Lo sviluppo del pensiero antropologico 4. L’etno-sociologia francese Il primato della dimensione sociale In Francia lo sviluppo dell’antropologia (ethnologie) è intrecciato a quello della sociologia. Il primo esponente della disciplina, infatti, Émile Durkheim (1858-1917), è considerato al contempo sociologo e antropologo. La sua eredità è legata alle riflessioni sul primato della dimensione sociale sulla realtà individuale e alla sua capacità di riunire intorno a sé una équipe di studiosi – colleghi e allievi – che apportarono contributi fondamentali agli studi socioantropologici lavorando in un’ottica interdisciplinare. Molti degli allievi appartengono alla generazione che fu falcidiata dal primo conflitto mondiale, tra questi Robert Hertz (1882-1915) – autore di un importante studio sulla rappresentazione collettiva della morte. I fatti sociali e l’analisi comparativa Per Durkheim, sulla scia della tradizione collettivista francese, oggetto delle scienze sociali non sono i comportamenti individuali, bensì i fatti sociali e le rappresentazioni collettive: “Le maniere collettive d’agire o di pensare hanno una realtà al di fuori degli individui, e questi devono, ad ogni istante, conformarvisi […] L’individuo le trova completamente formate e non può fare in modo che non esistano o che siano differenti da quello che sono: è pertanto obbligato a tenerne conto e gli è tanto più difficile (non diciamo impossibile) modificarle, perché, ai differenti livelli, partecipano di quella supremazia materiale e morale che la società possiede sui suoi membri”. I fatti sociali devono essere considerati come “cose” e costituiscono l’oggetto specifico dello studio sociologico, al centro del quale vi è l’analisi comparativa (“la sociologia comparata non è un ramo della sociologia; è la sociologia stessa”). Per indagare, ad esempio, un’istituzione sociale come la famiglia è necessario andare oltre l’osservazione del fenomeno nella storia delle grandi società europee e paragonare le forme differenti in cui essa si presenta nelle varie popolazioni. Durkheim si avvale, quindi, per le sue riflessioni di materiale attinto da fonti etnologiche, eseguendo comparazioni nelle quali entrano a pieno titolo i popoli definiti “primitivi”, in quanto “le civiltà primitive rappresentano […] dei casi privilegiati poiché sono dei casi semplici”. In La divisione del lavoro sociale del 1 1893, Durkheim osserva come nelle società “primitive”, definite a solidarietà meccanica, la coscienza collettiva (“l’insieme delle credenze e dei sentimenti comuni alla media dei membri di una stessa società”) agisca sul singolo individuo con forza maggiore, mentre nelle società moderne, dette a solidarietà organica, nelle quali esiste una maggiore differenziazione dei soggetti, questa entità sovraindividuale si faccia sentire meno intensamente. La religione: devozione alla società Nel suo lavoro più specificamente etnologico, Le forme elementari della vita religiosa del 1912, Durkheim s’interessa al totemismo degli aborigeni australiani - considerato la forma elementare e originaria di religione – allo scopo di analizzare il ruolo fondamentale che la religione assolve nella vita sociale. La società aborigena è suddivisa in clan, ciascuno dei quali ha un proprio totem (animale, pianta o elemento naturale) che lo rappresenta. Secondo Durkheim, attraverso i riti collettivi rivolti al totem gli aborigeni australiani esprimono l’identità collettiva del clan e percepiscono l’esistenza di un’entità collettiva che sovrasta il singolo: la società. Venerando il totem, dunque, gli individui in realtà innalzano un culto alla propria società: “Il dio del clan, il principio totemico, non può essere dunque che il clan medesimo, ma ipostatizzato e presentato all’immaginazione sotto la forma sensibile del vegetale o dell’animale che serve da totem”. Per lo studioso francese, la religione assolve una funzione analoga e ha una natura simile ovunque: attraverso la ritualità essa assicura la devozione alla società e alle sue norme e rafforza in tal modo la coesione sociale. Il pensiero primitivo e la dimensione pre-logica Altro esponente di rilievo della scuola francese è Lucien Lévy-Bruhl (18571939), noto soprattutto per il suo La mentalità primitiva del 1922, nel quale riconosce al pensiero primitivo delle specificità che lo rendono diverso da quello “civilizzato”. Per Lévy-Bruhl, i primitivi hanno una mentalità pre-logica, nella quale non valgono i principi del pensiero scientifico, e sperimentano, in virtù delle rappresentazioni collettive, una partecipazione mistica con la realtà che li circonda. Quando, ad esempio, i bororo del Brasile sostengono di essere dei pappagalli rossi, “quel che essi vogliono far comprendere è un’identità essenziale. Che essi allo stesso tempo siano degli esseri umani, come in realtà sono, e degli uccelli dalle rosse piume, 2 è una cosa assolutamente inconcepibile per von den Steinen [lo studioso che aveva riportato le loro affermazioni]. Ma per una mentalità che si basa sulla legge di partecipazione non v’è difficoltà alcuna ad accettarla. Tutte le società di tipo totemico comportano rappresentazioni collettive dello stesso genere, che implicano un’identità simile tra gli individui di un gruppo totemico e il loro totem”. Le posizioni teoriche di Lévy-Bruhl suscitarono un notevole dibattito tra gli antropologi, in parte temperato dalle riflessioni autocritiche che l’autore affida ai Quaderni, usciti postumi nel 1949: in questa sede lo studioso sottolinea la presenza, anche nella mentalità “civilizzata”, della dimensione pre-logica, mistica e partecipativa. Al di là delle interpretazioni divergenti dell’opera, è opportuno riconoscere a Lévy-Bruhl, come fa l’antropologo Carlo Tullio-Altan, “lo sforzo di entrare in contatto con l’altro individuando quale sia il suo ‘codice culturale’ specifico, senza alcuna pretesa di situare questi codici diversi in una sequenza fondata sull’evoluzione”. Mauss, il dono come fatto sociale totale Allievo e nipote di Durkheim, Marcel Mauss (1872-1950) è uno studioso eclettico e politicamente impegnato che mette a frutto l’eredità durkheimiana del lavoro d’équipe (molti suoi saggi sono scritti a due mani) e che, benché non conduca direttamente lavori sul terreno, forma la prima generazione francese di ricercatori sul campo. Nel saggio Su qualche forma primitiva di classificazione (1901-02), scritto insieme a Durkheim, Mauss mostra come le categorie di genere, spazio, tempo ecc. non siano innate (“ogni classificazione implica un ordine gerarchico cui né il mondo sensibile né la nostra coscienza offrono il modello”), e dipendano invece dalla società, la quale – in virtù della segmentazione degli individui in gruppi sociali – funziona come modello di riferimento per la suddivisione e la gerarchizzazione. Nel suo lavoro più noto, il Saggio sul dono del 1925, Mauss riprende gli studi di Boas sul potlatch e quelli di Malinowski sul kula per mostrare come il dono vada considerato un fatto sociale totale. A proposito del kula Mauss spiega: “Il sistema dello scambio dei doni investe tutta la vita economica, tribale e morale dei trobriandesi. Essa ne è ‘impregnata’ come dice bene Malinowski; è come un perpetuo ‘dare e prendere’; è come attraversata da una corrente ininterrotta e rivolta in ogni direzione, di doni offerti, ricevuti, ricambiati, obbligatoriamente e per interesse, per ostentare grandezza e per compensare servizi, a titolo di sfida e in pegno”. Il dono è un fenomeno complesso costituito da tre diversi tipi di obbligo – dare, ricevere e ricambiare – l’ultimo dei quali rappresenta la base del principio di reciprocità, sul quale si fonda la coesione sociale. 3 I riti di passaggio Importante autore francese del periodo è anche Arnold van Gennep (1873-1957) il cui libro I riti di passaggio del 1909 propone una suddivisione tripartita delle cerimonie che scandiscono i passaggi di status (nascita, della maggiore età, matrimonio, morte, ingresso in una società iniziatica, ecc.). Tale tripartizione nelle fasi di separazione (riti preliminari), margine (riti liminari) e aggregazione (riti postliminari) rimane a tutt’oggi, soprattutto alla luce della rilettura fornitane da Victor Turner, una categoria classica degli studi antropologici. 4