Scelta sotto incertezza 1. Introduzione Nei capitoli “1” e “2” della microeconomia standard si studia la scelta dei consumatori e dei produttori, che hanno un’informazione perfetta sulle circostanze che caratterizzano il loro problema di scelta. In particolare, non esiste alcuna incertezza circa le conseguenze delle scelte. Ovviamente, l’esperienza ci insegna che in generale le cose non stanno così: qualche malattia potrebbe impedirmi di lavorare tanto quanto avevo programmato; qualche evento esterno, per esempio climatico o tecnologico, potrebbe alterare il profitto che posso ottenere dalla mia attività; in futuro i prezzi dei beni, e quindi le mie possibilità di consumo, potrebbero rivelarsi diversi da quelli che avevo previsto. Come si vede, l’incertezza relativa alla scelta può dipendere da varie circostanze. Tuttavia, il problema può essere impostato in modo semplificato. Anzitutto le varie fonti di incertezza possono essere ricondotte all’unico caso generale in cui incerte sono le conseguenze delle scelte. Inoltre, le diverse forme di incertezza analizzate sopra possono essere rappresentate in termini di incertezza sulla somma monetaria di cui posso venire in possesso dopo aver rinunciato a qualcosa il cui valore monetario è invece certo. Ciò significa che possiamo pensare alla scelta sotto incertezza come scelta fra diverse lotterie. 2. Scelta sotto incertezza come scelta tra lotterie Se si accetta la semplificazione proposta sopra, il comportamento di scelta di fronte ad un mondo incerto consiste sostanzialmente nello scegliere tra diverse lotterie alternative, ciascuna delle quali ha caratteristiche diverse, cioè prezzi di partecipazione e premi potenziali diversi. L’insieme di scelta di chi prende una decisione, dunque, è costituito dalle lotterie disponibili, il vincolo alla scelta potrebbe essere pensato come l’ammontare di risorse che si possono impegnare nella partecipazione alle diverse lotterie e l’informazione consiste nella conoscenza delle caratteristiche delle lotterie disponibili. La descrizione delle conseguenze delle lotterie e il loro ordinamento saranno gli aspetti nuovi che ci impegneranno in questo capitolo. Definiti questi aspetti, la scelta consisterà nel selezionare la lotteria preferita fra quelle disponibili. Per semplificare ulteriormente le cose, supporremo che le lotterie disponibili siano solo due. 2.1. Conseguenze di una lotteria Gli esiti di una lotteria possono essere rappresentati per mezzo di variabili casuali. Una variabile casuale è una variabile che, in una data circostanza, potrebbe assumere uno solo tra diversi valori, e ciascuno dei valori, o esiti, si può verificare con una certa probabilità: per esempio, la variabile casuale “lancio di una moneta non truccata” può assumere i due valori “testa” o “croce”, ciascuno con probabilità ½. Se gli esiti di una variabile casuale sono somme monetarie, le chiamiamo “lotterie”. La probabilità di un esito indica la fiducia che riponiamo nel fatto che si verifichi quell’esito: maggiore è quel numero e maggiore è la nostra fiducia. Non è necessario supporre che le probabilità siano una proprietà ‘oggettiva’ della variabile casuale (come capita nel caso di una moneta che si sa non essere truccata); ci sono molti casi in cui le probabilità sono giudizi soggettivi, in quanto non si hanno o non si possono acquisire informazioni su certe proprietà della variabile casuale (due esempi: il lancio di una moneta di cui non si sa se sia truccata o meno, eppure occorre scommettere; il valore di una certa azione in borsa ad una certa data futura, circa la quale non si può fare alcun esperimento). Sia nel caso oggettivo sia in quello oggettivo, conviene supporre che le probabilità rispettino alcune ipotesi utili per poter effettuare calcoli e decisioni. La prima proprietà è che la probabilità di ciascuno degli esiti sia un numero compreso fra zero e uno, 0 ≤ pi ≤ 1 : gli estremi indicano in realtà certezza (probabilità uno = siamo certi che quell’esito si verifichi; probabilità zero = siamo certi che quell’evento non si verifichi), mentre i casi intermedi indicano incertezza. La seconda proprietà è che la somma di tutte le probabilità degli esiti di una variabile casuale sia pari ad uno, n ∑ pi = 1 . i =1 Una variabile casuale è descritta completamente se se ne elencano tutti i possibili valori assieme alle corrispondenti probabilità, come nella seguente rappresentazione dove si suppone che ci siano n valori possibili x1 p1 x2 p2 … xn pn Consideriamo, per esempio, le conseguenze di una puntata di x euro su un singolo numero alla roulette: se esce quel numero si vince 36 volte la posta, altrimenti non si vince nulla. Tale conseguenza può essere descritta tramite una variabile casuale che assume valore zero con probabilità 36/37, e valore 36x con probabilità 1/37 (si rammenti che può uscire anche il numero zero). Un altro esempio è la scommessa di x euro sul fatto che esca croce nel lancio di una moneta: se esce croce si vince il doppio della puntata, altrimenti si perde tutto. Se la moneta non è truccata, la conseguenza è una variabile casuale che vale 2x con probabilità ½ e zero con probabilità ½. Più in generale, una lotteria è caratterizzata da un costo di partecipazione x e da esiti che prendono la forma di diverse somme monetarie alternative, ciascuna con una sua probabilità. Esempi di “lotterie” importanti in economia possono essere i seguenti. Un progetto di investimento è caratterizzato da un costo iniziale, usualmente noto con certezza, e da possibili rendimenti futuri alternativi, alti o bassi, che potranno dipendere da varie circostanze non ancora note. La semina di un cereale ha le stesse caratteristiche, poiché il profitto che se ne potrà ottenere dipenderà dal clima durante l’anno. Anche il profitto ottenibile da un’attività industriale è soggetto a incertezza, per esempio a causa di possibili problemi di produzione. La guida di un autoveicolo potrà causare danni più o meno gravi a sé o ad altri, solitamente quantificati in termini monetari. L’acquisto di un titolo in borsa ha le medesime caratteristiche, perché se ne conosce il prezzo di acquisto odierno, ma il prezzo futuro di realizzo è incerto. Interessante potrà essere più avanti anche il seguente esempio. Supponiamo che la qualità di un bene che vorrei comprare non mi sia nota, perché non tutti gli esemplari esistenti di quel bene, pur somigliandosi esteriormente, sono tra loro uguali. Supponiamo inoltre che io riesca ad attribuire valori monetari diversi alle diverse qualità, cioè supponiamo che io sia disposto a pagare prezzi diversi per i diversi benefici che le varie qualità mi arrecano. Anche l’acquisto di un bene di qualità incerta, dunque, può essere rappresentato come una lotteria. Una prima caratteristica sintetica di una variabile casuale è il suo valore atteso, che si calcola moltiplicando ciascuno dei possibili esiti per la sua probabilità, e poi sommando tutti questi n prodotti: VA = ∑ xi pi . Il valore atteso di una variabile casuale è una stima sintetica dell’esito i =1 che ci si aspetta di poter osservare. Nel caso di una lotteria, gli esiti sono somme monetarie, per cui parleremo di valore monetario atteso o vincita monetaria attesa della lotteria. Se la lotteria è quella descritta nel precedente esempio della roulette, il valore monetario atteso è 0·(36/37) + 36x·(1/37) = (36/37)·x. Nel caso della moneta non truccata il valore monetario atteso della lotteria è pari a 0·(1/2) + 2x·(1/2) = x. Una lotteria si dice equa se il suo valore monetario atteso è pari al costo di partecipazione. La puntata alla roulette, per esempio, non è una lotteria equa, mentre lo è la scommessa sulla moneta non truccata. La maggior parte delle lotterie effettivamente esistenti non è equa, perché altrimenti i suoi organizzatori non ne ricaverebbero alcun beneficio. Il valore atteso di una variabile casuale dipende ovviamente dai suoi possibili esiti e dalle loro probabilità. La Fig. 1 illustra alcuni esempi di calcolo del valore atteso. Supponiamo di avere tre diverse lotterie, caratterizzate dalle stesse possibili vincite monetarie, una bassa B e una alta A. La differenza tra le tre lotterie consiste nelle probabilità dei loro possibili esiti: nella prima lotteria la probabilità che si verifichi la vincita monetaria alta A è ¼ (dunque la probabilità di ottenere la vincita B è ¾); nella seconda lotteria la probabilità dell’esito migliore è ½; nella terza lotteria infine tale probabilità è ¾. Di conseguenza, il valore atteso è diverso nei tre casi. Nella prima lotteria, dove la probabilità dell’esito peggiore è più grande, il valore atteso VA1 si situa più vicino a B (per la precisione a un quarto di strada fra B e A); nella seconda lotteria il valore atteso VA2 è proprio a metà strada fra A e B; nella terza lotteria il valore atteso VA3 è più vicino ad A (a tre quarti di strada fra B e A). Figura 1 Se cambiano le probabilità cambia il valore atteso B O VA1 VA2 Somme A VA3 O Una seconda caratteristica molto importante di una variabile casuale è la variabilità dei suoi possibili valori rispetto al valore atteso. Tale caratteristica è misurabile tramite la varianza della variabile casuale, definita come media degli scostamenti dei diversi possibili esiti dal valore n atteso, elevati al quadrato: Var = ∑ (xi − VA)2 pi . La varianza misura in qualche modo il i =1 rischio connesso con la variabile casuale. Se quest’ultima può assumere solo valori molto vicini tra loro, la media sarà essa stessa vicina a quei valori e gli scostamenti dalla media saranno piccoli. Se la variabile casuale, quindi, descrive gli esiti di una lotteria, quando la varianza è piccola la lotteria presenta un rischio basso: posso vincere somme tutte molto vicine al valore monetario atteso. Il contrario accade per una variabile che può assumere valori tra loro molto diversi, cosicché la varianza è grande. In questo caso la variabile casuale rappresenta gli esiti di una lotteria caratterizzata da un rischio elevato: posso vincere somme molto più alte, ma anche molto più basse, del valore monetario atteso. Siccome poi partecipare alla lotteria ha un prezzo, quando la lotteria ha varianza elevata posso sì guadagnare molto ma posso anche perdere molto. Lotterie caratterizzate da gradi diversi di rischiosità, cioè da varianza diversa, per alcuni soggetti possono non essere tra loro equivalenti pur avendo il medesimo valore monetario atteso. Facciamo un esempio: si considerino le seguenti due lotterie L1 e L2: 100 L1 = 0 ½ ½ L1 = 51 ½ 49 ½ dove “1/2” di fianco ad ogni risultato indica la probabilità con cui quel risultato si verifica. Si vede facilmente che entrambe le lotterie hanno il medesimo valore atteso, 50. Supponete che esse siano lotterie eque, e che io abbia inizialmente in tasca 50 euro che potrei decidere di spendere per partecipare ad una delle due. Partecipando alla prima potrei trovarmi alla fine con molto più (+50), ma anche con molto meno (−50) reddito rispetto alla mia posizione di partenza; partecipando invece alla seconda la posizione finale sarebbe molto prossima, +1 oppure −1, rispetto ai miei 50 di partenza. La prima lotteria è più rischiosa della seconda. 1 1 Possiamo calcolare la varianza della prima lotteria: Var (L1 ) = (100 − 50 )2 ⋅ + (0 − 50 )2 ⋅ = 2 2 1 1 2500; la varianza della seconda lotteria è invece Var (L2 ) = (51 − 50 )2 ⋅ + (49 − 50)2 ⋅ = 1 , 2 2 molto inferiore alla prima, come atteso. In generale, man mano che i due valori si avvicinano tra loro, a parità di valore atteso, la varianza diminuisce. Si noti che possiamo avere, come caso particolare, variabili casuali che in realtà coincidono con eventi certi. In questo caso uno degli esiti, quello certo, ha probabilità pari ad uno, mentre tutti gli altri hanno probabilità pari a zero. Si tratta ovviamente di un artificio, ma l’artificio è utile perché mostra che un evento certo può essere rappresentato come un caso particolare di variabile casuale. È facile calcolare che una variabile certa ha valore atteso pari al suo unico esito possibile, e ha varianza pari a zero, cioè comporta un rischio nullo, coerentemente con la nostra interpretazione della varianza. 2.2. Avversione e propensione al rischio Tutto ciò posto, la scelta sotto incertezza diventa una scelta tra lotterie alternative, ciascuna caratterizzata da un valore atteso ed una varianza. Nell’insieme di scelta appariranno anche lotterie “artificiali”, cioè somme monetarie certe, e ciò potrà essere molto utile per comprendere meglio il processo di scelta. Per esempio, la scelta se partecipare o meno alla scommessa sul lancio di una moneta non truccata, con costo x e premio 2x, può essere reinterpretata come scelta fra due lotterie: quella appena descritta, nel caso in cui si scommetta effettivamente, e quella coincidente con l’avere x euro in tasca con certezza nel caso in cui non si scommetta. A questo punto possiamo definire un ordinamento di preferenza fra le diverse lotterie. A prima vista potrebbe apparire che il confronto fra lotterie possa avvenire sulla base dei soli valori monetari attesi: un valore monetario atteso, cioè un’aspettativa di vincita, maggiore dovrebbe essere preferibile ad uno minore. Abbiamo già osservato, però, che anche il rischio costituisce un importante elemento di valutazione. Alcune persone, infatti, potrebbero essere molto caute e preferire un valore monetario atteso più basso, purché il rischio sia limitato, mentre altre persone potrebbe amare l’azzardo. Di fronte a prospettive incerte alcuni soggetti si sentono timorosi, mentre altri, amanti dell’azzardo, potrebbero invece entusiasmarsi: soggetti diversi hanno attitudini diverse nei confronti del rischio, manifestando una maggiore o minore propensione nei suoi confronti. La definizione di avversione al rischio che adottiamo è piuttosto intuitiva: un individuo è avverso al rischio se, di fronte a due lotterie che hanno uguale valore monetario atteso, sceglie sempre quella caratterizzata da minore rischio, ovvero minore varianza. In caso contrario diremo che quell’individuo è propenso al rischio. Infine, è neutrale nei confronti del rischio chi è indifferente fra lotterie con uguale valore atteso monetario, anche se hanno varianza diversa. Si osservi che nelle definizioni appena date di avversione o propensione al rischio è molto importante la clausola che le due lotterie confrontate abbiano il medesimo valore atteso. Se il valore atteso delle due lotterie fosse diverso il loro confronto sarebbe meno intuitivo, e nel prossimo paragrafo introdurremo un metodo alternativo per studiare l’avversione o propensione al rischio. Si deve tenere presente, infatti, che non è vero che un avverso (propenso) al rischio sceglierà sempre una lotteria con minore (maggiore) varianza: ciò è vero solo se le lotterie hanno lo stesso valore atteso. Per esempio, se proponete ad un avverso al rischio due lotterie, di sui la seconda lotteria ha maggiore varianza ma anche un maggiore valore atteso, quel soggetto potrebbe preferire la seconda lotteria. 2.3. Utilità, e utilità attesa Quando, in microeconomia, si parla della scelta del consumatore, si afferma che ciò che conta non è la quantità di cui un individuo dispone, beni o danaro, ma il benessere o soddisfazione che egli ottiene da ciò di cui dispone. Analogamente, nel caso di lotterie con vincite monetarie, non è la vincita in sé che rileva, ma la soddisfazione che un individuo ottiene da quella vincita. In questo paragrafo utilizzeremo esplicitamente il concetto di funzione di utilità. Si tratta di una funzione che assegna indicatori numerici di soddisfazione alle diverse possibili conseguenze delle scelte. Poiché nel caso di scelta tra lotterie le conseguenze sono somme monetarie, ipotizzeremo l’esistenza di una funzione di utilità la cui variabile indipendente sono le diverse somme monetarie potenzialmente disponibili: ad ogni somma monetaria corrisponde un ammontare di soddisfazione, misurato da questa funzione. Ovviamente la relazione deve essere crescente, cioè al crescere della somma monetaria l’utilità aumenta. L’ipotesi di utilità crescente è illustrata nelle Fig. 2a e 2b. In entrambi i casi l’utilità aumenta al crescere delle somme monetarie, tuttavia nel primo caso la relazione è concava, mentre nel secondo caso la relazione è convessa. Il significato economico della concavità, per esempio, è che quanto più grande è la somma che il signor Rossi già possiede, tanto più piccola è l’utilità addizionale che egli ottiene da un euro addizionale. Ciò ricorda l’ipotesi che abbiamo adottato nel capitolo precedente, e che allora giustificava la forma convessa delle curve di indifferenza: il possedere quantità maggiori di un certo bene rende le unità aggiuntive meno appetibili. Ma un soggetto potrebbe anche avere preferenze diverse da queste, come per esempio il signor Neri della Fig. 2b, la cui funzione di utilità è convessa. Non si può neppure escludere, infine, che un soggetto abbia una funzione di utilità lineare, cioè rappresentata da una retta. Figura 2 Due tipi di utilità delle somme monetarie Utilità di Rossi Utilità di Neri (a) 0 (b) Somma monetaria 0 Somma monetaria Data questa descrizione del benessere ottenibile da somme monetarie alternative, possiamo ora affrontare il problema dell’ordinamento delle lotterie. Ogni lotteria dà luogo ad una variabile casuale che consiste in varie somme monetarie alternative, ciascuna ottenibile con una certa probabilità. Da ciò consegue che chi partecipa alla lotteria può ottenere diversi livelli di utilità, ciascuno con una certa probabilità. Il suggerimento offerto dagli studiosi della scelta sotto incertezza è allora il seguente. Si consideri una lotteria e si valuti, tramite la funzione di utilità del consumatore, l’utilità che egli otterrebbe in corrispondenza di ogni possibile esito della lotteria. Si calcoli poi il valore atteso, cioè la media, di queste utilità, usando come pesi proprio le probabilità dei diversi esiti. Il risultato di questa operazione è chiamato utilità attesa della lotteria, vale a dire è il valore atteso delle diverse possibili utilità. Si osservi quindi che l’utilità attesa della lotteria si calcola come media di valori della grandezza rappresentata sull’asse verticale del grafico, l’utilità, e si dovrà rappresentarla sul medesimo asse. Il valore monetario atteso, invece, si calcola come media delle somme monetarie, rappresentate sull’asse orizzontale del grafico. L’utilità attesa, dunque, è un indicatore numerico del benessere fornito dalla lotteria in questione. Poiché ordinare i numeri è facile, chi deve prendere una decisione può scegliere, fra diverse lotterie alternative, quella caratterizzata dall’utilità attesa più alta. Se si prende una decisione in questo modo, si dice che ci si comporta secondo il principio dell’utilità attesa, e noi assumeremo che ci si comporti proprio in questo modo. Arrivati a questo punto, siamo riusciti anche nel caso di decisioni sotto incertezza a definire gli elementi essenziali del problema di scelta: l’insieme di scelta sono le varie “lotterie” a disposizione del decisore, inclusa le scelta di non partecipare ad alcuna lotteria e disporre di somme certe; le conseguenze delle scelte sono variabili casuali (somme monetarie incerte) che conseguono dalle diverse scelte; l’ordinamento è costruito guardando all’utilità attesa di ogni scelta (lotteria); i vincoli dipendono in vario modo dalle regole e dai costi di partecipazione delle diverse lotterie; l’informazione è, nelle nostre ipotesi, “completa” nel senso che le proprietà delle diverse lotterie (ma ovviamente non i loro esiti specifici) sono note con precisione a chi deve compiere la scelta. 2.4. Ancora avversione e propensione al rischio Per collegare in modo semplice le definizioni di avversione e propensione al rischio con il principio dell’utilità attesa conviene considerare inizialmente la scelta fra coppie di lotterie di uguale valore monetario atteso quando una delle due lotterie sia in realtà un evento certo. Il caso più semplice è la scelta se partecipare o meno ad una lotteria equa. In questo caso la scelta di non partecipare implica che alla fine avremo in tasca per certo il costo di partecipazione X: se non partecipiamo alla scommessa possiamo godere sicuramente della somma X che abbiamo risparmiato. Possiamo anche dire che la scelta di non partecipare ci promette un valore monetario atteso pari a X, in quanto si tratta del valore atteso di una variabile in realtà certa il cui valore è X. La partecipazione, invece, implica esiti incerti, ma con un valore monetario atteso esattamente pari al costo di partecipazione, essendo la lotteria equa. I valori monetari attesi delle due scelte sono dunque uguali, ma la varianza è diversa: non partecipare implica una varianza nulla, mentre partecipare implica una varianza positiva. Studiamo il problema secondo il principio dell’utilità attesa. Figura 3 Avversione al rischio Utilità U(OA) U(OX) UA = ½U(OA) + ½U(OB) U(OB) 0 B X A Somme monetarie Consideriamo un soggetto che abbia una funzione di utilità concava. Supponiamo che costui possa scegliere se partecipare ad una lotteria equa i cui due esiti monetari, alto e basso, sono indicati come al solito come OA e OB. Il valore monetario atteso, OX, si situa a metà strada fra OB e OA poiché ipotizziamo che le probabilità dei due esiti siano ½; e OX è anche il costo di partecipazione alla lotteria. Questa situazione è illustrata nella Fig. 3. Se il nostro soggetto decide di non partecipare, risparmia OX euro, che si ritrova in tasca per certo e che gli garantiscono un’utilità pari a U(OX), come vediamo dalla figura. Se invece decide di partecipare, il nostro decisore potrà ottenere due diversi livelli di utilità, ciascuno con probabilità ½, a seconda dell’esito monetario. Se la vincita monetaria è quella più alta, l’utilità ottenuta sarà U(OA), altrimenti sarà U(OB). Questi due livelli di utilità sono indicati in ordinata nella Fig. 3. Ciò che conta ai fini della decisione, tuttavia, è l’utilità attesa UA, cioè la media fra U(OA) e U(OB): siccome le probabilità di ottenere questi due livelli di utilità sono pari a ½, l’utilità attesa si trova a metà strada fra i due (in verticale!), e corrisponde all’altezza della linea continua riportata in figura. Siccome l’utilità attesa di partecipare alla lotteria, UA, è chiaramente inferiore all’utilità di non partecipare, U(OX), questo soggetto decide di non partecipare. Ne segue che un soggetto la cui funzione di utilità è concava è avverso al rischio, perché fra le due alternative di uguale valore monetario atteso preferisce quella di minor varianza. La scelta di non partecipare, infatti, dà luogo ad un esito certo, la cui varianza è zero, mentre la lotteria ha varianza positiva in quanto i due possibili esiti sono discostati dal valore monetario atteso. Consideriamo invece ora il caso di un individuo che abbia una funzione di utilità convessa. Gli altri dati del problema sono gli stessi di prima. La Fig. 4 illustra questa situazione, e se ne può agevolmente ricavare che in questo caso U(OX) è inferiore a UA. Il nostro individuo, dunque, sceglie di partecipare alla lotteria, perché ciò gli fornisce un’utilità attesa maggiore. Questo è il caso di propensione al rischio: il soggetto preferisce la prospettiva con maggiore varianza. Una situazione esattamente intermedia fra le due precedenti sarà caratterizzata da una funzione di utilità né concava né convessa. Il grafico di questa funzione di utilità sarà una linea retta, e in tal caso chi deve decidere sarà indifferente fra le due alternative in esame. Costui è neutrale nei confronti del rischio, cioè guarda solo al valore monetario atteso delle due lotterie senza preoccuparsi della maggiore o minore varianza. Figura 4 Propensione al rischio Utilità U(OA) UA= ½U(OA) + ½U(OB) U(OX) U(OB) 0 B X A Somme monetarie Si potrebbe sospettare che i risultati appena ottenuti siano validi solo perché l’alternativa alla prospettiva incerta è un evento certo. Da ciò potremmo dedurre, per esempio, che un soggetto avverso al rischio è semplicemente uno che preferisce solo le prospettive certe, ma in realtà le definizioni che abbiamo dato all’inizio di questo paragrafo, che vi preghiamo di andare a rileggere, sono valide in generale. Per capire questo punto ci limitiamo al caso dell’avversione al rischio, e ricorriamo alla Fig. 5. Qui un soggetto caratterizzato da una funzione di utilità concava si trova di fronte a due diverse lotterie con uguale vincita monetaria attesa: la prima ha come esiti possibili OA1 e OB1, la seconda ha esiti OA2 e OB2 ed in entrambe le lotterie le probabilità degli esiti sono pari a ½. Evidentemente la prima lotteria ha varianza maggiore della seconda, perché i suoi esiti sono più lontani, rispetto alla seconda, dal valore atteso. Ciò che conta per chi deve decidere è l’utilità attesa. Siccome la probabilità degli esiti in entrambe le lotterie è pari a ½, l’utilità attesa di ciascuna di esse si situa esattamente a metà strada fra le utilità dei due diversi esiti a cui esse possono condurre. Dunque l’utilità attesa della prima lotteria è L1, media fra U(OA1) e U(OB1), mentre l’utilità attesa della seconda lotteria è L2, media fra U(OA2) e U(OB2). La prima lotteria implica per il decisore un’utilità attesa inferiore rispetto alla seconda: quest’ultima, che ha varianza più bassa, sarà dunque preferita alla prima, e ciò significa avversione al rischio. Resta dunque confermato che un soggetto la cui funzione di utilità è concava è anche avverso al rischio. Figura 5 Due lotterie diverse Utilità U(OA1) U(OA2) L2 L1 U(OB2) U(OB1) O B1 B2 A2 A1 Somme monetarie Poiché un soggetto avverso al rischio ha una funzione di utilità concava, potremmo pensare che una funzione di utilità più concava, cioè caratterizzata da una curvatura più pronunciata, implichi una maggiore avversione al rischio. Questa ipotesi è in un certo senso corretta, ma in questa sede non possiamo approfondire oltre questo punto. Possiamo affermare, quindi, che la curvatura della funzione di utilità è un indicatore dell’attitudine al rischio. Più la curva è concava, più il soggetto è avverso al rischio; se la curva è meno concava, lineare, o addirittura convessa, il soggetto è meno avverso, neutrale, o addirittura propenso nei confronti del rischio. Per concludere, accettando il principio dell’utilità attesa abbiamo potuto giustificare rigorosamente un’ipotesi abbastanza ragionevole: un individuo avverso al rischio sceglierà, fra diverse lotterie di uguale valore monetario atteso, quella caratterizzata da minor incertezza, cioè da minore varianza. Dunque, il fatto che oggi esista una gran quantità di persone che si dedicano a fare scommesse e a comprare biglietti di lotterie (e sappiamo che non si tratta di lotterie eque) può, al punto attuale della nostra analisi, essere interpretato in un solo modo: se sono persone che agiscono secondo il principio dell’utilità attesa e sanno valutare correttamente le opzioni a loro disposizione, si tratta di persone amanti del rischio. State attenti, però: la nostra analisi prevede che i decisori che studiamo si comportino in modo “intenzionale”, cioè valutando attentamente tutte le conseguenze delle loro scelte. In molto casi, invece, le persone si comportano purtroppo in modo meno intelligente: per esempio, molte persone comprano biglietti di lotterie, o stanno sedute di fronte a macchine della “fortuna”, per una sorta di dipendenza irrazionale, e non perché siano intenzionalmente propense al rischio. 3. Assicurarsi o correre il rischio? Uno dei settori principali di applicazione della teoria esposta sopra è l’economia delle assicurazioni. Supponiamo che il signor Rossi possieda un appezzamento di terreno, e sappia che mettendolo a coltura potrebbe ottenere un certo profitto, che è dato dalla differenza tra ricavi e costi. Il profitto sarà alto se il clima sarà favorevole, e basso nel caso contrario. Ipotizziamo che la probabilità di un clima favorevole sia ½. Rossi, dunque, è incerto sul risultato finale della sua attività, ma d’altra parte questo è l’unico modo per ottenere un reddito. Rossi, quindi, non potrà astenersi dal coltivare il suo appezzamento. Un giorno arriva il signor Verdi, che è un assicuratore, il quale propone a Rossi questo contratto: Rossi pagherà a Verdi ogni anno una somma, che si chiama premio assicurativo, pari alla metà della differenza fra il profitto alto e il profitto basso. Nel caso di un’annata sfavorevole per il raccolto, Verdi pagherà a Rossi come risarcimento tutta la differenza fra profitto alto e profitto basso. Rossi deciderà di assicurarsi? Se A è il profitto alto e B il profitto basso, quando Rossi non si assicura può aspettarsi di avere in media ogni anno una somma pari a ½·A + ½·B = ½·(A + B). Cosa accade se Rossi si assicura? Se le cose vanno male, egli ottiene il profitto basso, riceve il risarcimento e paga il premio, cioè ottiene il reddito B + (A – B) – ½·(A – B) = ½·(A + B). Se le cose vanno bene, invece, Rossi riceve il profitto alto e paga il premio, cioè ottiene il reddito A – ½·(A – B) = ½·(A + B). Allora, poiché in entrambi i casi Rossi riceve ½·(A + B), se si assicura egli può contare ogni anno su un reddito certo pari a tale valore. Rossi quindi si trova a scegliere tra due lotterie con lo stesso valore monetario atteso ma con una diversa varianza, perché l’esito di una delle due lotterie, quella che consiste nell’accettare l’assicurazione, è certo. Dunque, se Rossi è avverso al rischio preferisce assicurarsi, e rinuncia ad assicurarsi se è propenso al rischio. L’esempio appena fatto è un esempio di “assicurazione completa”: il signor Rossi, cioè, se si assicura rimano completamente indenne da incertezza, poiché il suo reddito rimane costante indipendentemente da ogni evento che possa verificarsi. Come possiamo intuire, però, se Rossi è avverso al rischio accetterà di assicurarsi non solo quando gli si promette un reddito costante, ma anche quando gli si propone un qualsiasi contratto caratterizzato da un premio x e da un risarcimento 2·x, il cui effetto è una riduzione del rischio per Rossi. Si consideri infatti quanto segue. Se non si assicura Rossi può continuare ad avere in media un reddito pari a ½·(A + B). Se Rossi si assicura, quando le cose vanno bene ottiene il profitto alto e paga il premio, cioè ha un reddito pari a A – x, e quando le cose vanno male ottiene il profitto basso, riceve il risarcimento e paga il premio, cioè ha un reddito pari a B + 2·x – x = B + x. Il valore monetario atteso di questa lotteria, quindi, è ½·(A – x) + ½·(B + x) = ½·(A + B). Rossi, dunque, deve scegliere tra due lotterie che hanno lo stesso valore monetario: ma la seconda ha varianza più bassa della prima, visto che i suoi esiti sono più vicino al valore monetario atteso. Se Rossi è avverso al rischio, dunque, deciderà di assicurarsi. Sia il primo esempio, nel quale il reddito di Rossi è costante in qualsiasi circostanza, sia il secondo, nel quale il reddito dell’assicurato resta incerto, sono esempi di assicurazioni eque: il valore monetario atteso del reddito di Rossi rimane lo stesso che egli aveva prima dell’assicurazione, pari cioè a ½·(A + B). Più in generale, un’assicurazione equa è tale se, data una qualsiasi probabilità p dell’evento sfortunato, il risarcimento promesso è pari al premio diviso per quella probabilità. Per capire questo punto, chiamiamo PR il premio e chiamiamo RIS il risarcimento, e dunque nel caso di assicurazione equa deve valere RIS = PR ; supponiamo, p come prima, che i possibili redditi prima dell’assicurazione siano quello basso, B, e quello alto, A. Se la probabilità del caso sfortunato è p, prima di assicurarsi il valore atteso del reddito è VA = B ⋅ p + A ⋅ (1 − p ) . Se l’assicurazione è equa come detto sopra, il valore atteso del reddito VA = (B − PR + RIS ) ⋅ p + ( A − PR ) ⋅ (1 − p ) = B − PR + PR ⋅ p + ( A − PR ) ⋅ (1 − p ) = p Bp − PR ⋅ p + PR + A − A ⋅ p − PR + PR ⋅ p = B ⋅ p + A ⋅ (1 − p ) , esattamente uguale a prima. Non è detto, però, che tutte le assicurazioni siano eque, cioè non è detto che esse promettano all’assicurato lo stesso reddito monetario atteso che egli avrebbe se non si assicurasse. Anzi, usualmente accade che il valore monetario atteso garantito da un’assicurazione sia inferiore al valore monetario atteso che si avrebbe se non ci si assicurasse. L’assicurazione, infatti, deve pagare i suoi dipendenti e tutti gli altri costi di gestione. Ciò significa che un soggetto avverso al rischio non trova più conveniente assicurarsi? Per studiare questo problema consideriamo la Fig. 6. Il profitto di Rossi è OB se il raccolto è cattivo, il profitto OA se il raccolto è buono e la probabilità che il raccolto sia cattivo è sempre ½: dunque il valore atteso del profitto è X, a metà strada fra B e A. Ora Verdi, l’assicuratore, gli propone il seguente contratto: Rossi pagherà a Verdi un premio all’inizio dell’anno. Se le cose vanno bene la storia finisce qui; se invece il raccolto sarà cattivo Verdi pagherà a Rossi un “risarcimento integrale”, pari al danno e cioè alla differenza tra OA e OB. Il reddito di Rossi, diventa dunque, sarà OA in ogni caso, cioè con certezza. Da tale reddito Rossi dovrà comunque dedurre il premio che deve pagare. La domanda che ci poniamo è: qual è il premio massimo che Rossi è disposto a pagare a Verdi? Poiché il reddito che Rossi ottiene senza assicurarsi può essere OB oppure OA, l’utilità che Rossi ottiene senza assicurarsi è misurata da OL in caso sfavorevole e da OH in caso favorevole, e l’utilità attesa in assenza di assicurazione (cioè la media fra queste due utilità) è OM, il segmento di lunghezza media fra OL e OH. Lo schema assicurativo proposto da Verdi implica invece che Rossi avrà comunque, senza incertezza, un reddito netto pari a OA, meno il premio che dovrà pagare. Ragioniamo allora come segue. Ci domandiamo: qual è il reddito che, se posseduto con certezza, darebbe a Rossi una utilità pari quella goduta prima si assicurarsi? Una tale somma si chiama equivalente certo della situazione incerta. Nel nostro caso, è facile vedere che l’equivalente certo della “lotteria” incerta in cui Rossi vive prima si assicurarsi è indicato da EC: infatti, se Rossi possedesse con certezza EC, la sua utilità sarebbe OM, pari all’utilità attesa in assenza di assicurazione. Figura 6 Il massimo premio assicurativo che Rossi è disposto a pagare Utilità H M “Premio per il rischio” L 0 B EC X Utilità attesa senza assicurazione A Reddito di Rossi Premio massimo Dunque, se il premio assicurativo fosse proprio pari al segmento ECA, assicurandosi Rossi otterrebbe la stessa utilità che non assicurandosi. Ne segue che il premio massimo che Rossi è disposto a pagare è proprio la somma ECA: se il premio fosse maggiore (minore), il suo reddito certo, al netto del premio, sarebbe inferiore (superiore) a EC, e la sua utilità sarebbe inferiore (superiore) a OM. La cosa importante da osservare è che, pagando il premio ECA, Rossi si trova ora in una situazione, certa, il cui valore monetario atteso è inferiore a quello che avrebbe senza assicurarsi: infatti EC < X, come si vede chiaramente nella Fig. 6. La differenza fra il valore atteso di una lotteria e l’equivalente certo della medesima lotteria si chiama “premio per il rischio”. Possiamo concludere, dunque, che un soggetto avverso al rischio può preferire assicurarsi anche se il valore del reddito che gli rimane è inferiore al reddito atteso che aveva prima di assicurarsi. La rinuncia massima in termini di reddito atteso, cioè il premo per il rischio, è una misura di quanto il soggetto è disposto a “pagare” per essere liberato interamente dal rischio, cioè per liberarsi interamente dell’incertezza (via un risarcimento integrale). 4. Scelte sul mercato finanziario Per poter discutere della scelta sotto incertezza sui mercati che per antonomasia implicano un rischio, cioè i mercati finanziari, è utile premettere una breve descrizione delle caratteristiche istituzionali di tali mercati, per evitare che il lettore inesperto possa rimanere intrappolato nelle nozioni intuitive dedotte da qualche titolo di giornale. Acquistare un titolo finanziario significa rinunciare oggi ad una somma certa, il prezzo odierno del titolo, in cambio di incassi futuri più o meno incerti, che dipenderanno per esempio dal prezzo del titolo al momento della sua vendita. Esistono vari tipi di titoli, che si differenziano per le caratteristiche contrattuali e dunque per quelle economiche. Alcuni titoli promettono il pagamento di un valore certo di rimborso alla scadenza, ed eventualmente interessi (cedole) fissi durante la vita del titolo se questa è superiore ai 12–24 mesi. In particolare, i BOT (Buoni Ordinari del Tesoro) non pagano interessi durante la loro vita, che non è superiore all’anno, e il rendimento dell’operazione consiste nel fatto che il valore di acquisto (detto valore di emissione) è inferiore al valore di rimborso. Altrettanto avviene con i CTZ (Certificati del Tesoro Zero–coupon, dove coupon significa cedola), che hanno durata di 24 mesi ma per il resto si comportano come i BOT. Le obbligazioni (e nel caso di quelle pubbliche in Italia si parla di BTP, Buoni del Tesoro Poliennali) hanno alcune caratteristiche simili a quelle dei titoli precedenti. Le obbligazioni sono emesse e rimborsate a prezzi prefissati e praticamente uguali, cosicché si dice che vengono emesse “alla pari”: se il valore di emissione è 100 lo è anche quello di rimborso. Questi titoli, però, durano più di 24 mesi, e durante la loro vita pagano cedole annue (o semestrali) fisse. I CCT (Certificati di Credito del Tesoro) hanno durata pluriennale, valore di rimborso prefissato, emissione alla pari, e interessi semestrali variabili a seconda delle condizioni che prevalgono di volta in volta sui mercati finanziari. Esistono infine le azioni, cioè quote di proprietà delle società, che offrono rendimenti annui (dividendi) e valore di realizzo al momento della vendita entrambi incerti. I dividendi sono incerti, perché lo sono i risultati economici delle società, e il prezzo delle azioni è incerto, perché varia nel tempo la valutazione che i potenziali acquirenti danno della società e quindi del titolo che la rappresenta. Le azioni non hanno di fatto una data di scadenza, perché gli statuti delle società prevedono durate molto lunghe. Ciò non significa che chi compra un’azione debba tenerla indefinitamente: la borsa è proprio il mercato in cui chi lo desidera può comprare e vendere in qualsiasi momento le azioni. Si tratta di un mercato cosiddetto “secondario”, contrapposto al mercato di emissione iniziale, dove è possibile comprare e vendere anche tutti i tipi di titoli di cui abbiamo parlato prima (BOT, CTZ, eccetera). Neanche l’acquirente di un’obbligazione è obbligato a tenerla sino alla scadenza, e inoltre può decidere di comprarne sul mercato secondario anziché all’emissione. Sul mercato secondario, inoltre, si contrattano anche altre forme di titoli, che hanno caratteristiche contrattuali tali da far dipendere il valore di realizzo o le cedole dall’andamento di altri titoli. Tali forme vengono denominate derivati, e se ne inventano di nuove ogni giorno: trascureremo per semplicità questi titoli. In borsa, infine, è anche possibile comprare valuta estera, o titoli denominati in tale valuta, per venderli in un futuro. Poiché il prezzo della valuta, chiamato tasso di cambio, è variabile nel tempo, anche questa è un’operazione finanziaria dai risultati incerti. Potrebbe sembrare che i titoli a cedola e valore di rimborso fissi diano luogo a operazioni finanziarie dal risultato certo, a differenza di quelle che riguardano CCT e, soprattutto, azioni. Si noti tuttavia quanto segue. Il tasso di interesse è il tasso di rendimento annuo di una somma prestata per un periodo breve, usualmente 3−12 mesi. Questo tasso è sempre espresso in base annua: se un’operazione trimestrale mi rende x%, il suo equivalente su base annua è 4x%. Il rendimento misurato dal tasso di interesse può essere ottenuto tramite diverse operazioni di prestito, incluso l’acquisto di BOT a 3−6 mesi o (all’incirca) di CCT. Queste operazioni sono quelle che si riferiscono al cosiddetto mercato “monetario” o della “liquidità”. Per la precisione su questo mercato vigono tassi di interesse lievemente diversi tra loro, a seconda del tipo di operazione monetaria intrapresa, ma per semplicità assumiamo che esista un solo tasso. Il tasso di interesse implicito nell’acquisto di un BOT può essere calcolato a partire dal suo valore di emissione e da quello di rimborso. Se il valore di rimborso, per esempio, è 100 e il valore di emissione è 98, il tasso di interesse è dato da 100/98 – 1 = circa 1,0204 – 1 = 0,0204. Moltiplicando per cento questo risultato si ottiene il tasso di rendimento in termini percentuali, cioè 2,04%. I BOT semestrali (trimestrali) dovranno dare un rendimento percentuale pari a circa la metà (un quarto) del tasso annuale. Il tasso di interesse, tuttavia, può variare nel tempo, e di fatto varia anche di molto. Si supponga, dunque, che all’inizio di gennaio di un certo anno il tasso di interesse prevalente sul mercato monetario sia il 2%. Un BOT annuale, quindi, deve essere emesso ad un prezzo pari a circa 98, se supponiamo che il valore di rimborso sia 100, perché altrimenti nessuno o troppi lo vorrebbero comprare. Se qualcuno, subito dopo aver acquistato all’emissione un BOT annuale, volesse rivenderlo, non potrebbe sicuramente venderlo a una somma più alta di 98. Chi considera la possibilità di acquistare quel titolo, infatti, può sempre trovare sul mercato monetario altri modi di prestare che gli garantiscono il 2% e quindi non sarà disposto a pagare più di 98 per questo titolo. Supponiamo, però, che subito dopo l’emissione del titolo per qualche ragione il tasso di interesse prevalente diventi 4%. Ora non solo chi ha comprato il titolo non può rivenderlo a 98, ma dovrà rivenderlo a 96,2 circa, perché chi considera la possibilità di comprare questo titolo può sempre trovare altri titoli o prestiti che gli garantiscono il 4% all’anno. In effetti 100, il valore di rimborso, è proprio pari al montante di 96,2 al tasso del 4% (si veda il Cap. 10, Par. 5). Abbiamo dunque imparato che quando il tasso di interesse aumenta (diminuisce), il prezzo di mercato dei titoli a rimborso fisso deve diminuire (aumentare). Consideriamo ora un’obbligazione di durata abbastanza lunga (BTP, oppure obbligazione di una società privata), che garantisce una cedola fissa costante per molti anni. Si sappia che i tassi di interesse per prestiti di lunga durata sono superiori a quelli del mercato monetario, perché il rischio affrontato dal prestatore è maggiore. Se per esempio questa obbligazione viene emessa in un periodo in cui il tasso di interesse prevalente per i prestiti a lunga è il 4%, essa dovrà pagare 4 euro ogni anno per ogni 100 euro di valore di emissione, perché altrimenti nessuno la sottoscriverebbe. Allora, poiché il valore nominale o di rimborso di un’obbligazione è convenzionalmente 100, diremo che la sua cedola è 4. Poiché la sua durata è superiore all’anno, questo titolo potrà essere rivenduto in qualsiasi momento a 100, perché anche da quel momento esso pagherà 4 ogni 12 mesi. Questo è vero, tuttavia, solo se il tasso di interesse continua a rimanere il 4%. Cosa succede se il tasso di interesse a lunga diventa il 6%? Chi considera la possibilità di comprare questo titolo, e ottenere il diritto ad incassare 4 ogni anno, lo farà soltanto se anche questa operazione rende il 6% ogni anno. Costui, quindi, sarà disposto a pagare solamente una somma rispetto alla quale 4 rappresenti il 6%. Il nuovo prezzo dell’obbligazione, P, deve pertanto essere tale che 4/P = 6% = 0,06, cioè deve essere P = 4/0,06 cioè P = 66,7 circa. In generale il prezzo dell’obbligazione è uguale al valore della cedola diviso il tasso di interesse. Il calcolo appena svolto è approssimativo, ed è valido a rigor di termini solo per un’obbligazione di durata infinita o almeno molto lunga. Se infatti la scadenza dell’obbligazione è imminente, chi desidera comprarla o venderla deve tenere conto che il rimborso avverrà comunque al valore nominale 100. La convenienza di detenere il titolo, quindi, dipende non solo dal rendimento percentuale delle cedole, ma anche dal possibile guadagno o perdita derivante dalla variazione del valore dal titolo da ora al momento del rimborso. Ne segue che per titoli la cui scadenza sia imminente la variabilità del prezzo indotta dalle variazioni del tasso di interesse tende ad essere moderata. I titoli che in Italia meglio approssimano la durata molto lunga sono i BTP trentennali. Dunque, anche nel caso della lunga durata un aumento del tasso di interesse implica in generale una caduta del prezzo di mercato del titolo. Per esempio, se la cedola è 4 e il tasso di interesse diventa l’8% il prezzo dovrà cadere a 50; se il tasso di interesse diventa il 2% il prezzo dovrà salire a 200. Poiché i tassi di interesse che prevarranno in futuro sono incerti, il rischio implicito in un BTP con scadenza lontana nel tempo, se si è programmato di rivenderlo a breve, può essere piuttosto elevato. Che dire, invece, di un CCT? Poiché le cedole semestrali vengono fatte variare per contratto in corrispondenza di eventuali variazioni del tasso di interesse, il rapporto fra le due grandezze rimane stabile. Dunque, data la regola che abbiamo scoperto poco sopra, il prezzo di mercato di un CCT rimane praticamente costante nel tempo attorno a 100, e il rischio sul suo valore di rimborso è nullo. I tipi di titoli si differenziano dunque in relazione alla rischiosità per chi voglia comprarli e rivenderli dopo un tempo prefissato. Da una parte esistono operazioni monetarie praticamente senza rischio, come i prestiti a tre mesi e l’acquisto di BOT o CCT; dall’altra esistono operazioni finanziarie rischiose, come l’acquisto di BTP, obbligazioni e azioni. Possiamo presumere, dunque, che i comportamenti sul mercato finanziario possano essere analizzati per mezzo degli strumenti che abbiamo imparato a usare nel Par. 2 di questo capitolo. BOT oppure obbligazioni? Il signor Rossi dispone di una certa somma, che ha deciso di utilizzare per l’acquisto di un titolo. Esistono solo due tipi di titoli, che hanno il medesimo prezzo di acquisto odierno: un BOT, che dà un rimborso certo dopo un anno, e un’obbligazione, che dopo un anno potrà avere due prezzi diversi, alto e basso, con probabilità ½. Dunque la ricchezza che Rossi potrà avere se compra un’obbligazione è una variabile casuale. Supponiamo che Rossi sia avverso al rischio. Figura 7 Rossi è avverso al rischio ma preferisce un’obbligazione ai BOT Utilità H Utilità attesa dell’obbligazione G F E Valore monetario atteso dell’obbligazione 0 A B C (R) D Valore di rimborso Sappiamo già che se il valore monetario atteso dell’obbligazione è pari al valore di rimborso del BOT, egli sceglie di acquistare il BOT, che ha il vantaggio di avere un valore di rimborso certo. Anche gli intermediari finanziari consigliano alle persone molto avverse al rischio di mantenersi su posizioni più “monetarie”. Ma non è detto che Rossi preferisca sempre le opzioni meno rischiose. Consideriamo la Fig. 7, dove l’asse orizzontale misura il rimborso ottenibile con le due scelte (trascurate per il momento il punto indicato con la lettera R tra parentesi). Il rimborso certo ottenibile acquistando il BOT è OB, che garantisce a Rossi un’utilità pari a OF. L’acquisto dell’obbligazione, invece, offre la possibilità di un rimborso pari a OA, che comporta un’utilità pari a OE, con probabilità ½ oppure un rimborso più alto, OD, che comporta un’utilità pari a OH, con probabilità ½. L’utilità attesa di Rossi, dunque, è pari a OG, che è superiore a OF. Come si vede, Rossi preferisce acquistare l’obbligazione anche se è avverso al rischio. Se infatti l’opzione più rischiosa, l’obbligazione, offre la possibilità di avere rimborsi elevati ancorché incerti, la sua utilità attesa supera quella dell’alternativa non rischiosa: in effetti nell’esempio precedente il valore monetario atteso di rimborso dell’obbligazione è OC, decisamente maggiore del valore certo di rimborso del BOT, OB. Questo è proprio ciò cha accade nella realtà, dove la maggior parte dei risparmiatori sono avversi al rischio, e dunque occorre incentivarli in qualche modo per indurli a sottoscrivere opzioni rischiose. Il motivo per cui le obbligazioni sono per loro natura più rischiose di altre alternative è che il debitore potrebbe fallire e non rimborsare quanto promesso. Supponete che il valore di emissione e di rimborso (in assenza di quanto diremo tra poco) dell’obbligazione sia R, come indicato tra parentesi nella Figura 7. Tuttavia, con probabilità ½ per semplicità, l’emittente-debitore può fallire, nel qual caso il rimborso è pari a zero. In queste circostanze il valore atteso dell’obbligazione (a metà strada fra zero e R) è piuttosto vicino al valore di rimborso del “BOT”, B, e gli avversi al rischio preferiranno dunque quest’ultimo. Come si può fare per indurli sottoscrivere l’obbligazione? Il metodo usuale è promettere il pagamento certo di ‘cedole’, cioè di interessi, lasciando incerto solo il rimborso finale. Pagare interessi con certezza significa innalzare l’incasso totale ottenibile dal possesso di obbligazioni, in caso sia di rimborso sia di fallimento: se l’ammontare degli interessi è pari per esempio al segmento OA, uguale per costruzione al segmento RD, l’incasso totale, inclusivo degli interessi, diviene A in caso di fallimento e D in caso di rimborso integrale, ricadendo così nel caso studiato all’inizio: un avverso al rischio sarà indotto a sottoscrivere l’obbligazione. Potete poi capire facilmente che, se aumenta la probabilità di fallimento, il valore atteso di rimborso dell’obbligazione al netto degli interessi si riduce; dunque, per indurre soggetti avversi al rischio a detenerla comunque, occorrerà aumentare gli interessi promessi. Questo è proprio ciò che osserviamo nella realtà quando si parla di debitori “più o meno rischiosi”: un maggior “rischio” 1, cioè una maggior probabilità di fallimento o default, richiede il pagamento di interessi maggiori (premio per il rischio, o “spread”). Osserviamo in chiusura che molti problemi diffusi nella società si prestano ad una soluzione di tipo assicurativo. Un lavoratore potrebbe essere incerto se nel futuro avrà ancora il suo lavoro oppure sarà licenziato, cosa che implica un’incertezza sul suo reddito futuro. Il lavoratore, quindi, potrebbe essere disposto a versare ogni anno un contributo al fondo disoccupazione (o al fondo cassa integrazione) per ricevere un sussidio se sarà disoccupato (o sarà in cassa integrazione). In alternativa il lavoratore potrebbe accettare un salario stabile ma inferiore a quello che potrebbe ottenere negli anni di buona riuscita dell’impresa, in cambio della promessa che non sarà licenziato negli anni di magra. Un individuo potrebbe essere incerto sul proprio stato di salute futuro, che di nuovo potrebbe implicare abbandono del lavoro e mancanza di reddito, e potrebbe essere disposto a pagare un contributo al fondo malattia per ricevere un’indennità quando dovrà assentarsi. Si immagini infine il seguente caso. Un soggetto sta accumulando risparmi per potersi sostenere anche nella parte della vita in cui non lavorerà più, per un periodo residuo atteso che dipende dalla lunghezza media della vita e dall’età di pensionamento. Potrebbe però capitargli il caso “sfortunato” di vivere più a lungo della vita media, e dunque non avere accumulato risorse sufficienti. Allora gli potrebbe convenire consorziarsi con molti altri in un fondo pensione, dove i rischi indipendenti dei partecipanti si diluiscono nell’aggregato: i contributi versati da chi vive meno compensano le esigenze di chi vive più a lungo, e i contributi individuali possono essere più bassi di quanto accade se ciascuno deve cautelarsi da solo rispetto alle esigenze di una vita lunga. 5. Diversificare il rischio Consideriamo ora un soggetto che possa acquistare due titoli diversi, entrambi rischiosi e con le medesime caratteristiche: entrambi costano oggi 100, e possono valere in futuro 50 oppure 150 con probabilità ½. Dunque non sarebbero appetibili per individui avversi al rischio; ma studiamo cosa può accadere al “portafoglio” di un individuo che li acquisti entrambi. Per capire il punto, faremo tre ipotesi alternative circa l’incertezza relativa ai due titoli. i) L’evento “il titolo 1 vale 150” accade solo simultaneamente all’evento “il titolo 2 vale 150”, e lo stesso vale per gli eventi “il titolo 1 vale 50” e “il titolo 2 vale 50”. Si dice in questo caso che i valori possibili dei due titoli sono perfettamente correlati in modo positivo. In tali 1 Si osservi l’uso diverso del termine “rischio” tra la nostra analisi di questo capitolo e il linguaggio comune: per noi il termine significa presenza di varianza, cioè distanza fra i possibili risultati; nel senso comune, o anche sui giornali, il termine si riferisce semplicemente ad una elevata probabilità del risultato più sfortunato. Non sempre queste due accezioni sono tra loro coerenti: se la probabilità del fallimento è piccola, allora un suo aumento coincide con un aumento della varianza; se invece la probabilità di fallimento è già elevata (per la precisione almeno ½) allora un suo aumento riduce la varianza. circostanze gli eventi possibili nel nostro mondo sono solo due, “i due titoli valgono 150” e “i due titoli valgono 50”, e ciascuno di questi due eventi ha probabilità ½. ii) Il fatto che il titolo 2 valga 150 oppure 50 è indipendente dal fatto che il titolo 1 valga 150 oppure 50. I casi possibili in questo mondo sono dunque quattro, cioè tutte le combinazioni delle diverse possibilità. Come ci svela una breve riflessione, la probabilità di ognuno di questi quattro casi è pari a ¼. iii) L’evento “il titolo 1 vale 150” accade solo simultaneamente all’evento “il titolo 2 vale 50”, e lo stesso vale per gli eventi “il titolo 1 vale 50” e “il titolo 2 vale 150”. Si dice in questo caso che i valori possibili dei due titoli sono perfettamente correlati in modo negativo. In tali circostanze gli eventi possibili nel nostro mondo sono solo due, “il titolo 1 vale 150 e il titolo 2 vale 50” e “il titolo 1 vale 50 e il titolo 2 vale 150”, e ciascuno di questi due eventi ha probabilità ½; ma ciò significa che avviene certamente un solo incidente. Consideriamo allora il possibile valore futuro del portafoglio del nostro individuo. Le sue prospettive future sono diverse a seconda che valga l’ipotesi (i), oppure la (ii), oppure la (iii) di quelle introdotte sopra. Consideriamo separatamente i tre casi. i) Perfetta correlazione positiva: con probabilità ½ entrambi i titoli varranno 150, e allora la ricchezza finale sarà 300; d’altra parte, ancora con probabilità ½ entrambi i titoli varranno 50, e dunque la ricchezza finale sarà 100. Questi sono gli unici casi possibili. La ricchezza finale attesa è 200. ii) Indipendenza: entrambi i titoli varranno 150, e quindi la ricchezza finale sarà 300 (probabilità ¼); entrambi i titoli varranno 50, e quindi la ricchezza finale sarà 100 (probabilità ¼); un titolo varrà 150 e l’altro 50, con ricchezza finale di 200: poiché esistono due eventi di questo tipo, ciascuno di probabilità ¼, la probabilità complessiva è ½. Anche in questo caso la ricchezza finale attesa è 200. iii) Perfetta correlazione negativa: Ora, benché la probabilità di un elevato valore del titolo 1 o del titolo 2 sia sempre ½, è certo che solo uno dei due abbia valore elevato mentre l’altro l’avrà basso. Quindi la ricchezza finale è 150 + 50 = 200 con probabilità 1, e ovviamente anche in questo terzo caso la ricchezza finale attesa è 80. La cosa importante da osservare è che le tre diverse prospettive hanno implicazioni diverse per l’utilità attesa del nostro individuo, che supponiamo essere avverso al rischio. Infatti, il caso (i) ha varianza superiore al caso (ii), che a sua volta ha varianza superiore al caso (iii). Ciò dipende dal fatto che le variabili casuali “ricchezza finale” dei tre diversi casi, pur avendo gli stessi valori estremi e il medesimo valore atteso, sono tali che cresce sempre più la probabilità che si verifichi l’esito pari al valore atteso, mentre si riduce la probabilità degli esiti estremi. Perciò la varianza si riduce progressivamente, come mostrato nella Fig. 8: lasciamo a voi di verificare il calcolo della varianza dei tre casi. Figura 8 La probabilità della ricchezza finale in tre casi diversi (i) Perfetta correlazione positiva (ii) Indipendenza (iii) Perfetta correlazione negativa livelli della ricchezza 100 200 300 Loro probabilità 0 ½ ½ ¼ ½ ¼ 0 1 0 valore atteso 200 200 200 varianza 10.000 5.000 0 Dunque l’utilità attesa del nostro decisore, avverso al rischio, è inferiore nel caso (i) rispetto al caso (ii), ed è inferiore nel caso (ii) rispetto al caso (iii). Dunque è preferibile acquistare titoli i cui rischi sono tra loro indipendenti rispetto a titoli i cui rischi sono correlati positivamente, ed è preferibile acquistare titoli i cui rischi sono addirittura correlati negativamente rispetto a titoli i cui rischi sono tra loro indipendenti. Il caso di perfetta correlazione negativa, il più favorevole, è talora chiamato in gergo contro– assicurazione: una volta assunto un certo rischio, ci si contro-assicura acquistando un titolo che si muova sempre in direzione opposta al primo, cosicché ciò che si perde da una parte viene esattamente compensato dall’altra. Questo caso è però del tutto teorico e di difficile riscontro empirico: il meglio che possa capitare nella realtà sembrerebbe essere il caso di indipendenza tra i rischi dei diversi titoli. È tuttavia facile intuire che, se il numero di titoli con rischi indipendenti aumenta, la varianza diminuisce progressivamente e la situazione diviene simile al caso di perfetta correlazione negativa. Infatti, per un fenomeno che in statistica prende il nome di legge dei grandi numeri, se acquistasse a inizio anno un numero molto elevato di titoli indipendenti il decisore incasserebbe ogni fine anno rimborsi pari ad una somma praticamente fissa. Questa somma è data dal valore atteso di ogni singolo titolo, moltiplicato per il numero dei titoli posseduti. Accade lo stesso fenomeno per cui, lanciando moltissime volte una moneta, il numero effettivo di volte in cui esce testa in rapporto ai casi possibili diviene sempre più simile alla probabilità dell’esito testa. Per il decisore non vi sarebbe allora alcuna incertezza, ed egli si troverebbe nella posizione per lui ottima, sempre posto che sia avverso al rischio. Dati i nostri precedenti argomenti (fine del paragrafo 4), sappiamo che, quando l’incertezza del decisore avverso al rischio si riduce, costui è disposto ad accettare cedole inferiori. Quindi un risparmiatore avverso al rischio non desidera necessariamente cedole elevate, a patto che riesca a diversificare i propri rischi in maniera adeguata.