ATENE
Atene sarebbe stata fondata dal leggendario Cecrope, nato dal suolo stesso dell’Attica con un corpo
da uomo terminante con una coda di serpente. Il mito lo considera primo re di Atene; a lui sono
attribuiti i primi segni di civiltà, come l’abolizione dei sacrifici cruenti, il principio della
monogamia, l’invenzione della scrittura e l’uso di seppellire i morti.
Atene ebbe origine come roccaforte acheo-micenea. Della sua storia prima del 594 a.C. si sa solo
che vi fu un periodo monarchico (che ricalca la leggenda dei sette re di Roma) durante il quale
regnarono dieci re il primo dei quali fu Erittonio, mentre l’ultimo fu Codro, la cui ottima condotta fu
considerata irripetibile in un altro regnante futuro.
In realtà si tratta di una leggenda; molto probabilmente infatti la fine della monarchia avvenne
perché il potere non fosse concentrato nelle mani di un’unica persona.
Organizzazione politica della polis
A differenza di Sparta, le cui istituzioni rimasero praticamente immutate nel tempo, Atene adeguò il
proprio ordinamento politico alle mutate condizioni sociali. Nei tempi più antichi, come abbiamo
detto, la città fu governata da re. La monarchia cessò verso la metà del VII sec., quando ad Atene si
impose un regime aristocratico (il regime degli eupatridi, “discendenti da nobili padri”). La nobiltà,
in questo periodo, esercitava il potere attraverso 3 istituzioni:
1. l’arcontato;
2. l’areopàgo (“colle di Ares”, perché le riunioni si tenevano su una piccola collina sacra al
dio);
3. l’ecclesìa.
1. L’arcontato era l’organo esecutivo. Inizialmente era formato da 3 arconti, cioè magistrati
supremi scelti ogni anno tra i grandi proprietari terrieri:
a. l’arconte eponimo, si occupava degli affari di governo e dava il nome all’anno;
b. l’arconte polemarco, si occupava della difesa militare;
c. l’arconte basileus, curava le funzioni religiose.
Successivamente si aggiunsero altri 6 magistrati (tesmotéti), ai quali venne affidato il compito di
esercitare funzioni giudiziarie minori e di controllare che tutti rispettassero le leggi.
Gli arconti restavano in carica un solo anno, scaduto il quale diventavano membri
dell’areopàgo.
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2. L’areopàgo era un consiglio formato da ex arconti, che ogni anno nominava i nuovi arconti,
vigilava sull’operato degli altri magistrati e sui costumi dei cittadini e giudicava i reati penali
gravi (tribunale supremo).
3. L’ecclesìa era l’assemblea di tutti i cittadini. Il suo ruolo era limitato, poiché veniva convocata
solo per ratificare (cioè approvare) le decisioni già prese dall’aristocrazia dominante o per
risolvere conflitti tra fazioni aristocratiche rivali.
Dracone
Questa era la situazione politica in cui si trovava Atene quando il demos cominciò a richiedere con
insistenza un miglioramento delle proprie condizioni.
Per risolvere il malcontento del popolo, molte poleis decisero di nominare dei “legislatori”
(nomothétes), con il compito di redigere leggi scritte.
Fino ad allora, infatti, non esistevano codici di leggi scritte, per cui l’aristocrazia, appellandosi alla
tradizione e interpretando le norme consuetudinarie a proprio vantaggio, aveva la possibilità di
tutelare sempre i propri interessi a scapito dei più poveri, di favorire i propri amici e di danneggiare
gli avversari. Perciò, nel 621 ad Atene fu dato incarico a Dracone di redigere un codice di leggi
identico per tutti e a tutti accessibile. Egli distinse l’omicidio volontario da quello involontario,
stabilì che la punizione di entrambi dovesse essere affidata all’areopago e non, come avveniva al
tempo, ai parenti dell’ucciso; tuttavia, pur con la severità delle sue leggi, non riuscì né a restituire la
tranquillità ai cittadini né ad eliminare le disparità economiche esistenti (intollerabili erano
soprattutto le condizioni dei debitori che, se non pagavano in tempo, diventavano schiavi dei
creditori). La legge scritta servì solo a mitigare l’arbitrio dei nobili.
Solone
Dopo una serie di agitazioni e di tumulti, nel 594 venne eletto arconte con poteri straordinari
l’aristocratico Solone “stimato dai ricchi perché ricco e dai poveri perché onesto”, il cui compito era
quello di garantire giustizia e pace sociale. Per prima cosa, Solone rispose alla crisi che colpiva i
piccoli proprietari agricoli, cancellando i debiti dei contadini, restituendo le terre sequestrate a causa
dei debiti, abolendo la schiavitù per debiti (seisàchtheia, “scuotimento dei pesi”, cioè dei cippi che
tenevano vincolati gli schiavi per debiti).
Successivamente, per limitare lo strapotere delle stirpi (γένη) aristocratiche, esercitato tramite i
principali organi istituzionali, e per creare forme di mobilità sociale, in modo da garantire diritti
politici a tutti i cittadini, Solone alle 4 tribù gentilizie sostituì 4 gruppi creati sulla base della
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ricchezza, calcolata secondo i prodotti delle loro attività; creò poi “il Consiglio dei 400” o βουλή, a
partire dall’antica divisione in 4 tribù, i cui membri tuttavia venivano eletti dall’ecclesia tra le prime
tre nuove classi.
La cittadinanza venne così ripartita in base al reddito (per questo si parla di regime timocratico, cioè
fondato sulla τιμή, ovvero sull’onore o ricchezza) e non più in base al ceto d’origine.
Si tratta delle seguenti classi censitarie:
1. Pentacosiomedimni (coloro che ogni anno ricavano almeno 500 medimni1 di grano dai loro
campi o hanno comunque un reddito pari a tale somma)
2. Triacosiomedimni o cavalieri (coloro che ricavano almeno 300 medimni o sono in grado di
mantenere un cavallo)
3. Zeugiti (coloro che ricavano almeno 200 medimni o sono in grado di mantenere una coppia
di buoi da aratro)
4. Teti (la maggioranza, coloro che guadagnano meno di 200 medimni, compresi i nullatenenti).
Solo gli appartenenti alle prime tre classi godevano del diritto di voto, erano tenuti a prestare
servizio nell’esercito e tra loro venivano eletti i rappresentanti della βουλή. Le cariche
amministrative più delicate (quelle variamente connesse alla gestione delle finanze della pólis)
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Un medimno corrispondeva a 50 litri.
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erano riservate ai soli pentacosiomedimni, meno corruttibili perché già ricchi e in grado di
rispondere delle eventuali irregolarità; alla carica di arconte potevano invece accedere anche i
cavalieri. Tutti i cittadini, compresi i teti, potevano infine partecipare alle assemblee pubbliche:
l’assemblea popolare (ecclesìa) e il tribunale del popolo, l’eliéa2, istituito da Solone con la facoltà
di esaminare i ricorsi contro le decisioni dei magistrati. L’aspetto più importante della riforma
consisteva nel suo carattere aperto: dato che il criterio di distinzione tra una classe e l’altra non era
più il sangue, vale a dire la nobiltà di nascita, ma il reddito, era teoricamente concessa a chiunque la
possibilità di compiere la scalata sociale, garantendosi la pienezza del diritto. Un diritto, tuttavia,
solo teorico appunto, perché la situazione di indigenza precludeva ai teti il lusso di sottrarre tempo
al lavoro per partecipare, anche occasionalmente, alla vita politica. Non a caso i cittadini delle prime
tre classi, quelli più ricchi, partecipavano alla guerra allo stesso modo, fornendo il nerbo
dell’esercito: la cavalleria e la fanteria oplitica. È vero che la riforma di Solone, fondandosi sul
criterio quantitativo, faceva vacillare il privilegio degli aristocratici, che poggiava su una differenza
qualitativa rispetto al popolo. Nei fatti, però, la riforma non interveniva sulle disuguaglianze
economiche, non prevedeva ridistribuzioni di terre e non colpiva sostanzialmente i privilegi dei più
ricchi, dei quali, tuttavia, suscitò lo scontento per aver concesso anche ai più poveri di partecipare
alla vita politica. E proprio perché tutti i cittadini rimasero scontenti della riforma –i nobili perché
videro intaccati i propri privilegi, i mercanti, gli artigiani e gli armatori perché giudicarono
eccessivo il potere lasciato ai nobili, i contadini, i marinai e i salariati perché avevano sperato di
ottenere maggiori vantaggi- alla morte di Solone, che aveva abbandonato la città per non influenzare
i suoi concittadini nel mettere in pratica la sua riforma, la politica si riaccese con rinnovato vigore.
Approfittando del malcontento generale e facendosi portavoce degli interessi delle classi popolari,
un nobile ateniese, Pisistrato, si impadronì del potere con un colpo di mano e si proclamò tiranno di
Atene, cioè sovrano unico (560 a. C.).
Pisistrato (560-527)
Pisistrato, rimasto in carica 33 anni, “governò con moderazione e più da buon cittadino che da
tiranno”3: mantenne innanzitutto le leggi vigenti e le magistrature esistenti; difese la piccola
proprietà; concesse crediti agevolati ai contadini; creò la prima biblioteca pubblica; diede maggior
importanza alle feste cittadine (dionisie e panatenee); sviluppò il commercio, soprattutto con la
Tracia; fece costruire una flotta militare, gettando le basi della futura potenza navale di Atene;
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Da Elios, il “sole”, perché le riunioni si svolgevano all’aperto.
Aristotele.
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promosse grandi lavori pubblici –acquedotti, dighe, templi-, abbellendo la città e dando lavoro alle
persone più povere. Fu lui, poi, a promuovere la stesura scritta dei poemi omerici trasmessi fino ad
allora soltanto oralmente, dando forma all’Iliade e all’Odissea.
Per questo le fonti parlano del suo governo come di una rinnovata età dell’oro, dopo una lunga crisi.
Al lui successero i figli Ippia e Ipparco, che però non furono amati come il padre. Sotto il loro
governo l’aristocrazia riprese forza ed essi cercarono un appoggio esterno per contrastare gli
oppositori, alleandosi con la Persia. Perciò, Ipparco fu assassinato da due nobili, Armodio e
Aristogitone, nel 514, mentre Ippia fu costretto a fuggire presso i Persiani nel 510. Da allora gli
Ateniesi celebrarono i tirannicidi come simbolo della libertà ritrovata e innalzarono loro una statua
che possiamo ancor oggi ammirare.
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