Lectio doctoralis di Giulio Malgara ( 47 kb)

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Lectio doctoralis di Giulio Malgara
Università Ca’ Foscari – Venezia
Venerdì 13 settembre
‘La pubblicità motore dello sviluppo delle imprese e dell’economia’
Il marketing, come è noto, pone al centro dell’ attività dell’impresa il cliente, i
suoi bisogni, le sue esigenze e i suoi desideri.
Per questo le imprese destinano attenzione e risorse da un lato per conoscere
ciò che il cliente desidera, dall’altro per comunicargli le proprie offerte, per farsi
notare tra la miriade di messaggi e altri stimoli che l’ambiente gli trasmette
continuamente.
Senza questa attività un prodotto valido dal punto di vista qualitativo e
funzionale, con un prezzo conveniente, incontrerebbe difficoltà a realizzare un
elevato grado di copertura, dovendo i distributori sostenere da soli l’onere della
sua diffusione sul mercato, e ad essere rapidamente accolto dai consumatori.
La comunicazione è quindi uno strumento indispensabile per creare un
rapporto duraturo tra marca, consumatore e intermediario.
Contribuisce a favorire la relazione tra l’impresa e la clientela obiettivo,
permettendo di acquisire vantaggi competitivi sui concorrenti.
Oggi le aziende adottano raffinate politiche di marketing che tendono alla
differenziazione e mirano ad una “customer satisfaction” che va verso
l’ampliamento della gamma dei prodotti, così da soddisfare le esigenze più
varie, qualche volta addirittura i capricci e le stravaganze dei consumatori.
Inoltre, le tecnologie e l’informatica avanzata consentono agevolmente
differenziazioni produttive un tempo impensabili.
I prodotti pertanto si differenziano di per se stessi, per la loro peculiarità. La
comunicazione ha invece la funzione di costruire la personalità della singola
marca e di metterne in evidenza le differenze e le particolarità, non di crearle
ingannevolmente.
I caratteri e le valenze con cui verrà comunicato il prodotto, bene o servizio,
divengono componenti chiave della sua identità.
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I prodotti rivestono quindi un significato sociale perché comunicano i valori
delle persone che li utilizzano. L’impresa prende coscienza del linguaggio degli
oggetti e coglie l’opportunità di governare, per quanto può, i processi di
comunicazione che realizza nello scambio con il mercato.
Si trova quindi a competere in due mercati: dei prodotti, tramite la tecnologia, i
componenti, la distribuzione; della comunicazione, tramite la marca e i
messaggi che attraverso i media raggiungono il consumatore obiettivo.
Lo scopo dell’attività di comunicazione diviene perciò quello di consolidare e
migliorare l’immagine che il consumatore si è fatto, o si sta facendo,
dell’impresa e/o del prodotto. Quest’ultima da produttrice di beni e servizi si
trasforma così in emittente di messaggi.
Ogni impresa ha una sua personalità che le deriva dai caratteri che la
contraddistinguono. In modo conscio o inconscio invia dei segnali (identità) che
costituiscono la base per la percezione da parte di chi li riceve, ad es.
consumatore obiettivo, dell’immagine che egli si fa dell’impresa.
La marca sintetizza tutte le azioni che l’impresa attua per aggiungere valore ad
un prodotto, ad una linea di prodotti o ad un’impresa e per distinguerli da quelli
della concorrenza.
Il prodotto si alimenta della marca e, a sua volta, alimenta la marca con i suoi
attributi, la sua tecnologia, i suoi processi di produzione, distribuzione e
comunicazione.
La marca si alimenta della comunicazione il cui ruolo è quello di informare e
attrarre emozionalmente il consumatore, esaltando la differenziazione e il
“mondo” in cui si colloca e vive il prodotto.
Alla competizione nelle prestazioni base e nei benefici specifici della marca si
aggiunge perciò la competizione nei mondi delle marche, che coinvolgono più o
meno fortemente i consumatori spingendoli o meno alla fedeltà di marca.
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Se quindi il compito della comunicazione d’azienda è quello di affermare la
marca e la sua immagine, non va dimenticato che per molte imprese la rapida
evoluzione dei prodotti e spesso la facile imitabilità comportano la ricerca di
costruire la corporate image con valori da comunicare che si mantengano
stabili nel tempo, valori che divengano esclusivi dell’identità dell’impresa.
L’impresa, come organizzazione, si esprime sia verso l’interno, sia verso
l’esterno. All’interno le strategie di comunicazione contribuiscono a rinforzare
l’identità collettiva dei membri. All’esterno, esse rappresentano l’azienda,
delineano le sue credenze, preferenze ed opinioni e ricercano la legittimazione
e l’accreditamento dell’ambiente.
In tutte queste attività le imprese investono molte risorse in capitale umano e
finanziario. Sembra sufficiente, a questo proposito, ricordare come nel 2001
l’investimento complessivo di tutte le imprese sia ammontato a 15,5 MLD di €
(30000 MLD di lire) pari al 1,27% del PIL. In molte imprese è una componente
importante dei costi aziendali con un’incidenza sul fatturato variabile a seconda
dei settori e della dimensione delle imprese: dall’1% delle grandi marche
alimentari al 20-25% per quelle di cosmetici…
E’ proprio la pubblicità che moltiplica il numero dei prodotti venduti,
consentendo di distribuire i costi fissi su di un numero enormemente più
elevato di “pezzi”, con la conseguenza che i costi unitari dei prodotti che fanno
la pubblicità non aumentano ma anzi diminuiscono.
Numerosi studi, anche recenti, dimostrano come i prezzi dei prodotti di marca
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in questi ultimi 10 anni siano aumentati in misura minore rispetto all’inflazione.
Dopo aver chiarito il ruolo della comunicazione come sviluppo dell’ impresa,
passo ora a considerare il ruolo della comunicazione per l’economia nel suo
complesso.
La comunicazione stimola i mercati, in particolare la domanda motore primo
dello sviluppo economico-industriale. A sua volta lo sviluppo si traduce in una
crescita del PIL. Spesa in Comunicazione e PIL sono quindi strutturalmente
legati.
Considerando la serie storica della spesa in comunicazione e del Pil,
opportunamente deflazionati, nell’ultimo ventennio la prima, fatto 100 il 1980,
è aumentata a 350 e il secondo a 187.
Nonostante gli indubbi sviluppi raggiunti dalla comunicazione in Italia, il divario
con numerosi paesi avanzati risulta ancora sensibile.
Per quanto concerne l’investimento in pubblicità, per la quale si dispone di dati
più facilmente comparabili a livello internazionale, il rapporto percentuale tra
tale spesa e il P.I.L. era, in Italia nel 1970, pari a 0,30. Dal 1979 al 1989 tale
valore è raddoppiato passando da 0,30 a 0,61, rimanendo poi invariato fino al
1990 per salire allo 0,64 nel 2000, dopo una caduta nella prima metà degli
anni 90.
A titolo di confronto, anche se non si deve dimenticare che ci si riferisce a livelli
di reddito pro capite sensibilmente diversi, nel 2000 il rapporto percentuale tra
investimenti in pubblicità e P.I.L. era in Italia pari a 0,64, negli USA 1,32, in
Spagna 0,87 in Gran Bretagna 1,06, in Germania 0,91, in Francia 0,70 e in
Giappone 0,89.
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Due fenomeni hanno concorso allo sviluppo dell’investimento in comunicazione
nel nostro Paese. Per il periodo che va dal 1979 al 1988, la crescita degli
investimenti pubblicitari da parte delle aziende è stata agevolata dalla
disponibilità di spazi nelle emergenti emittenti televisive private; per il periodo
1988-1992, la più rapida crescita dei mezzi alternativi rispetto a quelli
pubblicitari, rispettivamente + 157% e + 141%. Di conseguenza il peso dei
mezzi pubblicitari scende dal 54,9% del 1988 al 52,1% del 1992.
Per quanto attiene al ruolo svolto dalle televisioni private va segnalato come
esse abbiano incominciato ad operare alla fine del 1976. Se si confronta
l’incidenza delle principali categorie di mezzi sulla spesa pubblicitaria, si coglie
come nel 1979 l’investimento in tv fosse pari al 21,3% dell’investimento
complessivo, mentre nel 1984 avesse già raggiunto il 46,9%. Al contrario, la
stampa che totalizzava nel 1979 il 61,6%, era scesa al 42,9%. Nello stesso
periodo
si
è
anche
sensibilmente
ridotta
l’incidenza
dell’investimento
pubblicitario destinato alla radio, dal 7,3% al 3,3%, alla pubblicità esterna, dal
7,5% al 5,7% e al cinema, dal 2,3% allo 0,3%.
Ciò ha fatto sí che il peso della televisione sull’investimento complessivo in
comunicazione passasse dal 18% al 52,3%.
Negli ultimi anni il peso percentuale della televisione e della stampa è
leggermente diminuito a favore della radio e, in misura minore, del cinema e
della pubblicità esterna.
Fra i mezzi alternativi, che in termini di investimento valgono oggi poco più
della pubblicità, si segnala il peso delle promozioni, 42,2% e del direct
response, 24,8%.
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Lo sviluppo della pubblicità
è da attribuire
all’intraprendenza, al coraggio e
alla lungimiranza delle aziende industriali, commerciali e di servizi che hanno
creduto e credono nell’investimento pubblicitario come mezzo strategico e di
sviluppo del mercato. I loro stanziamenti hanno consentito la crescita dei
mezzi. Tra lo sviluppo dei media, e la crescita dell’economia, che sono valori
reali facilmente valutabili, con indici che si sono consolidati nel tempo stanno
emergendo elementi di valutazione degli stati d’animo dei consumatori che
sono sempre più importanti per lo sviluppo come emerge da un articolo di
quest’estate:
“Quando si abbassa l’Indice di Felicità”, Ilvo Diamanti su Repubblica in cui fa
un’analisi interessante sulla nostra attuale situazione economica.
La conclusione è:” per questo, assai più che del Pil e del Mib, conviene tenere
d’occhio il Tafi e l’Ifp. Il Tasso di Fiducia nelle Istituzioni, l’Indice di Felicità
Privata. Stanno scendendo. Non basteranno un volto sorridente e una
campagna mediatica di marketing a invertirne la curva.”
Noi questo tipo di dati lo teniamo presente molto bene. Un’indagine molto
illuminante è stata condotta nell’ultimo anno dalla società Astra, guidata da
Enrico Finzi, che ha rivolto in tempi diversi e successivi a un vasto campione di
italiani, la domanda seguente: “come crede che andranno
le cose a lei e ai
suoi cari nei prossimi 12 mesi?"” Nel luglio del 2001, dopo la vittoria elettorale
del centrodestra, il 68% degli italiani ha risposto in maniera positiva
dimostrandosi nettamente ottimisti. Nell’ottobre successivo, dopo il dramma
delle Twin Towers, gli italiani si sono dimostrati ottimisti solo per il 24%. Nel
dicembre successivo, sempre dell’anno scorso, prima di Natale, gli umori degli
italiani presentavano già un recupero straordinario perché l’ottimismo era
tornato nel 68% degli italiani fino a raggiungere la percentuale del 71% di
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ottimisti nel gennaio di quest’anno.
Oggi questa fiducia sta lentamente allentandosi e la percentuale degli ottimisti
è stata rilevata nello scorso mese di luglio pari
al 55%. L’andamento delle
borse lo riflette chiaramente.
Invece una maggiore diffusione della cultura della comunicazione nelle piccole
e medie imprese e la diffusione dei new media dovrebbero garantire, al di là
della
situazione
contingente,
un
sensibile
sviluppo
della
spesa
in
comunicazione.
Nella valutazione dell’impatto macro della comunicazione non va dimenticata la
delicatezza per la società dello strumento, in particolare di quello pubblicitario.
Tre grandi sfide attendono la comunicazione italiana in questo inizio di terzo
millennio: l’etica dei comportamenti, la globalizzazione della comunicazione per
sostenere quella dei mercati e lo sviluppo dei new media.
Alla prima le imprese hanno da sempre assegnato grande attenzione ma ora
sono scesi in campo anche attori eccellenti.
A fine febbraio 1997 il Vaticano, attraverso il Pontificio Consiglio delle
Comunicazioni Sociali, ha espresso il suo punto di vista sul tema dell’etica nella
pubblicità.
Per la prima volta, un organo ufficiale del Vaticano ha affrontato questo
argomento in maniera articolata, individuando ed esprimendo chiaramente i
principi cardine cui gli operatori professionali della comunicazione devono
attenersi per non scadere in comportamenti scorretti dal punto di vista
deontologico, in considerazione della responsabilità che si assumono nei
confronti della collettività.
Vengono inoltre riconosciuti gli effetti benefici che la pubblicità è in grado di
esercitare sull’economia, sulla politica, sulla cultura e perfino sulla morale.
Da qui
una serie di principi e indicazioni volti ad evitare comportamenti
contrari alla tutela del consumatore e, più in generale, di chi è esposto al
messaggio.
Noi crediamo che oggi, soprattutto comunicando attraverso i media classici,
l’azienda si assuma grandi responsabilità e debba impegnarsi a rispettare i
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consumatori nei contenuti e nelle forme del messaggio.
D’altronde, le innumerevoli fonti giuridiche in merito lasciano ormai spazi
ridottissimi ad attività comunicazionali scorrette, che non rispettino la
deontologia e l’etica professionale in questo settore.
Questo ci obbliga ad un rigore comportamentale basato sul rispetto del
consumatore, in grado di determinare effetti positivi nei confronti del sociale e
dell’immagine complessiva dell’azienda.
E’ l’etica dei comportamenti.
Le aziende devono essere etiche e non moralistiche.
La comunicazione non deve mostrare comportamenti contrari ai valori etici di
oggi, ad esempio furti d’auto, associazione con bevande alcoliche, oppure
comportamenti discriminatori o contrari verso le minoranze razziali, i deboli, i
disabili, i bambini.
Tale normativa deve però integrarsi con una reale volontà di attuazione da
parte di chi opera. Le aziende si sono autoregolate da tempo.
Nel maggio del ’66 ebbe così inizio quella che sono portato a definire come
l’era dell’autodisciplina pubblicitaria. All’inizio l’operazione si presentò faticosa e
di lenta attuazione. Nel suo primo anno L’Autodisciplina si trovò a trattare un
solo caso. Per contro un sensibile crescendo di interventi si verificò a partire da
una incisiva riforma che stabilì per tutti i membri giudicanti l’obbligo di un loro
completo distacco e indipendenza dal mondo della pubblicità.
Nei primi 20 anni i casi affrontati e definiti salirono a 882, per raggiungere
nell’anno 2000 i 927, superando così in un solo anno il totale dei 20 anni
precedenti. Un crescendo che è tuttora in atto e che ha fatto raggiungere
10.000 casi trattati e definiti; e questo nonostante il sopravvenuto intervento,
nell’ultimo decennio, dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con
competenze in parte analoghe a quelle dell’Autodisciplina.
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Nel frattempo le norme del nostro Codice sono passate dai 19 articoli iniziali
agli attuali 46, attraverso un’ approfondita e meticolosa progressione, segnata
da 31 nuove edizioni in quasi quarant’anni di attività.
A sua volta il cittadino-consumatore, senza alcun costo né responsabilità, può
sottoporre al giudizio autodisciplinare le pubblicità che ritiene non conformi al
Codice: il che avviene con un migliaio di segnalazioni all’anno delle quali si fa
carico, portandole a definizione, il Comitato di controllo, tutore specifico del
consumatore.
Facendo un’analisi su: Pubblicità motore dello sviluppo delle imprese e
dell’economia; non si può prescindere dal ruolo avuto dalla pubblicità nella
globalizzazione. Per noi oggi è normale avere dei marchi globali e sappiamo
che i primi marchi globali sono emersi nei beni durevoli come orologi e auto,
ma la globalizzazione dei marchi di largo consumo è stato un fenomeno
sociologicamente più importante perché si sono sviluppati trovando delle
congiunzioni tra il bisogno dei consumatori, il prodotto e la pubblicità che
diventa sempre di più elemento di unificazione tra gli uomini dei cinque
continenti. Attraverso la comunicazione si sono affermati dei modelli globali
per i consumatori, delle abitudini di consumo che diventano sempre di più
comportamenti culturali e modi di essere.
Con la caduta del muro di Berlino
alcuni marchi propri della cultura americana
sono diventati parte integrante
del comportamento dei consumi, al di là dell’ ex cortina di ferro e forse proprio
la voglia di poter avere comportamenti uguali da parte di giovani di tutto il
mondo, è stata una delle cause scatenanti dell’abbattimento di quelle barriere
che venivano da così lontano.
Oggi abbiamo visto
nella comunicazione
affermarsi sempre di più l’utilizzo di immagini multirazziali e anche questo è
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un esempio della globalizzazione che ci sta portando ad essere sempre più
uguali.
Quindi abbiamo visto che la marca diventa da locale a nazionale , poi
internazionale
e quindi globale , e diventare globali richiede
un notevole
sforzo da parte delle imprese per capire come si comunica in mercati così
diversi. L’importanza crescente della marca enfatizza tale problema ma è la
grande opportunità di creare valore perchè il goodwill della marca è oggi la
parte più importante del valore delle aziende.
Infine, per quanto attiene ai new media, non si tratta solo di saper cogliere le
opportunità offerte dai nuovi mezzi che la tecnologia rende disponibili, ma di
rivisitare alla luce dei nuovi anche i media tradizionali.
Oggi la crisi economica deprime i mercati e le imprese hanno ridotto lo sforzo
in
comunicazione
stabilendo
una
correlazione
tra
mercati
finanziari
e
investimenti pubblicitari.
La stagnazione degli investimenti pubblicitari nel 2001 e nel 2002 rispetto
all’anno 2000 va ricondotta alla crisi della comunicazione da parte delle aziende
Internet e di quelle legate a sistemi on line (servizi, software, etc.). Nel 2000 la
pubblicità di queste aziende ha influito notevolmente nella crescita degli
stanziamenti globali, con una incidenza intorno al 10%.
Venuti meno questi investimenti, la cifra del 2002 è ancora pari, o di poco
inferiore, a quella del 2000, segno che, se le aziende Internet hanno smesso di
comunicare, altre aziende sono subentrate.
Mi auguro che al più presto il paese riprenda il processo di sviluppo e sono
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certo che un clima più favorevole stimolerà le imprese ad investire anche in
comunicazione, favorendo così la ripresa di quel circolo virtuoso Investimento
in Comunicazione – PIL che ci ha accompagnato nell’ultimo ventennio.
L’importanza dell’investimento pubblicitario ha fatto cambiare anche un famoso
detto degli anni ‘60-’70:
quando l’immobiliare tira, tutto tira.
Questo detto non era solo italiano ma anche europeo ed americano.
Oggi possiamo dire, senza tema di essere smentiti dai numeri:
quando la pubblicità tira, tutto tira.
Ho parlato di cinque importanti argomenti:
Prodotti
Marca
Investimenti Pubblicitari
Mercati Finanziari
Ottimismo
Vorrei soffermarmi ancora sull’ultimo, il meno influenzabile dei sentimenti ma
quello che più influenza le scelte di tutti noi a breve e a lungo. Essere ottimisti
è un dovere morale per sviluppare sia il proprio business, sia l’economia della
propria nazione che quella globale.
Speriamo quindi in una ripresa dell’economia trainata ancora una volta dalla
pubblicità.
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