Libertà individuale e valori sociali 4. Rawls e Nozick Il pensiero liberal moderno e contemporaneo Durante la seconda metà dell'Ottocento, i principi basilari del liberalismo furono oggetto di intense discussioni. Nella sua celebre opera Essay on liberty (1859), John Stuart Mill ampliò la riflessione liberale all’ambito dell’etica pubblica rispetto ai principi di giustizia e di equità. L’argomento del saggio è la libertà sociale, ovvero quale natura possieda tale concetto, e i limiti del potere che la società può legittimamente esercitare sull'individuo. Egli preparò il passaggio graduale di una parte degli intellettuali liberali a posizioni di socialismo moderato a favore di una giustizia distributiva. Tra i più importanti tentativi di riflessione contemporanea nel pensiero etico-politico di ispirazione liberale, con esiti radicalmente diversi tra loro, vi sono quelli di John Rawls e Robert Nozick. Entrambi gli autori rinviano a una posizione originaria che ha il carattere di un modello puramente teorico: “l’idea della posizione originaria è quella di stabilire una procedura equa di modo che, qualunque siano i principi su cui ci si accorda, essi siano giusti. L’obiettivo è usare la nozione di giustizia procedurale pura come base della teoria” (John Rawls, Una teoria della giustizia, cit., p. 125). Le tesi di John Rawls Per Rawls la posizione originaria è una situazione in cui i partecipanti di un’assemblea devono trovare l’accordo sui principi della società decisi in condizione di equità per tutti i partecipanti. L’equità della procedura emerge nella scelta grazie al “velo d’ignoranza”: le deliberazioni vengono assunte senza che i partecipanti possiedano alcuna informazione specifica riguardo al posto occupato da ciascuno di loro in società; essi dispongono solo di nozioni di carattere generale sulla struttura e sul funzionamento della società. L’impronta del velo d’ignoranza permette un procedimento che esclude l’interferenza di interessi personali o di classe in modo che la decisione possa essere presa in termini di autonomia, cioè sulla base di considerazioni dettate esclusivamente dalla ragione. “Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale”, affermava Kant nella Critica della Ragion Pratica (1786) a cui Rawls si richiama. L’assemblea delle persone razionali stabilisce, dunque, i principi per la società giusta cercando da un lato di garantire la libertà individuale e dall’altro di 1 assicurare un’equa distribuzione dei beni primari, cioè delle opportunità indispensabili a ciascuno per affermarsi socialmente ed economicamente: “La caratteristica più sorprendente delle tesi utilitariste sulla giustizia è che il modo in cui questa somma di soddisfazioni è distribuita tra gli individui non conta più, se non indirettamente, del modo in cui un singolo individuo distribuisce le proprie soddisfazioni nel tempo. In ambedue i casi, la distribuzione corretta è quella che consente il massimo appagamento. La società deve allocare i propri mezzi di soddisfazione, qualunque essi siano, diritti e doveri, opportunità e privilegi, diverse forme di ricchezza, in modo da raggiungere, se ciò è possibile, questo massimo. Ma nessuna distribuzione di soddisfazioni è, di per se stessa, migliore di un'altra, con l'eccezione che una distribuzione più egualitaria è da preferirsi in caso di parità. [...]. Come tutte le altre massime, anche quelle della giustizia derivano dall'unico fine di ottenere il più alto livello possibile di soddisfazione. Perciò non c'è alcuna ragione di principio per la quale i maggiori vantaggi di alcuni non dovrebbero compensare le minori perdite di altri» (John Rawls, Una teoria della giustizia, pp. 38-40). In questa sintesi dei classici concetti liberali e democratici di libertà e uguaglianza il cittadino è tanto più libero quanto più ampia è la sfera dei comportamenti leciti o non impediti di cui egli gode, ma anche è libero in quanto obbedisce a leggi che egli stesso si è dato attraverso i propri rappresentanti. L’uguaglianza è sia giuridica, di fronte alla legge, sia politica come diritto alla partecipazione attraverso il voto attivo e passivo: “Ogni persona ha un eguale diritto al più ampio sistema totale di eguali libertà fondamentali compatibilmente con un simile sistema di libertà per tutti.” (Formulazione del primo principio di libertà). Le disuguaglianze sociali Nella citazione Rawls contesta la legittimità di disuguaglianze sociali, sebbene da esse possa derivare un maggior benessere complessivo della società: “le ineguaglianze economiche e sociali devono essere: a) per il più grande beneficio dei meno avvantaggiati […] e b) collegate a cariche e posizioni aperte a tutti” (Formulazione del secondo principio di differenza). Il secondo punto richiede che le 2 posizioni di maggior potere e ricchezza (quindi le disuguaglianze) siano aperte a tutti, favoriscano gli svantaggiati fornendo un’adeguata dotazione dei beni primari (mezzi economici, educazione, formazione professionale). Il beneficio dei meno avvantaggiati Tra i due principi Rawls afferma la priorità del primo sul secondo a maggior ragione per le società evolute che hanno risolto i problemi relativi alla vita materiale: una società ben ordinata provvederà all’equa distribuzione dei beni sociali primari che ogni individuo razionale desidera indipendentemente dai propri piani di vita. “Se i cittadini di una società bene ordinata debbono riconoscersi reciprocamente come liberi e uguali, le istituzioni di base debbono educarli a pensarsi come tali nonché a professare pubblicamente e incoraggiare negli altri questo ideale di giustizia politica. Tale compito educativo appartiene a quello che possiamo chiamare il ruolo ampio di una concezione politica. [...] Il conoscere la cultura pubblica e parteciparvi è uno dei modi in cui i cittadini imparano a pensarsi come liberi e uguali – un'idea che probabilmente non arriverebbero mai a concepire, e ancor meno accetterebbero, o aspirerebbero a realizzare, se fossero lasciati alle loro riflessioni personali” (John Rawls, Giustizia come equità. Una riformulazione, cit. p.63). In secondo luogo, tali valori sono consegnati a una dimensione storicoterritoriale. È per questo che Rawls considera una decisione grave quella di chi abbandona lo Stato nel quale è stato cresciuto ed educato e di cui ha introiettato i valori: tale decisione, infatti, “significa lasciare la società e la cultura in cui siamo stati allevati, di cui usiamo la lingua, parlando e pensando, per esprimerci e per capire noi stessi, i nostri fini, obiettivi e valori; la società e la cultura dalla cui storia, dai cui costumi, dalle cui convenzioni dipendiamo per individuare il nostro posto nel nostro mondo sociale” (John Rawls, Giustizia come equità. Una riformulazione, cit. p. 105) Nozick e i diritti naturali “Gli individui, nello stato di natura di Locke sono in condizione di perfetta libertà nel regolare le proprie azioni e nel disporre dei propri beni e delle proprie persone come giudicano conveniente, entro i limiti della legge dello stato di natura, senza chiedere il permesso o senza dipendere dalla volontà di nessun uomo.” Questo concetto è espresso da Robert Nozick all’inizio della sua opera Anarchia, Stato e utopia (1974). Come Locke, Nozick ritrova nello stato di natura lo stesso rischio, ovvero, l’incertezza del godimento dei diritti naturali a causa degli attacchi altrui. La soluzione di Nozick prospetta una possibile difesa di questi diritti naturali da chi li calpesta attraverso degli accordi tra gli uomini all’interno dello stesso stato di natura, individuando una progressione di accomodamenti ipotetici, a partire dalle associazioni protettive (disponibili a soccorrere ciascun membro in caso di aggressione proprio perché l’unione fa la forza). Un secondo passo viene fatto quando, su un determinato territorio, l’associazione protettiva dominante diviene in grado di imporre la propria forza e di far rispettare le proprie regole, come 3 accade per un’associazione mafiosa che garantisce i diritti solo a coloro che ne fanno parte e tutti coloro che useranno la forza al di fuori del suo comando saranno puniti dall’associazione. In questo modo l’associazione dominante decide di elevarsi a “Stato ultraminimo” viste le ridottissime competenze rivendicate. Lo Stato minimo L’ultimo passaggio porterebbe alla definizione dello “Stato minimo”, l’unico tollerabile e garante dei diritti naturali (vita, salute, libertà e proprietà). In esso, l’associazione dominante non rivendica per sé solo la forza, ma anche la tutela dei diritti e la protezione di tutti gli individui abitanti di un determinato territorio (anche di coloro che, non pagando le tasse, non ne avrebbero diritto). Il passaggio dallo stato di natura allo Stato avviene, dunque, grazie alla “mano invisibile” di un guardiano notturno, senza alcun riferimento alla creazione di un contratto, volto alla difesa dei diritti individuali tra i quali spicca il diritto di proprietà e il diritto alla libertà intesa come assoluto arbitrio dei singoli nelle proprie scelte di vita. La proprietà La proprietà, o meglio, il diritto di proprietà, viene giustificata sulla base del “titolo valido”, ovvero essa è giusta se il proprietario ne ha il titolo, in base a tre requisiti: che essa sia stata acquisita in modo legittimo, che sia stata trasmessa in modo legittimo e, infine, che siano state rettificate eventuali ingiustizie nell’acquisto o nei passaggi di proprietà. Queste tre premesse vengono assunte anche nella definizione della distribuzione sociale complessiva della proprietà. Nozick, sulla base di questi principi, critica le politiche fiscali che prelevano dai ceti privilegiati a favore dei ceti meno abbienti (Nozick assimila, polemicamente, il prelievo fiscale sui redditi da lavoro al ‘lavoro forzato’ poiché si forza una persona “a lavorare n ore per gli scopi di un altro”); l’unico intervento redistributivo ammesso, infatti, concerne le spese per la sicurezza dei cittadini (polizia ed esercito) e per l’amministrazione della giustizia e non le politiche del welfare relative a istruzione, sanità, assistenza e previdenza. ------A questo punto, potrebbe essere interessante confrontare le due grandi teorie macroeconomiche del Novecento: quella che fa riferimento all’economista inglese John Keynes (che influenza Rawls) e quelle che si sviluppano a partire dai due rappresentanti della scuola austriaca von Hayek e von Mises (neoliberisti che 4 influenzano Nozick). Da queste premesse si potrebbero poi affrontare le misure, in controtendenza, promosse da Roosevelt attraverso il New Deal per uscire dalla crisi del 1929. E infine, tracciare un parallelo tra le posizioni della socialdemocrazia europea e del thatcherismo. 5