Topografie del ricordo Tipologie di percorsi storici sul territorio Elena Pirazzoli Dipartimento delle Arti Visive Università di Bologna Il luogo occupato da un gruppo non è come una lavagna su cui si scrivono delle cifre e delle figure e poi si cancellano. Come potrebbe l'immagine della lavagna ricordare ciò che vi si è tracciato sopra, dal momento che è indifferente alle cifre, e sulla medesima lavagna si possono riprodurre tutte le figure che si vogliono? No. Il luogo invece accoglie l'impronta del gruppo, e ciò è reciproco. Allora, tutte le pratiche del gruppo possono tradursi in termini spaziali, e il luogo che occupa non è che la riunione di tutti i termini. Maurice Halbwachs, La mémoire collective, Presses universitaires de France, Paris 1950 (pubblicazione postuma, curata da Jeanne Alexandre Halbwachs); trad. it. a cura di Paolo Jedlowski, La memoria collettiva, Unicopli, Milano 1987, p. 137. Auschwitz è il luogo che ha assunto un ruolo principale per la memoria della Seconda guerra mondiale e la Shoah, ma tale “principalità” è emersa nel tempo, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e alla ricerca storica. Foto G. Pirazzoli Il sistema concentrazionario era articolato in campi di tipo differente: concentramento, sterminio, transito. E per ognuno dei campi principali esisteva un'ampia rete di sottocampi. La geografia concentrazionaria è complessa, profondamente radicata in tutto il territorio europeo. Auschwitz è il prodotto più avanzato della progressiva “ottimizzazione” delle modalità di annullamento (Vernichtungslager) di coloro che erano considerati “scorie” all'interno dei piani eugenetici del Reich. Molti dei toponimi divenuti tristemente famosi come luoghi di campi non corrispondevano a località importanti precedentemente: vengono scelti per la loro posizione rispetto alle linee ferroviarie (la centralità di Auschwitz nella mappa dei campi d'Europa appare anche dal suo ruolo nella rete di vie ferrate) e per la loro prossimità a siti rilevanti per i progetti economici del Reich, fra cui cave e depositi di argilla. Ingresso dei binari a Birkenau Foto E. Pirazzoli Birkenau era il sottocampo di Auschwitz dove veniva portato avanti il progetto di sterminio. Quello che ne resta è una distesa a perdita d'occhio di camini in muratura, corrispondenti alle baracche di legno ora scomparse: il progetto delle città concentrazionarie era estensibile all'inifinito. Foto E. Pirazzoli Foto E. Pirazzoli Le macerie dei crematori con annesse le camere a gas interrate testimoniano lo sviluppo in senso industriale che lo sterminio aveva assunto nel campo di Auschwitz, precedentemente condotto con metodi più “artigianali” come le “cacce all'ebreo” (Judenjagd) La pianificazione dei campi era minuziosa, la loro articolazione razionale e funzionale. Il tipo di impianto prevalente è quello a griglia ortogonale, che permette di separare e controllare le partizioni, senza lasciare spazi di incontro che non fossero la Appelplatz. Anche il sistema radiale viene utilizzato (Sachsenhausen, Buchenwald). I modelli provenivano dall'architettura militare e penitenziaria. Proprio la pianta del campo di Birkenau viene utilizzata dall'artista tedesco Joseph Beuys (soldato della Luftwaffe durante il conflitto e reticente nel dopoguerra a discutere il tema delle colpe del suo popolo) in un gruppo di lavori fatti fra il 1956 e il 1964. Oltre a questa opera, facente parte di una serie intolata Doppelt gekreuzt / Doppiamente crocifisso, l'artista realizza un teca dal nome Auschwitz Vitrine, contenente fotografie di reti ferroviarie e baracche in fila, contenitori pieni di capelli, blocchi di grasso, e altri oggetti, apparentemente organici. Si tratta di un'individuazione precoce della pianificazione razionale di Auschwitz come luogo ed emblema dello sterminio. I progetti celebrativi e monumentali del Reich sono profondamente intrecciati al sistema concentrazionario. Cinque città in particolare dovevano essere interessate da questa trasformazione architettonica e urbanistica: - Berlino, la Welthauptstadt Germania - Amburgo - Monaco - Norimberga - Linz Gli architetti coinvolti sono diversi: il più noto è Albert Speer, che disegna i progetti per l'asse monumentale berlinese e coordina i piani per Norimberga. Proprio per venire incontro alle esigenze create dalla sua “Teoria del valore delle rovine”, ovvero la necessità di ingenti quantità di granito e mattoni, alcuni campi (Mauthausen, Gross-Rosen, Neuengamme, ecc.) vengono creati vicino a cave di granito o depositi di argilla. Walter Frentz, Adolf Hitler e Albert Speer discutono sui tipi di pietra per i grandi edifici berlinesi, agosto 1940 Mauthausen, la scala della morte nella cava del campo Walter Frentz, Monaco, vista della Königsplatz, febbraio-marzo 1945. Sulla destra l'Ehrentempel di Paul Ludwig Troost realizzato nel 1935 e fatto abbattere nel 1947 nel quadro della denazificazione della città Walter Frentz, Leni Riefenstahl gira scene per il Trionfo della volontà alla Luitpoldarena di Norimberga, settembre 1934 Norimberga, Zeppelinfeld Tribuna dello Zeppelinfeld, Norimberga, luglio 2001 Foto E. Pirazzoli Foto E. Pirazzoli era impensabile che da cumuli di rovine [Trümmerhaufen] polverose potessero sprigionarsi quelle ispirazioni eroiche che riempivano Hitler di ammirazione davanti ai monumenti del passato. La mia “teoria” si proponeva appunto di superare questo punto morto. Impiegando determinati materiali e rispettando determinate esigenze statistiche, si doveva poter costruire degli edifici capaci di eguagliare, in pieno sfacelo, dopo centinaia (anzi, secondo il nostro metro, migliaia) di anni, i monumenti romani. Per rendere più evidente il mio pensiero, feci eseguire un disegno che raffigurava romanticamente la tribuna dello Zeppelinfeld dopo secoli di abbandono: coperta di edera, infrante le colonne, crollate in vari punti le mura, ma ancora intatta e pienamente riconoscibile nelle sue grandi linee. Disegno, questo, che nell’entourage di Hitler fu considerato “una bestemmia”, non potendosi concepire che qualcuno prevedesse un periodo di decadenza del nostro impero appena fondato. Hitler, al contrario, trovò che le mie riflessioni erano logiche ed illuminanti, e stabilì che in avvenire le maggiori costruzioni del suo Reich fossero erette secondo la mia “Legge delle rovine”. I lavori sullo Zeppelinfeld ebbero immediato inizio, affinché perlomeno la tribuna potesse essere pronta per il Raduno del Partito. Si dovette sacrificare il deposito tranviario di Norimberga; e un giorno, quando già si era provveduto a farlo saltare, mi accadde di passarvi davanti e di osservare il miserando spettacolo del cemento armato in rovina, con le nervature in ferro penzolanti e già corrose dalla ruggine. Non era difficile immaginare quanto sarebbe stato rapido l’ulteriore decadimento. Questa visione desolante stimolò in me l’idea che esposi più tardi a Hitler sotto il nome alquanto pretenzioso di Theorie vom Ruinenwert, cioè del valore che un edificio può avere, visto come rovina. La mia premessa era che le costruzioni Albert Speer, Memorie del Terzo Reich, Mondadori, Milano moderne sono indubbiamente poco adatte a creare quel 1971, pp. 77-78. “Ponte di tradizione” che, secondo Hitler, avrebbe dovuto congiungere la nostra generazione alle generazioni future: Norimberga, Kongresshalle, intervento di Günther Domenig Nel 2002 la Kongresshalle di Norimberga è stata oggetto di una trasformazione museale ottenuta grazie all'intervento di Günther Domenig, che ha creato un attraversamento dell'edificio con una sorta di “spina”, divenuta l'asse centrale del Dokumentationszentrum Reichsparteitagsgelände. Tuttavia, accanto ai progetti in granito e mattoni, restano anche altri ingombranti (e imbarazzanti) residui del Terzo Reich. Le Flaktürme, le torri della contraerea, sono imponenti bunker voluti dall'Organizzazione Todt e realizzati a partire dal 1940 su disegno dell'architetto Friedrich Tamms, che si ispirò a monumentali edifici del passato. Queste torri in calcestruzzo armato dovevano essere posizionate in luoghi strategici per proteggere le città principali del Reich, a coppie formate da una di combattimento (G-Turm, Gefechtsturm) e una logistica, di comando (L-Turm, Leitturm). Realizzate solo a Berlino, Amburgo e Vienna, quelle berlinesi sono state abbattute dopo la guerra, mentre nelle altre due città rimangono all'interno di parchi. Vienna, Flakturm nell'Augarten, 2009 Foto E. Pirazzoli Vienna, Flakturm nell'Arenbergpark, 2009 Foto E. Pirazzoli L'unica testimonianza del progetto per Berlino capitale del Reich, della Grosse Halle e dell'Arco di trionfo, è un colosso di calcestruzzo armato, costruito come prova di peso per la tenuta del terreno presso Tempelhof. 12650 tonnellate di peso, definito Schwerbelastungskörper / corpo dal pesante carico, è stato nello scorso anno oggetto di un lavoro di ricerca dell'artista tedesca Susanne Kriemann, che ha indagato la sua presenza nei giornali fra il 1959 e il 2005. Una presenza che ne testimonia soprattutto il desiderio di dimenticanza. Dal 1995 il cilindro di cemento è sotto tutela del Denkmalschutz come monumento storico, e dal 2007 viene portato avanti un progetto per valorizzarlo. Nell'estremo nord della Germania, nell'isola di Rügen, si trova un altro imponente “relitto” della politica architettonica nazista. Seebad Prora fu concepita da Robert Ley, a capo della Kraft durch Freude, come colonia marittima per 20.000 persone: un corpo di 6 piani di altezza per 4.5 km di lunghezza a pochi passi dal mare. Costruita su progetto di Clemens Klotz a partire dal 1937, fu poi occupata dall'armata rossa e in seguito ospitò l'esercito dell DDR. Negli anni Novanta alcune porzioni dell'edificio sono state utilizzate come ostello o per esposizioni più o meno connesse con la sua storia (in particolare MachtUrlaub). Ora si ragiona sul futuro della struttura, che necessita anche di lavori di consolidamento. Seebad Prora Foto E. Pirazzoli Foto E. Pirazzoli Foto E. Pirazzoli Foto E. Pirazzoli La rimozione delle macerie o la demolizione dei segni più simbolici del Nazismo ha portato alla cancellazione di porzioni di Berlino, di cui sono in certi casi rimaste solo le tracce, in luoghi dove la storia ha continuato ad accumularsi: è il caso della porzione compresa fra la Porta di Brandeburgo e Potsdamer Platz. Area dei Giardini Ministeriali durante il Nazismo, divenne poi una delle fasce di protezione del Muro, nella cosiddetta Todesstreifen, la striscia della morte. Proprio quest'area fu individuata nei primi anni Novanta per ospitare il Mahnmal für die ermordeten Juden Europas / il monumento per gli ebrei d'Europa assassinati. Dopo due concorsi, e numerose polemiche, risultò vincitore il progetto di Peter Eisenman e Richard Serra, un architetto e un artista. Inaugurato come Denkmal, memoriale e non più monumento, nel 2005, si presenta differente rispetto al progetto vincitore. Il numero di stele è stato ridotto, ed è stato creato un percorso espositivo sotterraneo: dopo la rinuncia di Serra, tutte le trasformazioni sono state fatte dal solo Eisenman. In seguito al primo concorso del 1995, fu fatta una mostra con tutti i progetti inviati: quello che piacque maggiormente ai berlinesi fu quello di una coppia di artisti, Renata Sith e Freider Schnock che, con il progetto Bushaltestelle, proponevano una stazione delle corriere per attraversare il Gedenkstättenlandschaft, il paesaggio dei luoghi della memoria tedeschi ed europei. La decennale vicenda del memoriale berlinese, le cui polemiche sono state denominate Denkmalstreit e raccolte in volume, ha fatto sì che per molto tempo il luogo rimanesse allo stadio di campo vuoto, mentre attorno la città cresceva. Sul recinto intanto prendeva forma il dibattito, con scritte e fogli attaccati. Per alcuni Das Mahnmal ist schon hier: il monumento è già qui (1998). Foto E. Pirazzoli Negli stessi anni Novanta viene portata avanti un'altra iniziativa, Topographie des Terrors: uno scavo archeologico del recente passato nazista, ovvero del quartier generale SS posto nell'Hotel Prinz Albrecht. Foto E. Pirazzoli Alla fine degli anni Ottanta, poco prima della caduta del Muro, in questa area appena a ridosso del confine fra le due Berlino, alcuni berlinesi iniziarono a “disseppellire” fisicamente le macerie del Prinz Albrecht Gelände. Foto E. Pirazzoli Gli strati della storia, le tracce incancellabili, permangono anche in luoghi più vicini a noi, come il Campo di transito di Fossoli. Foto E. Pirazzoli Nelle baracche del campo si colgono elementi dissonanti, che rimandano ai vari passati del luogo, i quali non si fermano al 1945. Nel dopoguerra il campo ospitò Nomadelfia, la comunità di don Zeno Saltini, e dal 1954 fino alla metà degli anni Settanta i profughi istriani. A questi due momenti fanno riferimento le tracce di indaco alle pareti, le siepi attorno alle baracche, la baracca trasformata in cappella. Foto E. Pirazzoli Foto Fondazione Fossoli Foto Fondazione Fossoli Foto Fondazione Fossoli Gli elementi inattesi possono spesso essere la chiave di accesso per cogliere i livelli di passato meno noti: è il caso dell'ex Sinagoga di Carpi, ora sede della Fondazione Fossoli, in cui al posto della Torah e degli arredi sacri sono presenti specchi. È proprio questo particolare a raccontare la peculiare vicenda di questo luogo, tempio di una comunità attiva e fiorente, reso più monumentale nel 1861 nel momento dell'emancipazione ebraica, ma poi chiuso nel 1921 per l'esiguo numero di membri e la fusione con la comunità modenese. In quella data passò a una famiglia carpigiana che ne fece il proprio salotto, conservandone la struttura e le decorazioni, ma lasciando gli arredi sacri alla comunità di Modena (che ne inviò alcune parti verso la Palestina). Sono anche gli specchi a essere segno della storia di questo luogo. Foto Fondazione Fossoli Carpi, Sinagoga (ora sede della Fondazione Fossoli) Foto Fondazione Fossoli Anche Monte Sole, teatro del cosiddetto massacro di Marzabotto, è rimasto per decenni in abbandono, e negli anni Ottanta, quando si iniziarono a riscoprire i luoghi dell'eccidio, le tracce non raccontavano solo i fatti dell'autunno 1944 ma anche il tempo dell'assenza, del mancato ritorno dei sopravvissuti o di nuovi abitanti. La chiesa di Casaglia rimaneva come la rovina più imponente, mentre il resto erano muri sparsi, coperti dalla vegetazione. Recentemente il parco storico di Monte Sole ha intrapreso un progetto “archeologico” di scavo attorno ai muri rimasti, portando alla luce gli impianti delle case, ma insieme forzando il luogo: le rovine che ora sono visibili non corrispondono né a quello che rimaneva degli insediamenti di Monte Sole dopo gli eccidi nazisti, né al progressivo abbandono e ritorno alla natura avvenuto in sessanta anni. Inoltre, le rovine sono senza tempo, e tra gli etruschi di Misa e le case di Monte Sole sembra non esserci differenza: la distanza con il nostro tempo sembra abissale. Monte Sole, Chiesa di Casaglia Monte Sole, Chiesa di San Martino Bibliografia: Das Auge des Dritten Reiches. Hitlers Kameramann und Fotograf Walter Frentz, Deutscher Kunstverlag, München/Berlin 2007 C. R. Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e “soluzione finale” in Polonia, Einaudi, Torino 1995 (1992) R. Capezzuto, Affrontare l’architettura del male. 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