Esteriorità/interiorità (alla coscienza):
1. “Quando svolgo il mio ruolo di fratello, marito, cittadino, quando osservo gli impegni che ho preso,
adempio a dei doveri che sono definiti al di fuori di me e dei miei atti, nel diritto e nei costumi. Anche
quando sono in accordo con i miei propri sentimenti e ne sento interiormente la realtà, essa non smette di
essere oggettiva: non sono io che li ho fatti, ma li ho ricevuti attraverso l’educazione. Quante volte, del resto,
capita che ignoriamo il dettaglio degli obblighi che incombono su di noi e, per conoscerli, dobbiamo
consultare il Codice e i suoi interpreti autorizzati! […] Ecco dunque delle maniere di agire, di pensare e di
sentire che presentano la notevole proprietà di esistere al di fuori delle coscienze individuali”
(Durkheim, Le regole del metodo sociologico, 1895, cap. 1).
2. “Vedendo nella storia delle maniere di agire, di pensare e di sentire così diverse le une dalle altre, nonché
da quelle a cui siamo abituati, e che sono tuttavia interamente umane, fondate sulla natura umana di cui sono
l’espressione, come non comprendere che ci sono in noi profondità inavvertite, dove sonnecchiano virtualità
ignorate, ma che, da un momento all’altro, possono svegliarsi o risvegliarsi se le circostanze lo esigono?
Questa nozione estesa e allargata dell’umanità ci fa capire meglio quanto sia povera, magra, ingannevole
quella che possiamo acquisire in base all’osservazione immediata di noi stessi. Bisogna ammettere che in noi
c’è qualcosa di tutte quelle umanità che si sono succedute nella storia, per quanto non ne abbiamo
consapevolezza in questo momento. Questi uomini di un altro tempo erano uomini come noi ed è dunque
impossibile che la loro natura umana ci sia completamente estranea. Vi sono allora in noi altri uomini, per
così dire, rispetto a quelli che conosciamo direttamente. La psicologia contemporanea è venuta del resto a
confermare questa affermazione, rivelando al di là della coscienza l’esistenza di una vita psichica inconscia,
che solo la scienza scopre progressivamente, grazie ai suoi procedimenti speciali di ricerca.”
(Durkheim, L’évolution pédagogique en France, 1904-1905)
3. “Mentre i fatti della coscienza dell’individuo esprimono sempre, in modo più o meno indiretto, uno stato
dell’organismo, le rappresentazioni collettive esprimono sempre in qualche misura uno stato del gruppo
sociale: traducono (o, per usare il linguaggio filosofico, “simbolizzano”) la sua struttura attuale, la maniera in
cui reagisce di fronte a questo o a quell’evento, la coscienza che ha di se stesso e dei suoi propri interessi.
[…] Questo non significa tuttavia che vi sia tra loro (le rappresentazioni individuali e quelle collettive) una
soluzione di continuità. Indubbiamente le coscienze da cui la società è formata vi sono combinate in forme
nuove da cui risultano realtà nuove. Ma è altrettanto vero che si può passare dai fatti della coscienza
individuale alle rappresentazioni collettive attraverso una serie continua di transizioni. Si vedono
facilmente alcuni di questi intermediari: dell’individuo, si passa insensibilmente alla società, per esempio,
quando si susseguono i fatti d’imitazione epidemica, di movimento di folla, di allucinazione collettiva, ecc.
Inversamente, il sociale ridiventa individuale. Esiste soltanto nelle coscienze individuali, ma ogni singola
coscienza ne possiede soltanto un frammento. E ancora questa impressione di cose sociali è modificata dallo
stato particolare della coscienza che la riceve.”
(Mauss-Fauconnet [Durkheim?], “Sociologie”, La Grande Encyclopédie, 1901)
4. “Sono dei ‘tutti’, dei sistemi sociali interi quelli di cui abbiamo cercato di descrivere il funzionamento.
Abbiamo visto delle società allo stato dinamico, o fisiologico. Non le abbiamo studiate come se fossero fisse,
in una condizione statica o piuttosto cadaverica, e ancora meno le abbiamo decomposte in regole del diritto,
in miti, in valore e in prezzo. È considerando il tutto insieme che abbiamo potuto cogliere l’essenziale, il
movimento del tutto, l’aspetto vivente, l’istante fuggitivo in cui la società prende, in cui gli uomini prendono
coscienza sentimentale di se stessi e della loro situazione di fronte agli altri [vis-à-vis d’autrui]” (Mauss,
Saggio sul dono, 1924)
5. “Le espressioni costrizione, forza, autorità, le abbiamo potute usare un tempo, e hanno il loro valore, ma
questa nozione di attesa collettiva è a mio avviso una delle nozioni fondamentali su cui dobbiamo lavorare.
Non conosco altra nozione generatrice di diritto e di economia: ‘Mi aspetto’, è la definizione stessa di
qualsiasi atto di natura collettiva. È all’origine della teologia: Dio sentirà – non dico esaudirà, ma sentirà
– la mia preghiera” (Mauss, 1934, in Oeuvres, II, p. 117).