del mondo. Anche perché è soprattutto su questo terreno, crediamo, che il tema del Viaggio si può incontrare “naturalmente” con il fare del Teatro, tanto più se è vero quello che scrive Shakespeare, affermando che un inscindibile legame unisce il palcoscenico al mondo, o quello che dice Truffaut, sottolineando come la realizzazione di uno spettacolo sia simile a un viaggio nel Far West: si parte sempre con il grande entusiasmo di giungere a destinazione, ma, strada facendo, si fanno esperienze gennaio / marzo 2004 E INTORNO ALLE ESPERIENZE E ALLE INQUIETUDINI DELL’UMANITÀ IL VIAGGIO COME CONOSCENZA lunedì 1° marzo - ore 20.30 Massimo Cacciari È preside e insegnante della nuova facoltà di Filosofia dell’Università Vita e Salute del San Raffaele di Milano, con sede nella Villa Borromeo di Cesano Maderno. Protagonista della vita culturale e politica italiana degli ultimi decenni, è autore di importanti libri su problemi e protagonisti della storia della Filosofia e collabora stabilmente con numerosi giornali italiani e stranieri. Negli anni Novanta, è stato sindaco di Venezia. IL VIAGGIO COME RITORNO lunedì 8 marzo - ore 20.30 Giovanna Zucconi Galli Fonseca Giornalista professionista, divide la propria attività tra la carta stampata, la radio e la televisione. Già direttrice della rivista “Effe”, attualmente collabora con numerose testate giornalistiche. Ha condotto per la radio alcune trasmissioni e oggi collabora regolarmente con “Atlantis”. Molte anche le sue presenze e responsabilità televisive, tra cui quella di Pickwick con Alessandro Baricco. Per lo Stabile di Genova sta traducendo L’alchimista. IL VIAGGIO COME FUGA lunedì 29 marzo - ore 20.30 per le quali gli incontri e le nuove conoscenze possono diventare più importanti della meta stessa da raggiungere. Cinque rotte verso ciò che unisce il luogo della realtà con il luogo dell’immaginazione, pertanto. Cinque tragitti possibili tra gli innumerevoli che si poteva scegliere di percorrere. Nessuna pretesa esaustiva, ovviamente; ma la speranza di suscitare emozioni e di stimolare pensieri, questo sì. Anche perché per guidarci verso la meta ci sono quest’anno cinque nocchieri di grande esperienza e competenza. A condurre la prima tappa, sale sul palcoscenico della Corte (1° marzo, ore 20.30) il filosofo Massimo Cacciari, con il quale il viaggio diventerà un ripercorrere le vie della conoscenza (“il filosofo argonauta”): dalle “navigazioni” platoniche, alle suggestioni poetiche di Dante o Leopardi, sino alle impervie complessità dei dubbi, delle invettive e delle speranze contemporanee. Il tutto, ancora una volta come consuetudine per le nostre serate, appoggiato alla scelta di un’antologia di testi da affidare a due attori tra i più significativi della scena italiana e scelti in modo da portare in primo piano sul palcoscenico la forza comunicativa della parola e del rac- conto anche non immediatamente teatrali, quando questi vengono affidati a voci narranti capaci di far rivivere il fascino “arcaico” dell’affabulazione orale. Attori e testi saranno definiti nei prossimi giorni, ma i criteri programmatici delle scelte caratterizzeranno anche tutti gli incontri seguenti, per i quali saranno protagonisti, nel ruolo di conduttori, personalità di primo piano nella cultura italiana e nella comunicazione contemporanea. L’8 marzo, la giornalista e conduttrice radiofonica e televisiva, Giovanna Zucconi guiderà, sulla scorta di un ricco apparato letterario, la serata dedicata al viaggio come ritorno. Poi, dopo una pausa dovuta all’indisponibilità del palcoscenico impegnato per le prove e l’allestimento scenografico del nuovo spettacolo dello Stabile (Il tenente di Inishmore), il tragitto riprenderà (29 marzo) con la guida del narratore e romanziere Maurizio Maggiani, il quale “dialogherà” con alcuni dei grandi autori della letteratura del Novecento sul tema del viaggio inteso come fuga, tracciando un originale percorso sulle vie dell’emigrazione, degli incontri di strada, del vagabondare senza meta o alla ricerca di se stessi. Da parte sua, lo psichiatra Romolo Rossi affronterà (5 aprile) - attraverso romanzi, poesie e casi clinici - il tema del viaggio dentro se stessi, come memoria o come manifestazione dell’inconscio; mentre il martedì dopo le feste di Pasqua (13 aprile) lo scrittore e operatore culturale Ernesto Franco concluderà gli appuntamenti, invitandoci a percorrere con lui e con gli attori che saranno al suo fianco, un viaggio nell’immaginazione, che ci condurrà nel mondo dell’invisibile: dalle discese nell’Ade care all’epica antica, all’ariostesco viaggio sulla Luna, sino alle grandi prefigurazioni spazio-temporali della fantascienza. Nessuna vocazione esaustiva o preconcetta soluzione programmata. Solo cinque occasioni di viaggiare nel passato, presente e futuro; di riflettere sulle alte testimonianze della letteratura e del pensiero; di emozionarsi con le grandi parole che si fanno teatro: aperto sul mondo, sui suoi drammi e sulle sue speranze. La realizzazione del programma è stata resa possibile dalla collaborazione della Banca Carige. Il calendario definitivo sarà reso noto con una conferenza stampa e con ampie informazioni nel prossimo numero di Palcoscenico & Foyer. Aldo Viganò Maurizio Maggiani Autore di numerosi romanzi (Mauri, Mauri, Felice alla guerra, Il coraggio del pettirosso, La regina disadorna, È stata una vertigine), ha condotto anche alcune trasmissioni televisive di successo. Lo scorso anno è stato protagonista al Duse di una fortunata serie d’incontri sulla Storia d’Italia nel ‘900. Collabora con molte testate giornalistiche e tiene una rubrica sulla prima pagina del quotidiano “Il Secolo XIX”. IL VIAGGIO COME MEMORIA lunedì 5 aprile - ore 20.30 Romolo Rossi È direttore del Dipartimento di Scienze Psichiatriche dell’Università di Genova e preside del corso di Laurea in Riabilitazione Psichica. Appassionato cultore dei rapporti tra medicina e letteratura, ha scritto saggi e tenuto conferenze sull’argomento, con particolare riguardo all’esperienza teatrale. Ha pubblicato quasi 400 lavori scientifici. È Membro del Collegium Internazionale Psycopharmacologicum. IL VIAGGIO COME IMMAGINAZIONE martedì 13 aprile - ore 20.30 Ernesto Franco Nasce a Genova, dove compie gli studi ed è tra i fondatori della casa editrice “Il Melangolo”. Si trasferisce a Torino per lavorare all’Einaudi, dove attualmente ricopre il ruolo di Direttore editoriale. Ha tradotto numerosi scrittori di lingua spagnola, tra i quali Octavio Paz, Àlvaro Mutis e Julio Cortàzar. Di Cortàzar ha curato anche la Pléiade con tutti i racconti. Presso Einaudi ha pubblicato Isolario e Vite senza fine. TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 9 Teatro in Europa 9 Francia: conferme, novità e fermenti della scena d’oltralpe raccontati da uno dei suoi più attenti osservatori Nell’anno in cui Genova è Capitale Europea della Cultura, abbiamo chiesto ad alcuni specialisti di guidarci in un viaggio tra i palcoscenici delle maggiori realtà teatrali del Continente. Il primo a intervenire è Georges Banu, il quale traccia un meditato itinerario delle attuali tendenze della scena e della drammaturgia in Francia. Georges Banu è pro- fessore di studi teatrali alla Sorbonne Nouvelle e all’Université catholique de Louvain la Neuve (Belgio), redattore della rivista “Alternatives théâtrales”, presidente ono- rario dell’Association Internationale des Critiques de Théâtre. Responsabile della serie Le temps du théâtre (ed. Actes Sud). Autore di molti scritti dedicati al teatro del XX secolo. ` JOUER LA` DOVE RECITARE E I numi tutelari I grandi protagonisti lavorano ancora e, anche se non producono più le sorprese di un tempo, tuttavia non demordono e la scena francese continua a trarre profitto dalla loro longevità. Dopo aver esportato un po’ dovunque, addirittura anche in Italia, il suggestivo fascino sud-africano di Le Costume, Peter Brook firma ora la messa in scena di un adattamento americano dell’epistolario tra Cechov e Olga Knipper, riunendo due degli interpreti del suo celebre Giardino dei ciliegi degli anni Ottanta: Michel Piccoli e Natasha Parry, che allora interpretavano la coppia Gaev e Ljubov’. Alla Bouffes du Nord, teatro d’abbagliante bellezza, i rossi cupi e le luci vellutate accompagnano gli attori, i quali sono con evidenza più anziani dei rispettivi personaggi; ma in questo scarto c’è poesia e presa di distanza. Come se Brook avesse voluto raccontare la storia di quella relazione ambigua e ironica tra lo scrittore e l’attrice sullo sfondo della nostalgia e del ricordo. Ciò che qui si ricerca non è l’immedesimazione, bensì l’evocazione di un incontro troppo a lungo avvolto nel silenzio. Come in uno spettacolo del teatro nô… Gli attori sono lì per resuscitare e far rivivere un passato che non si può più coniugare in prima persona. Brook chiude così il suo rapporto con Cechov, che egli per primo collocò sullo stesso piano di Shakespeare. Ciò che li unisce, egli diceva, è la capacità di mettere una parte di se stesso in ogni personaggio, rifiutando d’imporre un punto di vista personale esplicito. Adesso non ci resta che attendere il grande progetto che Brook intende realizzare come “pendant” africano di Mahabharata, ispirandosi ai testi di Ambateba. È questa la grande sfida del Maestro, il quale vuole, una volta ancora, parlare del mondo e dei suoi destini tormentati, attingendo alle modalità narrative della parabola. Alternando distacco dall’attualità e tuffo nella storia più immediata, dopo il capolavoro realizzato con Tambours sur la digue, Ariane Mnouchkine affronta ora la ferita sanguinante con la quale, ogni giorno, dobbiamo fare i conti, in modo insopportabile: l’esilio. Esilio politico, ma soprattutto esilio economico. E, in Le dernier caravansérail, ella riunisce un florilegio di storie di esilio, di prove e di vagabondaggi in un mondo poco adatto all’uomo povero: è del dolore del mondo che la Mnouchkine intende parlare con i mezzi del teatro. Un gennaio / marzo 2004 Ariane Mnouchkine durante le prove al Festival di Avignone mondo eterogeneo e pittoresco, ma soprattutto un mondo di sofferenza. Alla fin dei conti, si tratta sempre di trovare un denominatore comune: come vivere altrove, dal momento che si è iniziato ad abbandonare il proprio luogo di origine? Da Brecht a Kundera e Gao Xingjian, è questo un problema che attraversa il secolo. E, da sempre, la Mnouchkine predilige affrontare i problemi essenziali. infatti, Régy si affida soprattutto ai poteri dell’esplorazione sotterranea, indifferente a ogni rapidità. La giovane generazione dei registi francesi ha fatto di Régy una figura esemplare, ed è lui che esercita oggi l’impatto più fecondo sull’attuale movimento teatrale. Ma, alcuni segnali di stanchezza spuntano anche qui. Gli “dèi” sono presenti, anche se, come quelli di L’anima buona del Sezuan di Brecht, sembrano essere un po’ smarriti. Comunque, restano tra noi. I testi della desolazione Patrice Chéreau Il terzo “nume tutelare” è, senza dubbio, Patrice Chéreau. Il suo ritorno al teatro ha assunto il significato di un avvenimento al quale non si può essere insensibili. Ovunque è stato, egli ha riunito un pubblico di élite in occasione di una eccezionale lettura di Dostoevskij e successivamente ha prodotto autentica emozione con Phèdre, spettacolo in cui si è ritrovata l’energia che da sempre caratterizza il lavoro dei suoi attori. Chéreau ha innalzato la storia di Fedra ad autentica deflagrazione della passione, ivi compreso tutto ciò che vi si accompagna come distruzione e pulsione di morte. È vero che anche lui, come Brook e Mnouchkine, non ha sorpreso, ma almeno c’era. E il loro essere presenti non è certo uno dei minori meriti di queste “divinità” che attraversano ancora il paesaggio teatrale francese. Quasi nella stessa categoria può essere incluso Claude Régy, artista ottuagenario, che non smette di interrogare gli enigmi delle scritture contemporanee, di porsi all’incrocio tra arte e scienza, lavorando soltanto su quella lentezza che lo definisce: anche nei momenti di accelerazione, Dopo l’assidua frequentazione di Koltès, un altro autore francese ha tratto a sé un buon numero di registi: JeanLuc Lagarce. Al centro della sua opera è lo sgomento dell’essere votato alla morte, lo sgomento di chi è diventato estraneo al proprio ambiente familiare, perché quello di cui vi si parla è l’isolamento di Michel Piccoli e Natasha Parry colui che ritorna senza riconoscere più nessuno. Il teatro di Lagarce conserva una sfumatura d’intimità quotidiana, si confronta con il problema determinante di quell’insieme di relazioni che si è soliti definire socialità e le cui lacune comportano sempre lo smarrimento e la perdita dei punti di riferimento. Lagarce, ovvero un autore che ama ancora osservare l’uomo da vicino. Negli ultimi tempi i registi francesi hanno trascurato il repertorio, il “museo” del teatro, a vantaggio dei testi contemporanei, tanto che questo cambiamento ha assunto il ruolo di un programma generazionale. Gli autori e le opere prese in considerazione si contraddistinguono tutte per una visione “catastrofica” del mondo osservato dalla prospettiva dell’estrema bassezza dei cataclismi storici, Auschwitz o Hiroshima, o dei turbamenti psichici estremi. Da Edward Bond a Sarah Kane, prevale sempre il medesimo approccio. S’accumulano le minacce, così come le lacrime e le invettive. All’ottimismo Peter Brook fatto proprio da Brecht trent’anni fa - la moda d’allora! subentra ora la contaminazione del lutto e il compiacimento nell’invettiva. Sulla scena francese non cessano mai di risuonare grida smisurate, lamenti e lacrime, che, a furia di essere ripetute, finiscono col diventare sospette. Certamente tutto ciò rinvia, pur in forma moderna, al “romanticismo nero”. Meno classificabili in questo filone, vi sono poi alcuni autori stranieri che vengono messi in scena: Jon Fosse, Lars von Mayenburg o Martin Crimp. I loro testi, certo meno “visionari”, interessano per l’attenzione rivolta agli sconvolgimenti contemporanei, ma senza bisogno che siano sempre posti, come accade in Bond, sotto il segno della distruzione apocalittica. Privi di questa prospettiva planetaria propria dell’autore inglese più rappresentato in Francia, questi autori rappresentano l’inquietudine d’essere al mondo che travaglia soprattutto la nuova generazione, la quale non riesce a trovarvi la propria collocazione. Addio Heiner Müller o Thomas Bernhardt, gli alfieri di ieri! Bisogna fare posto ai nuovi venuti. Quale sarà la loro durata? re teatrali. In Francia, si è sviluppato anche un certo scetticismo nei confronti del brutale inserimento dei freddi “media” nel campo del teatro. Viceversa, se si desidera individuare sintomi caratteristici, si può notare che molte persone dello spettacolo francese si sono dedicate all’ibridazione delle arti, ponendo questa loro attività soprattutto sotto il segno del ludico, e ritrovando così una dimensione già sviluppata nell’ambito del surrealismo, da Yves Tanguy a Miro. Così facendo, il teatro si è spostato verso il “nuovo circo”, e da questo connubio è nato un buon numero di spettacoli dove si riconoscono situazioni e personaggi “teatrali” mescolati in un contesto dove fa da protagonista il gioco, nel senso di “ludens”. Alcuni coreografi e registi hanno firmato spettacoli che rifiutano di appartenere esplicitamente a un particolare genere, spettacoli nei quali fa piacere riconoscere la gratuità sullo sfondo di un ostentato divertimento. Spettacoli puri, che rafforzano la felicità collettiva e tengono lontane quelle prospettive che sono troppo cupe per non essere anche sospette! Parigi oggi dispone, a La Villette, di uno spazio molto frequentato, che, con le sue rappresentazioni policrome e sorprendenti, attira i giovani alla ricerca del meraviglioso nel quotidiano. Il gioco come risposta alle paure che ci assediano. Una soluzione effimera e pudica. Paesaggio globale Parigi è un festival permanente e, senza dubbio, questo spiega anche l’attrattiva che esercita sui teatranti di tutto il mondo. Qui, essi si confrontano con un pubblico esperto e, nello stesso tempo, s’inseriscono entro una sorta di “interteatralità” generalizzata che permette il confronto e la messa in prospettiva. Proprio perché internazionale, la scena parigina serve da barometro al teatro che arriva da ogni luogo, scopre le sue nuove tendenze e rivela i suoi protagonisti, soprattutto europei. Così, con un certo ritar- Il ludico ritrovato Il teatro francese ha provato una modesta attrazione per le nuove tecnologie e, fatta eccezione di qualche raro artista come Jean-François Peyeret, questo filone non ha suscitato quell’entusiasmo che ha invece contraddistinto altre cultu- Prometeo dell’argentino Rodrigo García do, è vero, si sono imposte in modo indiscutibile tre grandi personalità. Ciascuna incarna un’estetica specifica, identificabile, e questa è la ragione per cui Fomenko, Lupa e Kastorf hanno segnato le ultime stagioni: sono i grandi maestri viventi e vitali dei loro paesi d’origine, maestri la cui opera si impone con autorità sul teatro contemporaneo. E qui sta la differenza con “i numi tutelari”. In questa triade piena di contrasti, Parigi ha riconosciuto le personalità emblematiche del grande teatro contemporaneo. Rappresentanti di un’altra generazione esercitano ugualmente una grande forza d’attrazione. Innanzitutto si distacca l’argentino Rodrigo García, il quale fa un teatro crudele che non rifugge dall’osceno e dal kitsch, tanto ansioso è di far vivere sul palcoscenico “le brutture” del mondo. Non si fa scudo del “bello” o della “cultura alta”, e mette lo spettatore, soprattutto quello più giovane, di fronte a una scrittura violenta, completamente esente dal narcisismo. García appartiene alla stessa famiglia teatrale del francese Olivier Py, pure lui capace di sedurre con un approccio similare. D’altro canto, sulla scena parigina si fa anche sentire una forte attrazione per l’universo fiammeggiante del teatro: universo contrassegnato dal gusto per la materia nonnobile e per il corpo insignificante, per il grottesco e la cruda scrittura scenica. Il successo del gruppo TG-Stan conferma la forza d’attrazione di questo filone: è la rivolta di una giovane generazione contro il teatro concepito come resistenza al mondo. Una generazione che vuole ormai integrarlo, il mondo, e ritrovarlo su un palcoscenico che perde il suo vecchio valore di rifugio per diventare piuttosto cassa di risonanza. Il panorama francese non è per niente omogeneo, ma vi si evidenziano alcune priorità. Ed è proprio questo che ho cercato di mettere qui in evidenza. Il teatro, oggi e sempre, è un gioco di forze. Georges Banu TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 10 Scuola di Recitazione 10 Metodo e pratica della Scuola dello Stabile: la parola alla Direttrice La Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova è considerata da registi ed operatori teatrali una delle migliori “botteghe” per la formazione di giovani attori. Al lavoro didattico unisce una completa esperienza di palcoscenico. Il programma di studi si articola in due fasi distinte: un primo corso di Orientamento per Attori della durata di 8 mesi, a totale carico del Teatro di Genova, al termine del quale viene rilasciato un Attestato di Frequenza; e un biennio di Qualificazione Professionale per Attori, finanziato dalla Provincia di Genova, con fondi provenienti dalla Comunità Europea, dal Ministero del Lavoro e dalla Regione Liguria. Il biennio si conclude con un esame di fronte a una Commissione nominata dalla Provincia di Genova. Il superamento dell’esame comporta il rilascio di un Attestato di Qualifica Professionale di Attore. La Scuola è completamente gratuita. La frequenza ai corsi (da lunedì a venerdì, per un minimo di cinque ore giornaliere) è obbligatoria. Sia al corso di Orientamento, sia a quello di Qualificazione si accede con selezione tramite audizioni. Sede della Scuola di Recitazione corso Buenos Aires, 8 Complesso Teatro della Corte 16129 Genova tel. 010.5342212; fax 010.5342514; [email protected] Verso l’incontro col pubblico Dizione, educazione della voce, recitazione, tecniche del movimento, storia del teatro… Sono queste le principali discipline di ogni scuola di recitazione, e non mancano mai, in nessun piano di studi. Spesso si accompagnano ad altre più o meno complementari. Ma molte o poche che siano - meglio poche, c’è meno dispersione - nessuno potrà contestare che tutte debbano convogliare a un fondamentale obiettivo, cioè la formazione dell’attore. Addestrarsi nel canto o nella danza o quant’altro, può arricchire l’esperienza di un giovane e venirgli anche utile ai fini della carriera, ma lo specifico di una scuola di recitazione non può essere che la recitazione, e non ci si arriva attraverso una frammentazione di materie: recitare non è mettere insieme sezioni di un individuo, è qualcosa di più organico. Il metodo? Il problema non si risolve con un metodo, nessuna teoria della recitazione può onestamente dirlo. Ogni proposta è un contributo, a volte illuminante ma mai risolutivo in cui si avverte lo sforzo, spesso sofferto, di cogliere sempre più nel vivo la chiave del mistero, perché di questo si tratta. Ma poiché, come dice Sartre, «ogni tecnica rimanda a una metafisica», ogni consapevole criterio d’insegnamento rimanda necessariamente a un’idea di tea- tro: ogni Scuola ha una sua estetica latente. Io credo che uno stile “alto” o uno stile “naturale”, non debbano mai significare nell’un caso declamazione e nell’altro sciatteria e che comunque l’esaltazione della cifra stilistica non debba mai distogliere dalla linea di fondo, e cioè dare ai personaggi credibilità e spessore umano. Le vie praticate nelle scuole di recitazione sono fondamentalmente due: recitare scene - solitamente estratte da testi classici - e improvvisare. Ambedue sono richieste sproporzionate alle effettive capacità del principiante. Anzitutto è impossibile avvicinarsi ai problemi dell’interpretazione senza possedere i così detti “fondamentali”, e nel caso li si voglia apprendere (e insegnare) durante l’esecuzione di una scena, l’impresa è logorante e anche scoraggiante sia per l’allievo che per l’insegnante. Quanto all’improvvisazione, questa è una scienza fondata su una tecnica specifica e vuole esperienza; ma anche quando viene praticata nei modi più interessanti, può rivelarsi un tranello perché l’inesperto, molto gratificato dai primi liberi tentativi che lo esonerano da quella gabbia di ferro che è il testo scritto, quando poi si trova a dover interpretare un personaggio della drammaturgia, si accorge che l’esperienza fatta non gli è ser- vita a nulla. Dov’è finita la sua creatività? La creatività dell’interprete sta in qualcosa di più profondo e complesso, cioè nel far diventare propri i pensieri di un altro. Io credo in un piano didattico graduale. E poiché non si può costruire nulla sui vizi che quasi inevitabilmente ogni nuovo arrivato porta con sé, il primo passo deve consistere nell’estirpare la gramigna degli stereotipi che soffoca qualunque personalità attoriale: i principianti si somigliano tutti. All’inizio quindi, non si tratta tanto di gravare l’allievo di richieste recitative, quanto di liberarlo, di riportarlo - per così dire - a vergine. A questo fine ho trovato molto utili gli esercizi di mimica che ho imparato dal mio maestro Orazio Costa in quanto provocano l’allievo a sperimentare moti extraquotidiani e a scoprire così possibili- tà corporee e vocali dimenticate dall’infanzia: nessuna precedente esperienza teatrale gli può essere utile. A ciò si aggiunge l’importante scoperta dell’unità organica di respiro, voce e movimento e della valenza espressiva dell’alternanza contrazione - decontrazione. Pur se di grande utilità per recitare, gli esercizi mimici non si possono però chiamare esercizi propriamente teatrali. Tale è invece l’esercizio a cui si accede dopo un certo periodo, e che ho chiamato del “palleggio”, momento-chiave per imparare cosa vuol dire stare in scena. È un esercizio complesso e ad ampio raggio che vive delle esperienze fatte nei primi mesi nel campo dell’immaginazione e nella pratica della voce e della parola; un esercizio dalle caratteristiche uniche per com’è praticato nella nostra scuola. La sua poetica potrebbe riassumersi nella messa in pratica del concetto di azione in quanto risultante dalla dinamica dei rapporti. Col palleggio l’allievo impara che fare teatro significa presentare una realtà conflittuale: un personaggio agisce, subentra qualcosa che modifica il suo agire, ne deriva uno scontro, un aggiustamento alla nuova situazione. Da qui parte la storia: senza incidente non c’è storia. Col palleggio l’allievo impara il codice dello specifico teatrale, sperimenta che la comunicazione non è fatta solo di parole, impara cosa vogliono dire azione fondamentale e sottotesto, due termini di cui siamo tutti debitori a quel grande ideatore della didattica teatrale che fu Stanislawski; impara il valore ritmico di un ingresso e di un’uscita e così via. L’apprendimento è infinito. In effetti il palleggio non è un esercizio di addestramento, è soprattutto una miniera di scoperte. Si può dire che il palleggio esaurisce le problematiche del recitare. Ma viene pure il momento di verificarlo con lo studio delle vere e proprie scene della grande drammaturgia. E da qui in poi il percorso procede secondo i consueti binari, affidato a insegnanti e registi ognuno propositivo di un personale modo di lavorare. Per quanto impegnato a cercare la via migliore per aiutare i suoi allievi, l’insegnante non è onnipotente. Il vero protagonista è l’allievo che a volte fa delle conquiste là dove forse non ci si sarebbe mai immaginato. E poi c’è l’incontro col pubblico: una scuola di recitazione mancherebbe ai suoi compiti se a un certo punto non includesse nei suoi programmi anche questo importantissimo e ineliminabile momento formativo. È lì, di fronte all’impellente necessità, che il giovane attore ha la sua grande scuola. Anna Laura Messeri Senza ERG all’energia mancherebbe qualcosa. gennaio / marzo 2004 TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 11 Foyer della Corte 11 “ H e l l z a p o p p i n ” : p e r f o r m a n c e s , i n c o n t r i e p r o i e z i o n i n e l l a “ p i a z z a a p e r t a ” d e l Te a t r o d e l l a C o r t e IL FOYER EMERGE IN “SUPERFICIE” La ripresa della collaborazione con il Centro della Creatività del Comune ha permesso di impostare un progetto (Surface/Superficie) che, tramite anche il costruttivo coinvolgimenLa collaborazione tra Accademia Ligustica e Teatro Stabile di Genova per “l'animazione “ del foyer della Corte ha, ormai, carattere di continuità: si incominciò con una riflessione, sollecitata dalla direzione del teatro e allargata a varie realtà che a Genova sono riferimento di giovani artisti e musicisti, quali l'Accademia Ligustica di Belle Arti, il Conservatorio Paganini e il Centro della creatività del Comune. Il Teatro della Corte - si osservò soffre di un'ubicazione decentrata rispetto al cuore della città e ai percorsi dei genovesi, dei giovani in particolare, era necessario creare situazioni che portassero pubblico, giovani , in orario diverso da quello degli spettacoli e che comunicassero l'idea che il teatro è un luogo aperto, accogliente, che il foyer può diventare sala mostre, teatro nel teatro, spazio per conferenze, dibattiti, concerti. Dall'esposizione alla perfor- mance, dal concerto al dibattito, dalla sfilata di abiti surreali all'installazione, è stato sperimentato quasi tutto, sfruttando lo spazio interno e a volte anche quello esterno al teatro. Quest'anno, un anno particolare per la città, una nuova fase della riflessione impostata circa quattro anni fa ha avuto esito in un progetto rinnovato, centrato sulla produzione video dei giovani creativi della Li- to dell’Accademia di Belle Arti, prevede la partecipazione dei giovani artisti genovesi e liguri in uno spazio operativo che investe anche l’esterno della Corte. Mentre si prepara il car- guria. Il progetto avrà sede naturalmente nel foyer del teatro e sarà coordinato dal professore Cesare Viel, artista e docente dell'Accademia, il quale si servirà di uno strumento fondamentale, ancora sottoutilizzato: la Banca dati dei giovani artisti, messa a punto già da alcuni anni dal Centro della creatività. Si pensa ad una tipologia di video che documenti la performance o rappresenti un'azione, così come, negli anni scorsi performance ed happening sono state le forme espressive sperimentate nel foyer dagli studenti dell'Accademia. Infatti “l'azione “, la “simulazione”, “il comportamento” ci sembrano temi interessanti da proporre in uno spazio come quello del teatro, quasi a immaginare un territorio di confine tra le arti visive e quelle dello spettacolo, che attinga ad una molteplicità di mezzi e di possibilità linguistiche. La rassegna, che prevede un coinvolgimento attivo del pubblico, si svolgerà da marzo a maggio 2004 e si intitolerà Surface, superficie: la superficie delle immagini che percepiamo, la superficie dei monitor che saranno collocati nel foyer, la superficie della facciata dell'edificio del teatro che può essere pensata come uno schermo per proiezione... Emilia Marasco direttrice dei corsi della Accademia Ligustica di Belle Arti «TEATRO DA VEDERE» AL LUMIÈRE ciclo organizzato in collaborazione con il Teatro Stabile di Genova Da alcuni anni nell’opuscolo riservato al mondo della scuola e da questa stagione anche nella guida ufficiale, il Teatro Stabile di Genova ha introdotto una rubrica che suggerisce film da vedere, libri da leggere e dischi da ascoltare “per saperne di più” sui testi e sugli spettacoli in cartellone. Suggerimenti sovente soggettivi e anche un po’ bizzarri nei loro accostamenti, che hanno però ottenuto un alto indice di gradimento del pubblico, convincendo C a l e n d a r i o il cineclub Lumière di Genova (Via San Vitale 2) a prenderli alla lettera e a organizzare una rassegna dei film suggeriti, invitando quando possibile alla loro proiezione i registi e gli interpreti dei singoli allestimenti teatrali. Inaugurata a ottobre, l’iniziativa prosegue anche nel 2004 proponendo una ciclo composto di titoli molto stimolanti al quale gli abbonati dello Stabile potranno accedere acquistando un biglietto a prezzo ridotto. d e l l e p r o i e z i o n i Giovedì 15 Gennaio L’ANNO SCORSO A MARIENBAD (Francia / 1961 / 100’) regia Alain Resnais In occasione di Il tempo e la stanza Duse 13 / 18 gennaio Giovedì 19 Febbraio MOLTO RUMORE PER NULLA (GB / 1993 / 111’) regia Kenneth Branagh In occasione di Molto rumore per nulla Duse 10 / 22 febbraio Giovedì 22 Gennaio LA CORAZZATA POTEMKIN (U.R.S.S. / 1926 / 62’) regia Sergej Ejzenstein In occasione di Kornarmija, L’armata a cavallo Corte 20 / 25 gennaio Giovedì 26 Febbraio IL FANTASMA DELLA LIBERTA’ (Francia - Italia / 1974 / 104’) regia Luis Buñuel In occasione di Morte accidentale di un anarchico Duse 24 / 29 febbraio Martedì 3 Febbraio EVA CONTRO EVA (U.S.A. / 1950 / 115’) regia Joseph Mankiewicz In occasione di Questa sera si recita a soggetto Giovedì 4 Marzo GRAND HOTEL (U.S.A. / 1932 / 112’) regia Edmond Goulding In occasione di Camere da letto Duse 2 / 14 marzo Corte 4 / 8 febbraio tellone dei concerti del Conservatorio, continuano le interviste ai protagonisti della scena, a cura del Buonavoglia. Nuovi appuntamenti con gli incontri Teatro e Università. H E L L Z A P O P P I N Giovedì 8 gennaio - ore 17.00 Teatro che passione! conversazione con Laura Marinoni interprete di L’opera da tre soldi alla Corte in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia Mercoledì 21 gennaio - ore 17.30 Intorno a Molto rumore per nulla di William Shakespeare relatori Massimo Bacigalupo e Franco Rossi in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova Mercoledì 28 gennaio - ore 17.30 Galilei e il suo tempo conversazione del prof. Enrico Bellone dell’Università di Milano in occasione dell’esercitazione Vita di Galileo di Brecht al Duse Mercoledì 11 febbraio - ore 17.30 Recital degli Allievi del primo anno del Corso di Qualificazione della Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova a cura di Massimo Mesciulam Venerdì 20 febbraio - ore 17.30 Alchimia del verso: Uccidiamo il chiaro di luna 1909 - 2004: 95 anni di Futurismo (musiche, poesie, performances) in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo Mercoledì 25 febbraio - ore 16.00 Intorno a Elena di Euripide relatori Flavio Baroncelli e Margherita Rubino in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova Giovedì 26 febbraio - 17.30 Teatro che passione! conversazione con Eugenio Allegri interprete di Morte accidentale di un anarchico al Duse in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia Venerdì 12 marzo - 17.30 Alchimia del verso: Alchimie Aritmie Reading elettronico con nuovi autori italiani in collaborazione con il Circolo Viaggiatori del Tempo Mercoledì 17 marzo - ore 17.30 Intorno a Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh relatori Eugenio Buonaccorsi e Massimo Bacigalupo in collaborazione con la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova Giovedì 18 marzo - 17.30 Teatro che passione! conversazione con Giulio Bosetti interprete di La scuola delle mogli al Duse in collaborazione con l’Associazione Culturale I Buonavoglia INGRESSO LIBERO Lunedì 8 Marzo MANCIA COMPETENTE v.o.s. (USA / 1932 / 83’) regia Ernst Lubitsch In occasione di Elena Corte 25 febbraio / 14 marzo Giovedì 5 Febbraio NO MAN’S LAND (Bosnia / 2001 / 106’) regia Danis Tanovic In occasione di No Man’s Land Duse 3 / 8 febbraio Interverranno il regista Marco Sciaccaluga e alcuni attori della Compagnia Giovedì 12 Febbraio UN’ALTRA DONNA (U.S.A. / 1988 / 84’) regia Woody Allen In occasione di Non ti conosco più Corte 10 / 15 febbraio Giovedì 12 Marzo TRISTANA (Francia-Italia-Spagna / 1970 / 85’) regia Luis Buñuel In occasione di La scuola delle mogli Duse16 / 28 marzo numero quattordici • gennaio / marzo duemilaquattro Edizioni Teatro di Genova, Piazza Borgo Pila 42, 16129 Genova. Presidente Avv. Giovanni Salvarezza • Direzione Carlo Repetti e Marco Sciaccaluga Direttore responsabile Aldo Viganò - Collaborazione Annamaria Coluccia Segretaria di redazione Monica Speziotto Autorizzazione del Tribunale di Genova n° 34 del 17/11/2000 Progetto grafico: www.firma.it • art: Bruna Arena, Genova (009/04) Stampa: Arti grafiche bicidi, Genova foto video tv hi.fi RIVENDITORE AUTORIZZATO EOS30 LA NUOVA REFLEX DIGITALE gennaio / marzo 2004 VIALE BRIGATA BISAGNO 44 R. - TEL. 010.561332 TGE00904_Giornale n° 14 21-01-2004 19:28 Pagina 12 12 I mestieri del teatro: incontro con Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto, direttori di scena dello Stabile di Genova Strateghi della penombra Continua il nostro viaggio alla scoperta dei mestieri del teatro, cioè di quelle attività “misteriose” che si svolgono dietro le quinte, lontano dagli occhi indiscreti del pubblico, ma senza le quali l’allestimento di uno spettacolo sarebbe impossibile o, quanto meno, estremamente difficile. Questa volta protagonisti di u n ’ i n t e r v i s t a a d u e v o c i s o n o i d i r e t t o r i d i s c e n a d e l Te a t r o Stabile di Genova, Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto, attualÈ il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene e nessuno meglio di lui conosce segreti, trucchi, retroscena e artifici di uno spettacolo teatrale. È il direttore di scena, figura tanto importante per l’allestimento e il successo di uno spettacolo, quanto sconosciuta al grande pubblico. Un ruolo complesso e delicato il suo, che richiede una particolare miscela di capacità professionali e qualità umane, come spiegano i due giovani direttori di scena del Teatro Stabile di Genova, Bruno Brighetti e Fabrizio Montalto, formatisi entrambi alla “scuola” di Giovanni Battista (Bacci) Garbuggino, attuale direttore di palcoscenico dello Stabile. «Bacci mi ha tracciato la via, mi ha insegnato tutto quello che riguarda il mio lavoro - racconta Montalto - sia norme di comportamento che tanti segreti e trucchi del mestiere, e con lui si è instaurato poi un rapporto anche umano, che va al di là del lavoro». Anche Brighetti ha mosso i primi passi da direttore di scena sotto la guida di Bacci, e sia lui che Montalto sono “approdati” a questo mestiere, circa dieci anni fa Montalto e quattro anni fa Brighetti, dopo aver iniziato a lavorare allo Stabile in altri settori tecnici, rispettivamente come attrezzista e come macchinista. «Il mente severi quando si sono verificati problemi sul palcoscenico. «Fino ad oggi mi sono limitato a provvedimenti disciplinari “all’acqua di rosa”» spiega Montalto. «Io ho fatto un richiamo verbale per un ritardo di 35 minuti - racconta Brighetti - So che Bacci, invece, una o due volte si è addirittura automultato per qualche errore che riteneva di avere commesso». Per poter avere questo ruolo di coordinamento, il direttore di scena deve, quindi, partecipare a tutta la “costruzione” di uno spettacolo: dalle prove a tavolino, quando il testo viene solamente letto, all’allestimento («che è la parte più divertente» dicono entrambi), alle prove in scena, fino all’ultima replica. «Il direttore di scena è il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via: deve essere sempre sul palcoscenico, sia alle prove che durante le repliche» concordano. «Quando incomincia l’allestimento - spiega Montalto - deve preoccuparsi degli oggetti da utilizzare e di organizzare lo spazio, poi inizia la costruzione dello spettacolo e se c’è già la scena si comincia a lavorare su quella. Regista e scenografo si confrontano con me e poi io distribuisco il lavoro ai diversi settori tecnici. Se poi il regista partecipa anche al montaggio delle scene ne di- Fabrizio Montalto con il regista e scenografo Matthias Langhoff direttore di scena coordina tutta la parte tecnica di uno spettacolo» spiega Brighetti. «È responsabile di tutto quello che accade sul palcoscenico, fatta eccezione per la parte artistica - aggiunge Montalto - È responsabile del montaggio di una scena, dei cambi di scena, delle soluzioni tecniche adottate, della disciplina, anche nei confronti degli attori. Se, per esempio, un attore arriva in ritardo alle prove il direttore di scena può assumere dei provvedimenti disciplinari nei suoi confronti e lo può anche multare». Nessuno di loro, però, ha mai adottato, finora, provvedimenti particolargennaio / marzo 2004 scutiamo assieme. Nella maggior parte dei casi, però, il regista non viene e, quindi, le decisioni spettano a me. Io devo sapere tutto, il direttore di scena dev’essere informato di tutto e deve essere sempre presente in palcoscenico». «In tournée - spiega Brighetti - io devo arrivare nelle città prima degli altri per seguire lo scarico dei materiali di scena, e me ne vado solo quando tutti i camion, ricaricati, sono chiusi. Quando si arriva in un nuovo teatro è il direttore di scena che, dopo aver visto il palcoscenico, decide come montare la scena in quello spazio». Per Montalto è importante mente impegnati in tournée con due spettacoli dello Stabile: rispettivamente Il cerchio di gesso del Caucaso di Bertolt Brecht, con la regia di Benno Besson, e Madre Courage e i suoi figli ancora di Brecht, con la regia di Marco Sciaccaluga. Brighetti sarà poi impegnato con Candido da Voltaire, con la regia di Andrea Liberovici, mentre per Montalto il prossimo impegno sarà Il tenente di Inishmore di Martin McDonagh, regista Sciaccaluga. Il direttore di scena Nel teatro di prosa italiano, è oggi colui che presiede e coordina i servizi tecnici inerenti l’allestimento di uno spettacolo e il buon andamento della sua rappresentazione. Nella fase di preparazione e durante le prove dello spettacolo, il suo lavoro si svolge in stretto rapporto con il regista, con lo scenografo e con il responsabile della produzione; durante le repliche e in tournée, il direttore di scena assume sovente anche la responsabilità generale dello spettacolo, non solo garantendone il buon funzionamento tecnico, ma anche sorvegliando sulla puntualità degli attori e, in coordinamento con il direttore di compagnia, vigilando sul rispetto di quanto è stato stabilito dal regista. A questo proposito, la produzione gli può affidare anche l’incarico di fare richiami e di comminare multe. Il direttore di scena è presente, praticamente con lo stesso ruolo, nel teatro iberico e sudamericano, organizzati sul modello italiano; mentre non ha un preciso equivalente nel teatro francese o tedesco o inglese, dove le sue funzioni sono diversamente distribuite e il responsabile dell’organizzazione materiale dello spettacolo viene denominato régisseur (in Francia), director (in Inghilterra), Bühneregisseur o Spielleitung (in Germania). Prima della nascita del teatro di regia, cioè sino alle soglie del secolo XX, il direttore di scena era colui che aveva la piena responsabilità dello spettacolo e s’identificava sovente con il capocomico. Solo dopo che si ebbe coscienza della necessità di un pieno controllo dei vari mezzi artistici del teatro, la responsabilità del direttore di scena venne divisa in due: da una parte il regista (sovente denominato ancora direttore di scena) e dall’altra il direttore di scena nel significato attuale di responsabile tecnico della scena. «durante le prove, anche a tavolino, ascoltare molto. Ascoltare il regista, l’idea che lui ha dello spettacolo, aiuta poi nel lavoro. Naturalmente tutto è più facile e anche più bello se si crea con il regista un buon rapporto, di fiducia e di stima reciproche». Anche se, a volte, al direttore di scena tocca il non facile compito di convincere il regista della impraticabilità tecnica di alcune sue idee. «Bisogna sempre essere in grado di dimostrare che una cosa tecnicamente si può o non si può fare - sottolinea Brighetti - Il regista, in fase di allestimento, ha tutto il diritto di cambiare idea, anche se questo provoca degli spostamenti di scena. Negli ultimi tempi, però, siccome bisogna contenere le spese per questioni di bilancio, spesso i problemi si risolvono da soli, perché si è obbligati a rinunciare a soluzioni troppo costose». L’esperienza, tuttavia, ha insegnato a Montalto che «non è mia competenza giudicare le scelte dell’artista. Ricordo che quando stavamo preparando l’allestimento del Tito Andronico, a Roma, io lavoravo come attrezzista e dovevamo cercare delle catene che servivano per lo spettacolo. Andammo da un fabbro, che ci fece vedere varie maglie di catena, ma la nostra scenografa aveva disegnato delle maglie particolari, che non si trovavano, e il fabbro dovette farcele una per una. A me allora sembrò una cosa assurda ma, con il passare del tempo, ho capito che non è così, che l’artista, se è davvero tale, ha sempre delle ragioni, che non sta a me giudicare». Tocca, però, al direttore di scena conciliare creatività artistica ed esigenze tecniche, traducendole in soluzioni concrete che diano forma allo spettacolo. «Il direttore di scena deve avere almeno un po’ di competenza in tutti i settori tecnici della macchina teatrale - spiega Brighetti - Adesso servono anche, sempre di più, competenze tecnologiche, e bisogna saper stare sul palcoscenico: quando si arriva in una città devi guardare il palco e capire da dove iniziare. E poi bisognerebbe avere un carattere forte. A me a volte rimproverano di non essere abbastanza severo ma io preferisco instaurare i rapporti con le persone su altre basi. Comunque quando si è in tournée non è facile, perché, soprattutto se si tratta di tournée molto faticose, i tecnici iniziano ad essere stanchi e scontenti e il direttore di scena deve cercare di fare, nello stesso tempo, gli interessi dei tecnici e quelli della produzione». «Un direttore di scena deve avere una visione completa dello spettacolo, che è un mix di arte e di tecnica, e poi deve avere soprattutto molta pazienza - sottolinea Montalto - In certi casi bisogna anche saper distinguere fra il rapporto di amicizia che si ha con alcune persone e il rapporto professionale e, se si deve fare un appunto a qualcuno, bisogna farlo comunque, cercando di non ferire nessuno». «Io adesso mi trovo molto bene con la compagnia del Cerchio di gesso del Caucaso ma bisognerebbe che ci fossero sempre rapporti professionali con gli attori, perché altrimenti il lavoro può Bruno Brighetti diventare più difficile» osserva Brighetti. «Questo è un lavoro che ti allontana dal quotidiano e devi riuscire a mantenere un equilibrio, cosa non facile - continua Montalto - Serve anche molta capacità di autocritica: non bisogna essere presuntuosi, perché in questo mondo ce ne sono già tanti. Per me, comunque, i rapporti con gli attori sono più complessi: con il regista lavori alla costruzione dello spettacolo e se c’è fiducia i problemi si superano. Con gli attori, invece, serve molta pazienza, perché devi far fronte alle loro debolezze». Fra le tante esperienze di lavoro fatte finora, Montalto ricorda quella del Filottete della scorsa stagione, con il regista Matthias Langhoff: «È uno spettacolo che mi ha dato particolare soddisfazione perché è stato un lavoro di equipe totale, davvero a 360 gradi, e lavorare con Langhoff è stato molto stimolante - spiega - Lo spettacolo per me più faticoso, anche se non da direttore di scena, è stato, invece, il Tito Andronico, ma è stato anche quello che mi ha fatto fare un salto di qualità, in positivo, dal punto di vista professionale». Brighetti, invece, da direttore di scena ha lavorato soprattutto con il regista Benno Besson, prima in L’amore delle tre melarance e poi nel Cerchio di gesso: «Con Besson mi trovo benissimo, mi piace il suo modo di lavorare - racconta - Un’esperienza negativa è stata, invece, per me, quella con Alfredo Arias, in Il Frigo e La donna seduta: ho avuto seri problemi di rapporti con il regista e primo attore e non credo per colpa mia». Ma, dopo tante fatiche dietro le quinte, viene qualche volta la voglia di essere riconosciuti e applauditi da un pubblico che, invece, solitamente ignora del tutto questo lavoro? «No. Io so che qualcuno sa che ci sono: mi basta questo, va benissimo così - afferma senza esitazione Brighetti - Il bello di questo lavoro è il fatto di poter essere a contatto con persone interessanti e anche di sapere che ogni tre-quattro mesi cambia tutto, si comincia una nuova esperienza». «Il riconoscimento del pubblico non mi ha mai interessato, io sono contento di aver fatto tutte le esperienze che ho fatto», concorda Montalto. «Per me è molto importante quando, per esempio, un regista mi ringrazia per il mio lavoro, come è accaduto recentemente con Marco Sciaccaluga per Madre Courage e i suoi figli, non m’importa del pubblico. Credo, d’altra parte, che la scelta di lavorare dietro le quinte corrisponda a una forma mentale, ad un modo di essere delle persone, che non si cambia». Annamaria Coluccia “Bacci” Garbuggino al lavoro