SAINT-VINCENT 2006 13 / 14 / 15 ottobre Convegno di studi Fondazione “Carlo Donat-Cattin” L’ITALIA CHE VORREI I giovani si interrogano Numero 3 (Bergamo) Questo piccolo saggio, scritto collettivamente, affronta il tema oggetto del Convegno ricostruendo il percorso di lavoro attuato per rispondere alla proposta. Il lavoro è stato svolto in tre movimenti fondamentali: impressioni, studio, proposte; ai tre movimenti sono dedicati i tre paragrafi del saggio. Per riportare con maggior fedeltà le posizioni emerse ci è parso utile dar notizia, spesso per citazioni dirette (riportate tra virgolette, se non diversamente indicato), di quanto è emerso, presentandolo nella pluralità delle direzioni e anche nella divergenza delle proposte. Impressioni di partenza Il primo movimento adottato dal gruppo classe per avviare la riflessione sul tema “L’Italia che vorrei. I giovani si interrogano” è stato quello di raccogliere impressioni libere e spontanee attraverso la composizione di un breve scritto, individuale e preliminare. Il mezzo è stato scelto per far emergere, nella massima ampiezza, i settori di possibile indagine, le posizioni individuali. Le riflessioni spontanee si riferivano a due temi ampi: le attese (“dal vissuto alle attese”), le percezioni (“cosa pensiamo dell’Italia: percezioni”). “Dal vissuto alle attese” Molte riflessioni vengono rivolte al mondo della scuola e fanno emergere speranze per “una scuola meno astratta e nozionistica”; “si auspica un aumento delle lingue straniere, con particolare attenzione all’inglese, all’interno del programma didattico”, anche considerando “un aspetto positivo della scuola italiana il crescente livello di multiculturalità, nella consapevolezza che il contatto con diverse culture sia una preziosa risorsa”. “L’istruzione inoltre dovrebbe essere accessibile a tutti, al di là delle possibilità economiche della famiglia, per esempio con maggiori aiuti finanziari alle famiglie meno abbienti”; con la speranza, una volta conclusi gli studi, di poter trovare un posto di lavoro, “che ripaghi tanti anni di fatiche sui libri”. “Per raggiungere questo obiettivo si potrebbe pensare ad una diminuzione dell’età pensionabile, in modo da lasciare più spazi ai giovani”. “L’essere consapevoli dell’importanza della ricerca scientifica e l’investimento di risorse in questo campo potrebbe inoltre diminuire la cosiddetta fuga dei cervelli, a vantaggio anche dello stato che ha provveduto alla loro istruzione”. Opinioni e proposte comuni sottolineano l’importanza di un’informazione più equilibrata e concentrata sulle reali “problematiche sociali internazionali e locali”, chiara ed esaustiva, e che sappia dare voce ad opinioni diverse, senza l’interferenza di preconcetti e pregiudizi. In tal senso, sarebbe opportuno un rilancio della televisione come effettivo “strumento di diffusione culturale. Le informazioni dovrebbero essere date secondo ordini di importanza, che esistono chiaramente, ma che vengono spesso ignorati, perché ciò che conta è vendere l’informazione”. Il mondo della politica per alcuni è “un sistema irrimediabilmente vecchio”, privo di nuove proposte, in ambito legislativo, che portino ad un giovevole rinnovamento (“ho sempre vissuto la politica italiana come qualcosa mai del tutto chiaro ed estremamente lontano da me”, “la politica non si preoccupa più di curare il bene dei cittadini ma solo il privilegio di coloro che la esercitano”, “il mondo politico italiano mi trasmette un’idea di corruzione, di false promesse, di informazioni celate: i politici in generale mi appaiono tutti come dei bugiardi che mentono agli altri e, nel migliore dei casi, anche a se stessi”). L’auspicio è per “un governo più stabile che, indipendentemente sia di destra o di sinistra, mantenga saldamente le leggi in vigore e non continui a modificarle a proprio vantaggio”. Si desidera un sistema politico meno complesso e più aperto alla presenza dei giovani, raggiungibile, ad esempio, attraverso la diminuzione dell’età minima per l’accesso alle istituzioni legislative. Lo sguardo rivolto al sociale fa emergere posizioni non omogenee sul tema dell’immigrazione: alcuni sono favorevoli all’integrazione e ad “una maggior apertura alle diversità”, come arricchimento sociale e culturale, altri invece sostengono politiche più di conservazione. Il tema economia tocca i problemi dell’evasione fiscale, del debito pubblico, degli investimenti nel settore del turismo e della non adeguata “valorizzazione del patrimonio italiano, per un sempre più vasto accesso a questo campo”. “Cosa pensiamo dell’Italia: percezioni” Nelle opinioni libere espresse sulla società che ci circonda vengono alla luce le molte problematiche che il paese è chiamato ad affrontare. Citando in successione libera. Di fronte alla sempre maggiore complessità degli scenari internazionali “è necessaria una maggior apertura all’estero”. Bisognerebbe cercare di “allargare il proprio campo visivo” e, in particolare, carpire all’Europa i segreti di una migliore gestione dell’immigrazione, infatti “l’Italia non ha ancora portato a compimento il processo d’integrazione” e secondo alcuni “purtroppo la discriminazione razziale è ancora diffusa”. Molti i problemi sociali: “l’assistenza medico-sanitaria, soprattutto per gli anziani, è inefficace”; per l’istruzione “il livello di cultura sembra essere molto buono” ma “il costo dell’educazione grava troppo sulle famiglie”, e, tra i risultati, “incontro quotidianamente difficoltà ad approcciarmi alle notizie del tg” e “mi limito ad una superficiale informazione”. Emerge un’autocritica rivolta alle nuove generazione che mettono “al primo posto il profitto personale”, a volte anche a scapito del “trascurato senso dello stato”; e ancora “c’è troppa indifferenza soprattutto da parte dei giovani!”. Pare omogenea la posizione della classe in relazione alla politica: tutti concordano nel sostenere che “destra e sinistra continuano ad alternarsi” coltivando però tutt’altro che un “rapporto di collaborazione”, è piuttosto una “lotta”, uno “scontro” che alla fine collima con “promesse mai mantenute” e con una “sostanziale situazione di stallo”. Dal punto di vista etico, “forse perchè guidati dallo studio classico alla sostanziale identificazione della politica con la giustizia e della democrazia con la legge”, si denuncia che “il potere è diventato oggi fine e non mezzo”, che “al primo posto vengono gli interessi personali del politico, seguiti dal benessere del cittadino”. Propositivamente viene segnalata la necessità di “investire nel campo del sociale” che potrebbe realmente divenire nuovo polo attrattivo anche di grandi finanziatori, i quali utilitaristicamente potrebbero “raggiungere un nuovo tipo di guadagno, a lungo termine” pur curandosi delle problematiche sociali. Compresa l’importanza dell’ economia, come fattore determinante anche di politica e società ( “sono le leggi dell’economia a governare i paesi”), tuttavia, un sommario bilancio della situazione nazionale, fa riscontrare nel settore una “scarsa capacità d’iniziativa, sia pubblica che privata” incapace di “valorizzare le peculiarità del nostro paese”, soprattutto il decantato “grande bagaglio culturale, invidiato dal mondo intero!”. Il paese si trova in una condizione di “crisi economica già da qualche anno”, soprattutto in relazione allo “standard europeo”; pesa sulla situazione “l’antica divisione fra Nord e Sud”, provocata secondo alcuni dalla “piaga della mafia” mentre per altri dalla diversa tradizione economica delle due aree: “capitali e industria al Nord, manodopera e agricoltura al Sud”. Se da un lato pare impossibile non costatare che “la produzione di beni utili ha raggiunto un ottimo livello”- anche alla luce del fatto che “cellulari, automobili, case sono alla portata di tutti”-, emerge la percezione di un arretramento e ritorna l’opinione che “gli Italiani si sono impoveriti col passaggio da Lira a Euro”. *** Lavoro di confronto La ricognizione spontanea delle attese e delle percezioni ha posto il gruppo di fronte a due problemi: l’attenzione è stata richiamata su di un numero molto vasto di temi, difficile oggetto di analisi e di proposta; i problemi richiamati ricalcano quelli che ricorrono nelle conversazioni comuni e talvolta ne riprendono la formula semplificata e gli stereotipi ricorrenti. Allo scopo di rendere concettualmente più attrezzata e ragionata quella ricognizione si è affiancato ad essa un secondo movimento riservato all’analisi e allo studio documentato dei problemi emersi. Su questa attività, svolta nel tempo scolastico, ognuno è stato chiamato ad esprimersi. L’analisi si è sviluppata in due diverse direzioni. La prima ha posto a tema lo studio e il confronto con i concetti, i metodi e le teorie di alcuni noti osservatori della contemporaneità: J. Rawls, H. Jonas, H. Kelsen, A. Sen, I.Wallerstein, P. Bourdieu. La seconda direzione ha richiamato, per passaggi essenziali, la storia dell’Italia dal 1945 ad oggi, dal punto di vista politico, economico e sociale. Lettori della contemporaneità. Gli autori messi in percorso hanno proposto alla attenzione del gruppo temi che colgono la natura specifica della società contemporanea e ne mettono in luce la complessità. Il potere della tecnica e il suo inesorabile avanzare: “le promesse della tecnica moderna si sono trasformate in minaccia” (H. Jonas); la società democratica moderna “non è caratterizzata soltanto da un pluralismo di dottrine religiose, filosofiche e morali comprensive, ma da un pluralismo di dottrine comprensive incompatibili” (J. Rawls); “viviamo in un mondo di un’opulenza senza precedenti …eppure viviamo anche in un mondo in cui le privazioni, la miseria e l’oppressione sono grandi” (A. Sen); una società civile definisce norme di convivenza fondandosi sul solo diritto positivo spesso in contrasto con le morali condivise (H. Kelsen); scelte politiche locali (di minisistemi) e strategie di classe non possono prescindere dal “funzionamento del sistema – mondo, in quanto struttura in cui vanno a collocarsi” (I. Wallerstein); tutti i nostri comportamenti sono momenti di vita civile in quanto habitus, diventati quasi corpo, che seguono la logica di un senso sociale pratico non riportabile ad una razionalità di tipo dimostrativo (P. Bourdieu). Quali problemi, processi di scoperta e indicazioni di proposta contengono le tesi esaminate, anche a correggere e indirizzare le posizioni emerse come attese e percezioni? Una breve relazione sulle risposte. L’autore sentito più vicino nell’individuare il problema centrale della società è Rawls: “è chiarissimo come la nostra società tolleri a fatica le numerose differenze che caratterizzano quelle dottrine che secondo Rawls dovrebbero diventare ragionevoli”; per la convivenza fra le diverse culture sono necessari il confronto e l’apertura ragionevoli verso l’”altro”, “la società contemporanea non può opporsi alla moltiplicazione delle culture, né può ignorarne l’incompatibilità. Questo è uno dei maggiori problemi che l’Italia deve affrontare”; le proposte di Rawls, apprezzate anche “per la frugalità che richiedono allo Stato”, “permetterebbero di arrivare a una società democratica caratterizzata da un punto di incontro tra le molte culture che garantirebbe la convivenza sociale”. La soluzione proposta, cioè l’invito alla ragionevolezza rivolto a culture tra loro diverse e inconciliabili, è però da alcuni considerata utopistica, troppo astratta, se non viene ancorata ad un rafforzamento del senso civico dei cittadini, fondato sulla chiarezza delle norme e definito a prescindere dalle diverse ideologie, come suggerisce Kelsen. Unanime è l’accordo sulla necessità di incanalare lo sviluppo, tecnologico ed economico, “secondo progetti di regolamento che impediscano una crescita incondizionata e squilibrata tale da mettere a rischio il futuro”; come afferma Jonas, l’uomo deve assumere la responsabilità nei confronti del progresso, delle tecniche e della natura, riscrivendo la propria etica; “sebbene davanti all’utile immediato sia difficile la rinuncia, ci si dovrebbe affidare eticamente alla responsabilità nei confronti dei posteri, perché l’umanità intera è a rischio … progresso sì, ma con frugalità, in modo che esso non diventi artefice della propria rovina”. E’ altrettanto necessario, come sottolinea Sen, fare in modo che il divario tra opulenza e miseria venga colmato, per ottenere un sistema non solo meno iniquo, ma anche più stabile nel benessere e più concreto nella garanzia di libertà reali (“capacitazioni”); la riflessione di Sen “tratteggia un quadro utile per ripensare ai nostri desideri, alle nostre attese ridimensionandole ai bisogni reali … e per considerare economia e società come settori strettamente collegati”. Le tesi di Wallerstein e di Bourdieu, pur non trattando allo stesso modo le problematiche degli autori citati, in un certo senso le comprendono perché invitano a collocarle all’interno di un sistema – mondo, inteso come un “sistema conflittuale armonico”, intrecciato a diversi livelli, consegnato nel sociale alla forza di un agire spontaneo; e invitano a collocarle all’interno di un chiaro concetto di modernità rivolto sia alla tecnologia che alla libertà: “la modernità nel campo delle tecniche non è infatti quasi mai accompagnata da quella dei diritti”. L’Italia dal 1945 ad oggi: scelte e momenti strategici Alla ricerca di scelte ed eventi che più di altri pare abbiano contribuito a definire il volto attuale dell’Italia, si è partiti dal 25 aprile del 1945, la conclusione definitiva di un periodo dominato dalla minaccia fascista e del clima di insicurezza militare e politica seguita all’annuncio dell’armistizio dell’8 settembre, firmato dal generale Badoglio. Sono stati poi presi in considerazione gli eventi che hanno portato l’Italia nella “sfera” americana. Decisivi in tal senso sono parsi gli anni tra il 1945 e il 1948: la nazione ebbe la capacità di rifondarsi adottando, tramite un referendum (1946), la forma istituzionale della Repubblica e creando un Costituzione (1948) che respinge e scongiura forme di governo antidemocratiche e si dimostra ispirata alla tradizione liberale, democratica e socialista, affiancata dai temi del solidarismo cattolico. L’opera economica di ricostruzione, nel quadro degli accordi di Bretton Woods, fu possibile grazie agli aiuti americani del Piano Marshall, ricevuti anche a seguito della vittoria elettorale della democrazia cristiana che fu per l’America un partner affidabile e sicuro sul piano politico. Di questa forza politica, per tappe generali, è stata richiamata la lunga permanenza al governo, le alterne alleanze con altre forze politiche, l’oscillare tra conservazione e riforme e, nel 1992, la crisi di un sistema politico che pareva consolidato. Della rivoluzione generale prodotta in Italia negli anni del vero e proprio “miracolo economico” (1953-1963) si sono individuati alcuni fattori propulsivi (basso costo della manodopera, successo delle esportazioni, ridotto valore della lira sul mercato internazionale) e i divari strutturali, le lentezze politiche alla radice di quel rallentamento economico che contribuì a produrre quei sentimenti di delusione e privazione presenti anche nel movimento globale del 1968. II movimento del ’68, che scosse l’Italia e tutto il Mondo, definito da Wallerstein “rivoluzione del sistema -mondo”, è stato colto sia come contesto per nuove esperienze sociali e politiche, sia come periodo a partire dal quale sono culturalmente garantite, perché socialmente accettate come costume, rivendicazioni di diritti e di libertà. Tragici furono gli anni che seguirono al 1968 influenzati da opposte correnti di assalti violenti: quella messa in atto da gruppi fascisti, neofascisti con coperture governative (detta “strategia della tensione”; dalla strage di piazza Fontana a quella della Stazione di Bologna), e quella attivata da gruppi armati dell’estrema sinistra (gli “anni di piombo” con particolare analisi del “delitto Moro”). Entrambe le proteste, legate all’arresto del boom economico e, sul piano politico, all’avvio dei governi di “centro sinistra” uniti dal cosiddetto “compromesso storico”, sono state analizzate come passaggi indispensabili per comprendere l’Italia attuale e i problemi aperti; la democrazia, nata fragile nel 1945, subisce qui gli attacchi più violenti; si aprono squarci inquietanti sulla difficoltà a garantire le libertà, i diritti e i doveri di un democratico vivere civile. *** L’Italia che vorrei La messa in comune delle attese e delle percezioni, la ricerca di un confronto con autori e momenti della storia contemporanea hanno permesso di avviare il terzo e più importante movimento di lavoro del gruppo: la presentazione dell’Italia che vorrei. Per comune intesa l’attenzione si concentra su due temi: garantire l’informazione, problema affrontato nell’ambiente scuola e con riferimento ai mezzi di comunicazione; investire nel sociale, problema affrontato con riferimento al futuro del lavoro e a partire dalla multiculturalità come dato sociale sempre più evidente. L’obiettivo perseguito nei due campi è passare dall’analisi alle proposte con indicazioni operative, senza pretese di portare il tema a risoluzione. Garantire l’informazione e la scuola Considerando con un’ottica matura e consapevole l’istituzione scolastica, la si definisce luogo di formazione civile e culturale dell’individuo; dunque strumento fondamentale nella trasmissione dell’abitudine all’informazione, intesa come mezzo per vivere attivamente il proprio ruolo di cittadino. Sarebbe dunque auspicabile l’inserimento nei programmi ministeriali di uno spazio riservato alla lettura comparata di quotidiani di diverso orientamento politico riguardanti fatti di attualità. Tale lettura dovrebbe abituarci a ricercare “una conoscenza sinottica del singolo evento”, ed acquisire “punti di vista diversi dal proprio”. Tematiche di particolare interesse risultano i problemi inerenti al “panorama politico” nazionale e internazionale, l’avvicinamento a “culture diverse dalla nostra”, “la realtà sociale ed economica”, i principali fatti di cronaca. Per agevolare questo dibattito si sottolinea la necessità di una “maggiore apertura” da parte degli insegnanti, che “ esprimano la loro opinione” senza timore di influenzare gli studenti, perché essa viene considerata come un “invito a riflettere”. E’ dunque forse opportuno sottoporre gli stessi docenti a “test di valutazione”, volti a “verificarne le reali competenze sia nozionistiche che in termini di capacità di interazione con gli studenti”. Garantire l’informazione e i mezzi di comunicazione E’ percepita una forte unilateralità nell’informazione fornita dai mass media, dovuta allo stretto rapporto che lega la politica ai mezzi di divulgazione; “nell’era del digitale sembra infatti non esserci più spazio per la realtà”. In un contesto politico già segnato da molteplici ed accese conflittualità, “è importante puntare ad un’ informazione sempre più completa, più oggettiva possibile, senza condizionare il lettore / ascoltatore con una visione parziale e spesso imprecisa degli avvenimenti”. Un ulteriore dato che contribuisce all’abbassamento del livello informativo italiano consiste nella cosiddetta “TV spazzatura”, la quale, preoccupandosi esclusivamente dell’audience, non fornisce una gamma variegata di programmi, a scapito di quelli culturalmente più impegnati. Sono questi, pare, i fattori che portano al disinteresse per l’informazione, e di conseguenza ad una incapacità di selezione e giudizio dei fatti realmente accaduti da parte del destinatario. Per migliorare questa situazione è necessario che sia lo Stato che il lettore / ascoltatore si responsabilizzino: il primo investendo maggiormente nelle potenzialità delle piccole imprese che potrebbero dimostrarsi “fonte di nuove ed originali idee, non conformiste, o in qualche modo problematiche”; al secondo, invece, è richiesto un maggiore e migliore spirito critico che la scuola ha il compito di formare tramite il “confronto alunno-docente”; è infatti dalla scuola,“luogo in cui impariamo a muovere i primi passi nel mondo, che dovrebbe iniziare una formazione aperta alla contemporaneità”. La difficoltà a comprendere i linguaggi utilizzati dai media, a volte troppo specifici, potrebbe risolversi creando telegiornali/giornali completi ma diversificati, capaci di adattarsi alle diverse realtà sociali (per età, cultura, professioni, scelta, tempo…), così che possano stimolare tutti ad una ricerca più approfondita. Con le opportune correzioni, insomma, i media potrebbero riqualificarsi come opportunità di “allenamento” del senso critico e divenire poi ottimo contesto di confronto costruttivo e pacifico. Investire nel sociale : un futuro al lavoro Nel mondo del lavoro si fatica a trovare soluzioni in grado garantire un futuro tutelato e stabile ai giovani; le attese e le proposte in merito sono numerose: semplificare i procedimenti burocratici, spesso lunghi e contorti, in modo da diminuire i tempi di attesa; evitare di estendere l’età pensionabile, per garantire un accesso anticipato nel mondo lavorativo, “senza costringere numerosi giovani e neolaureati ad una forzata creatività per reinventarsi e per così dire riciclarsi in mestieri non sempre congeniali a loro, spinti dalla necessità”; “eliminare il più possibile quella gerarchia di lobby legate a fazioni politiche o a famiglie che da generazioni detengono il monopolio ognuna su un determinato settore lavorativo”. Si auspica una maggiore mobilità all’interno delle istituzioni politiche (Parlamento, Senato, Istituzioni locali) agevolando anche in questi settori l’ingresso dei giovani, in modo tale che essi possano affrontare tematiche e problematiche, frequentemente bistrattate, più vicine alla nostra società. Altro investimento nel sociale può consistere in una maggiore incentivazione della formazione degli studenti all’estero: “avvalersi delle competenze e delle tecnologie in uso nei paesi più sviluppati e all’avanguardia” permette di acquisire capacità che facilitano l’inserimento e l’adattamento in numerosi settori lavorativi. Inoltre, sarebbe necessario modificare e migliorare alcuni aspetti del sistema lavorativo, in modo da promuovere investimenti: “diversificare le attività produttive secondo l’offerta del territorio e non in base alla convenienza delle grandi industrie”; “incentivare la qualità più che la quantità o la rapidità, e sostenere e riscoprire così l’artigianato italiano e la produzione specifica”. Senza arrivare ad un drastico e completo rifacimento del sistema lavorativo si possono garantire tutela e stabilità per i giovani in questo campo. Investire nel sociale: la multiculturalità “Al giorno d’oggi in poche ore è possibile raggiungere l’altra estremità del pianeta, le informazioni si diffondono sul web con rapidità impressionante; tutto questo volenti o nolenti ha avvicinato molto i Paesi tra loro per numerose dinamiche socio-politiche; ogni singolo individuo non può più considerarsi solo romanticamente abitante di uno Stato”, ma ciascuno deve considerarsi cittadino del mondo. Ma, per contrasto, “il progresso non è riuscito a frenare né a limitare la paura del diverso. Quindi, in un mondo ormai globale, è necessario ragionare su quelle costanti che appartengono ad ogni specifica cultura per poter impostare una società basata sulla reciproca tolleranza”. La sensibilità e la capacità di accogliere sono chiamate in causa dal crescente fenomeno dell’immigrazione, con l’aumento di clandestini ai quali non vengono riconosciuti nemmeno i diritti individuali primi (pensiamo alla questione dei CPT). Proposte concrete per la risoluzione del problema potrebbero essere non solo la coordinazione di “iniziative per il controllo congiunto delle frontiere e per la sorveglianza in mare”, ma anche quello per “lo sviluppo di una comune attività investigativa sulle organizzazioni criminali del traffico di clandestini” e per “l’investimento nelle economie di quei paesi da cui i clandestini provengono mettendo a repentaglio la loro stessa vita”. I diritti civili e la tutela del lavoro, attraverso leggi specifiche, vanno garantiti: se è vero che, “da un punto di vista strettamente utilitaristico, gli immigrati rappresentano una risorsa in termini di manodopera”, non è possibile permettere lo sfruttamento “in nero”, causa di una nuova forma di subordinazione e talora di schiavitù. Solo così si può aprire la strada delle regolarizzazioni che agevolerebbero le procedure per l’ottenimento della cittadinanza italiana. Nella scuola dell’obbligo si potrebbero ripensare i programmi (alcuni pensano in particolare all’ora di religione) introducendo temi di “intercultura” per permettere alla diversità di diventare fonte di arricchimento collettivo senza annullare la nostra identità. Allo stesso scopo si potrebbero “proporre più frequentemente iniziative culturali (pubblicità progresso, manifestazioni, mostre, cineforum, concerti…) che trasmettano il messaggio della necessità di assumere un atteggiamento di rispetto e apertura reciproci, come sancisce la nostra costituzione”. “I principi fondamentali su cui la nostra società si dovrebbe fondare, l’ affermazione del primato della persona e quindi dei suoi diritti inviolabili indipendentemente dallo stato di cittadinanza, e la realizzazione di una società plurale, ma coesa, senza ghetti etnico - culturali, troverebbero forma entro regole uguali per tutti fondate sulle libertà individuali e collettive”. bibliografia Hans Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, ed. Einaudi, Torino 1993 Hans Jonas, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica, ed. il melangolo, Genova 2000 John Rawls, Liberalesimo politico, ed. di Comunità, Milano 1999 John Rawls, Giustizia come equità, ed. Feltrinelli, Milano 2002 Amartya Sen, Lo sviluppo è libertà, ed. A. Mondadori, Milano 2001 Amartya Sen, Identità e violenza, ed. Laterza, Roma 2006 Immanuel Wallerstein, Alla scoperta del sistema mondo, ed. manifestolibri, Roma 2003 Pierre Bourdieu, Il senso pratico, ed. Armando, Roma 2005 Paul Ginsborg, Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, Einaudi, Torino 1989 Paul Ginsborg, L’Italia del tempo presente, Einaudi, Torino 1998